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Autore: Allison Argent    23/07/2013    2 recensioni
«Ogni notte, cauta, prendeva il piccolo orologio d'oro con il cinturino nero un po' rovinato dal tempo che era appartenuto alla sua nonna e guardava le lancette muoversi inesorabilmente verso lo scoccare della mezzanotte e mezza.
Solo allora si permetteva che quel pensiero le sfiorasse la mente, quel pensiero che per tutte le altre ore della giornata, di tutte le giornate, lei reprimeva ormai istintivamente.»

{QuinnxPuck}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Midnight Thirty
(she remembers it, he does it)

a B.






Ogni notte, cauta, prendeva il piccolo orologio d'oro con il cinturino nero un po' rovinato dal tempo che era appartenuto alla sua nonna e guardava le lancette muoversi inesorabilmente verso lo scoccare della mezzanotte e mezza.


Cinquantasette. Cinquantotto. Cinquantanove.


Solo allora si permetteva che quel pensiero le sfiorasse la mente, quel pensiero che per tutte le altre ore della giornata, di tutte le giornate, lei reprimeva ormai istintivamente.


Ogni notte, a mezzanotte e mezza, lei chiudeva gli occhi e si perdeva in quell'oblio di ricordi la cui unica via d'uscita erano i sogni o un rumore inaspettato che avrebbe tagliato il filo di collegamenti e sensazioni nella sua mente. Non erano quasi mai ricordi innocenti, felici o casuali. Aveva bene in mente quali momenti far rivivere ogni notte.


Il sesso non si immagina: o si fa, o si ricorda.


Lei lo ricordava. Ma non ricordava il sesso, lei ricordava l'amore. E Quinn Fabray aveva fatto l'amore con solo una persona nella sua vita.


A mezzanotte e mezza riviveva quella prima volta in cui si era resa conto che non era solo un gesto istintivo, ma era il prodotto dei sentimenti genuini che lei provava verso di lui, era quella promessa mostrata attraverso azioni che l'avrebbe sempre legata a quel ragazzo alto e ben piazzato, era il momento in cui avrebbe urlato il suo nome senza vergognarsene.


Se lo ricordava: non era stata la prima volta, nemmeno la seconda o la terza. Era stata quella volta in cui il suo ventre si stava lievemente incurvando, mostrando i primi segni di gravidanza. Era cominciata senza che lei potesse rendersene conto: un attimo prima stavano bevendo un bicchiere d'acqua, un attimo dopo le mani di lui erano sui fianchi di lei, le labbra di lei che chiedevano perdono, senza far sfuggire un solo suono, per non essere stata ancora in grado di aver detto la verità sulla gravidanza. E lui che le sussurrava che non gli sarebbe importato, che l'unica cosa che contava era avere lei, lì, in quel momento.


Una lacrima, due lacrime, le maniche di quella maglietta bianca che profumava di lui impercettibilmente bagnate di sale, poi il suo tocco morbido sulle labbra rosee ancora gonfie per il pianto. Lei che si lasciava andare. Socchiuse, un morso, la punta della lingua del ragazzo che tracciava la linea delle labbra di lei che cercavano di imprigionare quelle di lui ogni secondo.


Lei, seduta sul piano della cucina. Lui, che cercava un contatto. 
Cingeva la sua vita con le gambe scoperte dal ginocchio in giù, indossava dei pantaloni di tuta grigi. ("Ah, stavolta ti sei vestita comoda senza farti problemi?", "Tanto mi hai vista in condizioni peggiori.") La trascinava più vicina a lui, lei gli accarezzava la schiena, poi arrivava a cingergli il collo con le braccia e allora le mani di lui erano sotto di lei, pronto a tenerla sollevata mentre usciva dalla cucina e impacciatamente spegneva le luci.


"Andiamo su.", quella volta nessuno di loro due l'aveva detto. Quando Puck l'aveva lasciata dalla sua presa si erano guardati negli occhi. Lei poteva giurare, ancora oggi, di aver visto una fiamma nelle sue iridi che raramente aveva notato successivamente. Vita, desiderio, passione. 
Avevano salito le scale che portavano alla camera di lui lasciando la luce spenta. Lei camminava avanti, ogni movimento studiato perché i suoi occhi fossero incollati al suo corpo, a come muoveva le gambe mentre saliva quegli scalini di marmo, e lui che la seguiva, come se ci fosse stato un filo a legare quei due liceali che della vita sapevano poco o niente, ma che dell'amore stavano per scoprire tanto.


Nella sua camera lei aveva camminato quasi in punta di piedi, senza preoccuparsi di accendere la luce. Si era girata, i capelli spostati indietro dal movimento veloce, e aveva trovato il viso di lui più vicino di quanto si aspettasse. Un passo indietro, due, era sul letto, il corpo di lui che faceva pressione su di lei per incoraggiarla a sdraiarsi comodamente. Una mano sul ventre, una sulla coscia, le sue sul suo petto. Il calore che nasceva dal basso ventre e si propagava in tutti i pori della pelle, quella tensione avvertita in ogni arto, un formicolio che la rendeva tremante.


Poi lui la stava spogliando.
Via la canottiera, via quei pantaloni. Via la sua maglietta e via anche i jeans. Di nuovo le labbra si toccavano, di nuovo cercavano una via per approfondire quel desiderio, di nuovo danzavano insieme ed era tutto così pieno, così naturale. Lui si spostò, respirava profondamente vicino al suo orecchio, provocandole brividi di piacere quando poi si spostava a lasciarle quei marchi infuocati sul collo.


Via il reggiseno di pizzo nero, via le mutande coordinate. L'aveva fermata quando la mano di lei aveva raggiunto l'elastico dei suoi boxer. Si era alzato e aveva preso quella scatola di preservativi che avrebbero dovuto usare fin dalla prima volta. Aveva fatto lui, mentre lei ammirava il suo volto e si chiedeva se ci fosse mai stato qualcosa di così incredibilmente perfetto e danneggiato allo stesso tempo. L'aveva fatto sdraiare e si era posizionata sopra di lui. Gli aveva lasciato una linea di baci a labbra aperte a partire dalla spalla, fino al collo, all'orecchio per poi raggiungere le labbra che la aspettavano fameliche. Si muoveva avanti e indietro, le mani che gli accarezzavano il petto e poi gli addominali, e quando apriva gli occhi lui stava sorridendo e lei sentiva una piccola fitta al cuore.


Gemiti sussurrati, respiri più profondi e pieni, mani che arrivavano dove solo lui poteva avere accesso, schiena che si inarcava quando lui la toccava, labbro che lei mordeva quando inspirava. "Perché ti mordi il labbro?", con quel sorrisetto che la faceva impazzire, che la rendeva cosciente del fatto che aveva quel tipo di influenza su un ragazzo come lui, che di ragazze ne aveva passate tante e nonostante tutto voleva lei. Poi arrivava il momento in cui la tensione era così alta che doveva stringere i polsi di lui per farlo smettere e guardarlo con quegli occhi quasi supplichevoli. Lui che si avvicinava a lei e la baciava, imprigionandole le labbra tra le sue, desiderio che cresceva sempre di più ad ogni contatto.


La aiutava a mettersi sopra di lui, si sdraiava, le mani appoggiate a quei fianchi che avrebbero dovuto sostenere una vita in più, mentre quelle di lei erano tese in avanti, il corpo che pendeva leggermente verso di lui e scendeva.


Un colpo, due colpi, tre colpi. 
Lento, lento, lento, più veloce, lei che muoveva il bacino insieme a lui, sincronia e armonia, mani che stringevano, mani che graffiavano ma no, non quella volta. Capelli che le ricadevano sulla fronte sudata, labbra che si sfioravano, corpi legati inesorabilmente. Lui ancora dentro di lei che la stendeva di nuovo, posizionandosi sopra di lei, un colpo e due ancora, respiri sul collo, tremolii di dita in cerca di un appiglio, occhi chiusi e menti aperte. Spinta, spinta, spinta, spinta, spinta. Lui che si fermava, lei che lo guardava, apriva la bocca ma lui la fermava, baciandole le labbra mentre la mente si offuscava.


Non avevano bisogno di parole. Un secondo, due secondi. Quando lasciò le sue labbra e si spostò, prima che lei potesse sedersi, il suo viso era vicino alla pancia e dolcemente si chinava per lasciare un bacio appena accennato sull'ombelico. Lui si rialzava, appoggiava la sua mano calda e grande sul ventre che sarebbe cambiato. "Anche io.", lei non gli aveva risposto, ma lui capiva. Poteva solo sorridere e dimenticare per quei momenti tutto, perché in quegli attimi l'unica cosa che contava erano loro, la vita che avevano creato e la sensazione di pienezza e consapevolezza che si librava nei loro corpi.


Era stata la prima volta che avevano fatto l'amore e Quinn si ricordava ancora lo sguardo che Puck aveva avuto una volta tornato dal bagno, quando si era fermato sul ciglio della porta ad osservare lei, ancora nuda, illuminata solo dalla luce della luna che traspirava attraverso le finestre per metà chiuse. Aveva quel sorriso diverso, diverso da quello che aveva notato qualche decina di minuti prima, ora era il sorriso di qualcuno che ama, il sorriso di un padre.


Quella sera non era arrivato il sonno ad allontanarla dai ricordi, tantomeno rumori o distrazioni. Solo la consapevolezza di qualcosa di perduto, del fatto che la persona che era stata tutto ora era quasi uno sconosciuto. Quelle notti si domandava se gli mancasse, se anche lui di notte si concedeva quella sofferenza per la sua assenza. Allora guardava il cellulare e controllava se fosse online, quando lo era rimaneva a fissare lo schermo a lungo finché non le si fossero chiusi gli occhi, con un'ultima domanda che le attraversava la mente: se anche lui era così codardo da aver paura di scriverle o parlarle o l'avesse superata. Forse lui i ricordi non li viveva come lei, forse li lasciava accantonati insieme a quelli meno significativi, forse quel Puck dagli occhi infuocati, dagli occhi innamorati, era solo un frutto della sua fantasia.
 

Una lacrima, due lacrime, ma poi la stanchezza prendeva il sopravvento, e allora il ciclo sarebbe ricominciato il giorno seguente.




 

~~~~~~~~~~




 

A Los Angeles lui il sesso non lo immaginava, o lo faceva o lo ricordava. 
Ma l'unico modo per soffocare i ricordi di una storia d'amore che non avrebbe mai visto un lieto fine era farlo.
Però non avrebbe ammesso neanche a se stesso che ogni volta che chiudeva gli occhi, la donna che era accanto a lui su quel letto era bionda, con gli occhi verdi grandi, ed era la madre di sua figlia.







 



Di solito non scrivo cose del genere, ma avevo bisogno di infilare da qualche parte certe considerazioni e quindi ieri notte è nato questo bambino.
Mi fa piacere tornare a scrivere, spero, adesso che salgo in montagna per una settimana e non avrò la connessione, di riuscire a tornare produttiva.
E poi i miei bambini mi mancavano.
Grazie per la lettura dal profondo del mio cuore :)
-Aria

   
 
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