Autore:
nakahime
Fandom:
star trek
(reboot)
Pairing:
Kirk/Spock,
Spock/Uhura
Personaggi: James
T. Kirk, Spock, Leonard McCoy, Nyota Uhura, Hikaru Sulu, Pavel
Chekov, nuovi personaggi
Rating: Pg
Genere:
avventura,
fantascientifico,
sentimentale
Avvertimenti: (certissimo)
OOC, pre-slash
Trama: l'Enterprise
è alla ricerca dei suoi nemici, ma quando meno se lo
aspetterà sarà
catapultata in un luogo in cui tutto verrà messo in gioco.
Amicizia,
fedeltà, responsabilità, amore.
Note: ci
ho messo tanto? No, non credo (ok, ok! LO SO. Stavo solo scherzando
LOL). Vi chiedo scusa ma ci ho messo davvero molto a scrivere questa
storia, e il risultato è che non mi piace nemmeno (sono un
genio,
ricordatemelo).
Ho deciso di allontanarmi pochino pochino dalla trama principale, no,
non sono impazzita ma avevo bisogno di questa one-shot. In effetti se
la si legge attentamente si può notare che non si
è allontanata per
niente dalla trama principale, ma vabbé. LIBERA
INTERPRETAZIONE!
Ogni volta che pubblico ho quest'ansia da prestazione che mi
farà
morire d'infarto, mi ritrovo a pensare a tutte le possibili
recensioni negative che potrebbero arrivarmi e mi spavento come
un'idiota. Che posso farci? Sono ansiosa (ù.ù).
Ok, queste note
come sempre non hanno senso, però stavolta voglio dire
qualcosa di
sensato, davvero: grazie.
Grazie mille a tutti voi che state seguendo la raccolta e lasciate
delle recensioni così belle che mi emozionano, grazie per il
vostro
supporto e per sostenermi nonostante sia una nuova arrivata un po'
demente. Grazie, siete stati tutti stupendi (e spero continuerete ad
esserlo); ci tenevo a dire che scrivere e ritrovarmi a leggere i
vostri pensieri, positivi o negativi che siano, è la cosa
più
bella. Mi inchino e vi dedico tutto il mio amore. Enjoy!
P.S: chiedo scusa per eventuali errori, come sapete non ho una beta ed
io sono orribile nel correggere i miei lavori. Mi dispiace.
Disclaimer:
Kirk,
Spock e compagnia cantando non mi appartengono, sono di quel grande
gnocco di Gene (sialodatosempresialodato) e un po' di quell'altro bel
trekker che è Abrams. Io mi diverto a manovrarli per le
stronzate
che scrivo. It's all!
Scritta
per la community dieci&lode
sul set #10 Futuristico e sul prompt
04. XXV secolo.
Ci
tengo ad avvisarvi che per comprenderla dovrete aver letto le altre
storie della serie 'A
friendship that will define you both'.
Cohlna.
Il
capitano Kirk osservava attentamente
la nebulosa che appariva sullo schermo della plancia. La guardava
come se non ne avesse mai viste altre nel corso della sua vita.
Eppure quell'agglomerato di colori dai confini sfumati, lo rapivano
come raramente accadeva.
Osservò il bordo rossiccio della nebula
dal quale scie di gas dal colore più scuro si protraevano
verso il
centro; la rete di gas e polvere variava le sue tonalità che
diventavano man mano più chiare verso il nucleo, di un
azzurro
acceso.
Fu automatico, per la mente del capitano, chiedersi come
sarebbe stato perdersi in quell'orgia di materia e radiazioni, farsi
cadere in quella rete dai colori più vasti fino a
raggiungere il blu
ipnotico che brillava nel mezzo. Si domandò come sarebbe
stato
diventare parte di quella meraviglia dell'universo.
Al solo
pensiero il petto era scosso da sensazioni ambigue, non
identificabili, simili alla commozione o all'ansia.
Sarebbe stato
bello morire nell'universo, si disse, e finire la sua vita
all'interno di un trionfo di colori come quello.
Il flusso dei
suoi pensieri fu interrotto dalla voce di Spock che cominciò
a fare
rapporto sulla nebulosa che stavano costeggiando -E' un resto di
supernova, signore, percentuali di gas 80.3, polveri e resto
compatto, in questo caso si tratta di una stella di neutroni al suo
centro. Non prevedo alcun materiale che possa attrarci nel suo
raggio, consiglio comunque una distanza minima di 3.9 chilometri.-
Jim annuì distrattamente e si poggiò allo
schienale della
poltrona -Sulu corregga di 1.2 chilometri sulla destra e mantenga la
rotta.-
Il timoniere annuì ed eseguì prontamente
l'ordine.
La
plancia restò in silenzio per alcuni minuti, il capitano
continuò
ad ammirare la nebula con lo sguardo di un bambino che per la prima
volta si accorge delle stelle. La nave solcò con prudenza lo
spazio.
-Che meraviglia...- sussurrò tra sé e
sé, sorridendo allo
spettacolo che gli si stagliava di fronte.
Spock si voltò verso
di lui, non era difficile intuire che l'apprezzamento fosse rivolto
alla massa di polvere e gas che avevano trovato sulla loro rotta. Lo
sguardo dell'umano, però, aveva qualcosa di particolare al
suo
interno, un'emozione che risplendeva nei suoi occhi azzurri e li
accendeva di una luce nuova.
Il vulcaniano si chiese che cosa
fosse, ma decise di mettere da parte le sue osservazioni: cercare di
capire il suo capitano si rivelava sempre un'impresa ardua.
Il
capitano James Tiberius Kirk era un enigma che nessuno sarebbe mai
riuscito a risolvere, e questo lo affascinava ma allo stesso tempo lo
inquietava.
Inquietudine.
Specchio
di un'emozione che sarebbe dovuta essere inesistente, in lui.
La
nave era ormai parallela alla nebulosa, stavano proseguendo a
velocità costante quando il ronzìo dei sensori
attirò l'attenzione
del primo ufficiale scientifico.
Si voltò verso il rilevatore e
studiò attentamente le diciture, ripercorse lo studio della
nebula e
catalogò ancora tutti i componenti della nube.
-Cos'è questo? -
sussurrò lentamente, poi allungò il raggio dei
sensori e corresse
le coordinate verso il centro del suo studio.
-L'avete sentito?-
parlò Uhura dalla sua postazione.
Il capitano la guardò -Cosa?-
La nave venne scossa da un lieve sobbalzo, quasi impercettibile.
Spock analizzò velocemente i dati raccolti dai sensori
-Sulu,
aumenti la velocità di 1.7- ordinò Kirk.
Un'altra scossa colpì
la nave, fu lieve e venne percepita a causa del senso di vuoto che,
per una frazione di secondo, aveva colpito gli ufficiali in plancia.
Jim si guardò intorno -Non avete sentito come... -
-...se
stessimo cadendo nel vuoto.- terminò Uhura.
-E' durato solo pochi
attimi.-
Chekov uscì dal turboascensore, confuso -Siamo su
montagne russe?-
-La sensazione è quella.- sospirò il capitano
-Sulu, rapporto.-
Il timoniere osservò i suoi dati, poi scosse
il capo -Tutto è esattamente come prima, nessuna variazione
né
nella nostra rotta e né nella posizione della nebulosa.-
Kirk si
alzò dalla poltrona nel momento in cui la terza, e
più potente
delle precendenti, onda d'urto andava ad infrangersi contro
l'Enterprise. La plancia tremò e lui dovette aggrapparsi ad
un
bracciolo della poltrona per non cadere.
-Sulu, che diavolo?-
-Non capisco, non rilevo nulla.-
Jim si girò verso il primo
ufficiale -Spock, sta dormendo su quei sensori? Rapporto.-
L'altro,
senza scomporsi, si voltò lentamente intrecciando le braccia
dietro
la schiena -Ho rilevato dati non chiari. Il computer di bordo non
riesce ad identificarne la natura.-
La nave si assestò -Che
significa dati non chiari? Non ha idea di cosa possa essere?-
Spock
studiò lo schermo del computer -La stella di neutroni al
centro
della nebulosa... ho ragioni per pensare che non sia un resto
compatto.-
Jim gettò un'occhiata allo schermo, mordendosi
nervosamente il labbro inferiore.
-Non credo che quella stella sia
naturale.
Ha delle
particolari frequenze che non mi sembrano derivanti dall'esplosione
di una supernova.-
-Sta dicendo che qualcuno ce l'ha messa lì,
Spock? In mezzo alla galassia?-
Il
vulcaniano inarcò un sopracciglio ma non riuscì a
rispondere, la
nave venne scossa ancora dall'ultima e più potente onda
d'urto. La
plancia s'inclinò a destra, Spock cadde e Jim
si
lanciò in avanti
per
cercare un appiglio contro la postazione scientifica.
Afferrò Spock
per una mano, e gl'impedì di scivolare dall'altra parte
della
plancia.
-Capitano! Qualcosa ci sta trascinando all'interno della
nebulosa!- lo chiamò Sulu.
Jim lo
guardò allarmato, ignorò lo
sguardo (del tutto inedito e inaspettato) quasi sconvolto del suo
primo ufficiale di cui ancora stringeva la mano.
-Tenti di
liberarsi. Manovre evasive.-
Sulu annuì ed impostò una serie di ordini al
computer.
La
nave continuò a muoversi, inclinata di lato, verso la
nebulosa.
L'interfono fischiò l'arrivo di una chiamata -Uhura, prenda la
comunicazione, la metta sugli altoparlanti della plancia.-
Il
tenente annuì e premette il tasto d'inoltro
di
comunicazione. Dopo si lasciò cadere in avanti, per fortuna,
pensò,
era sul lato della plancia su cui la nave si era inclinata.
-Qui
Kirk.-
-Jim, i miei pazienti stanno rotolando via e io sono
appeso ad un letto!
Che diavolo sta succedendo?-
Il
capitano fissò
a lungo la nebulosa che li stava attirando verso il suo centro
-Non lo so Bones, non è il momento di parlarne.-
Sulu interruppe
la conversazione -Capitano, non riusciamo a liberarci!-
-Aumenta
la velocità di trazione! Come possibile?- urlò
Chekov, registrando
la
velocità e misurando la
distanza dal centro della nebula.
-Siamo a soli pochi metri di
distanza.- aggiunse il timoniere.
Il capitano imprecò tra i
denti -Uhura, contatti la sala macchine!-
Quando il canale fu
aperto con la sala, la voce preoccupata del capo ingegnere si
riversò
nell'intera plancia -Scotty, mi ascolti! Dobbiamo sganciarci da
questo raggio. Può caricare le batterie? Ci
servono adesso.-
-Sarà
come cercare di cambiare il corso di una cascata. Le batterie tendono
a cadere, la nave è inclinata in una posizione... -
-Scott, deve
provarci.- insistette
Jim.
-Sì,
sì. Ci proverò.-
Il
capitano rimase con il fiato sospeso,
poi si accorse del calore contro il palmo della sua mano. Si
ricordò di
Spock al
suo fianco
e delle
loro mani ancora
strette
l'una all'altra.
Il
vulcaniano aveva uno sguardo imperscrutabile, il buio nelle sue iridi
sembrava volerlo inghiottire. Lentamente
Jim lasciò andare l'altro;
ma
quando il
contatto fu spezzato, fu come se il calore di pelle contro pelle
fosse ancora vivo dentro entrambi.
-Capitano, le batterie sono
pronte!- urlò Scott dalla sala macchine.
-Capitano, la distanza
media è di otto
metri.-
-Sulu, tracci
la
traiettoria
delle
batterie verso
il centro della
nebula.-
Spock
guardò il capitano
-Le radiazioni che potrebbero colpirci, se quella cosa scoppiasse...-
-Ci sta trascinando dentro. Le radiazioni ci colpiranno
comunque.-
Sulu
preparò
i colpi, raddrizzò, per quanto poté, la
traiettoria -Batterie
pronte, capitano.-
Kirk guardò il primo ufficiale, rimpianse di
non aver stretto più a lungo la sua mano -Fuoco.-
mormorò fermo,
sperando che la fortuna fosse dalla loro parte.
La scarica di
batterie andò ad infrangersi verso
il centro della nebulosa, la posizione della nave non favorì
la
direzione di molti dei colpi ma, quando uno di questi riuscì
a
colpire la stella di neutroni, tutto divenne luce.
E l'universo
scomparve.
. . .
Quando
Spock aprì gli occhi la prima cosa che notò furono
le immagini
sullo schermo della plancia, dove
facevano bella mostra
una
struttura metallica simile a quella di uno spazio porto e una serie
di veicoli che fluttuavano dinanzi i sensori della nave.
Si
accorse di essere caduto sul capitano e si affrettò a
rialzarsi nel
momento stesso in cui anche Jim
riprendeva i sensi.
-Spock...
- sussurrò l'altro -... cos'è successo?-
Il primo ufficiale si
rimise in piedi e controllò il computer, tentando di
rimettere in
funzione i sensori.
-I
comandi non rispondono. Siamo usciti dalla nebulosa ma
non siamo
più nello spazio.-
Jim si tirò
su
e camminò verso il posto di comando aprendo le comunicazioni
-Qui
Kirk. Bones, mi sente?-
Dopo alcuni secondi arrivò la risposta
del medico -Jim, cosa diavolo è successo?-
-Dottore venga in
plancia.- ordinò, prima di chiudere la conversazione.
Si
avvicinò al timone e controllò la posizione.
Anche lì il computer
era fuori uso e, in ogni caso, il radar segnalava coordinate
a lui sconosciute.
-Non
capisco. La nostra posizione... -
-E' come se la nebulosa ci
avesse trasportati da tutt'altra parte.-
-Pensa
che sia stato un buco nero? La stella di neutroni forse era solo una
copertura.-
Il primo
ufficiale
scosse il capo -No,
i nostri sensori avrebbero captato la presenza del buco nero. Anche
se la stella di neutroni avesse mascherato la sua presenza, avremmo
comunque dovuto registrare
la
singolarità gravitazionale. Inoltre mi permetto di ricordarle
che i buchi neri non posseggono raggi traenti.-
Jim
si passò una mano tra i capelli -Prima ha detto che quella
nebulosa non le sembrava naturale. Pensa che sia opera di qualche
nemico?
Klingon o Romulani?-
-Non ho abbastanza informazioni.-
-Spock...-
Jim si
avvicinò a lui di qualche passo -Marcus ci ha dato l'ordine
di
sorvegliare quel quadrante. I nostri nemici sono stati intercettati
lì, pochi giorni fa. Non potrebbero essere stati loro?- Le
porte del
turboascensore si aprirono e il dottor McCoy arrivò in
plancia
seguito da un'infermiera. -La nave è ridotta più
o meno nelle
stesse condizioni della plancia.- grugnì il medico,
avvicinandosi
prima al tenente Sulu.
-Jim... non sono un astrofisico, ma penso
di non sbagliarmi se dico che quella cosa che ci ha attirati qui non
mi sembra opera di una nebulosa.-
-Dottore la sua capacità di
comprendere
in ritardo le situazioni è impressionante.-
McCoy lanciò
un'occhiata furente al primo ufficiale -Stia zitto, lei. Le pare
normale stare così calmi dopo quello che è
successo? A volte mi
chiedo se non abbia un blocco di ghiaccio al posto del cuore.-
Spock
inarcò un sopracciglio -Sarebbe altamente illogico, il
ghiaccio non
potrebbe favorire la circolazione del sangue; inoltre Vulcano era un
pianeta caldo, non vedo come...-
-No, no! Smettetela tutti e due,
vi scannerete più tardi. Prima cerchiamo di capire dove
siamo e come
andarcene di qui.- li interruppe il capitano.
Sulu si riprese
dopo alcuni secondi, sbatté le palpebre e fece leva sulle
braccia
per mettersi in piedi.
-Cosa...
è successo?-
chiese, dopo
essersi accorto delle immagini sullo schermo.
Jim si
passò una mano sulle labbra, sovrappensiero
-E' quello che mi piacerebbe sapere. Nessuno ha ancora fatto
incursione all'interno della nave, suppungo che o non sappiano come
muoversi o stiano aspettando una nostra mossa.-
-Pensa
che qualcuno ci abbia portati qui?-
gli chiese
il dottore,
avvicinandosi a Chekov ancora privo di sensi.
Jim
sospirò, alzando le
spalle -Non
ne sono certo. Però c'è
vita, qui,
quei veicoli non si muovono da soli. Dobbiamo scendere dalla nave,
cercare di capire chi sono e cosa vogliono da noi.-
Spock
si voltò a guardare Nyota che prendeva conoscenza, la
ragazza fu
presto
in piedi e ringraziò l'infermiera. I loro
sguardi s'incontrarono -Dove
siamo?- chiese lei.
Il primo ufficiale scostò
lo sguardo da lei, voltandosi verso il capitano.
Nyota rimase
ferma, senza capire. Era ancora intontita da quanto era successo
nello spazio.
Notò
che
Spock stava fissando Jim, sorrise
tristemente e
non aggiunse
altro.
Jim,
dal canto
suo,
notò una
traccia
d'incertezza nel suo primo ufficiale;
non sapeva a cosa fosse dovuto, fino a quel momento gli era sembrato
completamente tranquillo. O meglio, tranquillo per gli standard
vulcaniani.
-Ancora non
lo sappiamo, tenente.-
rispose ad Uhura, dal momento che Spock non si decideva a parlare
-Provi a
ripristinare le
comunicazioni, cerchiamo d'intercettare qualsiasi cosa
ci sia lì fuori.-
Lei
annuì, tentò
d'incontrare
di nuovo gli occhi del suo fidanzato ma questi la ignorò.
Jim si chiese che cosa stesse accadendo tra i due, poi si
guardò
la mano e sentì la pelle pizzicare. Come se il
contatto fosse ancora presente,
come se non avesse mai lasciato la mano del suo vice.
E questo
era molto più che strano.
. . .
Un'ora
dopo i veicoli fuori dall'Enterprise si fermarono. Smisero d'un
tratto di orbitare intorno alla nave, ma nessuno cercò
di penetrare a bordo di questa.
Le comunicazioni non erano ancora
state ripristinate, Kirk aveva ordinato di aprire un canale
d'emergenza ma anche questo, come tutto il resto, era in avarìa.
-Non possiamo continuare a restare bloccati qui.- si
lamentò sedendosi
sulla
poltrona e massaggiandosi le palpebre. Da quando aveva aperto gli
occhi non aveva avuto un secondo per riposare, sentiva il peso degli
eventi gravare
direttamente
sul suo corpo.
-Spock, mi faccia un rapporto completo della
situazione.- sospirò.
Il
primo ufficiale
si avvicinò
e gettò una rapida occhiata al padd tra le sue mani -I
sistemi di
controllo sono fuori uso, purtroppo anche i controlli manuali non
rispondono. Il computer ha subìto
gravi danni al sistema centrale, gli ingegneri informatici stanno
provvedendo alle riparazioni. Per quanto riguarda l'energia della
nave non è stata in alcun modo alterata, il nucleo
è stabile e, non
appena avremo il controllo dei
comandi,
potremo usufruire
del raggio di curvatura. L'ingegnere Scott, comunque, sta provvedendo
ad una
ulteriore supervisione dell'impianto.-
Jim ammiccò,
ironico
-Quantomeno qualcosa
va per il
verso giusto.
Per quanto riguarda l'equipaggio? Ci sono feriti?-
-Solo
lievemente,
il dottor McCoy
sta provvedendo alle cure necessarie.-
-Bene.
Nient'altro da
riferire?-
-Sì, effettivamente c'è qualcos'altro.-
aggiunse Spock, seriamente.
Jim aggrottò la fronte, curioso
-Beh?-
-Dovrebbe
riposare
un po', lei è molto stanco e lo hanno notato in molti. Le
consiglio
di fare ritorno alla sua cabina, se dovesse accadere qualcosa la
contatteremo immediatamente.-
Il capitano rise-Mi
commuove il fatto che lei si preoccupi
per me.- scherzò.
-Lei è il capitano, tutti qui si preoccupano
per lei. Inoltre le sue funzioni vitali hanno bisogno...-
-Sì,
sì.- lo
interruppe
-Mi chiami se succede qualcosa. E non prendete
iniziative di alcun genere senza prima avermi avvertito.-
Il
vulcaniano rimase immobile e Jim allungò una mano sulla sua
spalla,
lasciando
che questa
sostasse per qualche secondo sulla stoffa blu della divisa; non
sapeva cosa stesse facendo, lasciò che l'altro interpretasse
quel
gesto così come voleva.
Spock strinse
convulsamente
il padd tra le
dita. L'unica cosa che poté fare
fu chiedersi
perché si
stesse agitando in quel modo, perché da quel semplice
contatto di
pelle, fosse sorta, dentro di lui, una sensazione che non riusciva a
descrivere.
-Vorrei
parlarti, se me lo permetti.-
Uhura si affiancò al primo
ufficiale, evitando di guardarlo direttamente negli occhi.
-Dovrebbe
essere a riparare le comunicazioni, tenente.- rispose Spock,
continuando
con il suo
lavoro.
La ragazza stirò
le labbra in un sorriso malinconico, non si spostò -Lo
sto facendo.
Ho bisogno di
una pausa e di parlarti.-
L'altro si raddrizzò e, con un
sospiro, rivolse la sua attenzione a lei.
-Dovrebbe farti piacere
che la tua ragazza venga a distrarti un
po'.-
scherzò lei.
-Non
vedo come potrebbe farmi piacere il distrarmi in
un momento del genere.-
Nyota scosse il capo, sapeva che con Spock era una battaglia
persa. E proprio per questo lei l'amava; era caduta per lui sin dal
primo momento in cui si erano incontrati.
Lei amava l'ingenuità
del suo vulcaniano, verso le naturali emozioni umane. Certo... non
era stato facile avvicinarlo all'inizio della loro conoscenza e non
era facile tutt'ora; spesso s'irritava per la mancanza di emozioni
nell'altro, o
perché spesso
lui sembrasse
agire
mosso da nulla se non dalla
sua logica.
Aveva paura,
Nyota, della
natura fredda e calcolatrice di
Spock, sentiva
che un giorno l'avrebbe perso;
perché a
lui
non sarebbe importato morire, se fosse servito per un bene maggiore,
se fosse
stato utile.
Lei l'amava
con tutta se stessa, ed era per questo che nonostante le
incomprensioni e le diversità che spesso li allontanavano
l'uno dall'altra...
lei
continuava a restargli accanto e ad amarlo con tutta la sua umana
anima.
Però ora... le
cose erano cambiate.
Se
n'era accorta ancor prima dell'ultimo Congresso indetto dalla
federazione. L'aveva notato dal momento in cui Kirk era entrato nella
mente di Spock.
Erano solo sensazioni, naturalmente, e non sapeva
neppure che cosa pensare,
perché non c'era niente di cui sospettare. Ma sentiva che la
sua
relazione con Spock stava cambiando, che il suo ragazzo era diverso.
E per
quanto assurdo
fosse, non
poteva non
fermarsi a pensare che la sua storia avesse preso una strana piega da
quando James Tiberius Kirk era entrato a far parte della vita di
Spock.
-Di cosa vuoi parlarmi, Nyota?- il primo ufficiale abbassò
il tono di voce, registrando sul viso di lei un'ombra di
preoccupazione.
Il
tenente tentennò, abbassò il capo e prese tempo
-Prima... ho avuto
una strana sensazione. Quando mi sono svegliata. Eri diverso, non so
spiegarti come. So solo che giurerei di aver visto una traccia
d'emozione sul tuo viso.-
Spock non replicò
-E mi sembrerebbe davvero strano, perché se pure tu fossi
stato
emozionato non era certo perché io mi
ero appena svegliata.-
Lei
alzò il capo, le sue labbra piene tramarono di rabbia e
paura
-Quindi... quindi mi sono detta che forse mi sono sbagliata. Forse
non ho visto bene. Però poi mi ricordo che tu ultimamente
sei
davvero distante, non vuoi più dormire con me, rifiuti la
mia
presenza... - si fermò, prese fiato -...ma non rifiuti
quella del
capitano.-
Ecco,
l'aveva detto.
Non sapeva che cosa gli stesse passando per la
testa, forse stava reagendo in maniera spropositata mettendo
in pericolo la loro relazione
solo a causa sua e dei
suoi futili
timori.
Spock e Kirk? Si diede della stupida solo per l'averlo
pensato. Però non poteva farci nulla, c'era qualcosa che
continuava
a ronzargli nella mente, un codice rosso che scattava ogni qualvolta
il capitano e il suo ragazzo erano vicini.
-Credo di non aver
compreso la tua ultima affermazione.- mormorò Spock,
aggrottando le
sopracciglia e biascicando le parole, cauto. Come se volesse
allontanare da sé l'idea che gli si era formata nella mente.
-Sei
troppo intelligente per non aver capito. Sei
un vulcaniano, non mentire.-
disse la ragazza, poggiandosi alla console dietro di lei.
-Io non
credo sia il momento e il luogo adatto per parlare di questo.
Dovremmo ritornare alle nostre mansioni.-
-Sai... se io fossi
un'altra donna ti spiazzerei con una domanda a bruciapelo. Ti
chiederei se provi o meno qualcosa per lui.
E tu saresti
costretto a
dirmi la verità.- sibilò,
avvicinandosi al volto di
lui.
-Io ho una
sensazione, Spock. Tu
non credi ai presentimenti, io sì. Non voglio farti del
male, non
voglio costringerti a parlare, ma voglio la verità e quando
questa
storia sarà finita tu dovrai degnarti
di dirmi perché ogni volta che sei con lui... sei diverso.-
-Io
non sono diverso, Nyota.-
-Non ti guardi mai allo specchio? Non
fai altro che rivolgergli
tutte le tue attenzioni, anche prima l'hai fatto. E quando
c'è una discussione tra voi... è come se ti
chiudessi in te e
rifiutassi l'intero mondo. Spock io ti amo, ma ho bisogno di capire.-
Spock
sospirò -Io penso
che tu sia stanca. Non so come sia giunta a queste conclusioni ma tra
me e Jim non c'è nulla più che un rapporto tra
primo ufficiale e
capitano.-
Uhura annuì distrattamente -Già... forse sono
solo
stanca.-
Sorrise
tristemente e si allontanò dalla console, Spock la
guardò andare
via. Non sapeva cosa pensare, ciò che avrebbe dovuto dedurre
dalla
conversazione appena avvenuta.
Gli risultava difficile immaginare
come Uhura avesse pensato che tra lui e il capitano ci fosse
qualcosa.
Non ascoltò quella fastidiosa metà umana che
scalpitava per prendere il sopravvento e, forse, spiegargli a chiare
lettere ciò che la logica gl'impediva di vedere. La
soppresse, come
aveva sempre fatto. I sentimenti gli erano solo d'intralcio.
. . .
-Basta!-
esclamò Jim, esasperato -Dobbiamo scendere dalla nave. A
questo
punto credo che loro tengano sotto controllo i nostri computer.-
McCoy gli si affiancò e guardò verso lo schermo
della plancia
-Scendere
dalla nave? Non
sappiamo cosa aspettarci.-
Il capitano grugnì il suo disappunto -Insomma, ha qualche
idea
migliore? I nostri supporti vitali scarseggiano, non avremo aria per
sempre.-
Il dottore roteò gli occhi al cielo -L'idea di sparare
a qualunque cosa fosse, tranne che una nebulosa è
stata sua. Non faccia l'acido con me.-
-Signori, se posso
permettermi io suggerirei di seguire il consiglio del capitano. Non
possiamo, chiaramente, andarcene di qui. Potremmo provare a questi
esseri che non siamo nemici.-
Il dottore si voltò verso Spock
-Se ci avessero creduto nemici avremmo già assaggiato i loro
siluri.-
-I siluri non si assaggiano, dottore.-
-E il suo
humor fa pena, Spock.-
Jim sbuffò -Un giorno dovrete risolvere
qualunque problema voi abbiate. Siete irritanti. In ogni caso
dobbiamo scendere, fine della discussione.-
McCoy alzò le
braccia al cielo -Ma chi me l'ha fatto fare di appoggiarlo come
capitano?-
-Lei mi
adora,
Bones.-
Lo sguardo truce del medico fu una risposta più che
eloquente.
-Scenderemo noi tre, preparatevi e fatevi trovare
all'hangar due tra un'ora.-
Un'ora
dopo i tre erano riuniti alle porte dell'hangar. Avevano raccolto lo
stretto indispensabile, Spock stava
controllando
il suo
tricorder.
-Perché
i
suoi strumenti sono ancora utilizzabili?- chiese McCoy, sbalordito.
Il primo ufficiale lo guardò con una scintilla d'orgoglio a
brillare negli occhi scuri, non che ne fosse consapevole,
naturalmente -Ho studiato vecchie tecnologie terrestri e ho
riprodotto delle piccole cariche d'energia comunemente chiamate
batterie. -
Il
dottore inarcò un sopracciglio -Non intenderà
sparare, con quel
coso?-
-No, dottore. Non sono armi, servono a dare energia,
purtroppo la loro durata è limitata, ma credo che
sarà più che
sufficiente per registrare i dati che ci sono indispensabili.-
Jim
si voltò verso di loro, dopo aver dato ordini a Sulu che si
teneva
in disparte dal gruppo in partenza -Se non dovessimo tornare o
contattarvi entro tre ore, fate tutto il possibile per riparare il
computer centrale e andatevene di qui.-
Il timoniere annuì, poi
gli
augurò buona fortuna
prima di ritornare
verso il
ponte di comando.
-Dannazione,
questa è follia.- si lamentò il dottore.
Jim gli poggiò una
mano sulla spalla, Spock seguì attentamente il movimento
-Chi è più
pazzo? Il pazzo o il pazzo che lo segue?*-
Il vulcaniano li fissò
perplesso -Capitano, la citazione... -
-Sì, lasci stare Spock.
Ora apriamo manualmente queste porte e cerchiamo di uscire di qui.-
. . .
I caldi
raggi del sole filtravano attraverso la spessa coltre di nubi e
s'infrangevano contro la pelle dei tre appena sbarcati
dall'Enterprise.
Kirk capeggiava il gruppo con il phaser stretto
tra le dita della mano destra, camminò lentamente
guardandosi
intorno. I veicoli che avevano fluttuato per ore intorno alla nave
erano fermi, nessuno di questi si mosse quando i tre si palesarono.
-Rilevo forme di vita, capitano.- lo informò Spock,
controllando
il tricorder.
Si fermarono in prossimità di una fila di veicoli
vicini l'uno all'altro, quasi a formare una barriera.
-C'è
qualcuno dentro quelle ferraglie?- chiese il dottore.
Jim avanzò
di qualche passo, facendo cenno ai due di restare indietro,
osservò
attentamente uno degli oggetti che aveva davanti: a prima vista
sembravano fatti di metallo, lasciò scorrere lo sguardo
sulla
superficie liscia e dalla forma sferica, dove due linee laterali si
congiungevano fino a formare una figura quadrangolare; doveva essere
sicuramente un portello. Sulla facciata che s'incontrava con la
visuale del capitano vi era uno schermo scuro sul quale una serie di
luci rosse si accendevano ad intermittenza.
-C'è qualcuno, lì
dentro?- urlò Kirk, abbassando l'arma ma rimanendo pronto,
nel caso
ci fosse stato bisogno di attaccare.
-Sono il capitano James Kirk
dell'astronave U.S.S. Enterprise. Siamo membri della flotta stellare
che opera per conto della Federazione dei pianeti uniti. Veniamo in
pace.-
Nulla cambiò, dai veicoli non giunse alcuna risposta.
Spock e McCoy si avvicinarono lentamente -Che facciamo,
bussiamo?- scherzò il medico.
Jim gli lanciò un'occhiataccia ma
la sua replica fu interrotta -Siete Noohs?- una voce si
propagò
nell'aere.
I tre si guardarono intorno, ma non registrarono
alcuna presenza in carne ed ossa.
-Noohs? Cosa sono?- chiese Jim,
cauto.
Spock controllò di nuovo i suoi dati ma non captò
alcuna
fonte.
-Perché avete fatto fuoco contro il portale?-
continuò
l'invisibile presenza.
-Siete stati voi ad attrarre la nostra
nave, abbiamo cercato di sganciarci utilizzando le nostre armi. La
nebulosa era un portale?-
Il primo ufficiale aggrottò le
sopracciglia, meditando. McCoy gli rivolse uno sguardo
incuriosito.
-Deduzioni, Sherlock?-
Il vulcaniano non lo
considerò. Era come se lentamente tutti i tasselli si
stessero
muovendo per comporre un nuovo schema.
Un portale.
-Le
nostre intenzioni erano pacifiche. Volevamo solamente studiarvi, ma
voi avete sparato e vi abbiamo condotti qui.-
Il capitano Kirk
scosse il capo -Dove siamo? Che posto è questo?-
-Non siamo
tenuti a darvi alcuna informazione. Siete in arresto per aver
attaccato il nostro pianeta.-
McCoy gemette il suo disappunto
-Fantastico.-
-Ci sono molte forme di vita sulla vostra
primitiva struttura, sarete tutti smaterializzati all'interno delle
prigioni.-
Jim sgranò le palpebre -Prigioni? C'è stato un
malinteso, non avevamo intenzioni ostili! Chiedo solo di poter avere
un incontro con chiunque governi questo luogo, permettetemi di
spiegarvi la nostra situazione.-
-Governi? Cosa significa
questa parola?-
Spock e Kirk si guardarono.
-C'è qualcuno
che comandi questo posto?- intervenne McCoy.
La voce restò in
silenzio per alcuni secondi, i tre restarono in attesa.
-Da dove
venite?- chiese la presenza.
-L'universo, è la nostra
provenienza.-
-Troppo vago. Lei da dove proviene? Da quale
tempo?- insistette l'entità.
-Dal pianeta Terra, ventitreesimo
secolo.- rispose il capitano.
Ci fu di nuovo silenzio.
Jim
guardò i suoi compagni e sospirò -Cosa staranno
facendo?-
-Capitano... credo di aver compreso.- intervenne Spock, prima che
il dottore potesse rispondere.
-Cosa?-
Il vulcaniano osservò
i veicoli dinanzi a loro, lo sguardo attento e concentrato -La
nebulosa era uno stargate. Ovunque siamo, non è il nostro
tempo. Non
è il nostro universo.-
McCoy trattenne il respiro,
inghiottendo un'imprecazione. Kirk chiuse gli occhi per una frazione
di secondo.
Non ebbero tempo, però, di continuare la
conversazione; i loro corpi furono smaterializzati senz'alcun avviso.
Quando
Jim si risvegliò venne subito assalito da un feroce mal di
testa.
Sibilò dal dolore e si portò una mano sulle
palpebre per frenare
qualsiasi fonte di luce.
Gemette, inginocchiandosi. Lancinanti
fitte si propagavano all'interno della sua testa, come se qualcosa
stesse tentando di penetrargli direttamente nel cervello.
-Bones?
Spock? Siete svegli?- riuscì a dire, allo stremo delle
forze.
-Capitano?- la voce biascicata del primo ufficiale arrivò
alle
sue orecchie, ma non rispose. Non poteva.
-Jim, sta bene?- chiese
Spock, avvicinandosi a lui. Jim mugolò dal dolore, poi
scosse il
capo.
-La... testa.- sospirò, trattenendosi dall'urlare.
L'altro si guardò intorno accorgendosi di aver perso tutti
gli
strumenti, e non solo: il dottor McCoy non era più con loro.
Si
trovavano all'interno di una cella, ne era certo, anche se la
conformazione non faceva pensare ad una prigione. Non c'erano pareti,
intorno a loro, tutt'intorno si estendeva una landa biancastra, priva
di qualsiasi oggetto. Era un luogo che si protraeva per chilometri,
Spock non ne vedeva la fine. Quattro globi fluttuanti e luminosi si
tenevano equidistanti tra loro e dai due.
Jim gemette di nuovo,
Spock gli si avvicinò e gli sfiorò una spalla -Il
dottor McCoy non
è con noi. Dobbiamo uscire di qui.-
Il capitano scostò le mani
dalle palpebre, mostrò il volto macchiato dal sangue che gli
colava
dal naso -Sto... - sussurrò, ma non completò la
frase.
Il primo
ufficiale si alzò e fece per avvicinarsi ad uno dei globi,
ma fu
come se qualcosa lo respingesse all'indietro, tentò una
seconda
volta, senza successo.
Tornò di nuovo verso l'altro e gli
s'inginocchiò accanto, lo fissò attentamente per
cercare di
valutare la sua situazione: le palpebre serrate erano un chiaro segno
di dolore, e le mani ai lati del capo indicavano che questo proveniva
dalla testa. Un rivolo di sangue fuggì da una palpebra del
capitano.
Spock seguì la scia della lacrima scarlatta, sapeva di
dover fare qualcosa, e in fretta.
Allungò una mano verso il
volto di Jim che neppure si accorse della sua presenza sulla pelle..
Il primo ufficiale posizionò tre dita verso la fronte, il
pollice sotto la palpebra, chiuse gli occhi e si concentrò.
Si
ritirò in sé per sentire la
propria mente pulsare, la
riconobbe nell'oscurità della propria vista cercando di
metterla a
fuoco.
Lentamente tentò di modellarla e questa prese la forma di
un fiume, si allungò e serpeggiò verso l'esterno.
Eliminò le
barriere, lasciò che il fiume di coscienza fluisse
attraverso il suo
corpo, seguisse i punti d'energia nel suo braccio e si sprigionasse
attraverso i polpastrelli.
Non ci fu resistenza.
Il fiume
raggiunse il suo oceano: si ritrovò a fronteggiare
un'altra
essenza, un flusso di coscienza pulsante e vivo, ma
sofferente. Percepì quello stesso dolore ma s'impose di
controllarlo. Fu come se il fiume penetrasse nell'oceano di dolore e
tentasse di appianarlo, di frenare le sofferenze.
-Jim, mi
sente?-
La mente dell'altro resistette a lungo, qualunque
cosa lo facesse soffrire si stava rivelando tenace, Spock
lasciò che
la propria coscienza andasse ad invadere ogni anfratto dell'essenza
agonizzante.
-Stia calmo, sto appianando il suo dolore. Si
rilassi, non tenti di forzare la mente. Si lasci andare, come se
volesse addormentarsi.-
Il dolore pulsò un'ultima volta, Jim
tremò e con egli la sua ragione. Spock temette di perdere il
contatto, ma si rivelò più forte.
Continuò ad insistere sul
dolore tentando di sopprimerlo -Ce la può fare.
Stia calmo, non
si spaventi. La paura è sua nemica, la
paura uccide la mente.
Non deve aver paura.-
Jim si rilassò, sentì la sofferenza
scemare gradualmente e abbandonarlo. Sospirò, confortato
dalla
presenza che ora invadeva la sua coscienza.
Il calore che si
propagava dietro le sue palpebre, al centro del suo cervello, lo
strinse come in un abbraccio. Si abbandonò contro di esso
beandosi
della sensazione di calma che lo invadeva e si estendeva in ogni
angolo del suo corpo. L'altra presenza lo circondava con tenerezza, e
lui si sentì pieno.
-Sta bene, capitano?-
Si
chiese se fosse la voce di Spock. O forse era stato lui stesso a
parlare.
Non gl'importò, non c'era differenza, nessuna
distinzione.
Erano un'unica essenza.
Ricordò la
fusione mentale con l'ambasciatore Spock, molto tempo prima. Aveva
già provato quel calore, aveva già sentito quel
fremito nella
mente, nel cuore, nell'anima.
E poi tutto era finito e lui
si era sentito confuso e... solo.
-Solo. Si sente solo,
Jim?-
Il capitano,
inconsapevolmente, si
abbandonò completamente
contro Spock. Lo
sentiva
dentro di sé.
Era
un'unione di tutto e nulla, completava e svuotava. Come
braccia che stringono un corpo o si ritrovano a cingere
solo aria.
Non
riusciva a dare un nome a quel momento o a quella fusione.
Fusione.
-Non mi sento solo, adesso.- Jim
riuscì a parlare. Fu strano, come se avesse parlato Spock o
nessuno
dei due.
Sentiva il suo cuore impazzire furiosamente all'interno
del petto.
Un rumore
esterno disturbò la connessione.
Passi lontani risuonarono
fuori dai loro corpi, distanti dalle loro menti allacciate.
Come
lo erano state le loro dita, poche ore prima.
Jim ebbe paura, tremò al pensiero di quello che sarebbe
successo.
Non
poté opporsi: il flusso della coscienza di Spock si
allontanò
lentamente, ritraendosi.
Jim ebbe voglia di urlare, fermarlo, di
tenere quel calore
dentro di sé.
Dentro di sé. Per sempre.
Spock
uscì del tutto.
Jim si rifiutò di aprire gli occhi, rimase
rintanato
dentro la sua mente: la verità era... la verità
era che non si era
mai sentito così solo prima d'ora.
Era come toccare il
Paradiso e poi svegliarsi giù all'Inferno.
. . .
Jim
camminò seguendo il corteo di uomini incappucciati, gli
avevano
bloccato le mani dietro la schiena. Ciò che lo sorprendeva
era il
fatto che a tenerle ferme non ci fossero manette o catene d'alcun
genere, era bastata, ad una delle guardie, una semplice parola per
serrargli i polsi.
Spock non aveva parlato, si era limitato a
seguire, interessato, tutti i movimenti dei loro carcerieri.
Stavano
percorrendo un lungo corridoio, largo e spazioso, le enormi finestre
su entrambi i lati si affacciavano sulla città. Jim scorse
un
campanile in lontananza e si chiese quale religione si professasse in
quel luogo.
La cosa che più lo inquietava era il fatto che non
fosse ancora riuscito a guardare, in volto, gli uomini che
camminavano dinanzi a lui. Il cappuccio ampio copriva quasi del tutto
le loro facce, oscurandone i tratti.
Lanciò un'occhiata in
direzione di Spock, ma questi non ricambiò; da quando erano
usciti
dalla loro prigione, il suo primo ufficiale si era ritirato in una
gabbia di mutismo, come se qualcosa lo stesse sconvolgendo nel
profondo e lui stesse lottando con tutte le sue forze per contenersi.
Pensò che molto probabilmente quello che distraeva il suo
amico
era da ricondursi alla loro fusione mentale.
Aveva già
sperimentato quella pratica vulcaniana con l'ambasciatore, ma per
qualche strano motivo aveva rimosso dai suoi ricordi le sensazioni
che aveva provato attraverso la connessione.
Quando si erano
divisi, Jim aveva sentito solo un senso di vuoto e desolazione dentro
di sé, ne era stato sopraffatto. I ricordi del vecchio Spock
avevano
preso vita dietro le sue palpebre, e non erano stati solo ricordi
riguardanti Nero.
Aveva visto di più, tracce di memorie passate,
di un capitano e un primo ufficiale giovani, amici, legati da un
legame che lui non aveva compreso. Erano stati solo zampilli ribelli
fuoriusciti dalla fontana dei ricordi.
Era stato questo il motivo
per cui aveva deciso di mettere da parte quello che aveva visto e
provato ed andare avanti, come se nulla fosse mai
accaduto.
Poi, però, era entrato prima nella mente di Spock per
cercare di
liberarlo, poi lo stesso aveva deciso di collegare le loro coscienze,
per alleviare il suo dolore: quelle esperienze non avevano fatto
altro che ricordargli le sensazioni di calore e conforto che lo
avevano riempito la prima volta.
Ora non sapeva come agire, si
chiedeva perché tali sensazioni lo destabilizzassero in quel
modo.
Le guardie si fermarono dinanzi ad un'enorme porta scura, Jim
pensò che fosse legno, ma ad una visione più
attenta si accorse che
era composto da una lega metallica. Bronzo? No, non gli sembrava.
La
porta si spalancò lentamente, il movimento portò
il capitano a
rendersi conto di quanto imponente fosse. Doveva essere alta otto
metri e larga almeno la metà.
Aspettarono che l'ingresso fosse
del tutto libero e il corteo attraversò l'entrata arrivando
in una
luminosa e immensa sala. Le pareti erano arricchite da paramenti dai
colori vivi, arancio e verde s'incontravano sulle stoffe ricamate.
In
fondo alla sala per oltre due metri si ergevano due rampe di scale,
al termine di queste un banco scuro capeggiava minaccioso su una
pedana, dietro di esso attendevano cinque uomini avvolti da tuniche
nere. L'intera struttura ricordava l'aula di un tribunale.
A
destra del banco sostava, immobile, McCoy. Vedendolo, Jim
sospirò
sollevato nel saperlo ancora vivo.
Non c'erano altre guardie,
oltre a quelle che li avevano scortati fin lì.
Uno degli uomini
dietro il banco fece cenno al gruppo di avanzare, si mossero fino ad
arrivare ad una distanza di dieci passi dalle scale.
Le guardie
si allontanarono, lasciando Jim e Spock da soli.
-Bones, sta
bene?- chiese il capitano, ignorando la corte che li osservava
attentamente.
Il dottore annuì -Sì, Jim.-
-Signori... - li
interruppe uno degli uomini vestiti di scuro -...abbiamo avuto il
piacere di parlare con il vostro medico di bordo. Ci ha spiegato che
non avete intenzioni ostili.-
-Abbiamo cercato di farvelo capire,
prima.- grugnì Jim -Cosa mi avete fatto alla testa?
Perché soffrivo
in quel modo, quando mi sono svegliato?-
McCoy avanzò di un
passo, poi un gesto del capitano lo frenò -Ora sto bene.- lo
rassicurò.
-Mi dispiace, capitano. Ha sofferto a causa della
camera di compressione. Il suo amico non è umano, per questo
non ha
accusato lo stesso dolore. Non sapevamo gli effetti che avrebbe avuto
su di lei, altrimenti avremmo evitato.-
Spock osservò le cinque
figure, i loro cappucci lasciavano intravedere poco degli individui
che vi erano nascosti all'interno, tutto ciò che
riuscì a notare
furono gli occhi: completamente blu. Pensò che fosse
insolito, non
avevano pupille, l'intero occhio era pieno di quel colore opaco.
Tentò di ripassare in mente tutte le specie aliene di cui
avesse
studiato le conformità fisiche, ma non riuscì a
porre tale
caratteristica in nessuna categoria specifica. Dovevano essere una
razza sconosciuta.
-Lei è un vulcaniano, signore?- chiese un
individuo seduto più lontano degli altri, verso il bordo
esterno.
-Esatto.- fu la risposta del primo ufficiale.
-Vorremmo delle
spiegazioni,- intervenne Kirk -ma soprattutto vorrei sapere cosa
intendete fare di noi.-
-Fare di voi? Noi non vogliamo fare
niente. Non siete nemici, non siete Noohs, non possiamo fare
niente di voi. Non abbiamo nessun controllo sulle vostre vite.-
Il
capitano aggrottò le sopracciglia -Perché
continuate a parlare di
questi Noohs? Chi sono?-
Un membro della corte si alzò, camminò
lentamente dietro il banco per poi arrivare alle scale.
Abbassò il
cappuccio rivelando un volto completamente umano, gli occhi di un blu
agghiacciante -Stando alle parole del vostro dottore, voi conoscete
questi Noohs. Nella nostra lingua questo termine significa minaccia.
Non lo utilizzavamo da oltre due secoli.-
-Due secoli?- fece eco,
Spock.
-Esatto, signor vulcaniano. Le minacce sono scomparse dal
nostro mondo nel secolo ventritreesimo.-
Jim si voltò a guardare
il suo vice, ricordò che lo stesso gli aveva parlato di un
altro
universo e tempo -In che anno siete?-
-Ci siamo evoluti, il
nostro tempo e spazio sono ben diversi da quelli che voi conoscete.
Potremmo dire che siamo nel secolo venticinquesimo, anche se noi non
portiamo più il conto.-
Jim trattenne il respiro tentando di
mettere in ordine e focalizzare le informazioni appena
ricevute.
-Venticinquesimo secolo?-
-La nostra storia è ben
diversa dalla vostra, siamo esseri umani, terrestri come lei e il
dottor Leonard McCoy.-
L'essere discese le scale e si avvicinò
ai due, li osservò attentamente concentrandosi su Spock.
Incuriosito, gli guardò le orecchie -Signore, non ha mai
visto un
vulcaniano prima d'ora?- lo interrogò il primo ufficiale.
Jim
non riuscì a frenare un sorriso -Le sue orecchie fanno
scalpore.-
sussurrò.
Il vulcaniano gli lanciò un'occhiataccia, ma non
rispose verbalmente.
-Oh, certo che ne ho visti. Li ho visti
quando arrivarono sul pianeta Terra, io ero presente quando avvenne
il primo contatto con un popolo extraterrestre.
Così li
chiamavamo, al tempo, gli alieni.-
-Avete sempre avuto una
tendenza a discriminare il diverso.- affermò Spock.
L'altro
annuì, sul suo volto si disegnò una maschera di
tristezza -Già.
Gli uomini sono schiavi dei sentimenti, signore, non se n'è
ancora
reso conto? La paura, la gioia, il dolore... possono portarli ad
essere degli eroi o dei sanguinosi assassini. Ciò che
è diverso li
spaventa, la paura genera violenza... è una catena senza
fine.-
-Noi non siamo assassini. Le cose sono molto cambiate... - lo
interruppe Jim -...il progresso ci ha aiutati a migliorare.-
-Non
c'erano forse armi tra gli oggetti che vi ho confiscato?- sorrise
l'essere -Se voi siete migliorati perché il sospetto
è ancora
costante nelle vostre menti? Avete paura che la vostra vita sia
continuamente minacciata, da cosa? Dal diverso. Voi
non
capite, voi non vedete.-
Jim scosse il capo -E' lei a non
capire. C'è sospetto, sì, ma non agiamo mai con
violenza, noi non
vogliamo combattere. Vogliamo solo conoscere, il sospetto è
necessario dal momento che non tutti vogliono conoscere e sono in
molti che vogliono farci del male.-
Gli occhi blu dell'uomo
furono attraversati da una luce, si affrettò ad abbassare le
palpebre e a nascondere la vista ai due.
Jim si rivolse agli
altri, ancora seduti dietro il banco lucido -Avete detto che noi
conosciamo i Noohs. Potreste illuminarci?-
-Sono le cose che
cerchiamo, Jim. Gli esseri che stanno mettendo in pericolo la nostra
galassia.- chiarì McCoy avvicinandosi a lui -Quelle cose
riuscirono
ad arrivare allo stargate e a penetrare qui. Quando fu registrata la
loro presenza nel quadrante S, che noi stavamo perlustrando, loro
erano tornate da questo posto.-
Jim si voltò verso l'uomo ancora
fermo accanto a loro, gli occhi chiusi e il volto concentrato -Cosa
volevano da loro?-
Un altro uomo si alzò e si allontanò dal
banco -Speravano di conquistarci. Le nostre tecnologie e la nostra
mente gli erano utili, siamo tanto avanzati da fare gola a questi
esseri. Pensavano che attraverso di noi avrebbero potuto eliminare i
loro nemici.-
-E voi siete riusciti a fermarli?-
L'uomo rise,
il suono fece rabbrividire i tre -Come se ci fosse qualcosa che noi
non possiamo fare. Siete così semplici, le vostre categorie
mentali
sono così povere... giusto, sbagliato. Bene, male. Non avete
colori,
non avete punti d'incontro. Amici, nemici.-
Spock avanzò di un
passo -La semplicità è qualcosa di relativo. Noi
osserviamo le
catene di eventi e in base a queste, giudichiamo.-
-E' il
giudizio ad essere sbagliato!- tuonò l'altro e scese
velocemente i
gradini -Ma non capite che c'è altro oltre alla morte, alle
vittorie, alla guerra e all'esplorazione? Non capite che la vita non
è una semplice collezione di pianeti o qualche battaglia
interstellare?-
-Sta tentando di spiegare il senso della vita,
signore?- Spock era impassibile, Jim restò meravigliato da
tanta
indifferenza. Lui sentiva il cuore pulsare ad una velocità
ipersonica, aveva davanti esseri la cui intelligenza aveva superato
il tempo e lo spazio: come si poteva restare così calmi
dinanzi a
tutto quello?
-Il senso della vita non è qualcosa che si può
spiegare, lo si può solo vedere.-
Spock inarcò un
sopracciglio -Interessante. Sarebbe bello poter studiare la vostra
civiltà.-
L'altro sorrise e scosse il capo -Ve lo permetteremmo,
ma non dovrebbe restare memoria alcuna nel momento in cui lascereste
questo luogo. L'universo non sa che siamo qui. Non deve saperlo.-
-Cosa vuol dire che l'universo non sa della vostra presenza?-
intervenne Jim.
L'uomo si voltò verso di lui -Come pensate che
sia possibile vivere senza guerre, morte, distruzione? Noi non
facciamo parte di alcuna dimensione o tempo, spazio. Tutto è
relativo. Le nostre conoscenze ci hanno portato a creare una curva
dimensionale unica, un angolo tra lo spazio e il tempo. Questo
è il
nulla, capitano.-
Spock aprì le labbra per ribattere ma la
conversazione fu interrotta dall'altro umano che aveva riaperto le
palpebre -Per il momento può bastare. Vi vediamo confusi e
affaticati, permetteteci di riparare al nostro sgradevole benvenuto.
Vi offriremo un alloggio in cui riposarvi.-
-La nave... -
cominciò Jim, ma fu prontamente interrotto.
-Non si preoccupi,
il suo equipaggio sarà fatto sbarcare ed offriremo a tutti i
nostri
migliori servigi. Non abbiamo intenzioni ostili e, dopo esserci
accertati che anche voi siete pacifici, non vedo perché non
offrirvi
un meritato riposo.-
Gli uomini non attesero risposta, lentamente
uscirono uno dopo l'altro dalla sala, ben presto furono sostituiti da
alcuni servitori che accompagnarono i tre ai loro alloggi.
. . .
Jim
restò da solo, si guardò intorno osservando
attentamente la camera
in cui era stato condotto. Tentò di forzare i polsi ancora
saldi
l'uno contro l'altro, inutilmente; nessuno aveva avuto premura di
liberarlo.
Individuò una libreria alla sua destra e le si
avvicinò, scorse con lo sguardo i vari tomi rilegati;
sentì una
sorta d'eccitazione dentro di sé al pensiero di avere
davanti dei
veri e propri libri e non schede da inserire in un computer. Aveva
sempre amato la letteratura, soprattutto leggerla su carta stampata,
sentire il dolce peso di un libro tra le mani, percepire l'odore dei
fogli ingialliti dal tempo.
Leggere era sempre stata una grande
emozione, per lui, sia da bambino che da adulto; anche se da quando
era diventato il capitano dell'Enterprise il tempo per prendere tra
le mani uno dei pochi libri della sua collezione personale, era
andato scarseggiando.
Lesse i nomi stampati sulle copertine,
Shakespeare, Tolstoj, Flaubert. Sospirò di piacere e
agonìa per non
poter sfiorare quei tesori di carta e parole.
La sua attenzione
venne catturata da qualcuno che silenziosamente entrava nella camera.
Una donna si fece strada nella tenue luce del crepuscolo che filtrava
dalle finestre, avanzò infagottata in un lungo e semplice
abito
bianco, legato dietro il collo. I capelli le ricadevano morbidi sulle
spalle, Jim non poté non ammirare quelle setose onde nere
che le
incorniciavano il volto.
Gli occhi della donna erano di un blu
opaco, spaventoso tanto quanto affascinante. Si fermò a
pochi passi
da lui quando le labbra rosse si aprirono ed ella soffiò
qualcosa
che, immediatamente, gli liberò i polsi.
-Ti ringrazio.- disse
Jim, massaggiandosi un braccio -Avevano dimenticato di liberarmi.-
-Lei è il capitano Kirk, non è vero?- disse la
donna, parlando
ad alta voce così che lui potesse bearsi del tono melodioso
di lei.
-Dammi del tu e chiamami Jim, tu chi sei?- sorrise lui.
-Il
mio nome è Johna, sono qui per occuparmi di te.-
Johna camminò
verso le finestre e scostò le tende per lasciare che le
ultime luci
del giorno invadessero la stanza.
-Johna, tu sai se il mio
equipaggio è stato portato in questo stesso palazzo?- si
affrettò a
chiederle.
Lei si voltò a guardarlo, inclinando il capo di lato
-Sì, il tuo equipaggio sta bene. C'è qualcosa che
posso fare per
te?-
Jim sorrise e le si avvicinò, la donna osservò
attentamente
tutti i suoi movimenti e sussultò quando lui le prese la
mano
-Siediti con me, vorrei chiacchierare un po'. Ti va?-
Johna
annuì, poi si accomodò sul letto al suo fianco
-Ti interessano i
libri?- chiese.
Lui sorrise e guardò di nuovo la libreria
-Molto. Anche se sono rari, ormai. Tu hai mai letto un libro?-
Lei
scosse il capo e si portò le mani in grembo, giocando la
veste -Mai.
Ne ho solo sentito parlare.-
La confessione fece tenerezza a Jim,
sentì il bisogno di toccarla, ma non lo fece.
-Perché i vostri
occhi hanno questo colore, Johna? I vostri capi mi hanno detto che
siete umani, o che lo eravate, ma gli umani non hanno occhi del
genere.-
Lei sorrise dolcemente, Jim non poté impedirsi di
pensare a quanto fossero belle le sue labbra -E' la cohlna, la
nostra droga.-
-Droga?-
Johna annuì -Ti sbagli se pensi che
quelli fossero i nostri capi. Qui non abbiamo nessuno che comandi.
Non pronunciavo questa parola da oltre due secoli.-
Jim inspirò,
sconvolto -Sei viva da due secoli?-
-Oltre. Sono nata prima che
tutti scoprissero questo posto. E' successo molto tempo fa, qualcuno
li trascinò qui, li attirò e loro non poterono
sottrarsi a quel
richiamo. Uomini che non avevano ancora cavalcato lontano dalla
propria galassia, riuscirono a raggiungere questo mondo.-
-Non
invecchiate?- chiese lui, senza sapere se quella domanda lo
affascinasse o inquietasse, di più.
Lei l'osservò, poi lasciò
scivolare una mano verso la sua, accarezzandone il dorso -Noi non
abbiamo tempo. E' relativo.-
Jim sospirò meravigliato -Mi
piacerebbe conoscere la vostra storia, sapere come avete fatto a
creare questo posto e cosa intendi per droga.-
Johna fece
scorrere i polpastrelli verso il suo polso, l'avvolse con le dita
lunghe e magre -Sei molto bello, Jim Kirk.-
Lui sorrise,
compiaciuto -Anche tu sei bella, bellissima a dire il vero.-
-La
cohlna è ciò che respiriamo. La nostra droga. Se
uscissimo da
questo posto ci dissolveremmo, scompariremmo.-
Lui seguì le
labbra di lei ed annuì, rapito dal rossore di queste. Gli
ricordarono le mele, rosse e lucide, piene e gustose.
Si sporse
verso di lei, senza riuscire a controllare le proprie emozioni e
premette la bocca su quella della donna. Johna non lo respinse,
inspirò con il naso e si lasciò guidare da lui,
avvolgendo le
braccia intorno al suo collo. Jim accarezzò la lingua di
lei, con la
propria, si perse nel sapore dolciastro della sua bocca, si
sentì
libero.
Non pensò a nulla, né alla sua nave,
né al suo
equipaggio. Pensò solo alla bella donna che aveva tra le
braccia, la
sua mente era rivolta verso un'unica direzione.
. . .
Spock si
avvicinò alla finestra scrutando attraverso il vetro il
movimento
nelle strade della cittadina. Stava calando la sera, il sole
tramontava dietro le montagne e il cielo era dipinto da un rossore
che sfumava nel viola, lì dove la notte aveva già
preso piede.
Avrebbe voluto avere il suo tricorder per poter registrare quante
più informazioni possibili.
La porta si aprì alle sue spalle,
quando si voltò uno degli uomini incappucciati
pronunciò qualcosa
che gli liberò i polsi.
Spock si guardò le mani, poi riportò
lo sguardo sull'uomo e sui suoi occhi blu che non lasciavano
trasparire alcuna emozione.
-Spero che la stanza sia di suo
gradimento, signor Spock.-
Lui annuì lentamente senza staccare
gli occhi dall'altro -La ringrazio. Perché è
qui?-
-Vedo che
con lei non serve girare intorno alle cose, va dritto al punto.-
-Sono vulcaniano, i convenevoli per me non hanno alcuna
utilità.-
rispose, semplicemente.
L'altro sospirò e si accomodò su una
sedia poco distante dalla scrivania -Ha molte domande da fare, non
è
così? L'ho capito subito.-
Spock osservò l'altro muoversi e
tentò di studiare ogni suo gesto ed espressione sul suo
volto.
-Avete detto di essere stati presenti durante il primo
contatto tra Vulcano e la Terra. Questo avvenimento è
accaduto più
di due secoli fa, per noi. Mentre per voi sono passati più
di
quattro secoli. Non posso non chiedermi come facciate ad essere
ancora in vita.-
L'uomo annuì, si portò le mani sulle ginocchia
e fissò il pavimento per alcuni secondi -E' qualcosa che non
è
semplice da spiegare. Soprattutto a qualcuno che non ha provato la
cohlna. Le abbiamo già detto che la nostra concezione di
tempo e
spazio è differente dalla vostra. Anche il modo in cui
intendiamo la
materia; non siamo più esseri in carne ed ossa.
Voi ci
percepite in questo modo, ci toccate... ma noi siamo essenze. Siamo
ciò che vogliamo essere, la forma è qualcosa
d'irrilevante.-
-Cos'è la cohlna?-
-Noi non ci fidiamo degli stranieri. Non
possiamo divulgare i nostri segreti.- confessò l'uomo
alzandosi di
nuovo e avvicinandosi a Spock. Il vulcaniano attese che l'altro fosse
vicino, non poté non fissare rapito quegli occhi inquietanti
e
profondi, come due abissi infiniti.
-Per lei tutto questo è
materiale scientifico, non è così? Non ha sete di
potere, non brama
nulla, lei non desidera.-
-Sono consapevole del fatto che
la mia vita sarà destinata a finire, così
com'è consuetudine in
tutte le forme di vita. Non ambisco la vita eterna, né
poteri di
alcun genere. Io non ho passioni, in me.-
L'altro lo
studiò a fondo, poi sorrise e scosse il capo -Lei si
sbaglia. Nei
suoi occhi c'è qualcosa, signor Spock. Confusione,
tristezza... lei
vuole qualcosa che non può ottenere, forse non se ne rende
neppure
conto.-
Spock inarcò un sopracciglio, scettico -Non vorrei
contraddirla, ma sono più che sicuro che lei si stia
sbagliando.-
L'uomo rise di gusto -Crede davvero che ci sia qualcosa che io
non possa vedere? Riesco a guardare la sua parte umana ruggire,
dentro di lei. Sta scalpitando, vuole venire fuori e fare sì
che lei
si renda conto di quello che prova.-
Il vulcaniano si girò e
guardò distrattamente la gente che passeggiava per la
città. Rimase
completamente calmo, nonostante dentro di sé sentisse che
qualcosa
stava agitandosi, s'impose il controllo: la sua mente era
più forte
di qualunque emozione.
-Lei crede che sia la sua metà umana a
provare emozioni? Non è così. L'essere umano non
le dà alcuna
emozione, è lei nella sua interezza a provare sentimenti; la
sua
anima non appartiene solo al lato umano.-
-Come fa a sapere della
mia parte umana?-
L'altro rise di gusto.
-Non capisco dove lei
stia cercando di arrivare. Cosa crede di ottenere dicendomi queste
cose?-
L'uomo scosse le spalle, i suoi occhi blu brillarono di
una luce nuova -Non ho mai visto un vulcaniano perdere il controllo,
sarebbe uno spettacolo interessante.-
-Lei vuole farmi perdere il
controllo? A quale scopo?-
-L'eternità può divenire noiosa, mi
piacerebbe poter vedere nuove cose. Inoltre conosco il suo futuro. Mi
piacerebbe accelerare i tempi.-
Spock rimase interdetto, incrociò
le braccia al petto -E' solo divertimento, per lei? E' per questo che
siamo ancora qui? Perché voi possiate studiarci?-
L'uomo si
portò una mano in una delle tasche nascoste, nella tunica,
ne
estrasse un piccolo contenitore metallico.
-La cohlna è
nell'aria, lei la sta già provando. Quando ne avrete assunto
abbastanza, non ci sarà modo, per voi, di lasciare questo
posto; per
questo vi faremo tornare indietro prima che ne diventiate
assuefatti.- allungò il contenitore verso Spock -Qui dentro
c'è la
droga pura. Lei ha espresso il desiderio di conoscerci, io voglio
farle un regalo. Voglio donarle il sapere. Non
avrà barriere:
passato, presente e futuro saranno un'unica cosa. Ne mangi un po'. Le
servirà una grande forza mentale, altrimenti la droga nel
suo stato
puro la ucciderà.-
-Perché?- mormorò Spock,
guardingo.
-Gliel'ho detto, io conosco il suo destino. Questo
regalo le sarà utile, signore. Molto più di
quanto immagina.-
Il
vulcaniano osservò le mani dell'uomo, poi accettò
il cofanetto.
Jim si
abbottonò i pantaloni della divisa e cercò le
scarpe che, nella
confusione del momento, erano finite sotto il letto.
Johna era
andata via e lui era rimasto solo.
Ripensò a quanto era successo
e a come si sentisse, beandosi della sensazione di pace di quel
singolo istante.
La donna era stata una benedizione in un periodo
buio, stressante, gravido di problemi ed imprevisti: era stata una
fonte d'acqua cristallina in un deserto ardente.
Non era stato
solo per il sesso, no. Kirk si era sentito libero da ogni pensiero,
vuoto e leggero come mai prima d'allora. La confusione che per mesi
aveva albergato nella sua mente, era andata assopendosi, tutto quello
a cui aveva pensato era stata la bella donna sotto di sé, il
desiderio di entrambi e la bellezza del contatto caldo di qualcuno
che gli si stava concedendo.
Non ci aveva pensato due volte,
aveva preso tutto quello che lei gli aveva offerto, ed ora si sentiva
rinfrescato, nuovo.
S'infilò lo stivale e, per un breve istante,
lo sguardo cadde sulla sua mano destra, la stessa che aveva stretto
quella di Spock sull'Enterprise.
Tentò di scacciare l'immagine
delle loro dita intrecciate e dello sguardo sconvolto del suo primo
ufficiale, ma non ci riuscì.
Sentiva che tutta la leggerezza
provata con Johna stava scomparendo, ora la realtà
riprendeva il
possesso del suo corpo, riempiendolo di tutti quei pesi che si
trascinava dietro giorno dopo giorno.
Non poteva non chiedersi
perché, ora, una certa nostalgia gli assediava il petto.
Provava un
vuoto, dentro di sé, un buco nero di sensi di colpa e
malinconia.
Senso di colpa.
Sospirò osservando la mano più da
vicino, era incredibile il fatto che riuscisse a sentire la pelle
pizzicare, proprio dove lui e Spock si erano sfiorati.
Ma non
capiva.
Spock era un amico, ormai, era il suo primo ufficiale; un
uomo fidato.
Eppure c'era qualcosa di ambiguo, e non riusciva
nemmeno a comprendere in cosa non ci fosse
chiarezza. Era come
se nel loro rapporto ci fosse qualcosa d'incompiuto, di anomalo.
Percepiva quel disagio da molto tempo, ormai. Forse da quando era
entrato nella mente di Spock e aveva incontrato la sua metà
umana.
O forse da prima.
Il ricordo di Spock che lo assaliva
sull'Enterprise, durante la battaglia contro Nero, prese piede nella
sua mente; il vulcaniano non aveva tentennato, lo aveva assalito e
abbattuto con una facilità incredibile. I suoi occhi, in
quel
frangente, si erano spenti della loro naturale luce; erano diventati
rabbia pura, Kirk ne aveva avuto paura.
-Perché penso a questo?-
sussurrò a se stesso. Scosse il capo e serrò le
palpebre.
Ma lo
sguardo di Spock era ancora lì, nella sua mente.
Gli occhi
solitamente curiosi, a volte superbi, nella sua visione erano
cattivi, pericolosi.
-Smettila.- si disse, spalancando le
palpebre e dirigendosi verso la porta. Doveva accertarsi che il suo
equipaggio stesse bene, la priorità era quella di lasciare
il
pianeta e ritornare alla missione affidatagli dall'ammiraglio Marcus.
Si sentiva strano, aveva la sensazione che la visione di prima
non fosse stata l'effetto di un pensiero ribelle sfuggito dalla
gabbia dei ricordi. Ebbe l'impressione che, per quanto bizzarro,
quello a cui aveva pensato fosse stato indotto da
qualcosa.
Inspirò profondamente, quasi non si accorse dell'odore
dolciastro che andava ad invaderlo, e delle macchie blu all'interno
delle sue iridi azzurre come il mare.
-Non ti rendi conto di
stare agendo in maniera insensata? Stai perdendo te stesso.-
Ma
Kirk non ascoltava più la sua ragione.
. . .
Il
dottor McCoy stava seduto sul letto ripensando al bizzarro
interrogatorio cui era stato sottoposto, per quanto strano fosse,
ricordava vagamente quello che aveva confessato e le domande che gli
erano state rivolte. Il ricordo di quanto avvenuto quello stesso
pomeriggio andava affievolendosi nella sua mente.
Grugnì quando,
dopo un profondo respiro, non poté non percepire una
fragranza
dolciastra invadergli le narici. C'era qualcosa nell'atmosfera che lo
infastidiva profondamente, inoltre si sentiva debole; si chiese se
nell'aria non ci fosse qualcosa che gli faceva del male, poi rivolse
il suo pensiero a Jim e all'equipaggio.
Qualcosa dentro di lui
gli suggerì che sarebbe stato meglio dare un'occhiata a
tutti, per
assicurarsi che stessero bene.
Quando si alzò e si diresse alla
porta qualcuno bussò, prima che lui potesse uscire.
Aprì e si
ritrovò di fronte il capitano, trasalì quando
notò che i suoi
occhi azzurri erano, ora, di un colore più cupo, e strane
chiazze di
un blu scuro si andavano formando su di essi. Come una patina che
tendeva a velarli.
-Jim, sta bene?- chiese il dottore,
preoccupato.
Il capitano lo guardò sorridendo, il solito ghigno
infantile e sfrontato -Sì Bones, la smetta di chiedermelo.
Dove sono
gli altri?-
-Uh... - il dottore tentennò, guardando confuso
quegli occhi inquietanti -Stavo andando a cercarli. Ho uno strano
presentimento, vorrei tanto andarmene di qui.-
Jim annuì, poi si
guardò intorno -E' un bel posto, però.-
-Non per contraddirla,
capitano, ma qui mi sembrano tutti fuori di testa.-
L'altro si
girò a guardarlo, non parlò. Il suo sguardo
freddo e sprezzante
congelò McCoy sul posto; il dottore non poté non
chiedersi che
diavolo stesse succedendo.
-Sicuro di... stare bene?-
ritentò il medico.
Gli occhi vitrei del capitano si scostarono
da lui ma questi non rispose.
-Forse dovrebbe riposare un po'.
Vado io a cercare gli altri.- suggerì Leonard, ma l'altro
scosse il
capo.
-No, ci andremo insieme.-
-Va bene. Andiamoci insieme.-
gli fece eco il dottore. Mentalmente si lasciò sfuggire
un'imprecazione, perché in quel momento quello che aveva
davanti non
gli sembrava per niente il suo capitano.
Uhura
ansimò dal dolore, poi guardò Sulu a pochi metri
da lei. Anche lui
a terra, il sangue gli colava dalle labbra.
-Tenente... sta
bene?- rantolò lei, il dolore le impediva di parlare.
Un urlo,
però, la ammutolì e lei cambiò visuale
indirizzando lo sguardo
verso il centro della camera. Un nodo alla gola le impedì di
dire
altro, restò a fissare Chekov e i suoi occhi blu come la
notte; il
ragazzo urlò di nuovo e la guardò imbestialito.
-Non provare a
toccarla!- urlò Sulu e si fece forza per mettersi in piedi.
Chekov,
o qualunque altra cosa fosse, ghignò e il suo volto
diventò una
maschera di puro sadismo e cattiveria. Avanzò verso Nyota e
le si
inginocchiò davanti, lei trattenne il respiro quando il non
più
tenente Chekov, le portò una mano alla gola.
-Chekov, la...
la prego.- sussurrò la ragazza, ma le dita di lui strinsero
la
presa.
Sulu non aspettò oltre, prima di scagliarsi contro
l'amico e cercare di spingerlo via. Non ci riuscì, qualunque
cosa
avesse preso il possesso del tenente, lo rendeva estremamente forte.
Pavel non badò all'altro, portò entrambe le mani
sul collo di
Nyota e strinse più forte.
-Dannazione, la stai uccidendo!
Chekov!- urlò Sulu, ritornando alla carica e scagliando una
sedia
contro l'amico. La sedia si ruppe, il tenente non la percepì
nemmeno, dalle labbra della donna rantolò fuori un
mugolìo di
dolore.
-Riprenditi!- sospirò Hikaru, facendo forza contro di
lui per allontanarlo.
Chekov lo guardò per qualche secondo, poi
strinse la presa con una maggiore forza continuando a guardare
l'amico, o quello che una volta era stato un amico.
-Non puoi
ucciderla, non puoi!- Sulu tentò di farlo ragionare. Uhura
si mosse
convulsamente, gorgogliò qualcosa poi, lentamente, le sue
palpebre
cominciarono ad abbassarsi.
-No.- il tenente si guardò intorno,
notò uno spillo appuntito conficcato nella piega delle
tende: era un
fermo.
Scivolò velocemente verso la finestra ed estrasse lo
spillo di metallo, la tenda si aprì del tutto e il buio
invase la
camera, inframmezzato dagli ultimi fasci di luce crepuscolare che
ancora resistevano alla calata della notte.
Si avventò contro
l'amico e respirò profondamente -Mi dispiace... -
soffiò tra le
labbra, prima di infilzare lo spillo nel suo collo.
La punta
penetrò la carne e il ragazzo urlò,
abbandonò la tenente e,
dimenandosi, si allontanò da loro. Sulu lo guardò
contorcersi sul
pavimento, il sangue che zampillava dalla ferita.
-Uhura... sta
bene?- s'inginocchiò al suo fianco, la ragazza
mugolò e si lasciò
scivolare contro di lui. Hikaru trattenne il respiro, guardò
Chekov
vomitare sangue, prima di abbandonarsi nel suo stesso sangue e
respirare affannosamente.
-Che diavolo è successo?- sussurrò il
ragazzo, le lacrime che ora lottavano per cadere dai suoi occhi.
Osservò la ferita mortale inferta al suo migliore amico, ma
non ebbe
il coraggio di guardare oltre.
-Il dottore, Nyota resista ancora
un po'. Andrò a cercare il dottor McCoy.-
rassicurò la compagna
adagiandola contro il muro, per non farla accasciare contro il
pavimento.
Si rimise in piedi, poi si allontanò dalla stanza.
I
corridoi della struttura erano enormi, si guardò intorno per
orientarsi. Si era ritrovato smaterializzato in quella camera meno di
un'ora prima, poi Chekov, in pochi minuti, aveva perso la testa e
aveva cominciato ad attaccare lui e Uhura. Ora non sapeva in che
direzione muoversi, aveva il respiro pesante e il cuore a pezzi.
Svoltò un angolo, gli parve di sentire delle voci e corse
verso
la fine del corridoio.
-Va bene. Andiamoci insieme.-
Sussultò
quando si accorse che quella era la voce del medico dell'Enterprise,
affrettò la sua avanzata e svoltò un altro
angolo. Il capitano e
McCoy comparvero nella sua visuale.
Per quanto volesse urlare e
dirgli di affrettarsi si accorse che le parole non uscivano dalle sue
labbra.
I due lo notarono e gli si avvicinarono con cautela.
-Sulu, che succede?- chiese il capitano.
Il tenente scosse il
capo, provò a parlare ma le lacrime gl'impedivano di
pronunciare
parola. Si limitò a gesticolare, gli fece segno di seguirlo
e
cominciò a camminare verso la stanza dalla quale era uscito.
-Sulu,
cosa è successo? Sta sanguinando.- lo fermò il
medico, ma il
tenente scosse il capo e riprese la sua avanzata.
Non riusciva a
parlare, la sua lucidità era ormai esigua. Tutto quello che
chiaramente poteva vedere dentro di sé era la morte del suo
migliore
amico: lo spillo metallico che penetrava nel collo di Chekov.
Chekov.
L'aveva ucciso. La consapevolezza di ciò che
aveva appena fatto gli smorzò il respiro. Si
fermò a pochi passi
dalla stanza e si poggiò al muro, le lacrime si susseguivano
sulle
sue guance umide. Poi si ricordò di Uhura e si fece forza,
il
capitano e McCoy continuavano a fargli domande, a parlargli, ma lui
non li ascoltava; le loro voci erano solo dei fastidiosi ronzii.
Entrò nella stanza, il corpo di Chekov era ancora disteso
nella
pozza di sangue, Uhura era scivolata verso destra e ora giaceva con
il capo sul pavimento.
-Che diavolo è successo, qui?- urlò il
dottore e si avvicinò al tenente immerso nel sangue. I
capelli
biondi erano ora macchiati di rosso.
McCoy osservò la ferita, poi
gli misurò il battito cardiaco.
Si voltò a guardare Sulu
poggiato contro la porta, gli occhi chiusi e il respiro affannato.
-E' morto...- esclamò, sconvolto.
L'altro non rispose, si
teneva allo stipite come se fosse l'unico appiglio che gl'impedisse
di precipitare.
Il dottore spostò verso Jim e Uhura e, con
sollievo, constatò che la ragazza era ancora viva.
-Mettiamola
sul letto.- suggerì il capitano, prendendola tra le braccia
e
adagiandola sulle lenzuola.
-Chekov?-
McCoy si guardò le
mani pregne di sangue, poi scosse il capo -Questo posto non
è
affatto sicuro. Dobbiamo andarcene.-
-L'ho ucciso io...-
intervenne Sulu, aprendo di nuovo le palpebre -...l'ho ucciso.-
-Che
sta dicendo?- avanzò Jim.
Il tenente si prese il capo tra le
mani e trattenne il pianto nervoso che stava per assalirlo -E'...
è
impazzito. Ci siamo ritrovati qui e lui ha cominciato a dare di
matto. I suoi occhi... erano blu- poi
guardò il capitano,
rabbrividì -blu. Come i suoi, capitano. Ha tentato di
soffocare
Uhura, non c'era modo di fermarlo. Era diventato troppo forte...
io... non potevo fare altrimenti.-
Pianse di nuovo, Sulu. Cadde
in ginocchio e pianse, ma dalle sue labbra fuoriuscivano solo mugolii
rochi, di dolore.
-L'ho ucciso.- sussurrò tra i singhiozzi.
McCoy si avvicinò al ragazzo mettendogli una mano sulla
spalla
-Calmo, Sulu. Si calmi, adesso. E' sotto shock, tra poco
starà
meglio. Si segga sulla poltrona.- mormorò dolcemente.
Il ragazzo
non si mosse, ma non oppose resistenza al medico che lo
trascinò a
sé e lo accompagnò verso la poltrona a pochi
passi dal letto.
Jim
restò immobile, sentiva la testa leggera, il cuore pulsava
veloce
nel suo petto.
Chekov era senza vita in una pozza di sangue, il
suo timoniere era in preda ad una crisi di pianto. Guardò
Uhura che
respirava lentamente, ancora priva di sensi.
-Jim, cosa aspetta a
portarci via di qui?- McCoy gli si avvicinò con l'aria
minacciosa.
Lui guardò di nuovo il suo tenente ormai morto, non
poté non
provare un'enorme dolore dentro di sé, come se qualcosa in
lui si
fosse teso al punto di spezzarsi.
Percepì un legame che andava
sfumando.
Non parlò, ma tutto quello a cui riuscì a pensare
era
che non voleva andare via... non poteva andarsene
ora.
Scosse
il capo e si avvicinò a Chekov, prendendo il corpo tra le
braccia.
Sentì che c'era ancora qualcosa dentro quel feretro senza
vita.
C'era ancora qualcosa.
Uscì dalla camera, stringendo
il suo tenente con tutte le forze.
. . .
Spock
percepì le urla di qualcuno fuori dalla porta, mise da parte
il
cofanetto che l'uomo gli aveva dato poco prima e si affrettò
ad
uscire.
Non appena la porta fu aperta, vide passare il capitano
che, velocemente, camminava verso una direzione a lui sconosciuta;
notò il corpo sanguinante del tenente Chekov, tra le braccia
di Jim.
McCoy arrivò subito dopo, urlando qualcosa verso il
capitano.
Spock allungò un braccio e cercò di fermarlo
-Dottore! Che sta
succedendo?-
Gli occhi del medico erano un campo di paura e
rabbia -L'Inferno, sta succedendo. Devo fermare Jim. Qualunque cosa
ci sia su questo pianeta, lo sta facendo impazzire. Sta facendo
impazzire tutti.-
Leonard si liberò e proseguì verso la
direzione intrapresa dal capitano, Spock sospirò e li
seguì.
-Perché Chekov è privo di sensi?- chiese ancora.
-Non è
privo di sensi, è morto.-
Il vulcaniano inarcò un sopracciglio,
la confusione del momento gl'impediva di riflettere con
lucidità -Si
spieghi meglio, dottore.-
McCoy si fermò, grugnì seccato e
allargò le braccia, Spock riconobbe quel gesto come un tic
nervoso
-Vuole fare qualcosa di utile? Vada nella stanza in fondo al
corridoio. La sua ragazza è priva di sensi, Chekov ha
tentato di
soffocarla in preda ad un attacco di pazzia, o quel che era. Sulu ha
appena ucciso il suo migliore amico ed è vittima di un
crollo
psichico, ma se non fosse stato per lui, lei ora sarebbe single.-
Spock guardò l'altro andare via. Rimase solo nel bel mezzo
del
corridoio e si voltò confuso verso la camera che il dottore
gli
aveva indicato, l'osservò per qualche secondo.
Valutando le
parole che il dottor McCoy gli aveva detto, sapeva che Uhura era
salva e stava bene. Chekov era morto ed, evidentemente, il capitano
aveva bisogno d'aiuto.
Si disse che la priorità era quella di
far rinsavire Jim, era pure sempre il capitano.
-E' una questione
di priorità.- mormorò, come a volersi discolpare
dalle proprie
scelte. Ma lui non percepiva il senso di colpa, non ne aveva alcun
sentore.
Si affrettò a seguire la direzione verso la quale era
scomparso il dottore, consapevole del fatto che Nyota l'avesse
saputo, l'avrebbe persa.
Si disse che stava facendo il suo
dovere: solo il suo dovere.
Uhura avrebbe capito,
lui gliel'avrebbe spiegato.
Lei capiva sempre, l'avrebbe fatto
anche questa volta.
Jim
entrò in fretta all'interno della sala in cui era stato
interrogato
insieme a Spock. L'aula era ora piena di gente. La folla si
voltò
verso di lui.
Jim non riuscì a contare quante persone ci
fossero, ma sentì puntati contro di sé una
miriade di occhi blu
come l'oceano.
-Dovete aiutarmi.- urlò, senza sapere il perché.
Sentiva che loro avrebbero capito, che quella gente avrebbe percepito
la sua disperazione, il suo bisogno.
Dietro il banco che
capeggiava sulle scale, c'era Johna, bella come non mai. Il suo abito
era nero, così come i suoi capelli scuri.
-Jim, calmati.- disse
lei, di rimando.
Il capitano dell'Enterprise avanzò lentamente,
stringendo Chekov al petto. La folla si scostò per lasciarlo
avanzare: era come se tutti sapessero in anticipo quello che dovevano
fare. Anche Jim, anche lui sapeva.
-C'è qualcosa che potete fare
per lui?-
Johna camminò oltre il banco, si fermò sulle
scale,
Jim frenò la sua avanzata ai piedi di queste.
-La cohlna è
qualcosa che non tutti possono sostenere.- disse la donna, scendendo
lentamente.
Lui adagiò il corpo morto sulle scale.
-Se non
hai una mente abbastanza forte, può condurti alla pazzia. In
molti
sono morti, quando sono giunti qui.-
Il capitano la guardò da
vicino, sentì il respiro pesante: più lei
avanzava, più lui la
sentiva dentro.
-Tu... non sei come loro.- mormorò.
Johna sorrise quando gli fu di fronte, allungò una mano
verso il
suo volto accarezzandogli una guancia -Io sono la sacerdotessa di
questo luogo. Sono nata dalla cohlna, dall'antica civiltà
che
millenni fa abitava questo posto. No, non sono come loro, non sono
come te. Mi dispiace averti mentito.-
Jim tentò di
parlare, ma non ebbe bisogno di dire nulla. Sentiva i sentimenti di
Johna, la percepiva dentro di sé e ne riconosceva tutto
l'amore, il
bisogno e... la solitudine.
-Avevi bisogno di qualcuno. Tu ci hai
portati tutti qui. Hai attratto tu i terrestri che sono in questo
luogo.-
La donna annuì, poi chinò il capo e
guardò il corpo di
Chekov -Io non volevo ucciderlo, Jim. Pensavo che tutti, sulla tua
nave, fossero forti come te e il dottore. Forti come Spock. Pensavo
che avreste sostenuto l'essenza della cohlna che è
nell'aria.-
-Portalo indietro. Io... non so come, ma so che tu
puoi
farlo.-
Johna notò il dottor McCoy e Spock arrivare, in quel
momento. I fedeli si voltarono a guardarli, così come
avevano fatto
quando era arrivato Jim.
-Signor Spock... - sorrise lei
-...ancora non ha fatto uso del regalo che le ho inviato?-
Spock
s'irrigidì, poi scosse il capo.
Johna guardò Kirk, sorrise
dolcemente -Credo che lui non abbia bisogno della droga, per prendere
la decisione migliore. Ha appena scelto e neppure se n'è
reso
conto.-
Jim non capì, ma si voltò a guardare Spock. Il
primo
ufficiale ricambiò lo sguardo..
-I suoi occhi, Jim...- biascicò
il vice.
Johna s'inginocchiò accanto al corpo di Chekov e, come
se fossero stati dotati di un'unica mente, tutti i fedeli si
ritrovarono a simulare i movimenti di lei, le ginocchia contro il
pavimento e il capo chino.
Jim non poté sottrarsi alla forza che
premeva dentro di sé, s'inginocchiò anch'egli.
-Jim?- lo
richiamò McCoy.
-Hai accettato la cohlna con una facilità
impressionante.- gli occhi blu di Johna erano su di lui -Hai
così
tanto bisogno d'amore, d'affetto, da lanciarti verso qualunque cosa
te ne dimostri un po'. Jim Kirk, sei un uomo senza paura ma... sei
così solo.-
Spock riuscì a sentire lo scambio di battute
tra i due, ebbe l'impulso di avvicinarsi ma non osò
irrompere nel
mare di gente premuta al suolo.
-Solo. Io non lo sono.- sussurrò
Kirk, senza crederci del tutto.
-Davvero? Lo sappiamo entrambi...
è per questo che il tuo destino ti ha portato qui,
è per questo che
eri così affascinato da quella nebulosa. Tu mi percepivi.-
Jim scosse il capo, ma non rispose.
-Io potrei darti tutto
l'amore di cui hai bisogno. Resta con noi, la cohlna ti
riempirà di
sapere, vita, amore. Resta e non ti sentirai
più solo.-
Spock scattò in avanti, incurante del mare di gente, ma
McCoy lo
frenò -Qualsiasi cosa stia succedendo non credo sia saggio
interromperli ora.-
Il vulcaniano lo fissò confuso, poi si voltò
di nuovo verso i due ai piedi delle scale.
Scoprì di aspettare
con ansia la risposta del capitano, ma non sapeva perché.
-Non
capisco perché ci avete fatti venire fin qui.- disse Jim.
Johna
accarezzò i capelli di Chekov -Siete stati voi a scegliere
il vostro
percorso. Voi siete arrivati, io ho colto l'occasione. Qualunque cosa
stiate inseguendo, avrete bisogno di quello che vi ho offerto per
distruggerlo.-
-Distruggere? Voi avete detto di essere
pacifici... avete ripudiato la guerra, la morte.-
La donna annuì
-L'abbiamo fatto. Io vi ho offerto il sapere assoluto. Qualcosa di
estremamente pericoloso, se voi ve lo lasciaste sfuggire. Ora sta a
voi scegliere come usarlo.- lo sguardo di lei si appuntò
verso il
primo ufficiale dell'Enterprise.
-Jim... vuoi restare qui con me?
Non te lo chiederò di nuovo.- disse, continuando a mantenere
lo
sguardo su Spock.
Il vulcaniano li fissò in silenzio,
completamente immobile in attesa di una risposta. Negli occhi blu di
lei scorse una punta di speranza; come se lei... come se desiderasse
con tutta se stessa che Jim le dicesse di sì.
Il capitano seguì
lo sguardo della donna, i suoi occhi si posarono sulla figura di
Spock, dietro di lui vide McCoy. Ripensò alla solitudine,
alla sua
vita.
Una parte di sé non riusciva a non protendersi verso
Johna, verso quell'infinito di appagamento e gioia. L'altra parte
sapeva di non poter scegliere quella realtà, era cosciente
di
appartenere all'Enterprise, al suo equipaggio.
Guardò Chekov
morto, dinanzi a sé e non poté che pensare a Sulu
disperato per
aver appena ucciso il suo migliore amico.
-Devo occuparmi di
loro... - sussurrò, sentendo un enorme dolore per quella
che,
sapeva, era la dichiarazione della sua scelta -...sono il capitano.-
La sacerdotessa lo guardò di nuovo, il suo sorriso era
triste...
rassegnato.
Le sue labbra pronunciarono qualcosa che Jim non
comprese, tutto quello che le sue orecchie e la sua mente riuscirono
a registrare fu una serie di accenti e lettere antiche, sconosciute.
Johna alzò il capo al cielo, Jim chiuse gli occhi.
Si sentì
pieno di una forza nuova, viva dentro di sé. La sentiva
muoversi ed
agitarsi nel suo petto: era questa la simbiosi? Era questo che
significava fare parte di un unico corpo?
Percepì, anche ad
occhi chiusi, la presenza di tutti i fedeli in sala, li
sentì
innalzarsi verso qualcosa di più grande, una potenza che li
sovrastava e, al contempo, li abbracciava tutti, riempiendoli di
calore e fuoco, passione, amore.
La cohlna
non era solo una droga, non era forse così? Sorrise dentro
di sé,
rise della propria stupidità.
La cohlna non era qualcosa che
offuscava le menti, che assuefaceva e imprigionava a sé
coloro che
ne diventavano parte.
La vide brillare, aprì gli occhi e non era
più in quella sala gremita di persone. Era nella luce, era
nel
candore. La speranza gli entrava dentro, lo percorse in tutto il
corpo, entrò come acqua all'interno di un contenitore e lo
riempì
fino all'orlo. Tremò dal piacere e sospirò,
ansimò.
Pianse.
-Vi rimanderò indietro, Jim. Lascerò che
solo chi avrà
l'arma, ricorderà di quanto sia appena avvenuto. Avrei
voluto che tu
restassi con me. Ora... dimenticate.-
La luce si spense, le
lacrime caddero, il calore si ritrasse su se stesso.
. . .
Jim sentì il dolore, le immagini di quanto era avvenuto si susseguirono nella sua mente.
. . .
Buio. Era tutto buio.
Silenzio.
. . .
Ho freddo.
. . .
Il gelo
penetrava fin dentro le sue ossa. Nella sua mente. Stava
dimenticando.
-Io non voglio dimenticare.-
. . .
Sentì voci lontane, echi che si ripetevano nella sua testa.
. . .
Occhi
blu lo fissavano tristemente, ma lui non sapeva più a chi
appartenessero.
Eppure lo aveva saputo, oh, sì.
. . .
Jim
aprì gli occhi e inghiottì un urlo disperato,
rimase muto con le
palpebre sgranate.
-Capitano, va tutto bene?-
Sulu lo
guardava confuso, Jim ansimò per alcuni secondi rendendosi
conto di
trovarsi in plancia.
-Cosa... cosa è successo?- chiese,
percependo lacrime sulle sue guance.
Si sentì triste, vuoto...
devastato.
Ma non ricordava il perché.
-Niente,
capitano. Abbiamo superato la nebulosa e procediamo con
l'esplorazione.- chiarì Chekov.
Jim guardò il navigatore, aprì
le labbra con l'intento di chiedergli come si sentisse. Non
riuscì a
parlare.
Non capiva, gli sembrava tutto così strano,
così...
fuori controllo.
-Vuole che chiami il dottor McCoy? La vedo
affaticato.- Spock gli si avvicinò.
Il capitano restò
immobile, lo guardò senza dire nulla.
Gli occhi del suo primo
ufficiale gli ricordarono qualcosa, gli guardò la mano
destra, le
dita.
-Io... - tentennò -...forse sono solo stanco.-
Il
vulcaniano annuì -Dovrebbe andare a riposare. Per il momento
siamo
in esplorazione, se dovessimo incontrare qualcosa la contatteremmo.-
Jim sospirò pesantemente, l'amarezza che provava nel cuore
gl'impedì di dire altro. Si alzò lentamente e si
diresse verso il
turboascensore.
C'era una tempesta, nel suo cuore.
Spock lo
seguì e si fermò di fronte al capitano -Non si
preoccupi. E' solo
stanchezza.- disse, in un imbarazzante tentativo di rassicurarlo.
Jim sorrise, un'altra lacrima scappò dai suoi occhi.
La
raccolse confuso, ma non ricordava perché stesse piangendo
-E' così
strano... -
Spock lo guardò un'ultima volta, prima che le porte
si chiudessero. Restò a fissare il vuoto, per alcuni
secondi.
-Jim... lei non è solo.-
. . .
Note
finali:
1.
la citazione con l'asterisco è presa dal capitolo IV della
saga di
Star Wars. E' opera di Obi-Wan Kenobi.
2. La storia della
cohlna (nome che ho inventato) e degli occhi blu è presa
d'ispirazione ad un capolavoro letterario della fantascienza
cioè il
“Ciclo di Dune”. Se non lo conoscete, rimediate,
è qualcosa di
spettacolare.
Grazie
per aver letto fin qui.
Naka.