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Autore: Blues Girls    23/07/2013    75 recensioni
«Non.. trovo.. la.. mia.. forbice.» scandii ciascuna parola con asprezza, mettendo in chiaro lo scenario che si doveva presentare.
«Ti chiedo di leggere solo questo, solo questo Eeva; l'ho trovato nel quotidiano di ieri.»
Le strappai di mano il pezzo di giornale che mi porse, digrignando i denti.
'Harry Styles, finora l'ultimo membro selezionato per far parte delle Scelte, la scorsa notte è riuscito a scappare dalla sede ufficiale del concilio, a Stoccolma, capitale della Svezia: da giorni, decine di guardie, hanno tenuto sott'occhio il giovane ragazzo, ma questo non sembra averlo intimorito. Sconosciuto ancora il motivo concreto della sua fuga, ed anche la sua direzione. Maggiori informazioni alla pagina sedici.'
«E comunque no, non ho visto nessuna forbice nello studio.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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(Second)
 

Nel corso dei seguenti sei anni, Lilith aveva raccolto un enorme quantità di ricordi da poter creare una serie assai prosperosa ed abbondante di dipinti; ma non era questa la sua intenzione. Tra tutti, solo tre racchiudevano in una volta sola, l’emozioni che il suo disegno doveva rappresentare: tristezza, paura, sfiducia, odio, delusione, indifferenza, rabbia, miseria, vincoli, malessere, stupidità, rigidità, negatività e banalità. E Thalos.
Così fu.
 
 
Ricordo numero uno: quattordici anni.
 
Dopo aver cosparso un po’ di lucido rosa sulle sue labbra, la ragazza si guardò allo specchio tentando di sistemare le pieghe della gonna attillata che le fasciava il bacino; per una volta voleva indossare qualcosa di elegante ad una festa, ma non si sentiva a suo agio: al di sotto della gonna si intravedevano aree infossate bianche o meglio, comunemente chiamate smagliature.
Lilith arricciò il naso, provando un senso di disgusto verso il suo corpo. Non si piaceva e pensò che molto probabilmente non sarebbe piaciuta nemmeno alla maggior parte delle persone presenti alla festa. E tantomeno a Cato, il ragazzo per quale lei, provava un sentimento che oltrepassava di gran lunga l’infatuazione. Avrebbe fatto qualsiasi per piacergli, qualsiasi cosa.
Non poteva di certo presentarsi in quelle condizioni, lo avrebbe allontanato per sempre, e lei sarebbe diventata una di quelle adolescenti depresse, grasse e zitelle a vita che apparivano in uno di quei programmi che spesso seguiva alla televisione.
In fin dei conti non aveva un fisico niente male: portava una terza abbondante di reggiseno, aveva la pancia piatta, le gambe lunghe e il fondoschiena sodo e proporzionato al suo corpo. Insomma, adatto ad una ragazza di quattordici anni.
Balle. Si detestava, in tutti i sensi possibili ed immaginabili, ed era sicura che anche Cato la detestava.
Ai suoi occhi appariva un completo disastro, il peggio del peggio. Guardò nuovamente la figura rispecchiata dinanzi a lei, e gemette in un verso di riluttanza. Esattamente quello che provava.
Si maledisse mentalmente per non aver dato ascolto alla madre quando le diceva: "Fai sport, mangia quant'è giusto, altrimenti farai la mia fine: ricoperta di smagliature. La cellulite ti rovinerà".
Adesso, davanti a quello scenario, si stava letteralmente mangiando le mani per non aver seguito il consiglio della madre esperta.
La mora lanciò un'ultima occhiata allo specchio che rifletteva la sua odiata immagine e ancora una volta i suoi occhi si fermarono su quel catastrofico difetto. Scaraventò uno dei tacchi laccati che indossava contro lo specchio, in preda alla collera e alla disperazione.
Improvvisamente, ricordò che sua madre possedeva una crema che poteva fare al caso suo, e così, lottando per sfilarsi la gonna stretta, si avviò nella camera da letto dei genitori. Giunta nella stanza, iniziò a frugare negli armadi, nei cassetti e sugli scaffali per cercare il suo tesoro, la sua via di scampo. Al termine di tutto ciò, la camera dei genitori si era temporaneamente trasformata in una discarica, ma poco importava. Quando finalmente fu tra le sue mani, lanciò un gridolino di felicità: la sua caccia al tesoro era finita.
Guardò la scritta arancione 'Fanghi d’alga - efficaci contro la cellulite' sul tappo, speranzosa. Fece girare in senso antiorario quest'ultimo più volte, aprendo il barattolo grande quanto il palmo della sua mano. Con le dita prese un po’ di prodotto, non preoccupandosi nemmeno di leggere le istruzioni o gli effetti collaterali: aveva troppa fretta di sbarazzarsi del suo corpo. Si sedette comodamente nel letto matrimoniale dei suoi genitori, attenta a non far colare il fango su di esso. Dovette lottare contro la sua goffaggine, prima di poter, finalmente, spalmarlo frettolosamente, e senza nessun briciolo di grazia.
Rabbrividì quando il fango freddo venne a contatto con la pelle del suo interno coscia. Continuò a spalmare e a massaggiare fin quando il rosa della carne non venne sostituito dallo scuro verde militare del fango. Dopodiché, lo lasciò in posa per tre  lunghi quarti d’ora, che le parvero anni; era impaziente di poter ammirare le sue nuove gambe.
Le sembrò strano, però, quando una sensazione di prurito si impossessò dell'area coperta dai fanghi.
Iniziò a grattarsi involontariamente cercando il barattolo per leggere le indicazioni, cosa che avrebbe dovuto fare prima. Quando lesse "applicare dai 16 anni in su", sgranò gli occhi gettando il barattolo a terra con nonchalance.
«Merda» sibilò, alzandosi meccanicamente. 
Percorse il lungo corridoio di casa sua, correndo per raggiungere il bagno dall'altro lato dell'abitazione. Sospirando col fiato corto, aprì subito l'acqua della vasca e cominciò a pulirsi, ignorando il fastidioso pizzicore, lasciando gocciolare l'acqua sulle piastrelle fredde.
Lilith entrò nella vasca completamente vestita, impaziente di mettere fine a quella tortura. Finalmente la maschera di fango venne a galla, e non riuscì a non notare delle piccole macchie marroni sulla superficie rosea della sua pelle. In quel momento si sentì la persona più stupida ed idiota del mondo intero, e non evitò di gridare come una forsennata. Non si fermò neanche quando la porta del bagno si spalancò.
«Che cazzo ti prende, Lilith?» ruggì il fratello, sulla soglia dell’entrata, abbastanza confuso dalla scena che gli si era presentata davanti.
«Sono un’idiota Thalos, sono un’idiota!» urlò lei in risposta.
Gli raccontò tutto, nei minimi dettagli, mentre lui le asciugava le lacrime ribelli che ricadevano sul volto arrossato. Sperò veramente che Thalos la potesse capire, in qualche modo, nonostante lui avesse un corpo perfettamente scolpito. La sua reazione fu ben diversa da ciò che si aspettava.
Rise. Ma ancora più inaspettato fu il fatto che si immerse nella vasca anche lui.
«Tu, sei ridicola» affermò, ancora divertito.
«Non sei d’aiuto» replicò la ragazza, frustrata.
«Hai capito perfettamente cosa intendo»
 

 
Ricordo numero due: sedici anni.
 

Pan Addams era indifferente a tutto ciò che lo circondava, come se tutto ciò che accadesse, fosse solo frutto della sua immaginazione. Costantemente calmo e impassibile, Lilith invidiava suo padre più di qualsiasi altra cosa.
Da qualche anno ormai, aveva perso quel sorriso fiero sul suo volto che le rivolgeva ogni qualvolta lui giungeva, stanco, dal lavoro.
Vecchio, stava diventando vecchio, marcio, e sentiva di non poterne più dei continui lamenti della moglie, né delle stressanti richieste dell'adolescente.
Thalos era l'unico che volesse ancora sopportare, forse. No, neanche lui ormai.
Si sentiva soffocato, senz'aria, come fosse già morto, ma continuava a rimanere indifferente, distaccato.
I suoi movimenti studiati attentamente, e le sue rare parole, come se entrambi fossero limitati. La sua interpretazione di conversazione, se si poteva definire tale, era fatta di gesti, ovvero sguardi e cenni col capo.
Lilith sapeva quanto suo padre volesse andarsene, ma seri dubbi le fecero presumere che non l'avrebbe mai fatto. Bastò una sera, una sera degenerata, a cambiare la prospettiva del futuro di quattro persone.
Lilith, appena sedicenne, stava ritornando a casa; la stavano aspettando, come ogni sabato, davanti alla porta, pronti per la solita predica, dato il suo ennesimo ritardo. Si sorprese quando il primo a parlare fu suo padre.
«Andiamo nello studio, Lilith» disse apatico, alzandosi dalla sedia appostata davanti alla porta. La ragazza, senza nessun segno di disapprovazione, lo seguì. Ignorò freddamente lo sguardo deluso ,ma allo stesso tempo severo, della madre. Giunti nel piccolo studio, tolse le scarpe, diventate troppo scomode; nel mentre, il padre si appoggiò sulla minuscola scrivania, sulla quale erano sovrapposti varie enciclopedie rovinate. Quello era il suo hobby: aggiustare libri che la gente riteneva inutilizzabili.
La voce dell'uomo la distolse dai suoi pensieri.
«Ti ho chiamato dieci volte, e quando pensavo che finalmente avresti risposto, ho sentito solo delle sonore risate. Ti sei data alla pazza gioia stasera?»
Non c'era nessun tono accusatorio nella sua voce, nemmeno l'ombra, solo un timbro freddo, non glaciale, ma di quelli sopportabili. Lilith esitò a rispondere, ma prese coraggio e si decise a parlare, pronta a dare sincere spiegazioni.
«Eravamo dentro quando mi hai chiamato, e con la musica alta credo sia del tutto ragionevole il fatto che io non ti abbia risposto. Quando siamo uscite, e hai telefonato per la decima volta, ero intenta ad accettare la chiamata quando Meredith me l'ha preso di mano e ha risposto al posto mio. Conosci Meredith papà, era l'unica fatta del gruppo» spiegò frettolosamente, dondolando sui talloni nervosamente. Pan alzò il capo, squadrando la figlia come fosse la prima volta che la vedeva in tutta la sua vita.
«Rispondi alla mia domanda: ti sei data alla pazza gioia stasera?»
Lilith aggrottò la fronte, non capendo il secondo fine di quella domanda. Azzardando, annuì con un cenno del capo. 
«Bene» disse solamente Pan. 
Come si doveva comportare ora? Non aveva mai dato spiegazioni a suo padre, lui era indifferente, fermo, sempre dalla parte della moglie. L'impulsività agì al posto suo.
«Papà, io non ho fatto niente» gli gridò sicura e decisa, noncurante della frase banale che aveva appena detto.
«L'essere umano, dalla nascita fino alla morte, è in costante movimento, sia fuori che dentro, perciò è logicamente impossibile che tu non faccia niente. Qui il verbo giusto non è fare, ma essere. Se mi dicessi che tu sei niente, ti darei completamente ragione» affermò lui, più duro che mai.
La mora smise immediatamente di dondolarsi, irrigidendosi sul posto. Nella sua mente cercava di dare senso alle parole del padre, non trovando un qualsiasi nesso logico. Lui prese in mano un libro molto mal ridotto, e, rigirandoselo nelle mani, continuò.
«Lo vedi questo?»
Le mise davanti agli occhi il libro, e un odore di carta stampata ammuffita raggiunse le sue narici sensibili. Arricciò il naso e si ritrasse, dato il profumo sgradevole che emanava quella copia de 'Il giovane Holden'.
«Tu sei come questo libro. Più cerco di ripararlo, più questo si distrugge»
«Tu non lo pensi davvero» obbiettò la ragazza con voce tremante, in quella che doveva essere un'affermazione, ma parve più come una domanda insicura.
«Com'è che dite voi giovani? Oh, si, ricordo; ci puoi contare. E finalmente, per quanto mi riguarda, ho capito che non ne vale la pena. Lilith, tu sei niente, come lo è tua madre, e tuo fratello. Voglio vivere solo, e soprattutto, voglio morire solo, senza complicazioni, senza problemi»
Si lasciò andare in un urlo liberatorio, entusiasta e pronto ad intraprendere una nuova vita.
«Non, non ti biasimo papà, ma non esiste vita senza problemi» farfugliò la ragazza, asciugandosi col dorso della mano alcune lacrime cadute per la frustrazione.
Si sentiva scossa, distrutta e inutile. Stava succedendo troppo velocemente.
Le parole del padre, le avevano aperto una voragine nel petto, un qualcosa di troppo grande anche per lei.
Lui non rispose, rimase immobile a guardare un punto fermo dinanzi a lui, con ancora il libro in mano. Dopo attimi che sembrarono interminabili, strappò una pagina dalla copia, e, prendendo una penna dalla scrivania, cominciò a scrivere, lanciandosi dietro di sé il libro. I suoi movimenti parvero calcolati con attenzione, secondo dopo secondo, la sua mano si muoveva perfettamente sopra quel rigido pezzo di carta.
Al finire di quella straziante manovra, piegò il foglio in due parti, e lo porse alla ragazza.
«Ci meritiamo tutto questo»
Quelle furono le sue ultime parole, prima di uscire da quella casa, e dalle loro vite.
La ragazza, ancora incosciente di ciò che era successo, aprì il biglietto.

 
‘Non faccio che dire "piacere d'averla conosciuta" a gente che non ho affatto piacere d'aver conosciuto.
Ma se volete sopravvivere, bisogna che diciate certe cose.
-Jerome David Salinger’
 

«Non hai fatto niente, non l’hai fermato mamma» accusò seria la ragazza, guardando dritta negli occhi la madre in lacrime. Non rispose, ma si limitò ad abbassare il capo. Il fratello, seduto sul divano, aveva uno sguardo assente, privo di emozioni.
«Thalos» lo chiamò la ragazza.
Alzò il capo nella sua direzione, distrattamente.
«Sono debole» affermò, alzando le spalle, e scoppiando in un pianto sofferente.
«Vieni qui piccola Lilith»

 
 
Ricordo numero tre: diciassette anni.
 
Odiava quel gatto.
Era un comunissimo Europeo dal mantello nero e gli occhi gialli, tremendamente brutto e sporco.
Thalos lo trovava carino, Lilith, invece, considerava quell'essere il peggiore che Madre Natura abbia mai creato. Girovagava per l'intero quartiere, esibendosi in un miagolio straziante come se avesse perso la sua ragione di vita. Una cosa patetica, e terribilmente fastidiosa, soprattutto di notte, quando normalmente le persone si recavano nelle loro stanze per dimenticarsi della stressante giornata appena trascorsa, passando qualche ora in completo relax. 
Ma non era così. Quel gatto era sempre lì, appostato nel piano della recinzione che circondava casa Addams. E come se non bastasse, il lato in cui risiedeva la feccia, doveva essere lo stesso della stanza di Lilith. 
Lo faceva apposta.
La ragazza era sempre stata pronta a farlo fuori, a mettere fine a quelle notti in bianco passate ad escogitare il miglior modo per ucciderlo, mentre lui continuava la sua solita cantilena, impedendole un sano riposo. Questo, però, non fu, a causa del fratello contrario. O almeno, non fino ad allora.
Una giornata come le altre, tra scuola, ritorno a casa, compiti, faccende di casa, doccia e stress. Quel che le ci voleva era stare accoccolata al suo cuscino per ore e ore, in compagnia di Mr. Todd, un noioso ma silenzioso pesciolino rosso, finché non si sarebbe svegliata la mattina seguente. Entrò nella sua stanza, passando per la porta scorrevole in vetro, e si fiondò sgraziatamente nel suo materasso d'acqua a due piazze; niente di più comodo. Mentalmente constatò che non ci sarebbe voluto molto per addormentarsi, data la sua stanchezza, e nessuno glielo avrebbe impedito. Nessuno.
A risvegliarla dai suoi pensieri fu un miagolio piuttosto famigliare.
«Io lo ammazzo!» sbraitò furiosa la ragazza, che intanto si era alzata dal suo comodo letto.
Si avvicinò alla finestra, spostando lievemente le tende color ocra, quel poco che bastava per farle ammirare, appollaiato tranquillo, la causa del suo strillo. Lo notò voltarsi, ed incontrare casualmente i suoi occhi verdi: le sue iridi gialle, evidenti nel buio della notte, l’avevano inchiodata ed affascinata come non mai. Voleva quei occhi, e li avrebbe avuti.
Vide la figura di Thalos fiondarsi in camera sua, il viso sconvolto dalle precedenti urla della ragazza.
«Lil, che succede?» 
La ragazza ridusse le distanze dal fratello, trascinando le gambe in passi lenti e pesanti; lo sguardo omicida che gli rivolse, lo intimidì, facendolo indietreggiare.
Prima di proferire parole, s'irrigidì, e serrò la mascella; puntò un dito contro il ragazzo.
«Lo squarterò lentamente, dividendolo in due parti. Ovviamente, quella piccola testolina gliela staccherò. Estrarrò ogni singolo organo del suo corpicino sudicio, e ne farò un frullato. I suoi brandelli li darò al cane del vicino, e mi terrò gli occhi come ricompensa»
Non si poteva non notare una nota sadica nel suo tono, e questo era spaventoso, soprattutto per Thalos, che l'aveva sempre vista come la piccola e fragile sorellina Lilith.
Tentò di ribattere, ma lei non glielo permise.
«Faranno una statua in mio onore, me lo sento. Tu, sai dov'è la Navaja Spagnola?» chiese, mantenendo quel tono sadico e terrificante. 
«Non ti farò sfiorare nessun coltello, nemmeno la Navaja» affermò serio il fratello, scettico.
«In questo caso lo farò con le mie stesse mani» 
«Lilith, ti senti bene?» inclinò la testa, abbastanza sconvolto, anche se non era sua intenzione darlo a vedere.
Lo sguardo adirato di lei, e quel ghigno divertito, gli fecero capire che stesse dicendo sul serio. 
«Mai stata meglio!» alzò le braccia al cielo, e quel ghigno divenne ancora più inquietante.
Era la rabbia che le provocava questo? Poco importava, lei voleva quel gatto, e lo desiderava morto e fuori dalla sua vita. Avrebbe sofferto in un decesso lento ed atroce; il conto si sarebbe finalmente saldato
«Vengo con te» acconsentì Thalos, dopo qualche minuto.


 
Il disegno, chiamato da lei Vorjos, ora era completo. E successe l’impossibile.
Vorjos sostituì la Terra.


‘Welcome to Vorjos’



Ehilà.
Da qui si capisce che Vorjos è un mondo.
Vado di fretta, e non mi va di commentare.
Dico solo che ringrazio tutti.
Per gli amanti dei gatti, chiedo umilmente scusa, ma mi servivano degli occhi gialli (?)
Alla prossima belle mie.
Cià.

 

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