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Autore: Nanamichan    23/07/2013    3 recensioni
Quanti altri compleanni avrebbe passato così, insieme a Naruto e Sakura? Quanto ancora sarebbe rimasto a Konoha spensierato? In fondo al suo cuore lui sapeva che la sua strada sarebbe sempre stata parallela a quella di Itachi, e niente avrebbe mai potuto cambiare questo. Nell’amore e nell’odio, Sasuke e Itachi sarebbero rimasti sempre legati.
Nel seguire Sakura e Naruto per le vie di Konoha poteva sentirsi quasi uno di loro, ma nonostante tutto Sasuke sapeva perfettamente che il prossimo compleanno – e tutti quelli dopo – lui sarebbe stato altrove. Il suo odio per Itachi sarebbe cresciuto e avrebbe spazzato via tutti gli altri legami che gli erano rimasti, lasciando spazio solo per quello nel suo cuore. Ma Sasuke non poteva sapere che, una volta scoperta la verità, avrebbe ripreso ad amarlo come se non avesse mai smesso di farlo, neanche per un solo attimo.
E i ricordi dei compleanni passati con lui sarebbero rimasti sempre i più indelebili, sia nel bene che nel male.
[ItaSasu NO INCEST]
Partecipante all'iniziativa del forum Kizuna - SasuNaru: "Buon compleanno Sasuke!".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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I die everyday that you're away from me



 


23 Luglio

 

Itachi odiava l’estate.
Non faceva altro che ripeterselo da cinque anni: ogni volta che vedeva arrivare la bella stagione non faceva altro che coprirsi più di prima e nascondere sempre più il suo viso dietro la divisa dell’Akatsuki, tenendo scoperti solo gli occhi con lo Sharingan perennemente attivato.
Itachi odiava il bel tempo, odiava il sole e odiava luglio.
Odiava il ventitré luglio.
Kisame più volte gli aveva domandato perché si comportasse in quel modo scostante soprattutto durante l’estate, ma lui non gli aveva mai risposto. Non gli parlava quasi mai – anzi, probabilmente era più corretto dire che non parlava quasi mai con nessuno.
«Immagino che per farti dire una frase più lunga di “dobbiamo catturare un Jinchuuriki” dovrei darti in pasto ai miei squali, o qualcosa del genere.» gli aveva detto il compagno dell’Akatsuki un giorno, lanciando una leggera frecciata sul battersi l’uno contro l’altro, come suo solito.
«Io non parlo mentre combatto» aveva risposto Itachi con tono impassibile. Kisame aveva semplicemente ridacchiato – e soffocato la solita adrenalina che lo percorreva quando si trattava di pensare a sfidare l’Uchiha – e, in silenzio, avevano continuato a camminare.
Durante quei viaggi così lunghi spesso Itachi si domandava come appariva agli occhi degli altri – e anche allo stesso Kisame, con cui passava la maggior parte del tempo. Si domandava se l’immagine che voleva dare di lui equivaleva a quello che vedevano gli altri, se la sua recita stava procedendo come pensava; se loro lo vedevano davvero come null’altro se non una persona spietata e senza alcun cuore. Se davvero era visto come un mero criminale che, senza pietà, aveva sterminato un intero clan, togliendo la vita così centinaia di uomini, donne, e perfino bambini.
A volte, specialmente durante le numerose notti insonni, Itachi riusciva perfino a rivedere i loro volti pieni di terrore e gli occhi invasi dalle lacrime di quelle persone che lo pregavano di non alzare la katana che teneva tra le mani tremanti, di risparmiarli. Ricordava perfettamente il sangue che impregnava le pareti delle case e i corpi di quegli innocenti che si accasciavano a terra, inermi. Ricordava le lacrime che lui stesso aveva pianto nell’ucciderli e si sentiva un egoista, un ipocrita.
Itachi era stato tanto egoista da aver deciso di sterminare un intero clan soltanto per salvare una sola persona – la sua persona – e poi avere la faccia tosta piangere lacrime amare per ogni vita che spegneva durante quella notte, mentre le sue mani continuavano a macchiarsi di sangue e colpe; colpe che mai sarebbero andate via dalla sua coscienza. Era ipocrita, era egoista, era bugiardo e non riusciva a perdonarsene. Forse era per questo che aveva continuato a chiedere scusa a qualcun altro per tutta la sua vita, si ritrovò a pensare mentre un lampo illuminava il cielo scuro. Dentro di sé si puniva tutti i giorni per il suo comportamento. Ma nonostante tutto, Itachi in cuor suo non si era mai pentito della decisione che aveva preso quel giorno, non se pensava che in quella situazione c’era in ballo la vita di suo fratello.
Per lui quella vita ne valeva miliardi.
Avrebbe fatto di tutto per tenerla al sicuro.
«Non ci voleva un tempo del genere» sentì d’un tratto dire Kisame, «perfino d’estate, poi... Itachi-san, è meglio fermarci un po’, o ti sentirai peggio.»
Si fermarono in uno spazio coperto e dopo pochi minuti cominciò a piovere a dirotto. Fu un sollievo per lui vedere brutto tempo, si addiceva di più a quello che provava lui in quella data; il sole lo stordiva e gli metteva ancora più tristezza addosso.
«La mia Samehada ha fame» continuava a borbottare Kisame in sottofondo, ma Itachi lo ignorò.
Il cielo era plumbeo, e istintivamente Itachi si domandò se anche a Konoha il tempo fosse così come lo era nel posto in cui si trovavano lui e Kisame. Si augurò di no: anche se per lui il ventitré luglio era diventato un giorno come un altro, voleva che a Konoha fosse un giorno felice così come lo era stato per lui prima di quella notte.
Il ventitré luglio era la data che gli aveva cambiato la vita, tredici anni fa. Nello stesso momento in cui aveva preso il suo piccolo fratellino Sasuke tra le braccia aveva capito quale sarebbe stato lo scopo della sua vita: proteggerlo da qualsiasi male. Si sentiva così forte rispetto a lui nel vederlo così piccolo tra le sue braccia che aveva promesso a se stesso che nessuno avrebbe potuto toccarlo se non lui.
Non avrebbe mai immaginato di poter arrivare ad amare così tanto una persona in pochi istanti.
Inizialmente era rimasto atterrito da quel sentimento, così forte che lo aveva legato a quel bambino fin dalla nascita, fin da prima che potesse parlare o camminare: Itachi ancor prima di amarlo nella sua totalità aveva amato ciò che avrebbe potuto fare per lui negli anni a venire. Aveva amato immaginare ciò che avrebbe potuto dirgli, insegnargli o semplicemente condividere con lui.
E il ventitré luglio di ogni anno, per ogni candelina che Sasuke spegneva, Itachi aveva sempre desiderato una sola cosa per lui: felicità. Non glielo aveva mai detto apertamente, e probabilmente gli aveva sempre dimostrato il contrario con i suoi modi di fare un po’ distaccati e freddi degli ultimi tempi che avevano trascorso insieme, ma il desiderio della vita di Itachi era il raggiungimento della felicità di suo fratello, anche a costo di morire per realizzarlo.
Sentì un’improvvisa fitta di dolore pervadere il suo corpo causata dalla sua malattia – che di giorno in giorno peggiorava inesorabilmente – e fu costretto a chinare la propria testa verso il basso per riprendere lentamente fiato. Non badò a Kisame che gli parlava e ciò che gli disse arrivò alle sue orecchie come un semplice sottofondo confuso, mentre era intento a guardare il proprio riflesso sbiadito su una pozzanghera formatasi da poco nel terreno roccioso. La sua vista peggiorava costantemente a causa del Mangekyou Sharingan, ma nonostante ciò riusciva ancora a vedere abbastanza bene da vicino e di conseguenza poteva ancora vedere abbastanza bene i suoi occhi riflessi, macchiati di sangue e bugie, così diversi a quelli di Sasuke ma allo stesso tempo così simili.
Guardò intensamente il suo riflesso e, osservando i suoi occhi, per un momento riuscì a rivedere davanti a sé la sua bella casa, la sua unica casa, situata nella periferia di Konoha. Così grande, così accogliente. Gli sembrò di vedere grandi cartelli appesi fuori che recitavano “buon compleanno”, un acquisto tipico di Mikoto in occasione dei compleanni. Ma tutto scomparve intorno a lui nel momento in cui vide il piccolo Sasuke corrergli incontro sorridente e abbracciarlo con una forza che non credeva possibile, dicendogli felice che lo stava aspettando per soffiare le candeline della torta che la mamma aveva comprato qualche ora prima. La stretta di Sasuke intorno alla sua vita era così calda e piena d’amore – sapeva di casa – che per un istante Itachi desiderò con tutto se stesso di non allontanarsene mai e di restare così fino alla fine dei suoi giorni. Ma poi in quello che gli parve un attimo era già tornato bambino e stava festeggiando spensierato il compleanno di Sasuke insieme a Mikoto – e Fugaku, il quale però non era particolarmente incline alle feste – e gli sembrava tutto talmente vero che fu ancora più terribile scoprire qualche istante dopo che quello era semplicemente un genjutsu attivatosi a causa del riflesso provocato dalla pozza d’acqua sotto di lui.
Sospirò e alzò di nuovo il capo, guardando verso l’orizzonte – sembrava quasi cercare, stupidamente, di poter arrivare in qualche modo a Konoha con lo sguardo e riuscire a vedere suo fratello – e sperò nella felicità di Sasuke, lì a Konoha. Sarebbe stato felice di conoscere i suoi amici – anche se Sasuke da piccolo si ostinava a voler stare solo e soltanto con lui – ed era sicuro che quegli amici in futuro sarebbero stati la forza della sua esistenza, le sue colonne portanti in una vita fin troppo dolorosa ed ingiusta da sopportare per un ragazzo fragile come lui.
Itachi sarebbe rimasto lì ad attendere il suo ritorno e la vendetta che presto Sasuke avrebbe portato a termine uccidendolo, avrebbe aspettato pazientemente e poi, col sorriso sul volto, si sarebbe spento per mano della persona che più amava: era così che doveva andare. Itachi lo sapeva.
E lui avrebbe aspettato e mentito per il resto dei suoi giorni, nel frattempo limitandosi a fargli gli auguri di buon compleanno solo col pensiero, visto che non avrebbe mai più potuto farlo di persona.
Buon compleanno, Sasuke.

***

 

Sasuke non si era nemmeno ricordato del fatto che fosse il suo compleanno, quel giorno, non fosse stato per la montagna di dolcetti – probabilmente mandati dalle sue ammiratrici – che si era trovato davanti a casa quella mattina. Era da cinque anni che odiava quella data e aveva sempre cercato di ignorarla in tutti i modi, nonostante la maggior parte delle ragazzine della sua età si mettesse d’impegno per fare l’esatto contrario. Ricordava perfettamente come aveva passato i precedenti compleanni, così tanto che anche solo pensarci gli provocava un dolore e una rabbia che non riusciva a sostenere per quanto insopportabili.
Gli anni prima del suo tredicesimo compleanno li aveva passati completamente da solo. I primi anni dopo la morte dei genitori, ancora quando era un bambino, non aveva fatto altro che stare a letto a piangere e a pensare a quello che era successo in quella stessa casa. Dal decimo compleanno in poi aveva cominciato a costringersi a non pensare e allenarsi senza sosta nel suo giardino, così tanto che la sera tornava a casa distrutto e non riusciva nemmeno a ricordarsi di che giorno fosse. Erano stati questi i compleanni di Uchiha Sasuke, dopo lo sterminio del suo clan. Tutti i compleanni precedenti alla tragedia che colpì la sua famiglia erano stati l’esatto contrario, felici e spensierati, ma se ora provava a ripensarci la voragine che aveva nel petto non faceva che crescere.
Gli mancava la sua famiglia, la sua mamma, il suo papà. Gli mancavano i suoi zii e i suoi amici.
Gli mancava il suo clan.
Entrare ogni giorno in quel quartiere e girare per le strade deserte – che una volta erano popolate dalla sua gente – e ancor di più farlo nel giorno del suo compleanno era distruttivo per lui.
Sasuke quel giorno non avrebbe fatto nulla se non allenarsi come sempre, era un obiettivo che si era prefissato già da tempo. Dopo una doccia veloce si vestì e si diresse verso il campo d’allenamento, stando attento al fatto che non ci fosse nessuno – non voleva disturbi di alcun tipo.
Pochi minuti dopo si stava già allenando, provando la sua nuova tecnica chiamata chidori.
Era assurdo pensare a quanto, negli ultimi anni, fosse cambiata la sua vita – e fosse cambiato lui stesso, così tanto da non riconoscersi quasi. Fino a cinque anni prima era un bambino solare e pieno di vita, che stravedeva per il fratello maggiore e non faceva altro che aspettare una qualsiasi attenzione da parte sua, anche la più piccola. Digrignò i denti ripensando a quanto amore aveva provato nei suoi confronti in passato, dandosi dello stupido per aver creduto che fosse tutt’altra persona, completamente diversa rispetto a quella che poi si era rivelata essere: un mostro incapace di provare sentimenti, che aveva sterminato il suo clan e i suoi genitori senza un briciolo di pietà, soltanto per metterlo alla prova. In quel momento tutto l’amore che Sasuke aveva provato per lui si era trasformato in odio. In un odio altrettanto forte, un odio che lo teneva ancora in vita.
Quell’odio per suo fratello era ciò che lo faceva andare avanti e lo portava a non mollare, a non lasciarsi sconfiggere dalla fragilità; anche se fin troppo spesso avrebbe voluto lasciarsi andare.
Spesso gli capitava di domandarsi perché amasse così tanto Itachi, in passato. Anche più dei suoi genitori. Che cosa aveva visto in lui? Cosa c’era di diverso? Sapeva bene che l’amore è irrazionale – soprattutto quello fraterno, che si prova a prescindere da qualsiasi cosa – ma un fratello del genere non meritava nulla da Sasuke, nemmeno allora quando quest’ultimo era ignaro di che cosa avesse in testa.
Ma, anche per vendicarsi di questo, Sasuke lo avrebbe ucciso e avrebbe fatto giustizia a sua madre e suo padre – e a tutto il clan – una volta per tutte, soltanto allora avrebbe trovato sollievo – o almeno così credeva.
Passò diverse ore ad allenarsi ininterrottamente, ma d’un tratto venne interrotto.
«Sasuke-kun!» si sentì chiamare, mentre un rumore di passi si faceva sempre più vicino. Si girò: era Sakura, e poco più indietro c’era anche Naruto con il suo solito broncio.
Sakura si slanciò e si avvinghiò al suo braccio, esclamando gioiosa «tanti auguri di buon compleanno, Sasuke-kun!», mentre Naruto stava zitto e guardava. Lei lo guardò come per spronarlo e solo allora si avvicinò un poco.
«Ehm...» balbettò leggermente Naruto, mentre le sue guance si imporporavano «auguri, teme!» esclamò poi tutto d’un fiato come vergognandosi di ciò che stava dicendo.
Sasuke spalancò leggermente gli occhi a quelle parole. Era felicità, quella? Gli auguri che aveva ricevuto da Naruto e Sakura erano diversi da quelli delle ammiratrici o dei compagni di scuola, erano importanti. Non provava quella sensazione da tanti di quegli anni che quasi si era dimenticato cosa si provasse nel ricevere degli auguri fatti col cuore. Senza volerlo Sasuke si perse a guardare il vuoto, ricordandosi di quei compleanni passati con Itachi e la sua famiglia, i compleanni più belli della sua vita che – nonostante tutto – avrebbe sempre portato nel suo cuore ormai carico d’odio. I due ragazzi, vedendo il volto di Sasuke che man mano si incupiva, lo richiamarono e cercarono di distrarlo.
«Sasuke-kun, io e Naruto abbiamo una sorpresa per te!» disse Sakura felice, mentre tirava fuori un pacchetto dalla sua borsa. Lo aprì, rivelando un piccolo dolcetto con una candelina sopra, e una volta accesa glielo porse invitandolo a soffiarci per spegnerla. Che cosa stupida, gli venne da pensare d'istinto. Ma Naruto e Sakura lo guardavano felici e allora lui non poté tirarsi indietro: dopo qualche finto sospiro scocciato soffiò sopra e spense la candelina che segnava “13”.
«Abbiamo anche un’altra sorpresa, ma per quella devi aspettare stasera!»
«Stasera mi alleno» rispose secco, mostrandosi disinteressato.
E allora Naruto intervenne, ancora rosso in viso. «Oi, teme! Ci abbiamo messo un sacco per fartela! Quindi stasera verrai o ti ci trascino io!»
Sakura lo riprese per il tono burbero che aveva usato e cominciarono a bisticciare tra di loro come al solito.
Sasuke vide gli occhi azzurri di Naruto e per un momento si sentì rinascere, ma un’insopportabile morsa nel petto gli ricordò che, non sapendo come o perché, avrebbe voluto che a guardarlo fossero due occhi uguali ai suoi. Si diede dello stupido per quel pensiero inconscio.
Quanti altri compleanni avrebbe passato così, insieme a Naruto e Sakura? Quanto ancora sarebbe rimasto a Konoha spensierato? In fondo al suo cuore lui sapeva che la sua strada sarebbe sempre stata parallela a quella di Itachi, e niente avrebbe mai potuto cambiare questo. Nell’amore e nell’odio, Sasuke e Itachi sarebbero rimasti sempre legati.
Nel seguire Sakura e Naruto per le vie di Konoha poteva sentirsi quasi uno di loro, ma nonostante tutto Sasuke sapeva perfettamente che il prossimo compleanno – e tutti quelli dopo – lui sarebbe stato altrove. Il suo odio per Itachi sarebbe cresciuto e avrebbe spazzato via tutti gli altri legami che gli erano rimasti, lasciando spazio solo per quello nel suo cuore. Ma Sasuke non poteva sapere che, una volta scoperta la verità, avrebbe ripreso ad amarlo come se non avesse mai smesso di farlo, neanche per un solo attimo.
E i ricordi dei compleanni passati con lui sarebbero rimasti sempre i più indelebili, sia nel bene che nel male.




















 



La mia prima fanfiction *_*
Che emozione pubblicare qui su EFP, davvero. E dire che è stata una mia cara amica a spingermi a farlo, quindi la colpa è sua se ora siete finite tra le mie grinfie! Sono molto emozionata a dirla tutta, ho sempre letto e mai pubblicato e ora che finalmente lo faccio è... strano, ecco. Non c'è molto da spiegare sulla fanfic, è fatta per il compleanno di Sasuke (che ormai sta per finire) ed è una ItaSasu NO INCEST. Dedico questa fanfiction a Sasuke in primis dato che è il suo compleanno,
al forum Kizuna SasuNaru, e a Jane (Mente Libera) che è quell'amica che mi ha spinto a pubblicarla qui oltre che sul forum.
Spero vi piaccia, io ce l'ho messa tutta per farla uscire decente!
Baci!

  
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