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Autore: Aliaaara    24/07/2013    1 recensioni
Itachi ha appena avuto la notizia che è nato il suo fratellino.
Ma non sarà particolarmente contento. Il fatto che le cose non si possano pianificare, lo mettono in difficoltà.
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi, Sasuke Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Diventare Fratellone

Itachi se ne stava tranquillamente seduto sulla sedia della sala d’aspetto, nel più totale silenzio, con le mani che giocavano tra di loro, incrociandosi e stringendosi per l’attesa. Ormai era lì da un po’ a rimuginare sul da farsi, ed a aspettare che qualcuno lo venisse a chiamare.
Era stato avvisato quella mattina del fatto che, il giorno prima, era nato il suo presunto fratellino. Gli avevano detto di andare nell’ospedale di Konoha quella mattina stessa per poterlo vedere.

Itachi doveva ammettere che era dal giorno prima che non rivedeva i suoi e, più che altro, si trovava lì solo per fare felici proprio questi.
Insomma, non era molto entusiasta del fatto di diventare il fratellone di qualcuno. In parte era dovuto al fatto che non aveva la più pallida idea di come ci si dovesse comportare. Ma una buona parte, stava nel fatto che non ne voleva sapere niente di bambini. La cosa lo irritava.
Decisamente. Era già un miracolo che riusciva a sopportare suo cugino Shisui. Il quale, anche se provava nei suoi confronti molto rispetto e gli era grato per varie cose, si comportava come qualunque bambino della sua età, facendo domande stupide, piangendo quando si faceva la bua e si lamentandosi quando non gli veniva data una cosa.

Stressante. Questa era la parola esatta da mettere.

Anche se gli Uchiha erano famosi per il loro sguardo freddo e impassibile, i bambini mandavano a quel paese la loro reputazione per poi fare un piagnisteo con cui potresti camparci a vita se ti nutristi di questo.

Itachi a volte infatti si sentiva solo ed unico nel suo genere. Non si era mai lamentato, faceva ciò che gli era chiesto ed era già pronto per il suo futuro da protettore del villaggio, entrando a far parte magari del corpo di polizia come suo padre. Si vedeva già, in un futuro prossimo, a svolgere incarichi e missioni per la salute del suo amato villaggio. E lo avrebbe fatto.

Tornando al fatto che stava aspettando da un ora che lo chiamassero per vedere il pargolo, non era per niente entusiasta. Si immaginava  già il bambino che strillava dalla mattina alla sera, che aveva bisogno di attenzioni, che si lagnava, che doveva essere cambiato e che aveva bisogno di tutte quelle cose indispensabili e che non poteva far da solo, per il sol fatto di essere piccolo.
Infondo non erano così i bambini? Itachi li riassumeva con poco. Pensava che la sua vita d’ora in poi sarebbe stata tutta stressante e irritante. Infatti si trattava di questo, i bambini facevano sempre le stesse cose irritanti a cui bisogna provvedere. E lui sarebbe stati uno di questi, certamente avrebbero approfittato del suo nuovo titolo di Fratello Maggiore per fargli fare tutte quelle brillanti cose.

Il ragazzo si vedeva già nei lavori e immaginava cosa avrebbe fatto il pargolo dalla mattina alla sera: dormire, mangiare, lagnarsi, essere cambiato, piangere, essere cambiato, dormire, mangiare, piangere, essere cambiato, lagnarsi, piangere, piangere, piangere e … lo aveva detto piangere?
Boh, che importa. Rimaneva il fatto, che per quanto Itachi fosse pronto per prendere posto tra i membri del suo clan, non lo era nel fatto di diventare un fratello modello.

“Itachi, sei felice di diventare fratellone?” chiese per la cinquantesima volta quella mattina Shisui, affianco a lui nelle sedie dell’ospedale.

Sinceramente si chiedeva il come e il perché se l’era portato dietro quella mattina. Aveva affrontato vari dilemmi nella sua vita, piani e macchinazioni. Ma nulla però che il suo cervello non potesse ne pianificare ne elaborare velocemente.

Ciò però, il fatto che suo cugino fosse lì, rimaneva ancora un mistero nella sua mente.

“Non lo so” rispose semplicemente in modo automa e ripetitivo.
Itachi non era nemmeno sicuro di sentire le domande stressanti che gli rivolgeva il cugino ripetutamente. Si sentiva come in uno stato di trans, incosciente e cosciente nello stesso momento.

“Itachi, gli insegnerai a diventare un ninja?” chiese ancora il bambino.

“Non lo so” ripeté l’altro con lo sguardo perso di fronte a sé.

“Itachi, gli darai da mangiare tu?”.

“Non lo so”.

“Itachi, lo porterai a scuola e lo andrai a prendere?”.

“Non lo so”.

“Itachi, lo proteggerai dai gatti randagi del vicolo?”.

“Non lo so”.

“ Itachi, tu e il tuo fratellino giocherete insieme?”.

“Non lo so”.

“Itachi, ogni sera gli darai il bacio della buona notte prima di andare a letto?”.

“Non lo so”.

“Itachi, non sai mai niente” disse infine il cugino guardandolo interrogativo.

“Lo so” si limitò a dire l’altro.
Forse il suo subconscio era attento alle domande che gli faceva quell’ebete di suo cugino.

“Non sai niente ma sai che non lo sai. Tsk, poi ti lamenti che gli altri ti credono strano” disse il cugino portandosi le braccia dietro alla testa col fare annoiato.

“Taci Shisui, prima che mi venga l’emicrania” lo zittì l’altro prima che il bambino ricominciasse a sputargli altre domande in viso, senza ritegno.

Infondo Itachi aveva risposto sinceramente a quelle domande. Lui non sapeva cosa sarebbe successo con suo fratello, non sapeva che rapporto ci sarebbe stato e non sapeva se ci sarebbe andato d’accordo. Questo, il fatto di non poter pianificare nulla per la prima volta nella sua vita, lo spaventava.



Dopo un altro quarto d’ora di attesa, nella cui Shisui ricominciò a sparare domande a Itachi e quest’ultimo pensasse alla possibilità di un suicidio provvisorio, finalmente l’immagine di suo padre compare nel corridoio. Il padre, Fugaku Uchiha, teneva in volto lo sguardo serio e impassibile che lo caratterizzava il più delle volte e che non permetteva ad altri di prevedere le sue mosse.

“Itachi, vieni. Puoi entrare” disse l’uomo rivolto al figlio, appena lo raggiunse, per poi dedicare uno sguardo al nipote “Shisui, sei venuto anche te. Non ti offenderai se te lo rubo un attimo, no?” chiese l’uomo cordialmente.

“No, certamente!” rispose il ragazzino dando una pacca nelle spalle di Itachi, mentre questo si rialzava dalla sedia e notava le sue gambe intorpidite “Dacci dentro Itachi!” gli disse come incoraggiamento.

Itachi, mentre suo padre gli faceva strada verso la camera dove stava sua madre, non seppe se ritenersi fortunato dall’essere scappato da suo cugino o sfortunato visto quello che lo attendeva.

Passarono per vari corridoi finché in padre non imbucò una stanza, facendo segno al figlio di precederlo. Itachi capì subito ed entrò nella stanza del’ospedale.
La prima cosa che gli balzò all’occhio fu la stanza ampia e bianca, praticamente vuota, nella quale stava un lettino a baldacchino d’ospedale, su cui c’era sua madre.
Mikoto stava seduta con la schiena appoggiata allo schienale dell’etto, un sorriso dolce e rilassato in volto, e un fagotto in mano.
Itachi si avvicinò lentamente, in modo tale di far vedere la sua presenza a sua madre, senza sorprenderla.
Lei appena lo vide sorrise più ampiamente e lui si fermò vicino ai piedi del letto della donna, incapace di avvicinasi ancora.

“Vieni avanti, Itachi” disse la madre con un sorriso “C’è qualcuno che vorrei presentarti” .

Il bambino non se lo fece ripetere e avanzò fino ad arrivare a sua madre. Questa, con ancora il sorriso raggiante in volto. Intanto suo padre li aveva raggiunti e si era postato dall’altra parte del letto, affianco a sua moglie.

Itachi posò lo sguardo sul fagotto che teneva in mano la madre. Questa, accorgendosene, spostò delicatamente l’indumento ai lati e si avvicinò al figlio maggiore per fargli vedere il suo fratellino.
Itachi rimase di sasso quando lo vide.
Era piccolissimo, secondo lui, anche se poi pensò che tutti i bambini appena nati dovessero essere così. Il piccolo aveva delle braccia piccole e un corpo un po’ più abbondante di queste. La testa era leggermente rossa, per via del calore ricevuto fin a quel momento dal tessuto che lo avvolgeva, nonostante ciò però si poteva ben notare la carnagione chiara e bianca come il latte. Come sua madre. In testa il piccolo aveva già qualche capello, anche essi dello stesso colore del suo clan.
Gli occhi li teneva chiusi. Forse stava dormendo, pensò il ragazzino vedendo il pargolo tranquillo.

Quello che però stupì Itachi erano le manine, così piccole e microscopiche che sarebbe bastata la punta del dito per accarezzargliele senza fargli male. Istintivamente il ragazzino avvicinò una mano al bambino, per poter toccare lui stesso con l’indice la piccola manina e costatarla lui stesso.
Appena toccò quel piccolo arto si stupì del calore che emanava, si sentiva come se fosse stato scottato, e della delicatezza della pelle. Appena cercò di allontanare il dito, esso venne preso da quella piccola manina, ed il ragazzo notò come essa avesse bisogno anche dell’altra per riuscire a fare il giro di tutto il suo dito.
Sembrava che il piccolo sapesse che lui fosse lì e che non volesse che lo lasciasse solo.

“Itachi, questo è Sasuke” glielo presentò la madre con il sorriso ancora in volto, pieno di felicità “Sasuke, questo è Itachi. Il tuo fratellone” lo presentò di conseguenza.

Il piccolo, come se avesse capito le parole della madre, aprì gli occhi e li puntò sul fratello, fissandolo intensamente. Itachi fu sorpreso di quel gesto, rimanendo a fissare gli occhi color pece del suo fratellino e essere incantato da come il bimbo cercasse di tenere il dito del ragazzo, stringendo la presa anche se non riusciva a fare molto, e non accennando a mollare.
Itachi si perse nei pensieri.

Pensò a come un essere così piccolo, potesse diventare grande tanto in fretta. A come fosse solo al principio da cosa succederà nel futuro. A come tutti, prima o poi partono così come lo è quell’esserino, per poi diventare come sono adesso. Pensare che prima o poi esso potrà parlargli, confrontarlo, fare molte cose insieme. Si immaginò lui stesso, che portava il bimbo a scuola e come quest’ultimo fosse emozionato per il suo primo giorno, che gli insegnava a tirare i Kunai e che lo rimproverava di fare più attenzione ed a non farsi male. A come, quando cresciuti insieme, avrebbero partecipato a missioni difficili, coprendosi le spalle a vicenda, compiendo incarichi per gli Hokage e magari, partecipare con il loro padre a casi importanti. Ridere insieme, fare le esperienze dandosi consigli a vicenda, aiutarlo con la sua ragazza, sposarsi, avere figli e nipoti.

Per Itachi era difficile immaginare cose del genere in un possibile futuro. Era una cosa così sorprendente che lo rendeva in un certo senso, felice.
Felice perché sarebbe stato al suo fianco, per vedere tutto ciò.

Il ragazzino sorrise leggermente per poi scossare il proprio dito lentamente, come se si stessero stringendo la mano “È un piacere fare la tua conoscenza, Sasuke” disse felicemente al bimbo che non gli staccava gli occhi di dosso.

Mikoto si stupì dell’espressione del fratello maggiore. Era il più bel sorriso che gli aveva visto in volto da quando il bambino aveva visto la distruzione e la disperazione che aveva portato la Terza Guerra Ninja. Questo la rese felice, facendola sorridere ancora più ampiamente e teneramente.

“D’ora in poi dovrai darti da fare Itachi, per essere presente quando Sasuke avrà bisogno di te” disse il padre con un mezzo sorriso in volto, che però manteneva il suo sguardo severo.

Itachi annuì lentamente, non perdendo il contatto visivo col suo fratellino “Sì, ce la metterò tutta” disse.

Questa per lui era una promessa.
Era vero. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva come sarebbe andata a finire e non sapeva a come rispondere alle mille domande di Shisui. Ma si sarebbe impegnato al massimo per essere un buon fratellone per Sasuke, gli sarebbe sempre rimasto accanto, si sarebbe dato da fare. Lo avrebbe riempito della sola cosa che era sicuro che non avrebbe sbagliato a dargli: l’amore.

Qualunque cosa lui avrebbe fatto, Itachi lo avrebbe amato per sempre.

Qualunque cosa accada.


 




“Itachi!!! Mi sono fatto la pipì addosso!! Vieeeni a pulireee!”.

O almeno, ci avrebbe provato. 







 

  
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