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Autore: Jeggi    25/07/2013    0 recensioni
Tutti dovrebbero avere la possibilità di scegliere se venire al mondo o no. Ma, visto che ciò non è possibile, non ci resta della scelta finale. Non ci resta che scegliere quando e se scendere da questa giostra, in continuo movimento.
"Così aveva finalmente deciso. Era tutto pronto, tutto perfetto.
Aveva fatto ogni cosa con meticolosa perfezione, si era impegnata, sapeva che quelli erano i più importanti momenti della sua vita, perché erano proprio quelli che l'avrebbero spenta."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Caroline ci aveva provato, ci aveva sempre pensato tanto.
Era più il tempo che passava alla ricerca di un modo per morire, che quello sfruttato per vivere.

Si era informata, aveva cercato pareri, aveva letto pensieri di altri aspiranti suicidi e le erano sembrati tutti maledettamente stupidi.
Dentro di sè sapeva, lo sapeva di non essere molto diversa da loro.
Aveva anche già scritto una lettera d'addio. Una lettera modificata più e più volte, doveva essere precisa, non doveva suscitare compassione, non doveva procurare dolore.
Aveva scritto della sua vita, del suo odio costante verso la vita. Non l'aveva mai desiderata, mai. Solo qualche sporadico momento di serenità punteggiava il cielo nero sopra la sua testa.
Non era stato suo desiderio nascere, era una cosa a cui l'avevano costretta i suoi genitori. Lei avrebbe preferito non essere nata.
Aveva scritto pure questo, nella lettera.
Nessuno dovrebbe avere il diritto di scegliere per la vita altrui.
E sapeva che non avrebbe mai voluto dei figli, per non costringerli a vivere, com'era successo a lei.

Ma lei aveva anche deciso che era ora di scegliere il "come" andarsene.
Aveva trovato da lavorare apposta, mettendo via il denaro, pian piano, era riuscita a racimolare la somma giusta per il rituale funebre.
Era stanca, stanca di vivere. Stanca di sentire il proprio peso addosso, stanca di avere responsabilità che non voleva, stanca di sentire emozioni, stanca di essere così maledettamente viva. Stanca, come se uno dei suoi anni valesse in realtà tre volte il tempo vissuto. Stanca, troppo stanca.
Non avrebbe mai chiesto aiuto a uno psicologo, sapeva ciò che voleva: la morte.

Fine dei giochi, stop. Fermate la vita, voglio scendere.

Le veniva da ridere, pensando alle riflessioni che avrebbero fatto i parenti e gli amici, dopo.


Sapeva che si sarebbero chiesti: Potevo fare qualcosa per aiutarla? E se, quella volta, fossi rimasto a parlarle? Se solo avessi ascoltato... Perché non me ne sono accorto? Potevo cambiare qualcosa, potevo fare qualcosa di più e non ho fatto nulla?

E lei, dentro la sua testa, si diceva NO.

No, non potevi aiutarmi. - No, parlare con me non sarebbe servito. - Nemmeno ascoltare. - No, nessuno poteva cambiare le cose, perché sarebbe stato come cambiare ME.
E nessuno poteva nè potrà cambiarmi.


Ecco a cosa pensava.

Voleva però essere clemente con il suo corpo.
Aveva scelto una morte dolce ma lenta, avrebbe preso tre o quattro paia di antidolorifici, sarebbe andata al bagno e lì, appoggiata sul suo materasso preferito - per non sporcare a terra - si sarebbe lasciata morire dissanguata.
Due tagli per braccio, profondi. Una lametta di scorta perché sapeva che, perdendo sangue, si sarebbe sentita troppo debole. E probabilmente la prima lametta le sarebbe caduta.
Non voleva lasciare nulla al caso.

Aveva scelto con cura ogni cosa.
Il giorno prescelto era quello del suo ventunesimo compleanno, aveva domandato ai familiari di lasciarle casa libera, per poter dare una festa.
Loro erano piuttosto contenti della cosa, speravano le fosse passata la fase odio-il-mio-compleanno-perché-non-voglio-invecchiare.
Lei era già vecchia dentro, ma nessuno voleva vederlo.

Il compleanno era quello giusto, sin da piccola la sua idea era di morire a ventuno anni.
Non sapeva nemmeno lei il perché, semplicemente si era incollata sulla coscienza una data di scadenza.

Aveva cercato anche di confidarsi, talvolta, pensando di avere idee malsane. Odiava però sentirsi dare la definizione di una qualsiasi malattia psicologica, scoperta da un dottore qualsiasi e provata sulla pelle di troppe persone qualsiasi.

Aveva quindi ascoltato persone parlare di quanto è bello il mondo, di quante cose ci sono da vedere, di quanto affetto e amore possiamo dare e ricevere, di quanta meraviglia ci sia in tutta la vita.
E si sentiva sola, mentre ascoltava questi discorsi.
Si sentiva la nota dissonante in un' assurda melodia, di cui non avrebbe mai potuto nè voluto far parte.
Possibile che nessuno cogliesse l'illusione della bellezza?
Possibile che nessuno capisse la fugacità dei sentimenti?
L'amore non l'avrebbe mai potuta salvare, perché non si era più permessa di amare nessuno, dopo aver perso quelle persone così importanti per lei...
L'amicizia, beh, le era servita a farla durare per quei ventuno anni, la aveva aiutata a non mollare tutto prima del tempo.

Così aveva finalmente deciso. Era tutto pronto, tutto perfetto.
Aveva fatto ogni cosa con meticolosa perfezione, si era impegnata, sapeva che quelli erano i più importanti momenti della sua vita, perché erano proprio quelli che l'avrebbero spenta.
Non aveva sentito nemmeno troppo dolore, era stato tutto semplice, perfetto, esattamente come voleva.
Aveva lasciato una lunga lettera, sul tavolo della cucina. Un piccolo messaggio a testa, uno per tutte le persone che voleva salutare.
Sì, ti volevo davvero bene, non è colpa tua. - No, non avresti potuto aiutarmi in alcun modo. - Era ciò che volevo. - Ora finalmente ho fatto una scelta solo mia, ma ti vorrò bene per sempre. - Non essere triste per me. - Ti voglio bene.
Eccetera.
Ogni cosa era giusta, era riuscita perfino a non sporcare quasi da nessuna parte, eccezion fatta per alcune gocce di sangue cadute a terra.
Un lavoro praticamente perfetto.







Caroline si sveglia, all'improvviso.
Si sente confusa, non capisce dove si trova, sente qualcuno che le parla ma non riesce a identificarne la voce.
Poi pian piano la vista migliora, capisce dove si trova e la sua disperazione è totale.
Non ce l'ha fatta.

Osserva con calma le persone che la guardano, legge la felicità nei loro sguardi. La felicità di vederla lì, a occhi aperti, mentre respira.
Allora cade tutto. Il suo castello crolla, lasciandola in mezzo a pesanti rovine, inerte e incredula. Non le interessa più non far soffrire gli altri, non le interessa più nulla.

"Credete di avermi salvata oggi. In realtà mi avete uccisa, e in un modo peggiore di quel che avrei fatto io."

Poi il silenzio, non dirà più nulla, lo sa.
Il momento era quello, le hanno rubato il suo momento, la sua unica scelta consapevole.
Ed ora è costretta a vivere.
  
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