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Autore: Phantom13    26/07/2013    2 recensioni
Storia che si svolge in seguito agli eventi di Twilight Princess.
Un eroe che non vuole essere tale, costretto a dover affrontare le conseguenze delle sue azioni: sopportare gli sguardi piedi di venerazioni, di rispetto e gratitudine profonda della gente. Una vita di gloria che lui, l'eroe del Crepuscolo, abituato a combattere nelle ombre, silenziosamente, invisibile a tutto e a tutti, non vuole.
Quando la Triforza chiama, lui deve rispondere, volente o nolente.
Dal capitolo cinque:
"Compagni di un destino condiviso da millenni a quella parte; condannati a dover combattere un’eterna battaglia senza fine nel nome della Triforza; qualche volta erano stati amici, altre volte qualcosa di molto di più, ma non quella volta. Entrambi avevano la consapevolezza di essersi già conosciuti in ère già morte."
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In questa fic, l'atmosfera generale sarà sul serio-triste, com'è lo stile di Twilight Princess. Non aspettatevi dunque una storia d'amore tra Link e Zelda. Sarà più che altro una fic che (si spera) faccia riflettere.
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Link, Princess Zelda, Un po' tutti | Coppie: King of Red Lions/Daphnes Nohansen Hyrule
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2

A clouded sky
a troubled past
good things never seem to last
...


Che cosa avessero da guardare lui non lo sapeva.
Era arrivato ad borgo di Hyrule passando dal portone sud, il più maestoso dei tre. Aveva spronato Epona su per gli appositi passaggi per equini tra le rampe di scale, aveva superato la zampillante fontana di un azzurro impossibile e aveva raggiunto il ponte levatoio. La cavalla era ancora là davanti, forse invece era tornata sul prato, in fondo, a completare la colazione che era stata brutalmente interrotta. Aveva anche incontrato Xenia, venendo. L’aveva trovava accoccolata nel bel mezzo di una chiazza di fiori di prato, nel fantomatico regno degli insetti, la ragazzina aveva regalmente alzato la testa verso di lui, gli aveva fatto un breve inchino con il capo per poi salutarlo con la mano. L’aveva trattato così da sempre, quindi nulla di per sé era cambiato.
Non così si poteva dire di tutte le persone del borgo che ora lo stavano guardando, meravigliate. Non erano occhiate lunghe, le loro, solo fugaci sguardi della durata di qualche secondo ideate per appagare l’insaziabile curiosità che li doveva senz’altro rodere di vedere dal vivo il leggendario eroe. Occhiate rispettose, piene di venerazione e silente ringraziamento, lievi e rapidi inchini, riguardose riverenze.
Di per se non avrebbe dovuto reagire così male ai gentili modi di quelle persone che in fondo stavano solo esprimendogli il loro ringraziamento per aver salvato loro e tutto il regno. Non avrebbe dovuto esserci qualcosa di strano in ciò, a tutti fa piacere venir ripagati per i proprio sforzi.
Ma ai suoi occhi, tutto quel ringraziamento non faceva altro che incollargli addosso ancor di più quel ruolo di eroe che lui non aveva mai voluto. Gli Spiriti della Luce gli avevano praticamente infilato a forza la tunica verde, trasformandolo da lupo a persona, appioppandogli di conseguenza tutte le responsabilità che essa si trascinava dietro da millenni: “va’ e salva Hyrule. Ma sta attento che c’è un’entità malvagia che vuole farti la pelle”.  Certo, all’epoca l’unica sua preoccupazione era riportare indietro Ilia e i bambini di Tauro ma la guerra per Hyrule l’aveva combattuta lo stesso. L’avevano spedito in un’avventura mille volte più grande di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. Egoisticamente, però, nell’intimità del suo cuore, tutto quello che lui aveva voluto davvero era salvare le persone a lui care. Solo quello: preservare quella vita pacifica che esisteva un tempo. E per fare ciò l’avevano costretto ad abbandonarli, abbandonare quelle persone e quella vita. L’avevano costretto a lasciarseli dietro.
Ora come allora.
E questo non riusciva a perdonarlo. Ma non era solo il risentimento verso la Principessa e anche un po’ verso la Triforza stessa, qui si parlava anche di altro, il vero problema del quale non riusciva a liberarsi.
Aiutare chi aveva bisogno gli era sempre piaciuto, non si sarebbe mai lamentato di ciò. Ma gli dava davvero fastidio che ora tutti continuassero a pretendere miracoli da lui, sebbene di minacce non ce ne fossero più. Tutti, Zelda compresa, avevano la convinzione che se ci fosse stato lui non avrebbero più avuto nulla di cui preoccuparsi. Ecco cosa odiava di quegli sguardi: sotto al ringraziamento e al rispetto vi era un non indifferente strato di vulnerabilità. Lo guardavano come se fosse il salvatore piovuto giù dal cielo per proteggerli. Niente di più infondato! Triforza del Coraggio? Certo, ma quante volte, mentre combatteva bestie enormi e ripugnanti, avrebbe giurato che il suo cuore non avrebbe retto dalla paura?
E quante volte, per le attuali richieste di aiuto della Principessa e del suo popolo, era stato costretto a lasciarsi di nuovo dietro le persone che amava? Aveva promesso già due volte a Colin di portarlo a pesca ma in entrambi i casi una lettera dal Castello aveva mandato all’aria i loro piani. Allo stesso modo, era stato costretto a mancare al compleanno di Ilia. Ora come allora …
Con il costante timore che qualcosa andasse storto e che lui ci lasciasse la pelle, diceva addio ai suoi amici alla mattina quando, montata Epona, correva da Zelda e ringraziava con tutta l’anima le Dee quando tornava a casa la sera. E non era detto che ci tornasse incolume. O che ci tornasse affatto.
Insomma, l’unica cosa che lui voleva davvero era quella che nessuno poteva dargli: rivoleva indietro la sua vita di prima. Ma anche se le richieste di aiuto dal borgo fossero diminuite, la ferita lasciata dall’avanzata del Crepuscolo non si sarebbe rimarginata. Non era una ferita fisica, era soltanto una sensazione, un’odiosa sensazione che gli impediva di assaporare di nuovo un semplice pomeriggio passato a far la guardia alle capre sdraiato sull’erba. Un’avventura di quelle proporzioni gli aveva mozzato la possibilità di avere di nuovo una vita normale.
Ogni notte sognava battaglie, ogni giorno si aspettava nemici dietro agli angoli, ogni giorno scalpitava se rimaneva fermo più di due minuti. Quando l’azione ti entra dentro, non se ne va più. Quando vivi una tale avventura, sai che non c’è via di ritorno, che la tranquillità non sarà più un’opzione percorribile.
Donandogli la Triforza, le Dee avevano cancellato dalla sua vita quella dolce, monotona parola chiamata “normalità”. Gli avevano strappato la speranza di un futuro.
Tutto quello che vedeva davanti a sé era una continua battaglia, una continua irrefrenabilità che l’avrebbe costretto a galoppare ininterrottamente per le piane di Hyrule a caccia di mostri e avventure mentre tutto ciò che voleva il suo cuore era essere a casa.
E ci aveva provato, a rimanersene buono e fermo. Ma tutto quello per cui aveva combattuto, la pace, ora gli sembrava infinitamente sbiadita, annebbiata, tetra. Non faceva per lui.
Da quando si assaggia la guerra, la pace sta scomoda.
Il colore del buio non si dimentica.
-Ehi, roccia!-
Link sobbalzò, abbassando lo sguardo sul piccolo goron che lo guardava con occhietti brillanti. Certo, si disse, il figlio del venditore di acqua termale. Uno dei pochi fatti positivi della sua forzata carica di eroe era che si era fatto un sacco di amici stranieri delle più svariate etnie. Tra goron, zora, skull kid, eterei, bizzarri yeti delle nevi, fate e addirittura bulblins, che giurarono fedeltà a “colui che è dotato di coraggio”, ce n’era davvero per tutti i gusti.  Si avrebbe anche dovuto aggiungere la Stirpe dell’Ombra ma … loro non erano più contattabili.
-Ciao.- lo salutò indietro con un sorriso.
-Vieni spesso da queste parti, ultimamente.- ridacchiò il piccolo ammasso di pietre, tutto felice.
-Non per scelta mia.- si sentì dire prima di riuscire a tapparsi la bocca.
-Come mai?- chiese il piccoletto, che pesava minimo dieci volte lui.
-Lascia stare.-
Il goron sembrò affranto, i suoi occhietti neri si puntarono a terra. –Senti!- si riprese in un lampo. –Vuoi un po’ di acqua termale? È appena arrivato un nuovo carico dal Monte Morte! Ne vuoi un po’?-
Link sorrise. Non se la sentì di dire di no. –D’accordo.- disse, frugandosi nella bisaccia alla ricerca di un’ampolla vuota. La trovò e la consegno al piccoletto che, saltando bellamente la fila di gente, la consegnò al padre.  Mentre il mastodontico goron riempiva l’ampolla con una grazia impensabile, Link tirò fuori le rupie per pagare.
-No!- strillò il piccolo goron. –Per roccia è gratis, l’acqua.-
Gli occhi blu dell’hylian si serrarono. –Se non prendi queste rupie non ti parlerò mai più.-
Il messaggio parve far effetto. L’aria mortificata del piccolo goron e la sua fulminea reazione a prendere le rupie che Link gli stava porgendo gli fecero capire che aveva capito. Gli sorrise. –Non voglio trattamenti speciali.-
Il piccolo goron sorrise pure lui, mostrandogli una fila spaventosamente lunga di denti spaiati. –Va bene, roccia. Capito! Volevo solo farti un favore, io.-
Link si inginocchiò abbassandosi alla sua altezza e mettendogli una mano, quella con la Triforza, sulla testa a mo’ di carezza. –L’unico favore che voglio è quello di venir trattato normalmente. Va bene?-
Il piccolo goron annuì con convinzione anche se l’hylian non era convinto che avesse afferrato davvero. Gli venne ridata l’ampolla piena e, salutati i due, Link si avviò per la via del mercato.
Si impegnò a smettere di notare le occhiate e i saluti della gente, ma non gli riuscì troppo bene. Tentò invece di concentrarsi sulla magnificenza del borgo.
La via del mercato era in assoluto la più bella. Brulicante di vita, un viavai continuo di gente gonfiava l’aria di chiacchiericci. Le bancarelle variopinte spandevano tutto attorno ondate di profumi, fiori, pane, frutta. I venditori chiamavano i passanti con forti grida, attirandoli verso le proprie mercanzie. Due soldati passarono di lì, ridendo si infilarono nella strettoia che portava alla taverna di Telma.
L’unico inconveniente era che bisognava far attenzione a dove si camminava. Link schivò per un soffio una bassa vecchietta che, cieca come una talpa, non aveva neanche fatto finta di accorgersi di lui.
Un altro aspetto positivo della marea di gente del mercato era che lui si mimetizzava meglio, le persone non lo notavano nella moltitudine.
Il sole era alto nel cielo, scintillava prepotente oltre i tetti di legno delle alte case del borgo, caratterizzate da marcate intelaiature dello stesso materiale. Una vitalità difficile da trovare altrove. Lo stomaco gli mandò un cocente brontolio. Non era ancora mezzogiorno ma ci mancavano poche ore e dalla colazione era passato troppo tempo. l’ultima bancarella, quella del panettiere, cascò a fagiolo.
Link si avvicinò, tirò fuori le rupie e si prese una bellissima, abbronzata, crocchiante michetta fresca fresca. Mentre il buon umore tornava in lui e il buon pane andava a consolare il suo desolato stomaco, Link raggiunse la piazza centrale.
La fontana con il sacro simbolo di Hyrule scintillava come se fosse stato argento liquido anziché acqua quella che spruzzava nell’aria. tutt’attorno la gente camminava e correva, ognuno impegnato nelle sue faccende. Piccoli grappoli di passanti si fermavano a chiacchierare benigni, altri si appostavano al bar, seduti sulle sedie, al riparo dal sole sorseggiavano fresche bevande. Molti, notò con un sorriso Link, si fermavano al negozio che Birbo aveva aperto. Gli affari andavano alla grande, pareva.
Lui però non si fermò. Andò dritto, superando la bottega, passando davanti alla banda che ogni singolo giorno allietava la piazza con canti e canzoni, puntava al castello. Le guardie ai lati della via gli fecero il saluto, battendo a terra le loro lance. Link in risposa abbassò lievemente il capo.
Raggiunto il portone, due guardie lo aprirono per lui.
Lo spettacolo dall’altro lato lo lasciò a bocca aperta, esattamente come la prima volta. Il corpo centrale del castello svettava fiero verso il cielo, stendendo le sue braccia di pietra verso le mura esterne, dalle torri secondarie. Il sole giocava, tra quei raggi di pietra, rimbalzandovi contro e andando ad impigliarsi nei cespugli del giardino.
Era cambiato, però, quel castello dai tempi in cui Ganondorf per poco non lo conquistò. Ora tutte le impalcature di legno edificate dai bulblins erano sparite, non c’erano più quelle mostruose creature alate a solcare i cieli. Le uniche impalcature erano quelle adibite per terminare di ricostruire le parti danneggiate, gli unici a volare erano i piccioni. A terra non zampettavano più viola bokoblins, camminavano solamente servi, cameriere e nobili figuri. La nobiltà di Hyrule ora era tornata ad abitare quel castello e Link si sentì automaticamente fuori posto.
Il suo titolo di eroe prescelto dalle dee gli conferiva ovviamente uno status diecimila volte più alto del loro, ma a lui non piaceva identificarsi in quel leggendario individuo nel quale ancora non si riconosceva. Ancora non ci aveva fatto l’abitudine, credere di essere davvero l’erede di tutti gli eroi delle favole gli era ancora inconcepibile, per quanto strano. E pensare che la sua battaglia l’aveva già combattuta. Eppure quando pensava a sé stesso si vedeva semplicemente come Link, il giovane contadino guardiano delle capre di Tauro, non come l’eroe prescelto dalle dee e detentore della Triforza del Coraggio. Inutile dire che si sentiva decisamente a disagio nell’aristocrazia di Hyrule. Specialmente quando i nobili, a differenza dei popolani, lo guardavano con gelosia. Sì, gelosia.
Una novità anche più odiosa.
I nobili gli facevano tornare la voglia di rivedere le occhiate inzuppate di aspettativa del popolo. Gli aristocratici vedevano in lui un mezzo per elevare le loro figlie, per guadagnare fama e titoli. Uno squallido indicibile. Invidia, i loro figli, tutti dieci volte più perfetti di quanto fosse Link, avrebbero potuto essere loro gli eroi prescelti. Incomprensione, come poteva quel semplice campagnolo esser stato scelto quando i loro figli no? Cosa aveva lui di così speciale?
Questo vedeva Link nei loro occhi. Ed era diecimila volte peggio degli sguardi speranzosi dei popolani nei quali si identificava diecimila volte meglio.
Sospirò. In un modo o nell’altro, ecco perché gli risultava enormemente antipatico venire al borgo. Dopo essere stato al castello, però, le vie cittadine non erano più un problema. Rimpiangeva il tempo in cui la gente che lo incontrava per strada lo chiamava semplicemente “spadaccino” e l’unico merito che aveva era quello di aver salvato un bambino zora portandolo a Calbarico.
Scrollando la testa, raggiunse il portone principale. Un soldato lo informò che era atteso e lo accompagnò alla sala dove si trovava la Principessa. Per quante volte Link fosse già stato in quel castello, mai una volta era riuscito a non meravigliarsi che là, dietro quel muro, dietro quell’angolo, vi fosse una stanza che non aveva mai notato. Quel posto era semplicemente enorme. Come facesse Zelda a raggiungere la sala pranzo prima di morir di fame rimaneva un mistero.
La prima cosa che notò quando raggiunsero la saletta secondaria, ovviamente munita di trono, era che la Principessa di Hyrule, detentrice della Triforza della Saggezza, non era sola.
Tre individui mai visti prima le stavano al fianco.
-Ben arrivato.- lo salutò lei con un sorriso tirato.
 

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Di questi giorni mi sento inspiegabilmente triste ... prometto che i prossimi capitoli saranno più allegri. Questo in particolare mi serviva come sfogo ... i prossimi saranno più allegri.
beh ... ci si vede ... 
Phantom13

PS: all'inizio del capitolo ho messo un pezzo di una poesia. Non l'ho scritta io, non è opera mia: l'ho semplicemente ricopiata da internet. L'autore non so chi sia, ma tutti i diritti vanno a lui o lei. Nei prossimi capitoli ci sarà la continuazione. 
traduzione della poesia per chi di inglese non ci capisse nulla: un cielo nuvoloso/ un passato tormentato/ le buone cose non sembrano mai durare/ ... 
  
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