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Autore: The Masked    30/07/2013    1 recensioni
Si alzò dal divano - le Nike affondarono con un tonfo nell'acqua - e si avvicinò con cautela a Derek.
Si ergeva davanti alla finestra a braccia conserte, in silenzio, quasi non calcolasse minimamente la sua presenza, ma Stiles capì che non si era perso un solo movimento: quando gli si accostò ulteriormente fino a sfiorargli le spalle, poté vedere entrambi con gli occhi fissi l'uno nell'altro, riflessi nel vetro.
“Ehi.” Cacciò fuori dalla gola il saluto, forzando le sue labbra a tirarsi in un sorriso. “Come va?” Era una domanda stupida e lo sapeva. La domanda più banale che potesse esserci, quella che aveva sempre odiato sentirsi chiedere, eppure uscì fuori dalle sue labbra senza che la potesse trattenere minimamente. Derek si voltò verso di lui – gli occhi color smeraldo ancora più chiari del normale, trasparenti quasi: bastò quello per fargli capire a pieno il suo stato d'animo e il suo desiderio di non sentirlo parlare. Stiles riuscì a tenere la bocca chiusa per qualche minuto, prima di riprendere a chiedere nervosamente: “Ti serve qualcosa? Un caffè? Oppure, non so...”
“Vai a casa, Stiles.”
[Sterek]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ho provato a scrivere un finale alternativo della puntata 3x07. L'intera one-shot è uno spoiler, sicché se non avete ancora goduto della visione della stagione o della puntata in questione, evitate di leggere e rimandate la lettura ad un'altra volta ^^
Se vi va, durante la lettura, ascoltatevi “Heal my wounds” dei Poets of the fall ^^ Ha fatto da colonna sonora mentre scrivevo e sono sicura l'apprezzerete anche voi.

 

 

 

 

 

 

Heal my wounds

 

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Don't fall down when it's time to arise

No-one else can heal your wounds.”

 

 

 

 

Stiles si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola – un incubo ancora vivido dietro ai suoi occhi e il viso pallido di Heather fisso nella memoria. Non appena Melissa aveva accennato al ritrovamento recente di un cadavere, aveva sperato con tutto se stesso che non si trattasse della vecchia amica d'infanzia con la quale aveva diviso gran parte della sua vita. Quella che faceva il bagno nella piscina di plastica che i genitori gonfiavano in giardino nel periodo estivo, quella con la bocca perennemente macchiata di gelato che lo rincorreva per dargliele di santa ragione, quando combinava qualche marachella delle sue. Si era persino ritrovato a pregare che non fosse proprio lei la ragazza sotto a quel telo, che fosse la ragazza da poco sparita nel bosco e che Heather fosse da qualche parte, a cercare un contatto intimo con un ragazzo più meritevole di lui e che ridesse tranquilla, lontana da quella violenza improvvisa e ingiustificata; ma la preoccupazione la poteva percepire incastrata in gola ed acutizzata dal tremore delle sue dita e, non appena la madre di Scott aveva sollevato il telo per mostrargli il corpo esangue, non era riuscito a proferire parola per diversi istanti. Non era il primo cadavere che aveva visto nella sua vita e ricordava a stento il periodo in cui lui e Scott andavano continuamente alla ricerca di situazioni pericolose come se tutto fosse un gioco. Come se la gioventù stessa potesse proteggere entrambi dall'atrocità del mondo, mentre la realtà era ben diversa. Era stato lui, quella notte di non molti mesi prima, a proporre a Scott di andare alla ricerca del corpo tagliato a metà, lui ad avere sempre avuto quella curiosità quasi morbosa per la violenza e che, volente o nolente, aveva dato il via a quella serie di avvenimenti. Era come la sostanza infiammabile che permette al fiammifero di accendersi, se sfregata su una superficie ruvida. La scintilla che, se non controllata, rischia di divampare in un incendio che distrugge ogni forma di vita riducendola in cenere.
Non aveva quasi battuto ciglio, quando aveva scoperto della licantropia di Scott; aveva perso il sonno un'intera nottata per scaricare materiale da internet alla ricerca di informazioni attendibili, ma non ne era rimasto sconvolto o impaurito. Nemmeno quando Scott aveva tentato di ucciderlo per l'incapacità di dominare la trasformazione o quando si era ritrovato in situazioni potenzialmente pericolose, aveva provato così tanta paura. Le vicissitudini che viveva quotidianamente erano ben diverse da quelle di un adolescente normale, ma questo rappresentava un'anomalia affascinante ai suoi occhi. Una diversità contorta, ma, allo stesso tempo, tremendamente seduttiva, perché ogni ragazzo sogna di vivere una vita al di fuori degli schemi prestabiliti e lui la stava vivendo pienamente. Ma la gravità della situazione non aveva faticato a raggiungere i suoi occhi ed assieme alle morti, era arrivata la realtà, il senso di pericolo costante, l'iper-vigilanza e la paura che potesse succedere qualcosa di grave alle persone a lui care. A suo padre, il suo mondo. In quel momento, avrebbe dato la sua vita per poter ritornare indietro nel tempo e non trascinare Scott in imprese che avrebbero dato vita a un susseguirsi di avvenimenti che erano incapaci di gestire, ma non poté fare nulla, se non ricacciare indietro la tristezza, fingere che tutto andasse per il meglio ed affrontare a viso scoperto questo nuovo pericolo. Un druido oscuro che mieteva sacrifici umani per scopi che rimanevano un mistero per tutti e, una delle ultime prove a cui erano stati sottoposti, era stata la più crudele di tutti: sia Scott, che Isaac, che Boyd, che Ethan avevano sperimentato sulla propria pelle un crollo emotivo dovuto all'inalazione prolungata di strozzalupo. Vittime delle proprie angosce, erano rimasti in balia di demoni interiori che ledevano ogni parte sana della loro mente e che sostituivano la razionalità con turbamenti amplificati, con paure represse e ricordi troppo amari per poter essere affrontati. Stavolta era stato ancora più difficile salvarli ed il solo ricordo di Scott ricoperto da capo a piedi di benzina, pronto a darsi fuoco, gli faceva venire la pelle d'oca. Avanzare verso la benzina, rischiare la sua vita con la consapevolezza che, quella volta, sarebbe davvero potuto morire tra le fiamme, era stato l'unico modo per porgli un freno e sollevarlo dal baratro in cui era caduto. 
Ricacciò in gola un sospiro tremante, guardandosi attorno e rendendosi conto di non trovarsi nella calda intimità domestica della sua stanza, bensì stravaccato sul divano di pelle di Derek – il pavimento completamente allagato. Cercando di ignorare il mal di testa che imperversava, tentò di rimettere assieme i tasselli delle ultime ore e, pian piano, ogni pezzo del puzzle si collocò nel giusto ordine: Boyd era stato appena ucciso dagli alpha e, quando era arrivato a casa di Derek, l'aveva trovato in stato quasi catatonico, travolto dal dolore per la perdita di un altro suo beta - le mani tremanti ancora lorde del suo sangue. Aveva tentennato solo un istante, prima di appoggiare con delicatezza la mano contro la sua spalla, facendogli percepire la sua presenza e il suo sostegno. Lui era lì per lui e ci sarebbe sempre stato, nonostante tutto. Gli altri si erano occupati di portare il corpo di Boyd via da quel posto, lasciando l'alpha solo nel suo dolore; l'unica che gli si era avvicinata timidamente era stata la sua professoressa e, nel momento stesso in cui gli si era avvicinata per stringergli le braccia al collo sussurrandogli parole gentili all'orecchio, Stiles aveva capito che c'era del tenero fra loro ed aveva indietreggiato di qualche passo. Ma quando persino lei si era incamminata verso casa accompagnata da Cora, Stiles era rimasto lì -immobile- aspettando che Derek lo cacciasse di casa con un ringhio scostante. Eppure, quel ringhio non era arrivato e, sedendosi sul divano per accertarsi a distanza delle sue condizioni, dopo qualche ora di silenzio tombale, aveva finito per chiudere gli occhi, permettendo alla stanchezza che covava da giorni di prevalere. 
Si alzò dal divano - le Nike affondarono con un tonfo nell'acqua - e si avvicinò con cautela a Derek. 
Si ergeva davanti alla finestra a braccia conserte, in silenzio, quasi non calcolasse minimamente la sua presenza, ma Stiles capì che non si era perso un solo movimento: quando gli si accostò ulteriormente fino a sfiorargli le spalle, poté vedere entrambi con gli occhi fissi l'uno nell'altro, riflessi nel vetro. 
Ehi.” Cacciò fuori dalla gola il saluto, forzando le sue labbra a tirarsi in un sorriso. “Come va?” Era una domanda stupida e lo sapeva. La domanda più banale che potesse esserci, quella che aveva sempre odiato sentirsi chiedere, eppure uscì fuori dalle sue labbra senza che la potesse trattenere minimamente. Derek si voltò verso di lui – gli occhi color smeraldo ancora più chiari del normale, trasparenti quasi: bastò quello per fargli capire a pieno il suo stato d'animo e il suo desiderio di non sentirlo parlare. Stiles riuscì a tenere la bocca chiusa per qualche minuto, prima di riprendere a chiedere nervosamente: “Ti serve qualcosa? Un caffè? Oppure, non so...” 
Vai a casa, Stiles.” La sua voce non era dura come al solito, bensì più rauca e spossata. Flebile, come se facesse fatica a sillabare le parole. 
Stiles abbassò lo sguardo verso le Nike, poi lo risollevò per ritrovare gli occhi verdi di Derek mai stati così fragili e scoperti. Il dolore che si intravedeva sotto l'iride era percepibile come un brivido sulla pelle e, senza poter trattenere il gesto, gli strinse il braccio. “Non è stata colpa tua.” disse con voce ferma. “Non attribuirti colpe che non meriti.” 
Derek abbassò lo sguardo sul braccio – quello sguardo che, solo qualche mese prima, l'avrebbe obbligato a scostare la mano immediatamente, adesso lo aiutava a serrare ulteriormente la presa sulla sua pelle. “E' colpa mia. L'ho trasformato io... lui ed Erica. Erano mie responsabilità e io non li ho protetti abbastanza. E' come se li avessi uccisi io.” 
Non è stata colpa tua.” ribadì con decisione. “Non devi sentirti responsabile-”
Che ne vuoi sapere tu della responsabilità di un capobranco? O della consapevolezza di sapere che la solitudine è l'unica strada che ti consentirà di non far del male alle persone a cui tieni?” Gli afferrò la mano ancora ancorata sul suo braccio e gli strinse il polso, allontanandolo da sé. “Che ne vuoi sapere del dolore, Stiles?” Non aveva mai visto Derek così rassegnato, così insicuro e angosciato. I suoi occhi lampeggiavano di un rosso terrificante, ma lui non indietreggiò di un passo, rimanendo nella stessa posizione, a viso alto e lo sguardo fisso nel suo. Occhi incastrati risolutamente in quelli dell'altro. Stiles sapeva che la rabbia aiutava Derek a mantenere il controllo sulla trasformazione, ma adesso c'era solo il dolore ad invaderlo e non aveva abbastanza forza per imporsi un limite. Le sue dita gli entravano nella carne, stringendo il polso talmente forte da fargli temere una frattura al carpo e, in quelle fitte, non c'era nulla di paragonabile al dolore scherzoso che provava quando gli sbatteva la testa su qualsiasi superficie solida o gli tirava pugni per zittirlo. 
Più di quanto credi.” rispose semplicemente, cercando di mantenere una respirazione normale. “Le ferite dovute alle perdite, prima o poi, si rimarginano... col tempo, rimangono solo delle cicatrici che solo tu puoi vedere, ma devi rialzarti per guarire e non lasciarti travolgere dal dolore.” La mano di Stiles tremò sotto le sue dita. “In particolar modo, quando non hai alcuna colpa. Tu hai fatto di tutto per salvarli.” 
Derek rimase ad osservare il ragazzo per diversi istanti, percependo il suo battito cardiaco acutizzarsi, ma il suo sguardo fiero rimaneva fisso nel suo. I suoi occhi ambrati puntati contro, come se gli riuscissero a scavare dentro come nessuno c'era mai riuscito. 
Non abbastanza.” bisbigliò liberandolo delicatamente dalla presa e guardando il punto in cui Boyd era morto. Il suo corpo era sparito, ma lui riusciva ancora a sentirne l'odore e a seguire le scie di sangue diluito nell'acqua. Perdere Erica aveva inclinato qualcosa dentro di lui, ma perdere anche Boyd era stato devastante, poiché sapeva il passato di dolore che quei ragazzi condividevano. Conosceva le loro insicurezze, percepiva sulla lingua le loro paure più recondite e i loro desideri più oscuri ed aveva sfruttato queste componenti per il suo tornaconto: voleva creare un branco forte e stabile che riuscisse a contrastare la potenza degli alpha, ma era riuscito solamente a perderli l'uno dopo l'altro e continuava a perdere. 
Ti chiedo di non uccidermi per ciò che sto per fare.” 
Prima che Derek potesse capire ciò che Stiles intendeva con quella frase, sentì il colpo di un pugno premere sulla guancia. Rimase qualche istante inebetito: non gli aveva fatto davvero male – lui era un licantropo, dopotutto, ed era difficile che uno con le braccia deboli come Stiles potesse seriamente fargli male - ma la pelle del viso continuava a bruciare e non era stata tanto la sfrontatezza a spiazzarlo, bensì il fatto che, quel collasso gravitazionale improvviso, avesse improvvisamente ritrovato un equilibrio. Ed era stato Stiles a permettere che accadesse con un semplice gesto. 
Ti ho detto di smetterla di colpevolizzarti! Gli alpha vogliono proprio questo, ne sei consapevole? Vogliono che tu sia debole, esposto per poter sferrare un attacco che ti distrugga del tutto per sottometterti a loro. Devi rialzarti e lo devi fare ora, perché non ci sarà nessuno che ti guarirà le ferite e noi non possiamo combattere ad armi pari senza di te.” 
Nessuno.” ripeté Derek nella sua testa, fissando Stiles come se lo vedesse per la prima volta e pensando a Jennifer, ai suoi baci, alle sue mani affusolate, al suo odore. Accostando la sua immagine a quella di Stiles in modo che si sovrapponessero. Derek non avrebbe mai ammesso che, per qualche motivo di cui non si capacitava ancora, era l'immagine di Stiles quella ad infondergli maggiore sicurezza. Lui e quella sua parlantina inimitabile. Quest'ultimo lo guardava, un po' coraggioso e un po' timoroso, in attesa di una reazione di ogni sorta. Derek si rese conto che quel pazzo sarebbe anche stato disposto a subire uno scatto d'ira pur di vedergli qualche emozione riflessa in viso e, più lo guardava, più non comprendeva per quale motivo ci tenesse così tanto a lui. 
Gli si avvicinò nuovamente, chinandosi sul suo viso. “Se lo farai di nuovo, ti staccherò la testa a morsi.” sibilò sulle sue labbra, abbastanza vicino da sfiorarle con le proprie, ma non così vicino da toccarle. Percepì il battito cardiaco di Stiles velocizzarsi ancora di più, come tutte le volte in cui gli si avvicinava in maniera così intima e priva di barriere. “Ora tornatene a casa. Se gli alpha dovessero tornare non sono nelle condizioni per poterti proteggere.” 
Posso difenderti io.”
Tu che difendi me?”
Stiles fece spallucce. “Non è quello che faccio sempre?” domandò di rimando, concedendosi un piccolo sorriso e grattandosi con nervosismo il capo.
Derek continuò a guardare quel ragazzo, incredulo. Poteva percepire la sua paura per tutto ciò che era successo senza difficoltà, riusciva scorgere il turbamento riflesso nei suoi occhi ambrati, nonostante ciò, non mentiva quando diceva di volerlo proteggere. Non c'era alcuna sfumatura di scherzo o della sua solita ironia affettata nel tono della voce, né nel suo sguardo serio. Derek gli diede le spalle, incamminandosi verso l'uscita del loft, allontanandosi da lui, da quella sofferenza improvvisa e un affetto che non avrebbe mai voluto scoprire.
Dove vai?” Sentì i passi esitanti di Stiles seguirlo per un breve tragitto, ma quando Derek arrivò a spalancare la porta i passi si fermarono e lui uscì di casa senza guardarsi indietro. Se si fosse girato, avrebbe cercato irrazionalmente un contatto fisico con lui, l'avrebbe stretto in un abbraccio aspettando che il tempo guarisse le ferite di entrambi, ma avrebbe respirato sul suo collo, mentre aspettava che il tempo guarisse le lacerazioni, avrebbe inalato il suo odore fino a farlo diventare suo, respirato il suo calore umano, ma, ogni cosa preziosa che sembrava possedere, veniva infettata dalla violenza che contornava la sua vita. Così era stato per Paige, il primo amore; così stava accadendo con Jennifer e così sarebbe stato con Stiles. Non aveva alcun modo di proteggere le persone a lui care, se non allontanandole dalla sua esistenza.
Continuò a camminare senza voltarsi indietro con la consapevolezza che, almeno quel ragazzo con gli occhi limpidi e la battuta sempre pronta, non l'avrebbe seguito nel suo Inferno.

 

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