Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: MissysP    31/07/2013    4 recensioni
Una nuova missione per l'agente Coulson, in cui avrà a che fare con dei Vendicatori in miniatura e pronti nel riuscire là dove Loki ha fallito. Con la gentile collaborazione del direttore e dell'agente Hill e della signorina Pepper Potts.
«Tieni ti sei dimenticato questi cosi al lavoro. Fury non te li aveva affidati? Sono la sua missione, agente, e non puoi dimenticarteli così, come se nulla fosse, per i corridoi della base» le sue parole erano un sibilo, pieno di veleno. Dopo di che la donna gli mise in mano i guinzagli, facendolo sentire un mostro a sua volta per come li trattava - non farti impietosire sono dei mostri, dei vampiri. Vampiri che ti succhieranno via l’anima di questo passo, oltre che il sangue! -, e gli mise in braccio sia Barton sia la Romanoff e poi senza salutare o fingersi dispiaciuta per lui, girò i tacchi e se ne andò.
Storia partecipante al concorso "Qualcuno ha detto Mary Sue?" indetto da vannagio.
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Agente Phil Coulson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Super Nanny Coulson
Autore: MissysP (sul sito, preferirei questo nick nell’eventuale banner) / _MulticoloR_ (sul forum.)
Personaggi: Un po’ tutti, nuovo personaggio
Pairing: Nessuno
Raiting: Verde
Avvertimenti: nessuno
Generi: Comico, Fluff, Slice of Life
Note: Nessuna
Desclaimer: i personaggi non sono miei, ma appartengono a chi ne detiene i diritti, e la storia è scritta con lo scopo di divertire e non di lucro.
NdA: alla fine.





Super Nanny Coulson




«Allora, mi vuole parlare di quello che è successo?» domandò con gentilezza la donna, era seduta davanti a lui nel suo elegante completo bianco perla che esaltava la sua carnagione scura.
Phil sospirò e chiuse gli occhi, beandosi del contatto freddo del lettino sotto di lui. Era abbastanza comodo, ma lui era a disagio; dopotutto era un agente segreto, professionale, ed era abituato a mantenere i segreti. Trovarsi davanti a una strizzacervelli e parlare del suo lavoro non era quello che si era immaginato all’inizio della sua carriera.
Era tutto calmo in quella stanza e il silenzio gli fu di conforto.
Prese un profondo respiro e incominciò a raccontare.

L’agente Phil Coulson sapeva che il direttore dello S.H.I.E.L.D., Nick Fury, lo considerava un ottimo agente e lo stimava, davvero, e sapeva anche di essere il suo ‘occhio buono’, il suo braccio destro. Il direttore si confidava con lui, chiedeva le sue opinioni, i suoi consigli e quando c’era una missione delicata era il primo a essere chiamato.
Era anche l’unico agente che riceveva dei complimenti per le ottime missioni portate a buon fine con un eccellente lavoro, impeccabile come sempre. E, Coulson, questo lo sapeva. Sapeva di eseguire il suo lavoro dannatamente bene e se ne compiaceva. Tuttavia, quel giorno - maledettissimo e odiato giorno -, il direttore lo aveva convocato con urgenza nel suo ufficio e nessuno meglio di lui sapeva che bisognava accorrere in una frazione di secondo, catapultandosi nel suo ufficio. Così Phil, da bravo agente, si ritrovava seduto su quella scomoda poltrona di pelle nera, le gambe accavallate, e le mani abbandonate lungo i suoi braccioli. Guardava l’unico occhio di Fury e cercava di seguire quel fiume di parole che usciva dalla sua bocca, senza comprenderne il significato. Era da mezz’ora che continuava a blandirlo e lui non ne era il tipo: semplicemente ordinava quello che voleva. Con Coulson non aveva mai ricorso a questo trucchetto e non capiva perché quella volta fosse diversa. E in quel fiume aveva più e più volte ripetuto quanto fosse apprezzato il suo lavoro e tutti gli altri elogi sopra citati.
L’agente, sebbene non fosse dotato di super poteri o particolari doti assassine o un’intelligenza anormale, capì che c’era sotto qualcosa che puzzava, e tanto. Quindi con la più assoluta indifferenza aveva incominciato a guardarsi attorno nel tentativo di carpire dettagli e informazioni sulla sua convocazione.
Non c’era nulla fuori posto, assolutamente nulla: l’ufficio era nel solito e perfetto e maniacale ordine. Riportò i suoi occhi chiari sulla scrivania e questi si dilatarono nel riconoscere il fascicolo degli ‘Avengers’. Strinse con forza le mani sul bracciolo e il suo occhio destro ebbe un rapido tic che mostrava la sua preoccupazione. Percepì degli sgraditi e freddi brividi percorrergli la schiena e soppresse gli spiacevoli ricordi che erano ricordati in seguito a New York e alla sua ultima missione con i Vendicatori. L’esser quasi morto, era la causa della sua settimanale seduta con la psicologa dell’agenzia e il motivo dei suoi sogni, piuttosto violenti, in cui metteva le mani intorno al collo niveo di un dio.
«Coulson mi sta ascoltando?» domandò il direttore, aggrottando le sopracciglia e mostrando il suo disappunto dall’essere ignorato. Coulson ritornò a prestargli attenzione, non prima di aver deglutito. Provava l’impellente bisogno di fermarlo e di uscire prima che potesse anche solo ricevere ufficialmente l’incarico. Il suo senso del dovere, però, e la sua devozione al lavoro gli imposero di restare seduto su quella scomoda poltrona e aspettare che tutto fosse più chiaro. Lanciò un’occhiata fugace alla porta, in un ultimo sprazzo di terrore, con intensità e si morse il labbro inferiore.
«C-certamente, signore. Continui pure» disse e fortunatamente il suo tono di voce era normale, senza quella sfumatura tremula di terrore. Sospirò con amarezza e si sistemò meglio che poté su quell’odiosa sedia. Ogni tanto i mezzi di tortura del direttore erano davvero molto fastidiosi.
«Come le stavo dicendo» riprese, non prima di averlo ammonito con lo sguardo e aver stirato le labbra, «apprezzo molto l’impegno e la passione che ci metti nel compiere il tuo lavoro e per questo tu sei l’agente più indicato, il migliore di tutta la base, per occuparti di questa missione» il tono con cui pronunciò l’ultima parola fu quasi un sussurro.
Perciò oltre che preoccupato per quella maledettissima nuova missione, era anche inquietato dall’atteggiamento che Nick Fury, il grande capo, stava assumendo e l’unica spiegazione che gli potesse venire in mente era l’insanita mentale che, purtroppo, lo aveva colpito. Non c’era da stupirsi molto, al contrario era rimasto sbalordito che non fosse impazzito ancor prima.
«Inoltre conosci molto bene i membri del gruppo e sono più che convinto che anche questa volta farai un ottimo lavoro» concluse riportando l’agente alla realtà e costringendolo ad accantonare le sue congetture.
L’espressione di Phil rimase immutata: un sorriso disteso e quel tic all’occhio davvero molto preoccupante. Calò il silenzio, durante il quale Fury lo osservava con la sua solita espressione impassibile e aspettava una risposta dal suo interlocutore. Coulson sciolse le gambe, distendendole e stringendo con più forza la poltrona. Sentì le unghie perforare la pelle della poltrona, ma non gliene importò minimamente.
«Signore la ringrazio per l’enorme fiducia che lei ripone in me e sa molto bene che io non obbietterei mai un suo ordine» esordì facendo appello alla sua infinita e famosa pazienza, «però… Non potrebbe assegnare la missione a qualcun altro? All’agente Romanoff o all’agente Barton?» domandò. Non si stava opponendo a un suo ordine, solamente voleva mantenere ancora intatta - il più a lungo possibile - la sua sanità mentale.
«Coulson la tua pazienza è molto più indicata per questo tipo di… cose» anche quella parola fu sussurrata e finì nella lista delle parole odiate. «E poi entrambi gli agenti sono coinvolti in questa cosa…» cercò di spiegare, sembravano mancargli le parole. Phil non comprese come mai il direttore non gli dicesse chiaramente che diamine fosse successo. Non era il tipo da girarci intorno; pretendeva quello che ordinava, che fosse possibile o meno, e doveva essere svolto con la massima eccellenza.
«Potrei chiederle chi altro è coinvolto?» domandò con timore l’altro.
«Beh… tutti».
«Tutti?»
«Sì». Impietoso e spietato.
«I dettagli?» domandò in un sospiro di sconfitta, certo non poteva nascondere anche un pizzico di curiosità. Fury allungò la cartelletta che conteneva tutti i dati di cui aveva bisogno e si poggiò contro lo schienale, congiungendo le mani davanti al volto. Phil la afferrò e la aprì, leggendo con attenzione il fascicolo. Sentì i suoi occhi pizzicargli e poco dopo il suo sguardo si offuscò a causa delle lacrime che minacciavano di rigargli il volto. Alzò il viso e guardò con il direttore con gli occhi supplichevoli. Lo vide sorridere, era divertito? Rischiava una crisi nervosa e lui rideva divertito?
«Buon lavoro, Coulson» lo congedò.
Quando uscì dall’ufficio di Fury, gli altri agenti videro Phil Coulson con le spalle abbassate e con un'espressione sconsolata. Camminava come un automa, senza degnare di uno sguardo nessun altro.
Poco importava se l’agente Harris gli correda dietro come un fedele cagnolino per annunciarli l’ennesima catastrofe che avrebbe spazzato via il mondo intero.

«Vuole dirmi come è successo? Insomma degli eroi non diventato così da un giorno all’altro come se nulla fosse» disse la donna, mentre scriveva qualcosa sul suo taccuino. Il rumore della penna che scriveva sulla carta rimbombava quanto un masso che franava lungo una parete, travolgendolo. Era rimasto scioccato dagli avvenimenti accaduti soltanto il giorno prima.
Phil si sentiva come un pazzo furioso rinchiuso in una cella con tanto di camicia di forza. Col capo dritto a guardare verso l’alto, verso il soffitto, incrociò le mani sul suo stomaco e rimase in silenzio. Contemplò il muro bianco per un paio di minuti, mentre la dottoressa Alister attendeva con pazienza.
«Agente?» lo richiamò, quando quello sembrava mummificato al suo posto e per un attimo lo credette davvero.
«Un esperimento» disse poi, con un sibilo di disprezzo. Lei lo guardò confusa e attese di nuovo. «Un maledetto esperimento andato male, senza contare che quell’intelligentone del Dio degli Inganni ha deciso di metterci lo zampino» sputò con quanta irritazione era capace di covare per una persona o qualcosa.
Non solo Aveva passato una pessima giornata, ma i suoi adorati capelli - ne aveva massima cura - avevano incominciato a cadergli e mutare verso il colore bianco.

Coulson si chiedeva perché l’uomo dovesse soffrire così o - più probabile - perché Murphy si divertiva tanto a perseguitarlo. Che cosa aveva fatto di male nella sua vita precedente, non c’erano altre spiegazioni, per meritarsi quel supplizio.
Camminava lungo i corridoi della base, sotto braccio l’odiato fascicolo, e si dirigeva verso il settore I-8. I suoi passi erano gli unici che rimbombavano fra quelle quattro mura spoglie. Erano corridoi poco illuminati, grigi e sinistri, appartenenti a un settore abbandonato e usato per lo più come magazzino. Se il direttore li aveva sistemati in quel reparto, era proprio perché non voleva che si venisse a sapere che cosa fosse successo ai suoi tanto decantati Vendicatori. Perché sì, maledizione, nonostante tutto lui ci teneva ai suoi eroi. Li chiamava per ogni cosa assurda e difficile che non era in grado di gestire e anche se li trattava con sufficienza, non voleva che l’immagine dell’agenzia ne fosse ammaccata.
Delle voci si erano già sparse e Nick non voleva alimentarle in alcun modo. Fury andava pazzo per il progetto e gongolava, crogiolandosi per aver avuto un’idea tanto brillante. Certo non poteva dire che tutti i suoi membri gli andassero a genio, ma non si lamentava perché poteva andare peggio (maledetto Murphy!).
Dietro l’angolo apparve una porta, più nera e sporca di tutte le altre con l’insegna del ripostiglio dei detersivi, una porta del tutto inutile e nemmeno i più curiosi sarebbero stati tentati di aprirla per verificare il contenuto di quella stanza. Prese un profondo respiro e poggiò una mano sul pomello, tentato di fingere che nulla fosse successo e fare dietro front e rifugiarsi nel suo ufficio. Il direttore, però, lo avrebbe scoperto, certamente, a lui non sfuggiva nulla, e gliel’avrebbe fatta pagare. Con coraggio abbassò il pomello e aprì la porta.
Una forte luce bianca e fredda, al neon, lo colpì costringendolo a socchiudere gli occhi e a sbattere le palpebre più volte per abituarsi all’intensità. Alle sue orecchie arrivò il suono di mugolii, vagiti, risate sinistre e piagnistei. La momentanea cecità lo fece preoccupare, perché non poter vedere il nemico, era segno di debolezza. La vista poco a poco ritornava e lui poté scorgere la gravità della situazione. C’erano bambini in ogni anglo della stanza, ovunque. Coulson inorridì davanti a quella visione. Lui non era portato per quel tipo di lavoro: non era il suo campo e non si trovava a suo agio con dei bambini; preferiva notevolmente rapportarsi con gli adulti, Stark a parte. E incominciò a distinguerli.
C’era Barton che era intento a scalare lo scaffale dei detersivi, le sue dita panciute artigliavano il legno e il suo volto era illuminato da un sorriso beffardo, pieno di soddisfazione. I suoi occhi azzurri luccicavano pieni di gioia e il naso rivolto verso la sua meta. La Romanoff era seduta sotto di lui con il naso pallido rivolto verso l’alto; i suoi occhi verdi sgargianti seguivano ogni suo passo con noia e si lasciò scappare anche un debole sbadiglio.
Phil volse lo sguardo dall’altra e vide Banner, dalle dimensioni piuttosto grandine, per un comune neonato, che giocava con un sonaglino azzurro, sbattendolo contro il pavimento. La sua testolina castana era rivolta su quell’oggetto rumoroso che sembrava dargli fastidio, tanto che la sua carnagione incominciò ad assumere una sfumatura verdastra preoccupante. Poco più in là c’era Thor, sembrava voler fare a gare con il dottore perché anche lui non scherzava con le proporzioni, che era in bilico su degli scatoloni, aggrappandosi a essi con una manina, mentre l’altra era protesa verso qualcuno e Coulson notò che c’era Loki seduto su quelle scatole. Guardava verso il fratello con aria di sufficienza; la sua espressione mostrava irritazione per quei continui tentativi di raggiungerlo In mano teneva un bastoncino di plastica - dove lo aveva preso? - e infilzava la manina del Dio del Tuono che cercava di raggiungerlo.
Coulson preferì fingere di non averli visti e notò che c’era Rogers, schiacciato in un angolo, a dormire. La bocca spalancata, con un po’ di saliva a colargli dalla boccuccia, e sembrava così piccolo e indifeso. L’agente sentì il suo cuore mancare un battito e ingrandirsi sempre di più contro la sua gabbia toracica, quasi gli doleva. Sembrava aver visto la fine di un arcobaleno, con tanto di pentola piena d’oro, e i suoi piedi si mossero automaticamente verso quel dolce frugoletto innocente. Un dubbio lo fermò prima che fosse troppo tardi. E, infine, si accorse che mancava qualcuno all’appello: Stark.
Sgranò gli occhi e si guardò attorno nella sua ricerca. Guardò in ogni angolo e sentì un groppo alla gola non trovandolo e quasi temette che fosse riuscito a scappare dalla stanza, quasi dovesse dar pensiero anche da poppante quanto ne dava quando era adulto. Alzò gli occhi al soffitto esternando ancora una volta la sua disapprovazione, esasperazione, con uno sbuffo. I suoi azzurri scorsero un’ombra sopra un ripiano di uno scaffale e affilò lo sguardo, cercando di distinguerne i lineamenti. Era un esserino piccolo e paffutello, con un ciuffo castano che sparava verso l’alto. Poco dopo vide il suo pannolino - ma siamo scherzando? Quella situazione stava prendendo una piega sempre più assurda! - sparire dietro un detergente per la lana bianca – avevano un detergente per la lana bianca? Quel posto era un continuo segreto, anche dopo ben venti anni di carriera - e Phil sgranò gli occhi. Si avvicinò allo scaffale e si affaccendò nel cercarlo, senza riuscirci. Si guardò attorno e lo vide poco più in là, in bilico e sull’orlo di una caduta memorabile, che avrebbe potuto cambiargli i connotati per una buona volta. Sul suo volto sbarbato si dipinse un sorrisetto divertito e scaltro - incredibile come il suo rimpicciolimento e degradazione allo status di neonato non avevano intaccato il suo talento nell’esasperare le persone - e i suoi occhi castani erano puntati verso il basso. L’agente seguì quello sguardo e notò il Capitano che ancora ronfava bellamente.
«Stark!» esclamò, corrugando le sopracciglia. Il piccolo si voltò verso di lui e gli rivolse una delle sue occhiate indifferenti. Ritornò a guardare Rogers, si accucciò e slanciò spalancando le braccia. Coulson corse verso di lui, allungando le mani e lo afferrò prima che potesse sfiorare il pavimento. Al contrario l’agente sentì il cemento freddo cozzare contro il torace e gli mancò il respiro. Fra le sue braccia baby-Stark si agitò ridacchiando felice e guardandolo con scherno. Poco più avanti c’era il Capitano, ignaro dell’attentato di cui avrebbe potuto essere vittima. Tony si agitò e sgusciò fuori dalla presa dell’uomo e gattonò nella direzione di Steve, tirandogli i capelli biondi. Quel gesto lo svegliò e accorgendosi del dispetto di Stark, lo spinse all’indietro.
Qualcuno bussò alla porta e l’agente quasi fu sollevato da quell’interruzione e si alzò, sistemandosi il completo nuovo. Si diresse verso l’uscio e la aprì, ritrovandosi davanti all’agente Harris.
Era un novellino e si notava dall’aria nervosa, dalla camicia abbottonata male e la fronte imperlata di sudore. In mano reggeva un sacchetto voluminoso e la sua espressione era a metà fra l’entusiasta e l’apprensione. Allungò la mano e porse il sacchetto al suo superiore, fiero di aver svolto il suo lavoro.
«Grazie, agente Harris» biascicò Coulson; l’altro fece cadere il suo sguardo oltre le spalle di Coulson e spalancò la bocca nel vedere lo spettacolino che gli si presentava davanti. Voltandosi guardò la stanza, vedendo una manica di marmocchi, che lo avrebbero mandato al manicomio. Il suo capo, già attempato, ne avrebbe risentito e sarebbe diventato pelato prima del tempo.

«Andiamo agente Coulson, dei bambini non possono essere così terribili. Non ha provato con il suo istinto paterno?» domandò con un sorrisetto divertito la dottoressa. I suoi occhi color ambra ruotarono con ironia e derisione e Coulson si voltò verso di lei contrariato, ma pazientò.
«Le ricordo che io non ho dei figli e non credo che per gli uomini valga come per le donne» fu l’apatica risposta dell’agente. La donna arricciò le labbra, contrariata da quella risposta, ma non disse nulla, spostando lo sguardo verso il box pieno di giocattoli dove erano stati ‘messi’ tutti i piccoli. Al momento erano tranquilli e dormivano pacificamente, tutti vicini ed erano adorabili. Non riuscì a soffocare l’impulso di fotografare quei dolci angioletti troppo adorabili. Il cuore della donna s’intenerì e sospirò. L’istinto materno aveva preso il sopravvento.
«Non si faccia ingannare dalle apparenze, dottoressa Alister. Sembrano carini solo all’esterno, quando dormono così pacificamente, ma in realtà sono dei mostri. Terribili mostri che ti succhiano l’anima».
L’espressione seria dell’uomo quasi le mise paura e scosse la testa e sbuffò davanti a quell’esagerazione, insomma erano piccoli e innocenti e non sapevano nemmeno parlare. Ogni uomo aveva paura di un bambino e, fosse per loro, dovevano nascere già adulti, fatti e finiti.
«Suvvia, agente» lo riprese con una scrollata di spalle la donna. «Non faccia il melodrammatico. Guardi come sono carini!» esclamò con un gridolino pieno di felicità.
La sua adorazione per i bambini era evidente e l’uomo si chiedeva come ogni donna potesse stravedere per degli esserini così pestiferi, quasi fossero stati sputati fuori dall’inferno.
«Dottoressa, possiamo tornare alla mia seduta?» domandò sconsolato l’agente.
«Perché il box è chiuso? La rete è abbastanza alta ed è impossibile che scappino…» mormorò la donna, ignorando la domanda rivoltale.
I bambini avevano occupato tutta la sua concentrazione.
«Le ricordo che due di quei demoni sanno volare, sono dei, senza contare che un altro è Iron Man…» spiegò.

«Stark, per l’amor di Dio, sta fermo!» esclamò l’agente mentre afferrava il piccolo per una gamba e lo sollevava. Il bambino continuava ad agitarsi, emettendo dei gridi striduli che avrebbero dovuto spaccargli i timpani e quasi ci riuscì.
Il piccolo Stark sembrò non gradire il ritrovarsi pulito e rincominciò a urlare. Il volto di Phil assunse una sfumatura tendente al rosso porpora e quasi gli fischiarono le orecchie, ormai insensibili.
«Se non la smetti chiamo Pepper!» esclamò in un impeto di disperazione. Aveva provato di tutto, ma sembrava che la mente geniale di quella peste fosse ben sviluppata a quella tenera età. Tuttavia quella minaccia parve funzionare perché Tony smise di dimenarsi e spalancò quegli enormi occhioni castani e lo guardò terrorizzato. Phil rise sconcertato da quella reazione, però apprezzò il risultato. Finì di cambiargli il pannolino e lo rimise insieme con gli altri.
Li osservò a lungo e sospirò, stanco. Appena riusciva a impartire un poco di calma, c’era qualcosa che li scatenava un’altra volta. C’era Loki che tentava di scappare da Thor, che ogni volta gli si appiccicava contro strozzandolo in un abbraccio troppo affettuoso. Poi, Banner riusciva a mantenere la calma se giocava con giocattoli semplici, gli altri Coulson li aveva severamente proibiti per non ritrovarsi a gestire un Hulk in formato ristretto, ma pur sempre capace di smontare l’intera base, pezzo dopo pezzo. E Barton aveva limitato le sue scalate alla rete del box alla quale era stato relegato a forza, mentre, al contrario, l’agente Romanoff era l’unico conforto che poteva trarre da quel manicomio: restava al suo posto, giocando con un soldatino di legno trovato, assurdamente, da qualche. Era il suo faro nell'oscurità, la sua ancora per la sanità mentale. Era confortante vedere che la trasformazione non aveva fatto regredire almeno lei.
Steve, invece, giocava con il suo casco, sbavandoci sopra, e questo faceva gemere ogni volta Coulson che si tratteneva dallo sciogliersi in una pozzanghera di riverenza. Stark però sembrava del tutto intenzionato a infastidirlo, giusto per passare il tempo. Aveva provato a infastidire anche gli altri, ma non era andata a buon fine, non sempre almeno: aveva tentato di braccare Loki, stritolandolo - Coulson non riusciva a capire se lo stava abbracciando, oppure lo stava soffocando e segretamente sperava nella seconda possibilità - con le braccine e Thor lo aveva afferrato per la collottola e lo aveva lanciato dall’altra parte e questa volta Loki non sembrava infastidito dalla vicinanza del fratellastro. Poi era venuto il turno di Bruce e Tony aveva tentato di sottrargli il giocattolo del momento e la sfumatura verdastra che assunse il viso squadrato fece capire anche a Iron Man che era meglio cambiare aria. Provò con la Vedova Nera, ma solo una sua occhiataccia era bastata a farlo girare alla larga. Era strano vedere Occhio di Falco e Tony Stark fare comunella per fargli perdere quei pochi capelli rimasti. E per finire Rogers - Steeeve - era stato più volte la sua vittima preferita. Il povero Capitano poteva solamente sopportare, rispondendo in qualche occasione, con pazienza e continuando a ignorarlo.

«Visto, agent Coulson?» le aveva detto la dottoressa con un sorriso a trentadue denti e gli occhi che gli brillavano dietro le lenti sottili ed eleganti degli occhiali che indossava. «Ha imparato a prendersi cura di quei piccoli angioletti!»
Voleva essere un tentativo di risollevargli l’umore, per forza, altrimenti non li avrebbe chiamati ‘angioletti’, tranne Steeeve perché lui sì che era un angioletto. Era sempre così calmo ed era l’unico che non lo faceva penare, certo c’era anche la Romanoff ma lei lo faceva più per noia e passava tutto il tempo a guardarsi allo specchio - certi vizi resistevano sempre.
«Grazie» fu l’unica risposta che la dottoressa ricevette dal paziente.

L’agente Coulson sospirò beato e chiuse gli occhi, sprofondando fra le morbide e accoglienti pieghe del suo letto. Premette il volto contro il cuscino e si preparò ad abbandonarsi a un sonno ristoratore, più che meritato. Non gli importava di essere ancora vestito, non gli importava nemmeno di rovinare un vestito da 500 dollari. La sua unica preoccupazione era chiudere gli occhi e dormire, sperando in un sonno senza sogni, o incubi.
Ancora una volta Murphy aveva deciso di rovinargli i piani. Il campanello dell’ingresso suonò e presto anche il suo cellulare incominciò a trillare e la testa di Coulson incominciò a dolergli. Controvoglia si rialzò dal suo comodo letto e si trascinò verso l’ingresso. Decise di ignorare il cellulare, preferendo concentrarsi sullo sventurato che avrebbe sorbito la sua ira per non esser stato lasciato in pace. Aprì la porta di scatto e incominciò a rovesciare fuori un fiume d’insulti, ma si bloccò nel vedere l’agente Hill davanti a lui.
Aveva un’aria sconvolta. I capelli erano una massa informe e il suo viso era livido di rabbia, color rosso peperone. I suoi occhi erano bracieri ardenti senza contare il naso che inspirava ed espirava rumorosamente. Era un nervo quello sulla tempia che palpitava?
Coulson aggrottò le sopracciglia e poi abbassò lo sguardo, comprendendo il motivo per cui la Hill era così stravolta. In braccio teneva un Barton poggiato bellamente al suo seno e ne approfittava, mentre nella sacca alle spalle della donna cera la Romanoff che lo fulminava con lo sguardo, senza rinunciare a tirargli i capelli. Al polso dell’agente c’erano dei guinzagli che terminavano avvolti al pannolino di Stark, Rogers, Banner, Thor e Loki. Coulson credette di sognare, ma l’espressione furibonda della collega gli fece capire che era la realtà. C’era la Hill, proprio lei, sulla soglia di casa sua, con un’espressione adirata e circondata da bambini tutt’altro che adorabili.

«Sì, sì, dei mostri! Perché non mi vuole ascoltare?»
«Andiamo Coulson! Dei neonati così piccoli non sono capaci di capire quello che succede e vogliono solo esplorare il mondo che lo circonda. Non crede di esagerare?» domandò la dottoressa Alister. Coulson le scoccò un’occhiataccia piena di rabbia repressa e lei si limitò a ridacchiare, fra il nervosismo - faceva paura, davvero - e il divertito. L’agente non aveva mai perso la calma, nemmeno quando ha dovuto riesumare i ricordi dell’ultima missione a New York.
«Prenda Rogers, ad esempio» si affrettò ad aggiungere la dottoressa prima di verificare le conseguenze di una crisi nervosa dell’uomo.
«Non mi sembra che lei lo disprezzi, anzi. E’ l’unico di cui ancora non si sia lamentato» sembrava volergli far cambiare idea ad ogni costo. Essere ‘padre’ di un gruppo di bambocci pazzi e dotati di super poteri doveva sembrare il massimo, visto da occhio esterno; avrebbe volentieri fatto cambio con lei.
«Questo perché il Capitano è perfetto!» esclamò poi, con adorazione, per rispondere alla sua domanda. La dottoressa scrisse ancora qualcosa sul suo taccuino e ritornò a guardarlo. La sua espressione era degna di Fury in quel frangente. Anzi a pensarci bene quei due si assomigliavano un poco.
«Sa cosa diceva mia madre? Quando mia sorella le ha appioppato i suoi figli partendo per un viaggio di u messe ai Caraibi?» domandò. E Phil non capì come gli potesse interessare quello che sua madre le aveva detto. Comunque non le disse niente.
«Panta rei» e Phil non la comprese davvero. Era stanco e nessuno sembrava farci caso.
«E significherebbe?» domandò con un sospiro, giusto per assecondarla e finire quell’incontro al più presto. Fury gli aveva tirato un bello scherzetto: non solo era costretto a badare a dei mostri, ma aveva aumentato i loro incontri settimanali per tenere d’occhio la situazione.
«Significa ‘tutto scorre’, è greco.»
Phil annuì.
«Pensi che siano solo dei neonati, vivaci, e non degli eroi con dei super poteri. Sa incomincio a scorgere qualche capello bianco» e la mano di Phil scattò verso il capo, passandosi le dita fra i capelli e gli occhi sgranati, pieni di terrore.

«Tieni ti sei dimenticato questi cosi al lavoro. Fury non te li aveva affidati? Sono la sua missione, agente, e non puoi dimenticarteli così, come se nulla fosse, per i corridoi della base» le sue parole erano un sibilo, pieno di veleno. Dopo di che la donna gli mise in mano i guinzagli, facendolo sentire un mostro a sua volta per come li trattava - non farti impietosire sono dei mostri, dei vampiri. Vampiri che ti succhieranno via l’anima di questo passo, oltre che il sangue! -, e gli mise in braccio sia Barton sia la Romanoff e poi senza salutare o fingersi dispiaciuta per lui, girò i tacchi e se ne andò. Coulson giurò di vedere un sorriso pieno di soddisfazione dipingersi sul suo volto.

«Ehi, non è giusto!» le urlò, implorando che il suo tono disperato potesse impietosirla. Quella donna aveva il cuore di pietra e non si voltò nemmeno una volta.
«Fury non ha mai detto che avrei dovuto portarmeli a casa. Ci avrebbe pensato qualcun altro» le urlò dietro, ma quella continuò a marciare verso le scale. Capì il perché di quel sorriso soddisfatto e della maratona che stava compiendo, nel tentativo di mettersi in salvo: lo aveva fregato.
Quando ritornò dentro l’appartamento, guardò i bambini e si sorprese nel vederli così calmi. Li mise sul divano e accese la tv, facendogli vedere i cartoni. Dopo essersi assicurato che nessuno tentasse una rivoluzione anarchica, si diresse verso la cucina, frugando nel frigo alla ricerca di cibo. Il suo stomaco aveva preso a brontolare. Afferrò una bottiglia di birra con un piatto contenente un panino e richiuse l’anta. Quando si girò verso il tavolo, vide l’agente Romanoff seduta su di esso con le braccia incrociate. Era difficile credere che fossero dei semplici neonati e lui doveva anche fingere di nulla?
Comunque l’espressione accigliata della piccola gli fece comprendere che c’era qualcosa che non andava. I suoi occhi color smeraldo erano puntati contro il piatto che teneva in mano, per poi ritornare a fissare eloquentemente l’agente.
«Hai fame, Romanoff?» gli domandò, sentendosi un idiota a parlarle. Mica poteva risponderle.
Contro ogni aspettativa, lei scosse il capo in un cenno di assenso e Phil si limitò a guardarla. Poggiò la birra e il piatto sul tavolo e ritornò a frugare alla ricerca di qualcosa di commestibile per loro. Con grande amarezza si accorse che il suo frigo conteneva solo schifezze indigeribili e quando si voltò per dare un’occhiata in giro, vide anche Barton, insieme alla collega. Sussultò spaventato, quelle pesti erano più silenziose di un serpente. Fingendo la sua famosa calma, avanzò verso la mensola in sala, senza distogliere lo sguardo dai due, e afferrare il telefono. Digitò qualche numero e si portò l’interfono all’orecchio, aspettando una risposta dal suo interlocutore.
«Pronto?» domandò una voce femminile al terzo squillo.
«Pepper! Non disturbo, vero?» domandò all’istante appena udì la sua voce. L’aver pronunciato ad alta voce il suo nome, però, gli fece guadagnare l’attenzione del piccolo Tony che lo guardava.
«Certo che no, perché?» chiese confusa da tutta quella foga che l’amico ci metteva nel parlarle.
«Bene, mi servirebbe un favore. Puoi occuparti di sette orripilanti cosetti in pannolino per una notte?» domandò con la speranza di passare una notte tranquilla.
«Come, scusa?» chiese l’amica ancor più confusa.
«In teoria non dovrei dirti nulla, Pepper, ma sono disperato. Quindi fingi di non aver saputo nulla da me» esordì, alternando lo sguardo fra la porta e la cucina. «C’è stato un incidente alla base, oggi, e tutti i Vendicatori… si sono rimpiccioliti» confessò. Dall’altra parte del telefono ci fu un attimo di silenzio e Phil sapeva che quella notizia era difficile da credere se non si guardava con i propri occhi l’effetto dell’esperimento andato a male. La reazione di Pepper non tardò ad arrivare: una risata stridula e spacca timpani.
«Non ci credo, davvero?» domandò la donna fra le risate e annaspando alla ricerca di aria. Coulson aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra. Evidentemente non era la sua giornata migliore. «Voglio una foto!»
«Sì, Virginia, ma te ne sarei grato se la smettessi di ridere e vieni a prenderti sti… sti…» fu tardi quando si accorse di non guardare più le pesti e di stare sussurrando alla parete come un pazzo. Si raddrizzò e lentamente si voltò a guardarli.
Sul divano c’erano Rogers, Thor e Banner, che stavano mangiucchiando il sonaglio. Così si voltò verso la cucina e vide Tony che si era aggiunto a resto della compagnia. Un brivido freddo lungo la schiena gli fece abbassare il capo: Loki lo fissava con i suoi profondi occhi verdi e sembravano un grande buco nero pronto a risucchiarlo. Phil emise un grido strozzato dallo spavento e fece un passo indietro. Sul suo volto pallido si dipinse un ghigno di soddisfazione per la reazione dell’adulto, ma non distolse il suo sguardo da lui.
«Phil! Tutto bene?» domandò Pepper dall’altra parte del telefono, preoccupata per quel grido.
«Certo, certo, ma tu vieni presto!» esclamò l’uomo.
«Mi dispiace, ma non posso venire. Al momento sono dall’altra parte dello stato e sono sommersa dal lavoro. Dovrai cavartela da solo, agente» rispose e a Coulson non sfuggì il tono divertito con cui gli negò il suo aiuto.
«Pepper ti prego!»
«Scusa Phil, ma proprio devo andare. Mi dispiace, davvero. So quanto possa essere difficile avere a che fare con Tony, soprattutto adesso che è veramente un poppante, ma so che c’è la puoi fare. Basta che usi un tono autorevole e subito, si calma» doveva essere un incoraggiamento, ma lui la interpretò come la cruda e mera realtà. Era da solo, con un gruppo di bestiole che portavano i pannolini, e lui era in minoranza.
«Se ti fa sentire meglio domani mattina, verrò a prenderli» era un’offerta di scuse la sua, ma lui non ebbe il coraggio di accettarla. Pepper era già impegnata a tenere aperta un’azienda multimilionaria, ci mancavano dei bimbetti a farla dannare. Sarebbe impazzita del tutto.
«Non importa, ma grazie lo stesso» e chiuse la chiamata. Poggiò la fronte sul muro freddo e prese un respiro profondo. Nella sua lunga carriera aveva visto cose ben peggiori, imbarazzanti e assurde. I Vendicatori trasformati in neonati non erano la cosa peggiore che sarebbe potuto capitarli, assolutamente. Si voltò, stampandosi un sorriso in faccia, e si diresse verso la cucina, dove si era aggiunto Loki alla mandria di affamati che lo guardavano intensamente. Facevano quasi paura vederli andare d’accordo, siccome passavano la gran parte del loro tempo ad insultarsi, infastidirsi eccetera. Un battito di ciglia e anche Thor era al loro fianco e il suo stomaco era impossibile non sentirlo. Si voltò verso il divano e c’erano Rogers e Banner, appoggiati allo schienale, che lo guardavano con altrettanta intensità.
«Va bene, va bene,» bofonchiò digitando un altro numero sulla tastiera.
«Pronto?»
«Lei è brava con i bambini?» domandò Phil. Dall’altra parte del telefono percepì un silenzio assoluto. Aggrottò la fronte e osservò il telefono che teneva in mano.
«Dottoressa Alister?» domandò l’agente con tono incerto.
«E’ uno scherzo, vero? Coulson, non le ho dato il mio numero di telefono privato per parlare di bambini!» esclamò la donna a voce leggermente più alta. Doveva essere lui quello irritato e stressato, ma ebbe l’accortezza di non farglielo notare. Le donne erano incomprensibili.
«Beh… Lei è una donna, giusto?» domandò, senza la minima intenzione di offendere.
«Fino a prova contraria ho una vagina e sforno figli, quindi sì» fu l’acida risposta della dottoressa. «Perché?»
«Mi scusi, non volevo offenderla» strana conversazione da intavolare con una donna, soprattutto se era una strizzacervelli. Sentì qualcosa tirargli il pantalone e abbassò lo sguardo, vedendo l’espressione torva di Natasha.
«Giusto, comunque volevo…» sul serio gli stava ponendo quella domanda? Era imbarazzante, senza contare che avrebbe dovuto informare il direttore e chiedere aiuto a qualche suo collega e non a una dottoressa.
«Va bene, Coulson» cedette la donna. «Farò un salto al supermercato, ma non ci sarà una seconda volta».

«E poi… poi…»
«Si risparmi, Coulson, c’ero anch’io quella volta, si ricorda? Non è meglio parlare ancora di New York? Mi sembra che l’argomento la metti meglio a suo agio».

«Grazie» fu la pronta risposta che l’agente disse appena la donna entrò nel suo appartamento con due sacchetti. Quella annuì, alzando gli occhi al cielo e depositò i sacchetti sul tavolo. Ne estrasse del latte in polvere e i biscotti Plasmon. Le espressioni dei bambini, rinchiusi nel loro box, furono orripilate e Phil sorrise, divertito. Aiutò la dottoressa a preparare la loro cena e li obbligò a mangiare.
Il volto di Loki divenne paonazzo, dopo aver finito la sua porzione, e Coulson si preoccupò - non perché fosse un fragile e piccolo bambino, ma perché temeva la sfuriata del direttore se gli fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa. Il piccoletto scoppiò in un pianto sfrenato e il suo volto si arrossò. Phil lo prese in braccio, sotto l’occhiata assassina del fratellastro, e lo coccolò cercando di calmarlo. Si odiò per quel gesto così premuroso, ma continuò con la speranza di calmarlo.
Essere alle prese con un bambino lo faceva sembrare così… assurdo e… ridicolo.
La dottoressa si limitò a guardarlo dalla sua sedia, mentre beveva un sorso di birra.
«Credo che debba cambiargli il pannolino» gli disse. Phil si bloccò, voltandosi verso di lei, pallido in viso; poco importò che era passata a un tono più confidenziale, dandogli del tu.
«E’ uno scherzo!» esclamò all’istante.
Lei sorrise e scosse la testa, ripagata. Nessuno l’avrebbe pagata per quella consulenza al di fuori dell’orario di lavoro e per tanto si prese una piccola rivincita.
«Non posso farlo. Oggi ho cambiato fin troppi pannolini e se lo devo fare ancora giuro che sverrò!» replicò lui.
«Suvvia agente, prendilo come un esercizio per il futuro. Quando avrai una famiglia tutta tua».
L’orripilazione di Coulson era ben evidente, tanto che la donna non insistette più di tanto. Ancora non credeva di esser stata coinvolta in una tale situazione così impossibile.
La dottoressa sospirò sconsolata, non capendo perché gli uomini provassero tanta avversione nei confronti di pannolini e robe varie. Anche loro erano stati dei sforna pupù e una volta padri toccava contribuire all’igiene della prole.
«Okay, okay, ho capito» sospirò alzandosi in piedi. Gli prese il bambino dalle braccia e si diresse in bagno con il pannolino in mano. «Altro che panta rei!» esclamò, poggiandolo sulla lavatrice.

Phil non parlava. Continuava a guardare il soffitto, con le mani intrecciate sullo stomaco e un’espressione seria. Non accennava a voler dire una parola e a lei andava bene. Spostò lo sguardo verso l’enorme finestra e si accasciò meglio sulla sua poltrona.
«E’ finita» disse dopo un po’ l’agente. Lei continuò a tacere. Il taccuino era abbandonato sul tavolo al suo fianco, pieno di fitte righe.
«Hanno trovato il modo per farli ritornare normali, sempre se si possano considerare tali».
«Dovrebbe esserne felice, no?» chiese cautamente la donna.
«Beh… Ovvio».
Tuttavia non ne sembrava molto convinto.

«Ecco fatto! Direi che posso andare, adesso.»
La dottoressa depose Stark sul letto dell’uomo, insieme ai suoi compari e si raddrizzò. La schiena le doleva, per tutto il tempo passato piegata sui piccoli e a cambiarli. Phil era in bagno, a cambiarsi, e lei afferrò il suo giaccone. Lui ne uscì poco dopo, con un pigiama a righe bianco e azzurro.
«Grazie ancora per il suo aiuto dott-»
«Kate, chiamami Kate, agente. Direi che dopo questa bellissima serata, possiamo darci del tu» disse sorridendogli con gentilezza. Phil annuì, restituendole il sorriso e la guardò mentre usciva dalla stanza, dirigendosi vero l‘uscita.
«Bene, piccoli mostri, è ora di andare a nanna!» esclamò girandosi verso il suo amato letto.
Vide Loki scappare da Banner, che tentava di afferrargli la sua copertina verde; Natasha si era impadronita di tutto il cuscino, mentre Clint saltava sopra il suo. Thor era seduto al centro del letto e ciucciava il suo martello, rimpicciolito anche quello stranamente. Rogers, invece, era impegnato a strozzare Tony per un’altra delle sue marachelle. Afferrò Banner e Stark per la collottola e li mise seduti accanto a sé.
«E’ ora di dormire, quindi fate i bravi. Dovreste essere stanchi dopo una giornata del genere! Dovrei raccontarvi una storia, per caso?»
Come risposta sette paia di occhi lo fissarono. Clint smise di saltellare e si aggrappò a un suo braccio, Natasha non cedette e continuò a occupare l’intero cuscino e gli altri si accoccolarono l’uno accanto all’altro. Sbadigliarono e chiusero gli occhietti, addormentandosi all’istante.
Loki non protestò per il braccio di Thor avvolto attorno alle sue spalle esili ed essere schiacciato contro il Mjolnir. Stark aveva il capo poggiato sullo stomaco di Banner - non troppo infastidito da quel peso come quello di una piuma - e un piedino rivolto verso il viso di Rogers - che cercava di allontanarlo, senza troppo successo, scrollando il capo qualche volta - e Clint si era infilato nel solco fra il braccio di Coulson e il suo corpo, stringendo con i ditini grassottelli al suo pigiama.

La porta di casa si aprì, scricchiolando e una donna entrò. L’appartamento era avvolto nel buio e nel silenzio, facendola preoccupare.
«Agente Coulson?» sussurrò la donna, entrando e richiudendo la porta dietro di sé. Si guardò attorno e si diede uno schiaffo sulla fronte, maledicendosi per il tempismo. Si guardò attorno, alla ricerca del suo cellulare, che sbadatamente aveva dimenticato, e lo cercò evitando di non fare troppo casino. Il silenzio che avvolgeva quella casa era disarmante e non voleva svegliare tutti, soprattutto Coulson che aveva bisogno di quella dormita.
Alla fine lo trovò sul tavolino in sala. Si guardò attorno, curiosa, e in punta di piesi avvicinò alla stanza da letto. La porta era già aperta e vicino al comodino c’era l’abatjour che illuminava fiocamente la stanza. Kate spalancò la bocca e i suoi occhi s’illuminarono davanti alla visione cui si ritrovò davanti: Phil e i bambini che dormivano insieme. Il suo cuore s’ingrandì, provando una sorta di calore. Accese la fotocamera del cellulare lo puntò verso di loro. Scattò la foto, provocando un leggero clic e trattenne il respiro, controllando di non aver svegliato nessuno. Si concesse di ridacchiare divertita e si appuntò mentalmente di ricattare a vita l’agente.

«Confessi, le mancano» insistette la donna con quel suo sorriso a trentadue denti. Phil lo trovò snervante, ma non si concesse di perdere il controllo. Certamente incontrava più problemi a continuare con quegli appuntamenti, che affrontare da solo New York. Fury, però, era stato ben chiaro: doveva essere la dottoressa a dire basta. Cosa che, con molta probabilità, non sarebbe successa tanto presto.
«Se le dico di sì, la smetterà con queste domande insensate e private?»
«Assolutamente no!»
«Bene… certo, mi mancano» ammise, voltandosi a guardarla.
«Però - disse e pose l’accento sulla preposizione con enfasi- ringrazio il cielo che sia finita!»
Kate sembrò scettica da quella specificazione, ma non si lamentò. Al contrario incominciò a frugare nella borsa alla ricerca di qualcosa.
«Sa, Coulson, penso che sia un angelo quando dorme» affermò lei con sicurezza. Coulson la guardò confuso e lei le sbandierò una foto sotto il naso. Lui la afferrò e la strappò con foga. Kate scoppiò a ridere.
«Andiamo, agente, mi credi così stupida? Ho fatto altre copie» disse davanti all’espressione orripilata dell’uomo. «Stai tranquillo, non le mostrerò in giro a nessuno, non ne arei motivo al momento» sottolineò la donna.
«Che cosa vuole?»
«Non preoccuparti di questo, adesso. Piuttosto, sei sicuro di non voler tenere una foto per ricordo?» chiese lei, porgendogli un’altra foto.
«Siete proprio adorabili!»

Il rumore della sveglia lo ridestò dal suo sonno profondo, costringendolo ad aprire gli occhi. L’agente mugugnò il suo dissenso e allungò un braccio fuori dalle coperte e, a tentoni, cercò di spegnere quell’infernale aggeggio. Dopo un po’ ci riuscì e ritornò a bearsi di quel dolce e accogliente calore di Morfeo.
Qualcosa al suo fianco si mosse e dei balbettii infantili gli giunsero alle orecchie. Coulson, controvoglia, riaprì gli occhi e vide il faccino di Barton proprio davanti a lui.
«Clint» sussurrò, spaesato.
Era certo che fosse lui, ma come mai aveva dei lineamenti così infantili? Sbatté più volte le palpebre e pian piano la sua mente incominciò a far girare le rotelle, con fatica a causa della mancanza di caffeina di mattina così presto. Poi, dopo uno o due minuti, Coulson scattò in piedi, memore di che cosa fosse successo ilo giorno prima: non era stato un semplice incubo. Si guardò attorno e vide gli altri che erano già svegli e pimpanti. Voleva tanto protestare, perché ormai il suo letto sembrava un campo da battaglia peggio di New York dopo l’attacco dei Chitauri, ma non disse nulla. Volse lo sguardo dall’altra parte e notò l’ora tarda. Fury lo avrebbe rimproverato per quel ritardo.
Più tardi l’agente Coulson fece il suo ingresso alla base, in braccio Barton e nello zaino la Romanoff, mentre gli altri li trascinò con i guinzagli che gli aveva dato la Hill. Tutti gli occhi dei presenti furono puntati su di lui, increduli da quello spettacolo e presero il loro cellulare, scattandogli delle foto. Le voci sull’incidente accaduto ai Vendicatori si diffuse rapidamente per tutta la struttura, attirando altre folle di curiosi.

Quel momento - la sua entrata - fu immortalato in una gigantografia appesa nell’ingresso dell’agenzia. Inutile dire che le grida del direttore si sentirono per tutti i corridoi e nessuno uscì dalla propria postazione di lavoro per non incorrere nella sua furia. Furono inutili anche i suoi tentativi di stracciare la foto, anche dopo che tutto era ritornato alla normalità, poiché il giorno dopo ne spuntava sempre un’altra. Coulson notò che la dottoressa Alister girovagare nei dintorni ogni mattina presto.

























NdA: Scrivere questa storia è stato un lungo parto, perché, lo ammetto, non avevo la benché minima idea di che cosa scrivere. Il lampo di genio è venuto con quell’odiosa bambina che mia madre cura. Eppure non mi sembra di essere così terrificante… Comunque ringrazio la bambina per questa ispirazione.
Senza contare che poi con la mia solita curiosità sono andata per siti alla ricerca di qualche immagine e non sono l’unica a pensare che la funzione di Coulson sia di fare da tata a quegli eroi ingrati e che sono sempre pronti a bisticciare. In più leggendo su Wikipedia è spuntato fuori che il suo personaggio è stato appositamente inventato per unire tutti gli eroi, nei film. Phil Coulson è un grande! Lo adoro ed è l’unica cosa che non perdono a Loki.
La figura di Kate in teoria era nata come sorella di Fury, ma alla fine non è andata esattamente in questo modo. Per il resto non ho molto da aggiungere.









Storia partecipante al concorso "Qualcuno ha detto Mary Sue?" di vannagio indetto sul forum di EFP.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: MissysP