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Autore: Fredzilla    04/08/2013    1 recensioni
Il resto è buio, come se i miei occhi si rifiutassero di guardare oltre il nero dell’interno delle mie palpebre e il cervello decidesse di non visualizzare più quello che è successo, come se le mie dita non riuscissero più a sentire il calore del corpo della ragazza che avevano toccato fino a poco prima e le mie labbra non sentissero più il sapore di ciliegia delle sue.
Come se non avessi scopato con quella ragazza, come se lei non mi avesse fatto provare quel piacere proibito che solo il sesso è in grado di dare, come se non avessi giocato con la sua intimità, soprattuto come se lei non mi avesse graffiato la schiena presa dagli spasmi del piacere che sono un orgasmo può dare.
Genere: Dark, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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Deamonis.






A Las Vegas, ai tacchi alti e al brandy alle tre del mattino,
ai Panic! At the disco e alla voglia notturna di scrivere.
Freddie, xo.






L’amore non si trova nella hall di un sudicio Motel della periferia di Las Vegas alle 3.13 del mattino, né tanto meno in una camera singola con la tv dallo schermo a righe che non capta il segnale, la passione non si trova in una donna che guida una fuoriserie rosso ciliegia e nemmeno nel rumore di quei tacchi alti sul linoleum, invece la lussuria si.

Quella donna è l’essenza della lussuria, quella che, un piede dopo l’altro, uno schiocco dopo l’altro, entra in quella hall che odora di sesso e ti guarda desiderosa mordendosi impaziente il labbro inferiore con gli incisivi bianchissimi, tormentandolo fino a farlo sanguinare, quella che lentamente ti fa impazzire scostandosi i capelli su una spalla, aggiustandosi il vestito e tirando su le autoreggenti come se tutto ciò non ti facesse perdere la testa e il controllo, come se tutto fosse così naturale e per niente peccaminoso.

Troppo provocante per essere una brava ragazza, troppo delicata nei gesti per essere una prostituta, aveva subito attirato la mia attenzione, l’attenzione di un ventunenne annoiato e stanco dopo un viaggio in macchina di sei ore, annoiato dalla routine e dalla fidanzata storica che lo aspetta ad Atlanta per presentargli i parenti.

Gesù Cristo, quando è successo tutto questo, quando ho deciso di farmi mettere al guinzaglio?

La ragazza mi si avvicina, attraversa la Hall prendendo una lattina di Cherry Coke al distributore per poi sedersi di fronte a me, mi guarda, mi sorride, mi vuole.

“Hai una ragazza, non lo puoi fare.”
La voce della mia coscienza mi tormenta e mi spinge a volere ancora di più quella sconosciuta, a farla mia tra le lenzuola di quello schifo di camera che ho preso e non utilizzato per l’insonnia che non mi da tregua.
Appena chiudo gli occhi mi sembra di essere stravolto da un vortice di pensieri riguardanti il futuro, ma Cristo, ho ventuno anni e fino ad ora non mi sembra di aver vissuto al massimo, il tempo sembra essermi scivolato tra le dita come sabbia.

Si lecca le labbra e sorride giocando con una ciocca di capelli, rigirandosi tra le dita quel boccolo di capelli color cioccolato, le mie dita fremono anche al sol pensiero di affondare nella sua chioma, ma sono costrette al contatto con il tessuto ruvido e macchiato dei braccioli della sedia su cui siedo.

“Non farmi questo, ti prego.”
Devo mordermi le labbra per non esplodere, per non cedere in tentazione e parlarle mentre si piega leggermente in avanti accentuando ulteriormente la scollatura, mi sforzo di non seguire la linea morbida del seno altrimenti potrei perdermi, potrei perdere il senno e fare una cazzata colossale o l’errore più bello della mia vita.

Mi vuole, tace, ma i suoi occhi dicono tutto, i suoi occhi dicono “Sono qui, vienimi a prendere.”
Le si avvicina un uomo, un uomo distinto le cinge le spalle sedendosi sul bracciolo della poltrona, sussurrandole qualcosa all’orecchio, qualcosa di così fottutamente proibito che lei ha un sussulto e poggia la lattina sul tavolino ricoperto di riviste di un paio di mesi fa. 
Lui le fa una proposta, lei ride e declina l’offerta spostandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli, l’uomo non si arrende e diventa sempre più spinto offrendole la permanenza nella sua camera per tutta la notte e dei soldi extra, lei dice no, dice che non è una prostituta e che sta attendendo qualcuno.

Dubito che attenda qualcuno, ormai è notte fonda. 

Sono le tre passate e la mia insonnia si fa sentire più del solito rendendomi reattivo agli stimoli, alle luci e ai colori, mi sembra di impazzire, di essere nel pieno di un viaggio da LSD intenzionato a non finire presto, poi lei mi guarda, continua a guardarmi e non capisco cosa diavolo vuole.
Mi rigiro l’anello che ho al dito, non significa nulla e l’ho trovato sul pavimento della stazione di servizio a Carson City dove mi sono fermato ieri e lei sembra ancora più interessata e porta il corpo in avanti, quasi volesse vedere meglio quella patacca pesante e ossidata che ho al dito.
Continua a osservarmi mentre beve gli ultimi sorsi di quella bibita ormai calda come l’inferno fino a quando il suo telefono non suona e lei sobbalza per lo spavento tagliandosi il labbro inferiore con il bordo tagliente della lattina. In qualunque altro momento avrei pensato che quella fosse la cosa più schifosa e meno igienica che una persona potesse fare, ma Dio mi è testimone, che fu la più sensuale e eccitante che avessi mai visto, si passò l’indice sul labbro carnoso con il sangue che colava fino alla base del dito e poi lo portò alla bocca, sembrava piacerle il sapore del suo sangue, sembrava piacerle avere la mia totale attenzione e ignorare la chiamata in entrata.

“Torna in camera, torna in camera e chiuditi dentro.”
No, non voglio tornare in camera e no, non voglio chiudermi dentro, il cervello la dovrebbe smettere di darmi direttive, è l’ora in cui la libido s’impone, in cui non m’importa di avere una ragazza, di non avere un lavoro e un sacco di voglie represse perché troppo inadeguate.

Fanculo, io sono inadeguato, lo sono sempre stato e solo quello che vedo riflesso nelle pupille dilatate di quella ragazza sono il vero io.

Lei si alza per gettare via la lattina, osservo le sue gambe lunghe e coperte da quelle autoreggenti color carne, quei tacchi alti con la suola rossa che ticchettano sul linoleum celeste pieno di orme. Attacca un bigliettino sulla macchinetta delle bibite e si china per buttare la latta nel cestino, si gira e mi sorride nuovamente invitandomi a leggere quel bigliettino che sembrava essersi materializzato di lì a poco prima.

Las Vegas fa perdere la testa, la cognizione del tempo cambia del tutto e le persone ci vanno per perdere loro stesse tre i club, soldi al casinò e la dignità con delle spogliarelliste in bettole come questa, chi sono io per impedire alle luci di Vegas di stregarmi, per impedire alla sua musica di travolgermi e alle sue donne di possedermi?

Mi alzo, non m’importa di perdere la dignità, qui nessuno mi conosce e prima di anni non ci tornerò anche se con tutto me stesso vorrei perdermi nei meandri proibiti di questa città puntellata di luci al neon, casinò e negozi di pegni, in questo mondo alternativo che di notte da il peggio di sé, dove alzando gli occhi il cielo è chiaro anche elle tre del mattino e le uniche stelle che riesci  a vedere sono le star del burlesque.

 

 «Are you nasty? xo»


Lo sono?
La prima domanda che mi balena in mente leggendo il contenuto di quel biglietto.
Vuole farmi cedere in tentazione e perché no?
Non sono mai stato un buon cristiano, la ragazza con cui sto non è altro che la copertura alla mia fottuta paura di rimanere solo e non ho nulla da perdere soprattutto dopo aver appurato che quella ragazza non è una prostituta.

La vedo uscire dalla porta sul retro senza lasciare traccia, senza lasciare niente a testimoniare il suo passaggio, nemmeno un accenno del suo profumo o la forma della sua schiena sullo schienale di quella poltrona, nulla, mentre sulla mia ci sono i segni delle mie unghie, simbolo di tutto ciò che ho trattenuto mentre avevo davanti quella donna.

Giro il biglietto, c’è dell’altro, un numero e non è quello della mia stanza.

Centoundici, vedo i numeri d’ottone scintillare sotto la luce rossa del neon del motel che dice ‘no vacancy’, passo l’indice sul metallo freddo, quasi per assicurarmi che tutto quello che sta succedendo sia vero, che non sia frutto della mia fottuta fantasia che da un mese a questa parte mi gioca tiri mancini che mi fanno lentamente perdere la ragione.

La porta si apre e improvvisamente mi trovo a pensare.

“Ma che diavolo sto facendo.”
Cerco di zittire quella voce e entro.
La ragazza mi sorride e non dice una parola, non servono parole, non voglio parlare, le parole rovinano sempre tutto, tutto.

La ragazza sparisce nel bagno e io mi siedo sul letto, quando torna comincio a perdere il controllo, non mi sento più pensare, non riesco a vedere nient’altro se non la lingerie color argento di quella ragazza che svolazza davanti a me quando si siede sulle mie ginocchia.

Il resto è buio, come se i miei occhi si rifiutassero di guardare oltre il nero dell’interno delle mie palpebre e il cervello decidesse di non visualizzare più quello che è successo, come se le mie dita non riuscissero più a sentire il calore del corpo della ragazza che avevano toccato fino a poco prima e le mie labbra non sentissero più il sapore di ciliegia delle sue.
Come se non avessi scopato con quella ragazza, come se lei non mi avesse fatto provare quel piacere proibito che solo il sesso è in grado di dare, come se non avessi giocato con la sua intimità, soprattuto come se lei non mi avesse graffiato la schiena presa dagli spasmi del piacere che sono un orgasmo può dare.

Quando riapro gli occhi sono nel bagno a fissare la mia immagine riflessa nello specchio schizzato, notando solo quanto siano dilatate le mie pupille e quando sottile sia la striscia azzurra di iride che le circonda.
Ho il respiro affannoso e non so perché, le mani ben salde al simil-marmo del lavandino e mi guardo, guardo il riflesso di me stesso nelle mie pupille e mi chiedo che cosa sia successo.

Torno nella stanza e la ragazza ancora dorme, io sono già vestito, ma non ricordo di averlo fatto e sento la t-shirt che mi comprime lo sterno e mi fa mancare il respiro nonostante lo scollo a V, tutto attorno è in rovina e una sigaretta è ancora accesa nel posacenere, ne intravedo il bagliore nell’oscurità della camera.
La ragazza ancora dorme mentre mi siedo sul letto e guardo la tv dallo schermo a righe che non prende il segnale, quella scala di grigi ad intermittenza mi confonde e mi manda in pappa il cervello cerco il telecomando per spegnerla e quando mi volto la ragazza è sparita e nella stanza aleggia un forte odore di zolfo e ce n’è un mucchietto ai piedi del letto.

Decido di andarmene.

La faccenda sta diventando troppo strana, la vita è così, non c’è mai niente che va nel verso giusto senza che il karma ci metta lo zampino. Il parcheggio è deserto e nel frattempo deve avere anche piovuto, sento odore di temporale e l’asfalto è bagnato e punteggiato di pozzanghere, cerco la mia auto, ma l’unica in tutto il parcheggio è una fuoriserie rossa fiammante e perfettamente asciutta; prontamente mi metto mano alla tasca dei jeans e noto che quelle non sono le mie chiavi e che aprono quella dannata Shelby davanti ai miei occhi, non ci credo.

Tutto ciò non  è normale, non è assolutamente normale, ma non m’importa dato che ormai ci sono dentro fino al collo voglio provare a nuotare senza affogare in tutta quella stravaganza, la prima cosa che faccio salito in auto è accendere la radio, ma nemmeno quello serve a calmarmi, sento caldo e non riesco a staccare gli occhi dalla strada.
Non so dove sto andando, la statale è dall’altra parte, ma qualcosa mi dice che devo andare verso il deserto a largo di Vegas, quello che avevo soltanto visto in foto un paio di volte; sorpasso il cartello Welcome To Las Vegase mi ritrovo il deserto silenzioso a costeggiare la carreggiata.
Sudo freddo e sento i brividi salirmi su per la schiena, la maglietta appiccicarsi alle scapole e un groppo che non riesco a deglutire in gola, mi sento quasi intrappolato dentro me stesso ad un tratto i miei panni mi stanno stretti e il mio corpo è troppo piccolo, ho voglia di gridare e i capelli castano chiaro madidi di sudore continuano a coprirmi la fronte, li scosto con una mano e poi volto nel bel mezzo del nulla.

Jack, che ti succede?

La strada sterrata stride sotto le gomme dell’auto e la sabbia si alza al suo passaggio, non so più che fare, sono esasperato e ho voglia di gridare, di uscire dal mio corpo e dalla mia mentre in sommossa. Parcheggio nel nulla e tutto sembra avvolto nella nebbia, è così irreale che mi sembra di essere stato catapultato in un film horror di serie B, sceso dall’auto noto persone che camminano inebetite verso un punto indistinto nel buio che di colpo s’illumina in un grande fuoco scalpitante che con tutta quella luce mi ferisce gli occhi.

Mi guardo attorno spaesato e mi rendo conto di quello che sta accadendo, tutti si dirigono verso quel fuoco e lì davanti c’è lei.

E’ tecnicamente impossibile, come è tecnicamente e umanamente impossibile smaterializzarsi da una camera d'albergo,  ma che cazzo, tutto stanotte sta diventando così fottutamente strano e irreale, dio.

La ragazza sta in piedi davanti al fuoco e i presenti immersi in una sorta di stato catatonico sono  inginocchiati e tra loro aleggia ancora quella nebbia, più simile a polvere bianca e sottile; tutto tace e quando la ragazza apre la bocca il fumo comincia ad entrare, le persone cadono al suolo prive di forza, come contenitori vuoti, come zucche di Halloween svuotate, usate e poi buttate dopo la ricorrenza.

Ogni fibra del mio corpo mi suggerisce di fuggire, di andarmene da lì, ma rimango e mi avvicino a quella ragazza.
I suoi occhi sono neri, non con le pupille dilatate come le mie, intendo completamente neri, mi fa segno di prenderle le mani, appena la pelle del palmo della destra entra in contatto con il mio anello rimane bruciata, alonata di un rosa vivo contrastante con la pelle livida delle altre persone, deve essere colpa della placcatura d'argento.

Tento di aprire bocca per cercare di capire qualcosa, ma appena lo faccio mi sento finalmente libero, sento come se mi fossi tolto un peso come se di nuovo mi sentissi a mio agio nei miei panni, peccato solo che quella sconosciuta mi abbia rubato l’anima come un demono subdolo, un demone che non aspetta altro che un tuo cedimento e ti induce in tentazione con la lussuria, forse la migliore e la più sbagliata dei sette vizi capitali.

La lussuria, quella che ha mandato a puttane imperi interi e famiglie, quella a cui sono ceduti Giulio Cesare e Cleopatra, la stessa che non ha dato futuro a Marylin Moroe e Kennedy.

Las Vegas è così, ti rapisce con i suoi demoni come l'alcool e ti fa perdere te stesso e, in certi casi, sono i suoi demoni a farti perdere anche l’anima, letteralmente.
Ma il detto dice: Quello che succede a Las Vegas, resta a Las Vegas.





 


Supernatural e la mia voglia notturna di
scrivere hanno prodotto questo,
spero piaccia, fatemi sapere.

Freddie.

   
 
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