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Autore: _Trixie_    07/08/2013    2 recensioni
One-shot nata per la challenge 500themes_ita.
[Breve riferimento alla quarta stagione di Private Practice, non strettamente necessario alla shot]
"Il suo peggior difetto era il tempismo, perché lei arrivava sempre troppo tardi. "
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Personaggi: Addison Montgomery
Pairing: Addison/Derek, accenni Addison/Mark
Tipo di coppia: Het
Raiting: Verde
Generi: Triste, Slice of life
Lunghezza storia: One-Shot, 1325 parole
Contesto: Prima dell’inizio [GA] – Prima dell’inizio, quarta stagione [PPP]
Note: -
Avvertimenti: Crossover [Private Practice]
Prompt: 137. È troppo tardi
Introduzione:Il suo peggior difetto era il tempismo, perché lei arrivava sempre troppo tardi.
NdA: One-shot nata per la challenge 500themes_ita.
 
 

A K. che è il mio peggior difetto.
E il mio miglior pregio.

 
 

 
Il peggior difetto

 
 
Il suo peggior difetto era il tempismo, perché lei arrivava sempre troppo tardi.
 
Nella più prestigiosa scuola del Connecticut dove i suoi genitori avevano deciso di mandarla non era stara accettata.
«Mi dispiace» disse una signora sulla quarantina dietro a un’alta scrivania di mogano. «Abbiamo raggiunto il limite di iscrizioni, per sua figlia è troppo tardi».
Sua padre si alzò di scatto, facendola sobbalzare.
«Tutto ciò è inammissibile. I Montgomery frequentano questo istituto da generazioni, non c’è mai stato un maledetto limite di iscrizioni»
«Caro, il linguaggio» si limitò a dire pacatamente sua madre, con le mani adagiate sulla sua borsetta di vernice nera e la schiena ritta.  
Addison si trovava tra i due genitori, le punte dei piedi che a malapena sfioravano il tappeto morbido sotto di lei, incapace di capire, con tutti i suoi sei anni, per quale ragione fosse di vitale importanza frequentare quella scuola.
Andandosene, suo padre aveva borbottato insulti poco signorili e aveva continuato per il quarto d’ora seguente, trascinando moglie e figlia a casa.
Il signor Montgomery aveva poi deciso di abusare del telefono e per ore confabulò con uomini d’affari e conoscenti politici, informandosi inoltre su quale fosse il miglior istituto in cui mandare la figlia, senza badare in minimo modo alle spese.
A cena l’uomo aveva poi annunciato di aver trovato un istituto adatto ad Addison e ad Archer, suo fratello, ma l’amaro in bocca al signor Montgomery rimase per molti anni a seguire e ogni critica alla scuola di Addison era per lei una critica personale, perché era arrivata troppo tardi e il limite di iscrizione era stato raggiunto.
 
Suo fratello a scuola era spesso vittima di bullismo per la sua statura leggermente inferiore alla media e il viso grassoccio. Tutti concordavano nel dire che era un bel bambino e che, una volta cresciuto, sarebbe diventato un bel ragazzo, ma nel frattempo i suoi coetanei, alti, longilinei e insopportabili, non perdevano occasione per maltrattarlo.
Così, dopo le lezioni, Addison aspettava sempre suo fratello per compiere il breve tragitto fino all’auto che li avrebbe riportati a casa, ma quel lunedì pomeriggio si era attardata in classe su richiesta del suo insegnante di biologia, ansioso di lodarla per il brillante compito che aveva svolto la settimana precedente. Non che ci fosse qualcosa di cui meravigliarsi, perché Addison Montgomery era una studentessa davvero fuori dal comune.
All’uscita non aveva scorto Archer, ma solo un gruppo di ragazzini che, correndo, si allontanava dal cancello dell’istituto, sghignazzando.
Un brutto presentimento sorse nell’animo di Addison e si trasformò in certezza nello scorgere suo fratello steso a terra, con le braccia strette attorno all’addome.
«Archer!» lo chiamò, correndo verso di lui.
Quando gli si inginocchiò accanto, Archer strinse il braccio di Addison in una presa ferrea. Non sembrava avere graffi o sanguinare, ma brutti lividi della dimensioni di un pugno iniziavano già a delinearsi su quella pelle bianca da bambino.
«Portami a casa, Addison» aveva detto suo fratello, con gli occhi inondati di lacrime che non aveva versato e che non avrebbe mai versato davanti a lei, ma in solitudine. Perché è così che fanno i Forbes-Montgomery.
Lai annuì, aiutandolo ad alzarsi e frenando a sua volta le lacrime. Era arrivata troppo tardi per difendere suo fratello.
 
Quando alla fine si sentì stanca di aspettarlo e decise di parlargli perché lui lo notasse, Addison scoprì che la ragazza mora che lo accompagnava sempre nelle ultime settimane, non era sua sorella, come aveva creduto, ma la sua fidanzata.
Ryan Pincher era il più bel ragazzo che lei avesse mai visto. Fisico scolpito, risultato di anni e anni di allenamento di football, occhi chiari, capelli biondi e, ciliegina sulla torta, un sorriso da ribelle così accattivante da stregare anche lei, Addison Montgomery, tanto dedita allo studio da essere tra i migliori studenti dell’istituto.  
«Ciao, Ryan, sono Addison» aveva detto porgendogli la mano e cercando di nascondere l’ansia che le faceva tremare la voce.
«E tu cosa vuoi?» aveva risposto la mora al suo fianco, con fare minaccioso. «Sta’ lontana dal mio ragazzo!» aveva subito aggiunto, strattonandolo e allontanandolo con fare deciso.
Addison rimase con la mano a mezz’aria e il suo desiderio di baciare il ragazzo più gettonato della scuola si infranse in mille piccoli pezzi.
Anche in quel caso, lei era arrivata troppo tardi.
 
Addison amava il pranzo di Natale, con tutti i parenti riuniti e così concentrati sullo sforzo di essere civili l’uno con l’altro da non criticarla per le sue scelte di vita.
Aveva preso la ferma decisione di diventare chirurgo e di fare carriera e la cosa turbava non poco gli animi dei Forbes-Montgomery, che davano per scontato che, per una donna agiata e destinata ad ereditare un considerevole patrimonio, la famiglia dovesse essere il primo e più importante pensiero.
Sposarsi, fare figli e lavorare solo per noia, per occupare il tempo.
L’unico felice di questa sua scelta sembrava suo padre, che la appoggiava e difendeva a spada tratta, ma che non perdeva occasione per criticare la seconda scelta che turbava gli animi dei suoi famigliari: Derek Shepherd, il suo fidanzato.
L’aspetto curato ed elegante di Derek aveva fatto sì che i Forbes-Montgomery lo prendessero subito in simpatia e la sua ambizione e determinazione a diventare neurochirurgo avevano concluso l’opera. Gli animi e l’entusiasmo si erano però raffreddati nell’apprendere le origini di Derek, per nulla ricco e dipendente dalla sua borsa di studio per poter frequentare l’università.
Unanime era stata la sentenza: un furbo e bel ragazzo che vuole approfittarsi dei tuoi soldi, Addison!
In questo caso l’unico sostenitore della ragazza rimaneva suo fratello Archer.
Ma il giorno di Natale tutto cambiava e Addison e Derek venivano accolti quasi con calore e gioia. Per quelle ventiquattro ore lei amava fingere che la sua vita fosse perfetta e che nessuno trovasse inadatte le sue scelte. Quel Natale, quando Derek si mise alla guida della sua auto per raggiungere la residenza dei Forbes-Montgomery, Addison sapeva che qualcosa sarebbe andato per il verso sbagliato.
Le nevicate insolitamente abbondanti e un ragguardevole numero di incidenti sulla loro strada fecero sì che i due giungessero a destinazione con molte ore di ritardo, quando ormai gli invitati avevano terminato il pranzo e non rimaneva che lanciarsi stilettate con l’aiuto dell’alcol ingerito.
«Ecco arrivata la nostra donna in carriera e il suo mantenuto!» aveva esclamato suo nonno, un anziano dal naso acuminato e la lingua tagliente anche senza l’ausilio dello scotch che sicuramente aveva bevuto in gran quantità, a giudicare dalla bottiglia vuota accanto a lui. 
Addison rivolse un leggero sorriso di scuse a Derek, rassegnata e avvilita. Per quel Natale, lei era arrivata troppo tardi.
 
Quando Derek entrò in camera da letto e la trovò nuda tra le braccia di Mark, Addison capì di aver toccato il fondo della degradazione di sé. Ora sarebbe riuscita a tornare a galla. O forse no.
«Fuori» aveva detto Derek, guardando Mark. Quest’ultimo si era rivestito in fretta e a passo veloce era uscito dalla stanza, voltandosi solo per lanciare un ultimo sguardo a Addison. Non ebbe il coraggio, o forse la presunzione, di cercare quelli dell’amico.
Derek seguì Mark, e Addison, preoccupata che le cose potessero mettersi male, dopo aver indossato una maglietta e un paio di mutande, li rincorse. Arrivata all’ingresso Mark era semplicemente sparito. Derek, invece, era fuori di sé dalla rabbia, dalla vergogna, dall’umiliazione.
E Addison ora lo sapeva bene.
Era troppo tardi per le scuse, era troppo tardi per il pentimento, era troppo tardi per lei.
Era troppo tardi per loro.
 
Fu lei a ritrovare sua madre, in quell’anonima camera d’albergo.
Morta. Le guance ancora rosee e le mani calde, ma morta.
Lei era un medico, lo sapeva per certo, anche mentre chiamava i soccorsi e si apprestava a fare tutto il possibile per la madre, lo sapeva, sapeva che, in realtà, sarebbe stato tutto inutile.
Ancora una volta nella vita, Addison era arrivata troppo tardi.
 
In fondo questo era il suo peggior difetto: il tempismo.
 
 
 
 
 
   
 
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