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Autore: dilpa93    12/08/2013    5 recensioni
La Tour Eiffel è sfavillante al centro della città, le luci dorate si riflettono nella Senna cullate dall’oscillare delle onde.
“Non è strano ritrovarsi qui?”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione, Contesto generale/vago
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-Era la città più romantica del mondo-

 

La tessera magnetica scorre nella serratura; il piccolo led si illumina rilasciando una debole luce verde. Fa caldo, la situazione lo agita e questa si riversa su l’alone di sudore lasciato dalla mano destra stretta attorno alla maniglia. Si trascina lentamente nella stanza, dove il condizionatore rende l’aria fresca e piacevole. Le rotelle del trolley affondano nella soffice moquette dai disegni orientaleggianti, dietro di lui la detective entra silenziosamente, accende la luce permettendo così al grande lampadario di illuminare il salone della suite.
Lascia la valigia all’ingresso camminando in punta di piedi verso la finestra. Le tende non sono tirate, le luci notturne della metropoli irrompono dall’ampia vetrata. La Tour Eiffel è sfavillante al centro della città, le luci dorate si riflettono nella Senna cullate dall’oscillare delle onde. Sono passati anni, ma la stanza è sempre la stessa, meravigliosa al Shangri-la Hotel al centro di Parigi.
Sospira osservando il suo riflesso sul vetro. Viene colta da un brivido che scorre lungo l’intero corpo. Abbassa il capo sentendo i capelli scivolarle sulle spalle e solleticarle distrattamente il viso, mentre carezza le braccia sentendo la pelle d’oca sotto le dita.
Solleva lo sguardo posandolo su l’uomo che è lì con lei, concentrato ad appendere la giacca alla stampella nell’armadio. Allenta il nodo alla cravatta sedendosi ai piedi del letto, si slaccia i polsini della camicia e si toglie le scarpe.
“Non è strano ritrovarsi qui?” Gli chiede mandando in frantumi quel silenzio pesante.
“No... non vedo perché dovrebbe.” La voce è fredda e distante, non c’è traccia del calore emanato da quella di tre anni prima. Non si sforza neanche di guardarla in faccia.
“Beh, l’ultima volta noi-”
“Noi cosa?” La interrompe prima che completi la frase. “Se non sbaglio eravamo d’accordo, quello che c’è stato non è mai accaduto.”
 
 
 
Avrebbero dovuto incontrare, al carcere francese di Fresnes, un detenuto, un certo Hermàn Molieux. Secondo le loro indagini aveva avuto contatti con il pluriomicida Gary Sanders, che due settimane prima era stato rilasciato a causa di un cavillo legale. Senza perdere tempo aveva ricominciato lì dove era stato costretto a fermarsi, il primo a trovare la morte era stato il giudice che lo aveva condannato e a seguire il capo della giuria. Non avevano idea di chi sarebbe potuto essere il prossimo, la guardia che lo aveva scortato in cella, il secondino grazie al quale aveva ottenuto due settimane di isolamento, l’anziana signora che si era occupata di dattilografare durante il processo. Le possibilità erano infinite e non avevano abbastanza agenti per poter dare a ciascuno una scorta.
Dal controllo della corrispondenza del carcere erano risultate numerose lettere intercontinentali inviate a Molieux, esponente della criminalità francese e non era da escludere l’eventualità che avesse scritto i suoi piani di vendetta usando un codice che, senza l’aiuto di Hermàn, non sarebbero riusciti a decifrare.
Fresnes era piuttosto fuori mano, ma Rick non aveva voluto rinunciare alla possibilità di soggiornare nel centro della città più romantica del mondo, specialmente se a tenergli compagnia sarebbe stata Kate. Più volte, infatti, la donna si era lamentata della sua testardaggine  nel voler soggiornare a Parigi, ma la sua ultima risposta l’aveva messa a tacere, ormai stremata dagli inutili tentativi di persuaderlo ad alloggiare in un modesto albergo nelle vicinanze del penitenziario.
“Andiamo Beckett, dove altro avresti avuto una vista così?”
Gran parte della serata l’aveva passata sfogliando gli incartamenti del caso e cercando di dare una rinfrescata al suo francese ormai arrugginito, nel caso l’interprete, l’indomani, avesse deciso di giocare qualche scherzo. Tra le mani teneva la foto patinata di una delle prime vittime di Sanders, una giovane ragazza sulla ventina, capelli ondulati e mossi che le incorniciavano il viso sorridente e fu nell’esatto momento in cui ai suoi gioiosi occhi verdi sostituì quelli vitrei che aveva avuto modo di vedere nella polaroid del referto autoptico, che vide la mano dello scrittore chiudere il fascicolo e porgerle un calice di vino rosso.
Avrebbe voluto essere in grado di staccare la spina, ma la sua parte razionale la spingeva ad abbandonare quel bicchiere sul tavolino e dedicarsi al lavoro, pur consapevole che, fino alla mattina seguente, non avrebbe potuto fare granché, ma sembrava convinta che ci fosse qualcosa che fosse sfuggito ai loro occhi e che, probabilmente, si trovava proprio in quelle foto, nella fisionomia delle vittime, nei loro nomi o impieghi, nei luoghi di nascita.
Conscio di questo, prese il fascicolo chiudendolo nella cassaforte della stanza sotto lo sguardo allibito della detective.
“Fino a domani questo resterà qui dentro e noi finiremo la bottiglia di Bordeaux dell’87 cercando di rilassarci.” Chiuse la cassaforte digitando rapidamente i numeri nel tentativo di non farli vedere a Kate, ma non fu difficile per lei immaginare la sequenza di cifre scelte dallo scrittore. Conoscendolo aveva optato per una data importante e quale, se non la nascita di Alexis. Tuttavia decise di  non sfidare la sorte e cedere alla sua richiesta, del resto era stato gentile da parte sua accompagnarla in quel viaggio pur non essendo tenuto a farlo, e nessuno lo avrebbe biasimato se avesse deciso di restare a New York e godersi gli ultimi giorni in compagnia della figlia prima che partisse dopo la cerimonia dei diplomi.
La prima bottiglia era finita velocemente, forse un po’ troppo, i minuti iniziali erano trascorsi in silenzio, aspettando che il vino sciogliesse i nervi ad entrambi, agitati dall’essere lì, da soli.
Il dialogo tra loro si aprì facilmente con ricordi delle avventure passate, la risata di Kate esplose genuina ormai persa nelle reminiscenze degli scherzi giocati a Rick nelle più svariate occasioni, della sua paura che aveva fatto da padrona in alcune bizzarre situazioni, delle sue battute od occhiate maliziose, delle strambe teorie a cui era costretta a fare da spettatrice ormai da anni.
Lo scrittore terminò il vino rimasto sul fondo del bicchiere tutto d’un fiato, non ci volle molto prima che Kate notasse il modo in cui morbosamente prese a mordersi l’interno della guancia, un tic nervoso che aveva imparato a riconoscere nel corso degli anni come sintomo che qualcosa lo tormentava.
A seguito della richiesta del perché del cambio repentino di umore, si portò le gambe al petto, le dita scivolarono con naturalezza tra i capelli portandoseli dietro l’orecchio, così da poter ascoltare meglio ciò che lui aveva da dire.
Un viaggio, un’offerta dalla casa editrice, un reportage interessante da fare su tabu rimasti inesplorati nelle storia dell’umanità. A sentire lui sarebbe stato il momento perfetto, Alexis sarebbe andata al college, Martha ormai era lanciata con i ragazzi della sua scuola di teatro, eppure c’era ancora qualcosa a frenarlo.
Quando aveva capito di cosa si trattasse aveva tentato inutilmente di interromperlo e porre fine a quella conversazione che non sapeva dove li avrebbe portati, a quali risvolti li avrebbe condotti, ma non era riuscita a dire nulla se non il suo nome prima che la sua voce calda la fermasse.
“Ti prego Kate, dammi un motivo per rifiutare. Perché non sono riuscito a trovarne nessuno, nessuno tranne te.”
Non poteva essere egoista, non poteva dirgli “rimani”.
Si chiese cosa avrebbe fatto lei, se avrebbe mai rifiutato una tale opportunità. La risposta era palese, no. In questo caso, però, lui glielo stava chiedendo, la stava implorando di fermarlo, di dargli un buon motivo per restare ed esplicitamente gli aveva detto che era lei quel motivo, l’unico che l’avrebbe fatto desistere.
Nonostante quella vocina interiore risuonasse in lei come un campanello d’allarme “digli di no, allontanalo, digli di no”, la vicinanza del suo viso la fece vacillare. Quando sentì il respiro di Castle infrangersi sulla sua bocca appena schiusa fu troppo tardi. Le loro labbra iniziarono a cercarsi fameliche, bisognose le une delle altre, il divano divenne il loro giaciglio mentre le mani si muovevano come spinte da una forza invisibile alla ricerca di un qualsiasi contatto. Non c’era tempo per fermarsi a pensare. Le dita affusolate della detective gli solleticarono piacevolmente la schiena e il petto cercando di togliere quella camicia che ora risultava solo di impaccio.
Le unghie lo graffiarono nella passione che li aveva fatti fondere in una persona sola, le spinte di lui si fecero più forti davanti ai gemiti strozzati della donna che sotto di lui continuava a baciargli il collo e stuzzicargli il lobo dell’orecchio.
Il Sole sorse velocemente, svegliandola ancora prima che la sveglia suonasse. Non riuscì a ricordare in quale momento e come fossero arrivati sul letto.
Si voltò sul fianco, lasciando che la schiena nuda venisse scaldata dai raggi entranti dalla grande finestra. Fissò per qualche secondo la sagoma accanto a lei, il suo sorriso beato, le braccia che l’avevano stretta per l’intera notte, il petto a cui si era avvinghiata e che aveva sentito più volte contro i suoi seni, gli stessi seni che lui aveva baciato e tormentato con la sua bocca fino quasi a farle male.
Si alzò tenendo il lenzuolo stretto a sé.
Quando la sveglia suonò lui aprì gli occhi ancora assonnato, individuando la sua figura ai piedi del letto intenta ad allacciarsi le stringhe degli stivaletti neri.
“Ehi” uscì dalle sue labbra ancora sorridenti, che si scontrarono con il viso serio di lei, il cui buongiorno fu tutt’altro che solare. I pochi minuti in cui aveva avuto modo di riflettere da sola, mentre lui ancora dormiva, l’avevano mandata nel panico, portandola a pentirsi della notte appena trascorsa.
“Quello che abbiamo fatto, io... mi dispiace Castle, non posso, è stato uno sbaglio. Sarebbe meglio se noi fingessimo, si ecco, fingessimo che non fosse successo nulla.”
L’assenso fu un debole annuire col capo da parte dell’uomo.
“Accetta quel lavoro Castle, te lo meriti.”
 
 
“Ripensandoci sarebbe meglio dire che tu hai deciso che avremmo dovuto dimenticare quello che c’è stato.” Toglie la cravatta lasciandola cadere sul copriletto. “Siamo qui per lavorare, smettiamola di parlare di questo e pensiamo a chiudere il caso.”
Di nuovo lì, per parlare ancora una volta con Molieux. A distanza di tre anni c’erano ancora cose su Sanders che rimanevano un mistero ed Hermàn era il solo a poterle svelare, ma ad una condizione, quel simpatico scrittore americano sarebbe dovuto essere presente.
Non fu facile per Richard acconsentire, era convinto di essersi lasciato il 12th alle spalle. La fama che ancora oggi ha la saga su Nikki Heat gli aveva impedito di scrollare da sé il pensiero di lei e di quella notte, ma era riuscito ad allontanarsi da quel mondo e da parte di quei ricordi.
Se accettò fu solo per poter mettere la parola fine a quella storia una volta per tutte e non avere così più motivi per vederla.
“Tu non ti rendi conto Castle, io l’ho fatto per-”
“Non mi interessa.” Mormora atono alzandosi per prendere la copia del fascicolo che aveva nella tasca della valigia.
“Sai, Kate, non sei mai riuscita a capire. Tu per me eri più importante di qualsiasi lavoro, di qualsiasi cosa avessi potuto scoprire in quel viaggio. Non mi importava niente di scrivere l’ennesimo libro, di ottenere altro successo. Dio, io volevo te! E non solo per una notte, non solo per togliermi lo sfizio, io mi ero innamorato e tu hai preferito calpestarmi, illudermi, darmi una speranza e poi svanire nel nulla. Non mi importa perché lo hai fatto, non voglio sapere se eri spaventata, se eri su di giri per via del vino... tutto quello che volevo me lo hai tolto quando siamo sbarcati a New York e io ho provato per l’ultima volta a persuaderti, quando mi hai guardato e mi hai detto addio. No Kate, non mi interessa il motivo, perché non farebbe altro che incrementare il mio risentimento e il mio rammarico.”
Ma queste parole non uscirono mai dalle sue labbra, preferì stare in silenzio e sperare che quel tempo da passare insieme trascorresse veloce e al contempo lento, perché la parte di lui che desiderava non rivederla, era pari a quella che non avrebbe mai più voluto passare un altro minuto della sua vita lontano da lei.
  
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