Stupid Me
-TheRaVen-
Stupido, stupido, stupido!
Continuavo a ripetermi mentre cercavo
di capire come avessi fatto a finire in una situazione del genere e, che io sia
maledetto, non riuscivo proprio a vedere in cosa esattamente i miei metodi
educativi non fossero corretti.
Ma iniziamo dal principio.
La sera precedente, giù in
paese, la figlia di Henry il brutto finalmente si era sposata. Dopo 28 anni
anche lei era riuscita miracolosamente a trovare marito.
Se vi state chiedendo perché ci
avesse impiegato ben 28 lunghissimi anni per sposarsi evidentemente non avete
mai incontrato il padre. Vi basti sapere che la ragazza gli somigliava in modo
spaventoso. In tutti i sensi.
Alla notizia del fidanzamento il
vecchio Henry, in un impeto di folle gioia, aveva invitato praticamente tutta
la contea alla festa di matrimonio. Fu così che mi ritrovai, insieme con
mio fratello John e il giovane Smith, a discutere sulla stagione degli orsi che
era appena iniziata.
Stavamo appunto organizzando una
battuta di caccia dalle parti del blue ridge per il
giorno successivo litigando su quale fucile funzionasse meglio contro i giovani
grizzly appena usciti dal letargo, quando mi si avvicinò Will Marlon e
con fare sospetto mi trascinò fuori dalla festa.
“Insomma Will! Dove mi stai
portando?” mi decisi a chiedergli quando fui sicuro che nessuno ci
potesse sentire. Qualcosa nel suo modo di fare mi diceva che qualunque cosa
avesse in mente sarebbe dovuta rimanere tra di noi.
“Ho trovato delle casse di rum
vicino al fiume” disse senza troppi preamboli mentre si guardava intorno
come se qualcuno gli dovesse saltare addosso da un momento all’altro.
“Ho nascosto delle bottiglie nel
bosco, pensavo che ti sarebbe piaciuto assaggiarne un goccio”
E aveva ragione! Trovare del buon liquore
di quei tempi era un’impresa rara e io non ero tanto stupido da lasciarmi
sfuggire un’occasione simile.
Non ci volle molto però
perché, alla festa, mio fratello si chiedesse che fine avessi fatto e ci
volle ancora meno perché, appoggiati a un albero, l’alcol ci
cullasse in un sonno tranquillo con una bottiglia mezza vuota ancora ai nostri
piedi.
Fui svegliato bruscamente dal sonoro
impatto di una mano con la mia guancia.
Sicuramente non il migliore dei
risvegli.
Ci misi un po’ per mettere a
fuoco la situazione e, se non ci fossi arrivato da solo, le parole di mio padre
non mancarono di farmi notare in che gargantuesco pasticcio mi fossi cacciato.
“Emmett
McCarty! cosa pensavi di fare nel bosco, da solo, di
notte non di meno, con una bottiglia di rum?” tuonò mio padre
reggendomi per il colletto della camicia e spingendomi la schiena contro il
tronco dell’acero alle mie spalle.
“In nome di Dio figliolo, pensa a
cosa dirà tua madre quando saprà che suo figlio è un
contrabbandiere d’alcol!”
Spiazzato dalla velocità a cui
stava succedendo tutto e ancora leggermente alticcio mi accorsi a mala pena che
Will era sparito e che John era lì a vedere la mia umiliazione.
Senza badare ai miei innumerevoli
“non è come sembra” mi trascinarono a casa in attesa che,
dopo i drammi dell’essere venuta a conoscenza della mia recente
“depravazione morale” il giudizio impietoso di mia madre decidesse
quale fosse il modo più adatto a “inculcarmi la lezione in
testa”.
A quanto pare per un figlio che se ne
infischia delle norme sul proibizionismo non ci sarebbe stato niente di meglio
che badare alle proprie nipotine cercando di fargli capire l’importanza
delle regole e l’ubbidienza alle leggi. A niente erano servite le scuse o
le promesse. Neanche la battuta di caccia, prevista per l’indomani, che
avevamo programmato per tutta la sera mi garantì un alleggerimento della
pena.
Questo era l’indiscutibile
sistema del contrappasso della signora di ferro McCarty
e nulla avrebbe potuto farle cambiare idea.
Fu così che mi ritrovai a badare
da solo alle tre adorabili bambine di
mia sorella.
Intendiamoci, non è che non mi
piacesse passare del tempo con le mie nipotine -anzi tutt’altro- ma
sapere che i miei fratelli, in quel preciso istante, erano a caccia di grizzly
mentre io stavo facendo finta di prendere il thè
in microtazzine di porcellana era alquanto
frustrante.
Dopo aver fatto la conoscenza di mister
orsetto e signor coniglietto decisi che era giunta l’ora che le mie
bambine capissero l’importanza delle regole tramite passatempi, a mio
avviso, più educativi del fingersi signore d’alta classe.
Mi ci volle un po’ ma alla fine
trovai il gioco ideale, quello con cui avrebbero potuto imparare
l’importanza delle regole, la priorità delle scelte e come
affrontare le difficoltà senza mostrarlo esternamente: il Poker!
Sgombrando il tavolinetto per fare
spazio, non ci misero molto a capire le regole. Avevano sangue McCarty dopotutto!
Mary, la più grande era in
coppia con Jess, mentre io ero seduto di fronte alla
piccola Amy di soli 5 anni.
Usavamo come fish
caramelle e i pochi spiccioli che tenevano nelle loro borsette in miniatura.
Si divertivano e stavano imparando
qualcosa di utile. Mi congratulai con me stesso per l’azzeccata scelta
del metodo didattico.
Non ci volle molto però che si
stancarono di usare le caramelle e pretesero di giocare con soldi veri. A
malincuore rinunciai ai pochi dollari che avevo in tasca distribuendoli tra di
loro e procurandomi gridolini di gioia ogni volta che aggiungevo una monetina a
questa o quella pila. Fossi maledetto se non avrei fatto di tutto per vedere
felici quelle bambine!
Avevo appena posato l’ultimo
penny tra le monetine di Amy, mentre Jess mischiava
le carte, che sentii la più piccola mormorare sottovoce
“Oh-oh”
La vidi di fronte a me con quella sua
espressione innocente, le labbra ancora corrugate e gli occhioni
neri spalancati puntati oltre la mia testa in direzione della porta.
Sapevo già che non mi sarebbe
piaciuto quello che avrei trovato dietro di me ma non feci neanche in tempo a
girarmi che la voce di mia madre mi gelò il sangue nelle vene.
“Emmett
McCarty! Hai delle spiegazioni da dare e, prega il
buon Dio, fa che siano convincenti!”
Stupido,
stupido, stupido!