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Autore: Jo_March_95    16/08/2013    3 recensioni
{Ian/Mickey.}
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In my veins
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Everything will break/
People say goodbye/
In their own special way
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Note: Credo di essermi data un po' troppo all'angst nella stesura di questa One shot ma per la prima volta mi sento pienamente soddisfatta di un mio lavoro, spero dunque di ricevere la vostra opinione.
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Dal testo:
"Ian si bagna un po' gli occhi per essere sicuro di essere puro abbastanza da poterlo toccare senza corroderlo,che quella fragilità Mickey la nasconde bene ma strilla più forte del suo ego, pertanto come cocci di vetro che stridono al reciproco contatto, anche i movimenti leggeri della sua anima sortiscono lo stesso effetto. "
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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In my veins.

Oh you're in my veins and I cannot get you out




 

Le dita scorrono sulla pelle pallida che si incava leggermente sotto il loro peso, il passaggio accentuato nelle zone attorno alle costole e affievolito in prossimità degli aloni giallo scuro che contornano lividi mai troppo vecchi da scomparire veramente.
I capelli neri di Mickey spiccano in contrasto con il bianco del cuscino, il viso è abbandonato di lato a fronteggiare il muro con un coraggio che non sa dimostrare altrimenti, la bocca è spalancata in modo imbarazzante e piccoli rivoli di bava che puzza di alcool e sigarette di troppo scavano una scia tra la barba incolta.
Ian, con lo sguardo furbo e un sorriso contagioso che gli incendia il petto, ha rimboccato le coperte alle iridi color petrolio dell’altro, ha cantato nella propria mente ninna nanne arcane e con le mani tremanti a tre centimetri effettivi dalla pelle giallognola di Mickey ha donato le sue più dolci carezze.
Quello per tutta risposta gli ha voltato le spalle con una smorfia infastidita perché ogni tipo di sensazione viscida di amore e sicurezza,
Dio gli fa venir voglia di vomitare tutto, sputare milza e polmoni,di svuotarsi completamente e abbandonare quell’involucro di carne, tendini e disprezzo.
Lasciarlo lì come monito alle farfalle mentre il vero sé stesso marcisce a terra, rivoltato con orrore e spalmato sulla ghiaia.
Sarebbe sicuramente grumoso come un tumore, vivo e pulsante come i mille vermi che si contorcono tra le budella e le tempie.
Resterebbe quindi esangue a strisciare su se stesso, a fagocitare il proprio male ancora e ancora.  

Mickey Milkovich non è un pozzo di romanticismo da sveglio, da sobrio ma neppure da sbronzo ad essere sinceri e Ian Gallavich questo lo sa.

Neppure quando le palpebre diventano più pesanti del silenzio e calano inesorabili come tende di tessuto greve da cui non far passare la luce, neppure nel sollievo del sonno Mickey Milkovich sa essere sdolcinato. Piuttosto, a guardarlo mentre si agita nell’incoscienza degli incubi che lo assillano e lo fanno somigliare ad uno di quei randagi che per miracolo sopravvivono alla strada e poi muoiono di crisi epilettiche sotto i ponti negli scatoli da trasloco, è  un altro tipo di emozione a prendere piede.

                                                                                                            Ian ormai ne conosce a memoria tutte le fasi.

All’inizio l’istinto è quello di stringerlo e stringerlo forte, incrociare le braccia al petto dove la cassa toracica rischia di rompersi ad ogni battito, dove mille schegge sono già irrimediabilmente conficcate nello strato del suo subconscio più nascosto.
La risposta immunitaria di Mickey sarebbe quella di strattonarlo via e allontanarsi con aria da duro mentre tutto dentro di lui cade alla stessa velocità con cui egli stesso svuota le bottiglie di birra una dopo l’altra.
Barcollerebbe abbastanza lontano da potersi fermare, prendere un respiro profondo e restare a boccheggiare piegato in due mentre una mano preme sullo stomaco e Dio, le lacrime lo soffocano dall’interno otturandogli la gola, cementate in anni di repulsione verso sé stesso.
Resterebbe lì sfibrandosi un po’ alla volta come il fumo che vola da una sigaretta, smagnetizzando ogni parte lontanamente umana che lo incatena a sentimenti taboo, vietati e sbagliati.

                                                                            Ian allora si morde le mani e le porta al viso per controllarle meglio. Nasconde dietro gli spiragli tra le dita la propria impotenza e pensa alla mossa successiva.

Il secondo istinto è quello di cullarlo, farlo abbandonare contro il proprio petto immaturo che nasconde un’ingenua speranza da infante, rimedi fiabeschi per esorcizzare il male dell’esistenza.
Ian si bagna un po’ gli occhi per essere sicuro di essere puro abbastanza da poterlo toccare senza corroderlo, che quella fragilità Mickey la nasconde bene ma strilla più forte del suo ego.. pertanto come cocci di vetro che stridono al reciproco contatto, anche i movimenti leggeri della sua anima sortiscono lo stesso effetto.
Tra una lacrima e l’altra a congiungerne le efelidi, il rosso soffierebbe parole di fiducia in ogni postazione recettibile, inumidirebbe le orecchie di Mickey con la lingua impregnata di sogni taciuti e chiavi perdute a riaprirne i cassetti.
Ma se così facesse l’altro volerebbe via ad ogni folata di quell’alito dolceamaro che gli condensa le inibizioni e intinge i neuroni in aspettative pericolosamente realizzabili.

                                                                               Il terzo istinto è sempre quello più giusto, come un pitagorico declassato Ian si fida del numero perfetto.

Scuotendo la testa in un uragano di fili rossi e gocce trasparenti, arriva il momento di morire dentro, abbassare la testa e portarsi un cuscino alla bocca a soffocare ogni intenzione. Ian urla tra le fibre di cotone misto a lana e il suono si blocca tra un capillare e l’altro, i denti mordono ogni pausa e il pugno ne batte il tempo tra un unghia nella pelle e l’altra.
                                                                                                                                                                                                          ..Inizia quella che va più a fondo.

Mickey percepisce la tensione e le budella fanno a botte con i reni, l’unica cosa che riesce a pensare è come scappare da quella maledetta situazione ma le manette usate per incatenarlo sono tra le più buone in circolazione e persino un pensiero di troppo può far male, scivola viscido attorno alla gola e inizia a spingere contro l’epiglottide.

Restano ad agonizzare con l’acqua dell’altro alla gola, annegando nei rispettivi oceani e nascondendo ogni riserva.
Prima o poi finisce oppure giunge prima l’incoscienza, li trova in posizioni rigide da carenza di magnesio, con le gambe che puntano verso la porta, i visi spenti a furia di piangere e le mani strette all’unica ancora capace di farli restare a galla.
Ian massaggia con il mignolo le dita sottili di Mickey e per tutta risposta quello piega il polso come a volerlo avvolgere in un abbraccio tra estremità.
Poi il moro chiude gli occhi a forza, ingoia saliva che sa di muffa stagionata come quel tipo di esperienza che ti segnano per tutta la vita e l’unica cosa che puoi fare è infilarti nell’incavatura della tua cicatrice personale e sentirti a tuo agio negli sbagli degli altri.

Ian ha la bocca che sa di metallo e qualche piastrina corsa in soccorso a fermare la mini emorragia, apre gli occhi sbattendo le palpebre velocemente come a volersi liberare delle lacrime, come a vantarsi di essere riuscito a trattenere il respiro così a lungo, lì, sotto le ciglia.
Apre uno sbaglio grande quanto un sorriso mettendo in mostra la fila di denti bianchissimi e diritti per il saluto come cadetti al caporale, le lentiggini riprendono colore e le mani sciolgono la presa.
Allora Ian prova i suoi rimedi della nonna per guarire Mickey, legge un libro di lieti fine tra quei capelli scompigliati e non ha il coraggio di fargli voltare la faccia nella sua direzione perché sarebbe davvero troppo.
Inizia a passeggiare tra le curve allenate dei fianchi che si avvitano e le spalle che esplodono, fa correre le dita sulla collina delle natiche spoglie e il bosco intricato tra le gambe, l’accarezza con l’entusiasmo di un bambino e la capacità di un’amante.
Sussurra parole ora che nessuno può sentirle, le soffia direttamente tra le labbra screpolate e le lascia in balia della lingua che danza agitata.
Mickey si finge un fantoccio in balia delle sue attenzioni, si scosta leggermente come misura preventiva, lezione impartitagli dalla vita.

Tiene gli occhi chiusi con la colla dell’illusione per non doversi svegliare e scoprire di non aver mai sognato, stringe le mani tra le lenzuola per non doverle allungare sul volto di Ian e trovarlo concreto contro i polpastrelli a spingere contro la sua pelle.


                                       Ian strofina il naso contro la barba ispida e sorride per entrambi, lo guarda per entrambi, ama per entrambi.

  
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