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Autore: Misaki Kudo    18/08/2013    10 recensioni
« I trust you, Shinichi! »
Sono passati cinque anni, l'Organizzazione è stata appena sconfitta.
Shinichi è ancora intrappolato nel corpo di Conan, ormai undicenne, mentre l'antidoto per l'apotoxina non è ancora stato ultimato. Il giovane continua a vivere a casa di Ran, che non riesce più a sopportare la lontananza dell'"amico", rivedendolo negli stessi occhi di Conan.
Situazioni complicate continueranno a caratterizzare la vita del giovane Kudo, la speranza è l'ultima a morire si sa, ma l'antidoto preparato da Haibara riuscirà a sconfiggere l'APTX?
Shinichi riuscirà, finalmente, a confessarsi a Ran dopo cinque anni di bugie?
Riuscirà a dire le cose che non le ha mai detto?
•••
In una folla, in una città. Lei avrebbe sempre ricercato il suo modo di camminare, i suoi saluti sinceri, il suo sguardo che riusciva a spiazzarla. Quegli occhi di un blu così intenso da fare invidia al cielo. Quel senso di pace che solo lui riusciva a procurarle. Una strana sensazione che ultimamente, provava anche quando era con Conan. O semplicemente la provava da sempre, ma lo ignorava. Perché Conan e Shinichi non potevano essere la stessa persona, no?
[Long ShinRan♥ - Conclusa.]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'ShinRan♥: between friendship and love.//'
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;Gosho Aoyama © Detective Conan.


Le cose che non ti ho detto.

11.
Certezze incerte.

•••

Cinque anni dopo, nulla sembrava cambiato, o quasi.
Ayumi e Genta si avviavano verso casa, la dolce ragazzina si era trasformata in una bellissima ragazza, i lineamenti più femminili e marcati, i portamenti signorili e aggraziati. «Genta-kun, perché Conan-kun non è tornato con noi? Ayumi è triste..», chiese col volto malinconico.
«Ayumi-chan non pensarci! Deve andare da Ran-neesan..sai...io l'ho sempre detto che lui, in fondo in fondo...», alluse Genta.
«Ma smettila, Genta-kun! Hanno dieci anni di differenza!», sbuffò contrariata. Genta preferì addentare un cornetto.
Qualche isolato più in là, una scienziata trafficava con delle boccette contenente uno strano liquido rossastro, un ragazzo abbastanza alto continuava a porgerle tutto ciò che le serviva. Quello oramai era il loro mondo, il loro rifugio dopo la scuola. 
Lei oramai era Haibara, e non le dispiaceva affatto.
«Haibara-san, le provette posso conservarle?», chiese quasi con timore il ragazzo diciassettenne.
«Fai pure», un leggero sorriso aveva preso forma sul viso dell'ex scienziata. «Puoi anche andare, abbiamo finito».
«E-Emh io...voglio aspettare te!», esordì sicuro di sé, con una consapevolezza nuova nel cuore.
Haibara spalancò appena gli occhi, per poi tornare alla sua solita espressione indifferente. «E sia, allora». 
Mitsuhiko sorrise, diciamo pure che spalancò ogni parte del suo viso, correndo felice verso la porta.
La scienziata si lasciò andare ad una tenera espressione, chissà quando sarebbe arrivato il momento, se sarebbe arrivato.
Le tue attenzioni per una che che è sempre stata sola, non dispiacciono sai? Proprio per niente, Mistuhiko-kun.

•••

Era decisamente un vestito meraviglioso. Di un bianco lucente, reso ancor più luminoso dalle miriadi di piccoli diamanti che ora risplendevano come stelle alla luce artificiale della lampada da tavolo. Ran allungò lentamente una mano e sfiorò leggermente il tessuto morbido del suo vestito. Non ne aveva mai visti, di così belli.
Il mio vestito da sposa…già.
Ripensò al vestito che aveva visto appena una settimana prima su di Kazuha, era davvero meravigliosa, così radiosa. Sembrava davvero una principessa, chi non sarebbe al settimo cielo sposando l’uomo che ama? Soprattutto dopo mille ostacoli e mille peripezie? Per Kazuha ed Heiji era andata proprio così, si meritavano davvero la felicità.
Percepì alcune voci provenienti dalla stanza da pranzo, più altro si trattava di urla. Sua madre, Eri, era tornata per il suo matrimonio, voleva essere vicina alla figlia in un momento tanto importante. Avrebbe anche cercato la pace con il marito. Peccato che tutto era già andato in fumo la sera prima quando Kogoro, ubriaco fradicio, ci aveva provato con la cameriera. Inutile spiegare la reazione di Eri...
Ran sospirò mentre con le dita sfiorava una delle piccole pietre preziose che ricoprivano quasi completamente l’abito.
Avrebbe voluto vederli andare d’amore e d’accordo almeno per una volta, prima della sua partenza.
… partenza …
Si accorse di vedere sfocato e si sfregò gli occhi con le mani. Le scoprì umide di lacrime.
Ma perché piango? Ho fatto una scelta ormai… non posso più tirarmi indietro. E il matrimonio è tra tre giorni…
Ricacciò indietro le lacrime e si mise seduta sul letto. Il suo sguardo vagò per la stanza come in cerca di qualcosa –qualunque cosa- che le donasse un po’ di conforto. Non trovò nulla e allora il suo sguardo ricadde nuovamente sul vestito da sposa accanto a lei, sul letto.
Ecco, su quello doveva concentrarsi! Sul fatto che era davvero fortunata a sposarsi con un abito simile -doveva essere costato una fortuna- , che con quel vestito avrebbe raggiunto all’altare una persona meravigliosa che l’amava.
E anch’io lo amo… giusto?

Giusto…?

Ran cercò di sorridere, di creare dentro di sé una certezza, qualcosa che la rendesse forte… qualcosa che le togliesse quel nodo dalla gola che minacciava di farla piangere.
«Sì, lo amo», sussurrò rivolta a se stessa, «Tomoaki è un ragazzo meraviglioso… dolce, sensibile, romantico…»
La sua voce si alzò e prese un ritmo veloce ed entusiasta, «E’ poi è anche bello e in gamba! Sonoko me lo invidia e mi dice sempre che sono stata fortunata. Non potrei desiderare niente di meglio!» Pronunciò allegramente queste ultime parole e si alzò, stiracchiandosi. 
L'aveva da sempre corteggiata, fin da quando era soltanto una liceale. Da allora erano passati dieci anni, aveva ventisei anni.
Era anche ora che si sposasse, vivendo la sua vita, con una persona che l'amasse, no? Sì, era sicuramente così.
Adesso si sentiva un po’ meglio. Almeno un po’. Anche se quello straziante nodo in gola era rimasto e lei sapeva per quale motivo era lì. Ma non voleva scioglierlo, quel nodo, perché piangere per una persona che non ti vuole… che ti ha abbandonato… che ti ha detto di non provare nulla per te con un tale freddo nella voce da gelare le ossa e il cuore… no, lui non meritava le sue lacrime.
Accigliata, i suoi occhi tornarono nuovamente al letto e all’abito bianco. Era ora che lo riponesse, al matrimonio mancavano ancora alcuni giorni, mica poteva tenerlo steso sul letto fino ad allora!
Ran si mosse e si chinò ad afferrare il vestito. Bianco come la neve. Sembrava ancora più candido in contrasto con il copriletto blu. Blu come il mare, profondo e incolmabile. Il colore che assume il cielo dopo il tramonto, quando il sole è svanito ma la notte non è ancora arrivata ad inghiottire forme e colori. L’orizzonte ha ancora il colore aranciato del tramonto ma basta alzare gli occhi al cielo ed ecco che la visuale viene sommersa da un blu cobalto, caldo e vibrante. Il blu dei suoi occhi…
Shinichi…
Senza rendersene conto aveva cominciato a piangere. Senza singhiozzi, solo lacrime che cadevano come perle sui diamanti del vestito, che splendevano ancor più di essi alla luce della lampada. E nella sua mente… frasi, parole… e freddo.
“Ran, mi dispiace”
Nessuna nota di dispiacere. Nessuna nota di un qualsiasi sentimento, in verità… voce atona, come quella di un automa.
“Il fatto è… che amo un’altra.”
Non avrebbe mai capito come fosse possibile sentirsi esattamente come se un proiettile ti avesse trapassato da parte a parte il cuore senza che fisicamente ti fosse accaduto nulla.
Silenzio dall’altro capo del filo. Poi un'unica frase, sbrigativa, gelida.
“Dimenticami, Ran”
…e la conversazione –se di conversazione si poteva trattare- finì così, senza che lei riuscisse a replicare…
ma cosa avrebbe potuto rispondere senza cedere ai singhiozzi, senza temere di ricevere di rimando una frase del tipo “Possiamo rimanere solo amici”, senza sputar fuori frasi che nel suo cuore martoriato si sarebbe rimangiata perché, dopo tutto, l’amore di una vita intera non si può cancellare così, come se niente fosse-
Non lo aveva più sentito dopo quel giorno anche se, nei momenti in cui la rabbia prendeva il sopravvento sul dolore, avrebbe voluto sentire il telefono squillare, alzare la cornetta e dirgli con la massima tranquillità che aveva trovato una persona che l’amava veramente, che si sposava… e sentire di nuovo il gelo nella sua voce… la durezza nelle sue parole… voleva avere di nuovo l’impressione di star parlando, non a carne e sangue, ma ad un essere di metallo e di pietra… per poterlo ricordare così, e non come il ragazzo allegro e a modo suo dolce con il quale era cresciuta. Il ragazzo che amava da sempre, il ragazzo che le aveva dato ricordi...passati?
I ricordi facevano male. Ran smise di piangere ma il corpo tremava, scosso da singhiozzi repressi.
Non voleva, non voleva più piangere per lui.
Traballando un poco, si mosse verso il comò e aprì un cassetto per cercare qualcosa con cui asciugarsi gli occhi. Prese in mano un fazzoletto e il suo sguardo cadde su un oggetto seminascosto dalla biancheria.
Un portafoto.
Quasi con terrore lo spinse rapidamente sotto uno dei suoi pigiami.
Strinse le labbra, nervosa. Era certa di aver buttato quella foto, perché era ancora lì? Ricordava bene quella foto, come se ce l’avesse avuta ancora di fronte. E come non ricordarla, dopo averla avuta sul comodino ogni giorno e ogni notte da quando, dieci anni prima, era stata scattata?
Ritraeva due adolescenti, entrambi in posa, con dei sorrisi allegri stampati in viso. Lei, Ran Mouri, 17 anni, leggermente chinata in avanti, con una mano su un ginocchio per tenersi in equilibrio e l’altra protesa dinanzi al lei con le dita che formavano una ‘v’; lui, Shinichi Kudo, stessa età, stessa ‘v’ di vittoria e un largo sorriso. Spesso, quando si era sentita giù, aveva amato guardare quella foto. Guardare lui soprattutto. Osservare quel suo sorriso disarmante le aveva sempre dato un senso di calda serenità, un tepore nel cuore che si manifestava con un sorriso dolce e involontario, come in risposta a quello di lui.
Anche in quel momento Ran sorrideva, mentre ripensava a quei momenti così dannatamente lontani. Spinta da chissà quale inconscio desiderio, la sua mano si mosse e raggiunse il freddo metallo del portafoto sotto il pigiama. Con un sospiro lo tirò fuori, i suoi occhi vagarono a lungo scrutando ognuno dei due visi della foto… prima i propri lineamenti delicati, gli occhi azzurri brillanti di felicità… poi passò al viso del ragazzo accanto a lei e al suo sorriso che le aveva sempre donato tanto tepore e… e non sentì nulla. Niente di niente. Guardava la foto con sguardo freddo, distaccato, probabilmente la stessa espressione che aveva avuto Shinichi mentre con poche, gelide parole faceva crollare le basi di tutto il suo mondo. E Ran ora si stupiva di riuscire a guardarlo, seppur solo in foto, e di non provare nulla. E neppure si voleva sforzare di farlo. Andava bene così, in fondo.
Persa nei propri pensieri percepì, più che sentire, un bussare alla porta e una voce che la chiamava. Quando riemerse e sentendo una presenza dietro di sè si girò, trovò Conan che la guardava perplesso.
Ran sussultò. Dopo aver rivisto Shinichi, anche se solo in fotografia, era impossibile non rimanere senza fiato di fronte alla somiglianza fra i due. Stesso viso, stessi occhi. Due gocce d’acqua. Meno male che in fondo non sono del tutto uguali, pensò Ran sorridendo ironicamente, Conan non mi avrebbe mai trattata con la freddezza con cui mi ha trattato Shinichi. Peccato che adesso, Conan Edogawa, aveva sedici anni e tra un po' ne avrebbe compiti diciassette. Inutile dire che sotto quegli occhiali non solo Ran ci vedeva il suo volto, inutile dire che aveva pensato alla pazzia in quei momenti, inutile dire che non era solo una sua osservazione.
«Ran nee-chan», cominciò il ragazzo, «mi hanno mandato a chiamarti. Il pranzo è pronto». L’ultima frase la disse con una faccia disgustata e talmente comica che Ran scoppiò a ridere.
«Su, dai! Prima o poi mia madre imparerà a cucinare. E’ solo che non è molto portata per fare la donna di casa». Disse Ran, sorridendo mentre Conan metteva il broncio.
«Bah, io e lo zio siamo già abituati al mal di stomaco», rispose il ragazzo, la voce tanto simile alla sua. Ran rise di nuovo e stava per replicare quando si accorse che Conan stava fissando la foto che teneva ancora tra le mani. I suoi occhi, specchio di quelli di lui, si spalancarono in un istante.
«Oh, questa», disse imbarazzata, e in un lampo la fece sparire di nuovo sotto il pigiama, «Devo proprio decidermi a buttarla una volta per tutte». Rise scioccamente, a disagio anche se non ne capiva il motivo.
Si voltò di nuovo verso il suo ‘fratellino’. Ora l’attenzione di Conan si era spostata verso l’abito bianco sul suo letto.
«Scusami se ti ho disturbata», disse il ragazzo, senza spostare lo sguardo dal vestito.
«Ah, non ti preoccupare», rispose Ran, notando che il viso di Conan si era rabbuiato alla vista di quell’abito. «Stavo solo dando un’occhiata al vestito. Ma adesso è meglio che lo metta nell’armadio se no si rovina.» E così dicendo si alzò e si diresse verso il letto. Mentre prendeva in braccio il vestito e lo appendeva ad una gruccia imbottita, continuava a chiacchierare, «Sai, sono talmente spaventata. Dicono che sia una cosa normale, tutti hanno una certa dose di paura prima di un matrimonio. Spero di essermi ricordata di spedire gli inviti a tutti i miei amici, non potrei perdonarmi di aver dimenticato qualcuno. Oh, a proposito…»
Ran interruppe il suo fiume di parole, si voltò nuovamente verso Conan e sentì qualcosa di opprimente nel petto quando vide –o credette di vedere- un lacerante dolore nei suoi occhi. Ma fu solo un attimo. Pochi istanti e il ragazzo riprese il suo usuale, amabile sorriso. «Sì? Cosa c’è, Ran nee-chan?»
Ran rimase interdetta per un’attimo. Poi continuò la frase lasciata in sospeso.
«Stavo pensando… non siamo parenti ma abbiamo vissuto per un bel po’ di anni sotto lo stesso tetto e quindi ormai ti considero come un fratello», Notò che Conan non la guardava ma teneva gli occhi fissi in un punto imprecisato del pavimento. Ran sospirò impercettibilmente e continuò, «E quindi ci terrei molto che tu fossi presente tra le file dei miei parenti, al matrimonio…insomma, che tu fossi accanto a me, insieme a mio padre e a mia madre, nel giorno più bello della mia vita.» Con un angolo della mente si chiese se lo sarebbe stato sul serio, il giorno più bello. Non fece in tempo a rimproverarsi per questi pensieri che la voce di Conan rubò la sua attenzione.
«Ma io… veramente… non credo che ci sarò, al tuo matrimonio.»
Ran spalancò gli occhi, sorpresa. «Come? Ma perché? Io non….»
«Il fatto è che…» la interruppe Conan, “sarò già partito per quella data. I miei genitori si vogliono trasferire definitivamente all’estero e così…», rispose il ragazzo. Sarebbe scomparso per sempre, questa volta.
«Vuoi dire… che non ci sarai davvero? », mormorò Ran con la voce spezzata.
Conan alzò gli occhi e la guardò, ma solo per un breve istante. Non riusciva a guardarla negli occhi e, notò Ran con doloroso stupore, con il viso serio e le guance leggermente imporporate aveva assunto involontariamente la stessa espressione tipica di Shinichi quando era imbarazzato.
Scosse la testa con rabbia, cercando, nel suo cuore, di lenire con il rancore quel dolore bruciante che le era sorto all’improvviso. In parte ci riuscì. Era meglio odiarlo, odiare il suo 'migliore amico', piuttosto che soffrire così. Odiare quello che era stato, l'amore di una vita. Già, era stato.
Sospirò. «Conan, mi dispiace così tanto. Ma non potete rimandare la partenza? »
Il ragazzo scosse la testa, ancora senza guardarla, ancora con i ciuffi di capelli castani e le lenti degli occhiali che nascondevano i suoi occhi dallo sguardo scrutatore di lei. Con quale faccia si sarebbe presentato in prima fila al suo matrimonio? Con quale faccia le avrebbe sentito pronunciare il tanto fantomatico ‘sì’. Lui non era forte come lei.
«Capisco», disse lei e l’istante dopo lo abbracciò, stringendolo forte. Lo sentì irrigidirsi tra le sue braccia e poi lentamente, molto lentamente, rilassarsi un poco emettendo un lieve, quasi impercettibile sospiro.
Caro, ‘piccolo’ Conan-kun. Mi mancherai da morire, pensò Ran. E stranamente le sembrò che al quel pensiero qualcosa nel suo cuore si spezzasse, qualche fibra si lacerasse. Faceva male. Faceva davvero male.
Lo strinse più forte, come se la sua semplice vicinanza potesse in qualche modo lenire il suo dolore e lo sentì tremare un poco. Sentirlo così fragile la intenerì, mentre con gli occhi della mente voleva ripercorrere gli avvenimenti accaduti dalla comparsa di quel ragazzino nella sua famiglia. Per non dimenticarne nemmeno uno. Ma non ci riuscì. Le immagini che vide non erano quelle che avrebbe voluto…
Conan che tornava a casa tardi, la sera dell’ultima telefonata di Shinichi, e che, senza salutarla né guardarla, andava a chiudersi in camera per poi riemergerne la mattina successiva con gli occhi gonfi e rossi; Conan che la guardava smarrito mentre Araide Tomoaki, figlio del loro medico di famiglia, annunciava il suo matrimonio con ‘Miss Mouri’; che con gli occhi che bruciavano di blu le chiedeva se fosse veramente innamorata di ‘quel tipo’… era rimasta quasi senza parole di fronte a quel… dolore… sì, era assolutamente dolore… più di tristezza… un cuore spezzato e ardente… e lei non era mai riuscita a darsi una spiegazione logica di quel suo comportamento. Perché una spiegazione l’aveva, ma non era assolutamente logica….
Una lacrima le sfuggì e cadde sulla spalla di Conan, mentre stringeva stretto quel corpo che le trasmetteva lo stesso impercettibile calore che cinque anni prima le aveva dato Shinichi. Prima di scomparire per sempre, senza più dare notizia. E adesso anche lui l’avrebbe abbandonata. Proprio come aveva fatto Shinichi.
Intanto le lacrime continuavano a cadere. Dicevano che era normale che la sposa piangesse prima del matrimonio…
«Conan-kun… Ti prego… Promettimi…» ,Cercò invano di respirare… c’era qualcosa che la opprimeva e che le impediva di immettere aria nei polmoni, «…promettimi che mi verrai a trovare… Quando sarai più grande»
Conan si staccò da lei di scatto, stupito, e la guardò. Ran ricambiava il suo sguardo con uno triste e affettuoso.
Forse lei aveva…?
Ran alzò una mano e gli scompigliò i capelli castani con affetto.
No… lo trattava ancora da bambino…. non l’aveva riconosciuto… per fortuna…
«Allora? Me lo prometti? »
Conan distolse di nuovo lo sguardo… non riusciva a mentire e guardarla contemporaneamente.
«Sì… te lo prometto»
Un’altra promessa che non avrebbe mantenuto. 







_________________________
Saaalve! Ecco che mi odiate ancora di più. Lo so.
Ma vi avevo avvertito! Questo capitolo è incentrato sui pensieri di Ran, nel prossimo, cioè l'ultimo, avremo quelli del nostro caro Shinichi che se ne torna dritto dritto negli States ç_ç
Lo so, sono crudele e vi avverto che il tutto sarà ancora più straziante, ma spero proprio che leggerete anche l'ultimo capitolo, tanto per poi sputarmi in un occhio con più foga, no? x'D
Vi ringrazio tutti per continuare ad essere ancora così assidui nella lettura e nelle recensioni, mi scuso anzi di non essere presente nelle storie che seguo, ma sono ancora fuori sede.
Vi confesso che tutta questa storia è nata da questo capitolo, si trattava di una shot che ho letto tantissimi anni fa, di un'autrice che non è più qui su Efp, da questa shot mi è venuta l'idea di tutta la storia. Ringrazio profondamente questa autrice, grazie davvero. Prometto che in settimana mi rifarò, rileggendo tutto ciò che mi son persa.
Alla prossima :* (per l'ultima volta)

Misaki.
   
 
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