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Autore: drawandwrite    28/08/2013    4 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rouge sgranò gli occhi mentre una vera e propria pugnalata la colpiva dritta allo stomaco.
Cure Mint.
Di fronte a lei, la divisa imbrattata di sangue scuro, il viso graffiato, lesionato da impatti terribili, se ne stava impalata e impassibile Cure Mint. Era identica. In ogni minimo dettaglio, Rouge rivedeva la sua compagna, la sua amica, il suo sacrificio. Ma in una cosa la donna differiva dalla vera e originale Cure Mint: lo sguardo. Lo sguardo verde, docile, il viso angelico e il sorriso bonario, l’espressione rassicurante, la risata pronta per chiunque.
No, Mint non c’entrava nulla con ciò che aveva davanti Rouge: un automa, un guscio vuoto, nient’altro che un semplice involucro ingannevole.
Si morse il labbro fino a farsi male, fino a pungersi la lingua con il sapore metallico del sangue.
Rabbia.
Non poteva permettersi di sfruttare il corpo dell’amica a suo piacimento, no, questo no. Non poteva permettersi di indossare una patetica maschera beffarda . L’aveva uccisa, aveva ucciso Mint e non se ne pentiva, tutt’altro:  sfoggiava il suo nuovo aspetto con espressione compiaciuta con un sorriso trionfale.
Se pensava che sarebbe bastato un trucco tanto semplice per mandarla fuori di testa si sbagliava, si sbagliava di grosso. Finché quel manichino con le sembianze fisiche di Mint presentava uno sguardo folle, un ghigno malefico, finché la donna giocava con il viso bonario, finché ne stravolgeva i tratti in espressioni improponibili, Rouge non aveva dubbi su chi si trovasse di fronte a lei.
-l’hai uccisa- ansimò la ragazza fra i denti, trattenendo a stendo una rabbia cieca, una collera bruciante che le divorava man mano ogni centimetro di lucidità.
-l’hai uccisa!- urlò, fuori di sé, fino a farsi bruciare la gola, fino a stremarsi le corde vocali, e si gettò all’attacco, iraconda, impulsiva, senza più pensarci, accattonando ogni fioca imitazione di una riflessione, lasciando pieno controllo all’istinto combattivo del proprio corpo.
Assestò una ginocchiata allo sterno della nemica, costringendola in ginocchio con un gemito straziante. Percepì la rotula affondare nella carne del petto, incontrare le ossa, l’impatto squassarle i muscoli e il corpo avversario accasciarsi su di lei. 
Le afferrò i capelli e, con uno strattone, gettò il corpo lontano,  accecata da una collera insopprimibile. Non le lasciò nemmeno il tempo per un respiro, si gettò su di lei in una raffica di colpi in sequenza, imprevedibili, rapidi quanto vigorosi.
Non sentiva, non vedeva, non provava nulla durante quella folle danza macabra: aveva in pugno l’origine di tutti i suoi mali, delle sue sofferenze; aveva stampato nella mente l’orrore della morte, aveva assaggiato il sapore amaro della solitudine e aveva provato sulla propria pelle il dolore della sconfitta.
E, ora che era ad un passo da una vendetta tanto agognata, non avrebbe lasciato correre, non si sarebbe lasciata scappare un’occasione tanto provocante.
Sbatté a terra il corpo avversario, stringendole le spalle con violenza e torreggiando su di lei, trionfale, mentre l’urlo straziante della nemica si levava nel cielo, vibrando sul suo capo.
Fu allora che qualcosa cambiò.
 Un balenio diverso rifulse nel verde degli occhi di Mint, un sorriso stanco stirò le sue labbra rosee, il viso si spianò e le sopracciglia si rilassarono in un’espressione dolce, mentre ogni muscolo sotto la presa di Rouge si allentava lentamente.
Senza nemmeno rendersene conto, Rouge riconobbe un’amica in quel corpo martoriato. La sua mente venne inondata di ricordi, soffocata da immagini di una Komachi serena, e ingannata da uno sguardo addolcito.
Poi, con uno sforzo disumano, riemerse dai ricordi felici, nonostante la stanchezza, il dolore e lo strazio le sussurrassero di lasciarsi andare, di affogare in quel mare sereno, di rifugiarsi laddove il dolore non poteva allungare le sue braccia bramose.
Troppo tardi.
Quella minima, breve esitazione bastò perché la nemica si liberasse della morsa ferrea di Rouge, sbalzandola indietro con un calcio in pieno petto che le estirpò di netto il respiro, lasciandola boccheggiante al suolo.
Strinse i denti e contrasse l’addome, cercando di riafferrare dell’aria con un gemito strozzato. Si appoggiò sul braccio sinistro, mentre il destro corse ad allacciarsi allo stomaco, che si ribellava con fitte nauseanti. Fece per rialzarsi, ma la nemica la raggiunse prima e la atterrò calpestandola con un piede, umiliandola a terra mentre il tacco le si conficcava con prepotenza fra le vertebre del collo.
Rouge gemette di dolore e tentò di divincolarsi, ma ad ogni minimo movimento il collo le scoccava fitte lancinanti, scosse dolorose che le legavano l’intero corpo in un’immobilità forzata.
Il corpo le bruciava di sforzo, la mente la privava di lucidità, ma la determinazione era ancora bruciante e cresceva a pari passo con l’ira incontrollata, un’ira che l’avrebbe portata a battersi fino all’ultimo respiro. La vendetta era troppo invitante perché potesse ignorarne l’offerta.
Con un formidabile colpo di reni, Rouge riuscì a prendere alla sprovvista la nemica, le afferrò una caviglia e la trascinò a terra, ribaltando la situazione e ringhiando tutta la propria rabbia cieca.
Non si sarebbe lasciata ingannare, non una seconda volta.
Non era Mint.
Era un demone.
Non era Mint.
Le sferrò un pugno alla bocca dello stomaco, dal basso verso l’alto, e percepì sulle nocche impietose l’abbraccio gelido della gabbia toracica, quindi la costrinse nuovamente spalle al suolo, continuando a colpirla  senza più alcuna esitazione.
L’avversaria ebbe la prontezza di spirito di afferrarle un polso e deviare il pugno indirizzato al suo viso, sfruttando la forza e l’impeto di Rouge per lasciarla cadere sul lato, mentre un ginocchio già la colpiva fra la scapole, sguinzagliandole un vero e proprio guizzo di dolore, una lama perforante che le arrivò fino alle tempie, tagliandole in due il cervello.
Urlò ,urlò di dolore, ma non si lasciò abbattere e, con grinta, conficcò un gomito fra il fianco e la spalla della donna con tanta forza da sollevarla temporaneamente dalla sua posizione. Strappò un gemito di dolore all’avversaria e se lo gustò con tutto il cuore, ma non ebbe altro tempo per la soddisfazione: un colpo alla nuca la atterrò nuovamente, inibendole i sensi e allentando il suo controllo.
Si costrinse alla ripresa immediata, ma la nemica ormai torreggiava su di lei e la inchiodava al terreno con forza. Nonostante la vista le giocasse brutti scherzi, Rouge riuscì ancora a reagire, e stampò la suola della propria scarpa fra l’occhio e il naso del viso avversario, costringendola ad indietreggiare, rabbiosa.
Al limite delle proprie forze, Rouge si trascinò fuori dalla portata nemica, scossa da violenti colpi di tosse e provata da un dolore tanto acuto da farle desiderare la morte immediata.
Era distrutta. Era stanca.
Ma non si sarebbe arresa: avrebbe lottato fino all’ultimo respiro per vendicare chi le stava a cuore.
Per vendicare e per proteggere.
Nessuno le avrebbe toccato Ryan, non l’avrebbe data vinta a quella dannata donna.
Ebbe giusto il tempo per riprendere un minimo di fiato, quando la nemica le si fiondò nuovamente contro, riprendendo una battaglia destinata a non terminare mai.
 
Ryan strinse i pugni, mentre lacrime salate gli correvano lungo il viso, innaffiando le tegole spezzate del tetto. La luce blu del portale lo accecava, la bocca oscura era esattamente di fronte a lui, ma Ryan chinava il capo, impotente contro la forza schiacciante di quello strappo nel cielo.
Erano spacciati.
Non c’era più alcuna speranza.
Ogni minima forza, ogni goccia di volontà gli scivolò via dalle dita, dalla sua presa ormai fioca.
I tonfi sordi, gli urli, i gemiti e il dolore della battaglia ingaggiata alle sue spalle raggiungevano le sue orecchie ovattati, attutiti, insignificanti di fronte al suo profondo sconforto.
Era tutto perduto.
I sacrifici, le lacrime, gli sforzi compiuti.
Tutto vano.
Scosse il capo: ormai erano giunti al termine del gioco, e loro avevano perso.
 
Uno schiaffo terrificante colpì il viso di Rouge con tale impeto da sbilanciare il suo già precario equilibrio. Cadde a terra, stremata, indolenzita e  subito la sua avversaria le fu sopra, riempiendola di colpi che ormai suonavano insignificanti rispetto al dolore che già provava.
Era distrutta: aveva i nervi a pezzi ed era morta psicologicamente. La sua mente non funzionava, le tesseva trappole fra i ricordi, buchi neri nella memoria. Le portava alla luce i visi delle proprie compagne e le giornate di sport sotto il sole cocente.
Contrasse gli addominali colpì il nemico nell’incavo fra la coscia e il polpaccio, in modo da farle crollare il sostegno delle gambe.
ormai reagire gli sembrava ordinario, come se il suo corpo si fosse ormai adattato alla situazione e non facesse altro che colpire, difendersi e contrarsi nell’estremo tentativo di spezzare quella catena, di atterrare il nemico e farla finita.
Assestò una gomitata nello sterno della nemica.
Rouge era una spettatrice. Una spettatrice impotente.
Con un pugno, il labbro di Rouge si spaccò.
I suoi sensi erano ormai minimi, il suo dolore pulsava come non mai e la assordava, la accecava, le riempiva la mente e la allontanava dal suo corpo, entità ormai a parte, ruolo principale in quella battaglia.
Le colpì il collo con lo stinco.
Il controllo era sempre più flebile, sempre più fuggevole, le scivolava dai muscoli con una lentezza estenuante.
Si ritrovò a terra, il viso premuto contro il suolo e il dolore come  unica compagnia.
Era stanca.
Si sentiva terribilmente stremata, le palpebre erano pesanti, i sensi erano fiochi, la vista sempre più sfocata, la sua forza vitale al limite.
Un freddo torpore prese padronanza del suo corpo, finché le palpebre le caddero inevitabilmente sugli occhi, calandole sulla vista come un sipario a fine opera.
 
Ryan si sentì afferrare per una spalla, quindi si irrigidì di netto e trasalì con violenza. Si alzò di scatto e si voltò, pronto a colpire, a reagire.
Ma si ritrovò di fronte Rouge, sorridente, trionfale –va tutto bene- gli disse afferrandogli una mano e stringendola con forza –quella donna è morta-
Una minima sensazione di sollievo alleggerì il petto di Ryan, il quale tentò di sorridere, ma le sue labbra erano ormai morte da tempo, e non si potevano permettere nemmeno il minimo sorriso.
-E’ finita, Rouge- sussurrò, chinando il capo, mentre una lacrima gli pungeva l’angolo dell’occhio –E’ finita-
Lei sospirò –mi dispiace- mormorò, abbattuta –tutti i nostri sforzi sono stati inutili, inutili come il sacrificio delle Pretty Cure-
Il corpo di Ryan venne scosso da singhiozzi violenti, mentre la realtà lo schiacciava in tutta la sua tragica verità.
Rouge protese le sue braccia verso il ragazzo, allacciandole al suo collo e, alzandosi sulle punte, arrivò a sussurrargli all’orecchio –va tutto bene, Ryan- sibilò, con un tono insolito per chi ormai si è rassegnato alla morte –sei con me-
Va tutto bene, Ryan.
Ryan.
Rouge non l’aveva mai chiamato con il suo nome.
 Piuttosto non lo chiamava affatto.
Con un rapido sguardo, scorse in lontananza, nascosto, il corpo scomposto di Rouge.
Della vera Rouge.
Con orrore, afferrò la consapevolezza della situazione e si accorse che la donna dalle sembianze ingannevoli lo stava spingendo lentamente verso la bocca del portale.
-Tu non sei Rouge- gridò, spingendola via, tremante di rabbia, dolore e orrore –tu l’hai uccisa!-
Il suo viso venne trasfigurato da un ghigno orribile, e una risata folle prese ad echeggiare fra i resti del tempio.
-molto astuto- sibilò lei, assumendo man mano un’espressione omicida, aggressiva, un’espressione che, sul volto di Rin sembrava quasi qualcosa di profano – peccato sia troppo tardi-
Fece per gettarsi contro di lui, ma qualcosa andò storto. Si bloccò nell’atto di spiccare un balzo e, corrugando la fronte si guardò le mani le quale, gradualmente, prendevano a colorarsi di scuro, a sprazzi, come se stesse assumendo una carnagione differente.
Con un’onda progressiva, l’aspetto dell’avversaria mutò, la divisa rossa da Pretty Cure venne rimpiazzata da quella verde di Mint, mentre i capelli ribelli si ammansivano in una cascata scomposta e gli occhi cremisi si tingevano del colore scuro del muschio.
-no- ringhiò lei, incredula e rabbiosa, osservando con occhi sgranati il proprio corpo.
Ryan indietreggiò di un passo, il cuore in gola, ma si sciolse in un primo sorriso quando, da sopra le spalle della nemica, vide stagliarsi una sagoma rossa, rossa come il fuoco, rabbiosa come un incendio indomabile.
 
No.
Rouge non poteva morire.
Aveva ancora un conto in sospeso, e non se ne sarebbe andata prima di essersi macchiata le mani del sangue del demone.
Non sarebbe morta.
Non si sarebbe arresa alla morte.
Non si sarebbe lasciata andare.
Il respiro riprese a fluire nelle sue narici, gonfiandole il petto, il vigore e il sangue ripresero ad essere pompati nelle vene e nei muscoli, la mente riemerse dalle tenebre dense di un riposo profondo.
Era stata ad un passo dalla morte.
Era caduta nell’incoscienza, aveva sfiorato la tenebra eterna.
Ma non era così che doveva andare, lei non aveva ancora finito.  
 
Rouge afferrò il capo della nemica con entrambe le mani e appoggiò il proprio mento sulla sua spalla, fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra, tese in una smorfia di collera pura.
-Non è così facile uccidermi, bastarda- sibilò, e le bastò un semplice guizzo di muscoli, un movimento brusco.
 Le spezzò il collo.
Poi tutto finì.
 
Ryan distolse lo sguardo quando il corpo esanime del nemico cadde riverso fra le tegole e le assi del tetto. Ma, subito dopo, fu Rouge ad accasciarsi in ginocchio, stremata, privata di ogni minima energia.
Il ragazzo si precipitò di lei e la sostenne, ma era troppo tardi: la pelle di Rouge era fredda, le palpebre erano calate e il corpo era privo di ogni segno di vita.
Rouge si era spenta come una candela.
E lui era rimasto solo.
Ryan la strinse con forza fra le sue braccia, pianse come non aveva mai fatto in vita sua, urlò di un dolore tanto profondo da farlo impazzire.
Si accasciò sul corpo della ragazza, soffocando il suo pianto più sincero nel suo profumo, fra i suoi capelli, nel cremisi degli occhi che a lui piacevano tanto.
la sua gola prese a dolere, i suoi occhi si ribellarono al pianto, mentre i polmoni e lo sterno finivano vittima dei singhiozzi più violenti.
Gliel’avevano portata via. Gli aveva portato via Rin, la sua Rin.
E lui era rimasto lì, solo, esposto, debole, inutile.
Attese finché non versò tutte le lacrime che aveva a disposizione, quindi sigillò il dolore nel suo petto e tentò di metterlo da parte almeno per un po’.
Kurumi e Karen, Nozomi, Urara, Komachi, persino Rin.
Gliele avevano strappate tutte.
Ringhiò di rabbia e lanciò un urlo iracondo al cielo, quindi si rialzò, strinse i denti fino a sentirli scricchiolare sotto la forza della sua mandibola.
Si voltò verso il portale e questa volta guardò dritto nello strappo oscuro, lo fece come si guarda negli occhi una persona per scorgerne i pensieri più intimi e profondi.
Non chinò il capo.
Non distolse lo sguardo.
Sfoderò denti ed unghie, e immerse un braccio all’interno dello strappo.
Lo fece con rabbia, ringhiando, sprofondò fino alla spalla.
Se non poteva chiudere il portale, perlomeno avrebbe raggiunto le sue compagne.
Ma lo avrebbe fatto tentando.
Tentando per l’umanità, tentando per la Natts House, per le Pretty Cure e per Rin.
Fu una sensazione insolita, singolare. Fu come immergere il braccio in un ghiaccio denso, ma una pressione fortissima gli stringeva ogni muscolo e lo spingeva fuori dalla sua nicchia di carne.
Improvvisamente una scossa gli afferrò i tendini e si trasmise in ogni centimetro del suo corpo, poi si sentì quasi afferrare, e ancora fu gelo, quindi ebbe l’impressione che qualcuno lo stesse tirando all’interno del portale, ma lui si oppose, si puntò sui piedi e non lasciò che quella forza avesse la meglio su di lui.
Nuovamente una scossa, questa volta più forte: una stilettata di dolore allo stato puro, gli raggiunse le tempie, le trapanò.
Ryan strinse i denti e chiuse gli occhi in una smorfia, resistette al dolore e richiamò a sé il suo flusso.
Lo sentì chiaramente fluire nelle vene, lo sentì abbattere la diga che lo teneva sotto controllo e dilagare nel suo corpo, libero e senza più alcuna restrizione.
Tentò di controllarlo, tentò di chiamarlo a sé, ma quello lo ignorava, era una corrente troppo forte perché lui riuscisse a fermarla.
Si sentì svuotare lentamente, come se il portale stesse risucchiando il suo flusso, lo stesse vuotando della sua energia, risparmiandone solo il corpo, inutile involucro esanime.
Una scossa più forte delle precedenti si arrampicò su ogni singolo muscolo del suo corpo, stringendolo in una presa bruciante che lo stordì al punto di sfiorare l’incoscienza.
Ma si costrinse lucido e non lasciò che il portale gli impedisse di raccogliere un minimo della sua energia.
Percepì chiaramente il proprio flusso strabordare con un impeto incontrollato, mentre un anonima pressione gli schiacciava il petto e gli svuotava i polmoni.
Non riuscì a trattenere un gemito di dolore quando i muscoli si tirarono fino allo spasmo, preda di dita impalpabili ingaggianti un crudele gioco col suo corpo.
Sentì quasi lo sterno strapparsi, le costole aprirsi sotto la pressione, le tempie cedere verso l’interno e le vene scoppiare.
Urlò di dolore, ma ormai la sua gola era sconfitta, le sue corde vocali morte.
La coscienza prese a scivolare con lentezza estenuante, mentre Ryan tentava disperatamente di non lasciarsela scappare.
No.
Non si sarebbe arreso ancora.
Per una volta sarebbe stato utile.
Avrebbe chiuso il portale.
Avrebbe portato in vita le persone a lui care.
E lo avrebbe fatto senza desistere una sola volta.
Con un urlo straziante, liberò tutta la sua energia, sperando che bastasse, sperando che ricucisse lo strappo in cielo, che tutto tornasse com’era prima.
Una luce accecante lo investì, inglobò il suo corpo, poi quello di Rouge, il tempio intero, tutta lo collina, la città, il Giappone e oltre.
Si sentì privare di ogni energia, percepì il suo corpo svuotarsi come una spugna e, per un attimo, ebbe la terribile sensazione che la sua energia non sarebbe bastata.
Cadde in ginocchio, le palpebre divennero pesanti come macigni, le energie gli scivolarono via e lui divenne debole, debole come non mai.
Poi giunse al limite e si accasciò a terra, precipitando nella piena incoscienza.
Quello che non vide fu il nero del portale chiudersi lentamente in se stesso, l’azzurro limpido impadronirsi del cielo e raggi di sole illuminare il Giappone. 
  
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