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Autore: Giamo    02/09/2013    0 recensioni
Un grande Occhio Nero, che giudica in silenzio e non emette verbo, ma solo sentenze.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un occhio nero rivolto verso la mia pupilla, che mi guardava senza giudicarmi: con nessuna espressione mi offriva una via d’uscita da una strada troppo intasata, la più veloce. La sua linea era decisa, ferma, gelida, arbitraria. Poteva essere giudice o carnefice, salvatore o purificatore, se l'avessi voluto. Coloro che ci vedono dentro trovano, alla fine di ogni cosa, una stella focosa e vicina: bella, luminosa e lesta.

La mia anima cercava rifugio in quell’occhio attraverso la pupilla, che lo guardava con fiducia sapendo che per lei non avrebbe mai fallito. La mano reggeva l’occhio e si stancava, era pronta a crollare, il corpo a collassare, la mente a deperire. Dov’è la gloria in una cosa simile? Perché agire? Non s’è mai troppo sicuri. Forse me ne pentii, forse non lo feci: forse provai gioia e gaudio.

Quell’occhio che così gravemente mi fissava era una risposta a molte domande. Sarei potuto andare avanti e raggiungere lo scopo per cui sono nato? L’occhio, saccente, rispondeva.
Sarei stato in grado di gestire la mia vita? L’occhio, discretamente, rispondeva. L’occhio portava sicurezze e non mentiva mai, ma, tra tutte queste certezze, l’occhio metteva in soggezione chi lo osservava. Ed io ero sotto pressione, in imbarazzo davanti a lui, che non consigliava né obbligava ma agiva per ciò che gli veniva richiesto.

Mi sedetti su una poltrona e pensai ferocemente e confusamente a cosa ricordare: cosa valeva la pena di portare con sé alla fine di tutto? Figli, coniugi, genitori: dove sarebbe l’uomo senza queste tre colonne che lo sorreggono? Anche per questa domanda, l’occhio arrecava risposta.

Davanti a lui, ai suoi bordi luccicanti e al suo corpo così profondo, il cuore si divideva prendendo parte a squadre opposte che si combattono e frantumano i sentimenti. Una parte desiderava la fine, l’altra bramava di continuare il proprio cammino. Passavano le ore ma l’occhio e la mano a sorreggerlo erano sempre lì, ma sopraggiungeva la paura, il rimorso, il panico; la domanda giusta allora diventava: cosa fare? Era l’unica soluzione? Cosa avrei potuto fare?

L’indecisione regnava sovrana nei corpi dei disperati e dei ricchi che si rimettevano all’esame dell’occhio tenebroso. Cosa significava far parte di un sistema che non era del tuo organismo?  Come illuminare una vita che mai fu voluta? Volevo veramente farlo? Non si presentava gratitudine né esibizionismo, ma nel gesto che l’occhio nero comportava c’era solo vigliaccheria, disprezzo e rassegnazione.

Intorno a me e bottiglie di alcool aumentavano ed erano tutte vuote; sul mio petto si riversavano lacrime salate ed amare. L’occhio davanti il mio viso s’abbassò, non essendo ancora pronto a lavorare poiché la mia persona era totalmente e dannatamente dubbiosa. Neanche in quel momento riuscivo ad essere sicuro e determinato perché la paura m’assaliva e il dubbio mi artigliava il cuore, quel dubbio antonomastico mi combatteva e allora piangevo e mi fermavo e urlavo per il dolore che mi dilaniava l’animo.

Quanto valeva la mia esistenza? Poco, niente. Quanto precisamente? Nessuno poteva dirlo, ma non me ne rendevo conto. Cosa sarebbe cambiato se non ci fossi stato? Nessuno lo sapeva.  Se ne sarebbe accorto qualcuno? Improbabile, non ero nessuno. Essendo tale, Nessuno, potevo rispondere alle altre domande e il mio verdetto fu: niente, niente in qualsiasi caso.
E pensai, pensai e continuai a pensare. Mille altre domande s’accanivano contro i miei neuroni e la mia fede, in un attimo, svanì.

Quante volte scorsi quella foto usurata! Quante volte vidi i visi di mia moglie e di mia figlia in quella foto! Tutti lì, raccolti, a sorridere, senza più ricordare il perché. Quindi camminavo e mi infuriavo, volteggiavo quasi ballando intorno ai pochi mobili della mia umile casa di provincia. Le mie urla e le mie grida non erano ascoltate da alcun orecchio curioso o interessato, giacché nessuno s’interessò mai a me. Ero così una persona sola, ma più grave ancora ero vuoto, ero solo un contenitore di ossa e di carne che non racchiudeva più nulla se non altra carne ed altre ossa

E in quel momento decisi. Decisi che non ero più sano e avrei dovuto provvedere alla mia malattia: il rimorso; che come sintomi dava i ricordi, il dolore, la paura, la disperazione.

Una volta avevo imparato a conoscere altre persone e ad avere contatti con la gente, ma poi la persi col tempo a causa della mia terribile malattia che mi distrusse e mi bruciò vivo. Avevo perso la ricchezza più grande che avessi potuto ricevere e per questo mi ammorbai, avevo perso la mia bambina, mia figlia, era entrata in coma e non s’era più svegliata. Per colpa mia, la macchina sbandò per causa mia, ebbi un colpo di sonno e andammo contro un albero ed io fui abbastanza sciagurato da poter rimanere vivo. Mia moglie rimase uccisa e la mia piccola in coma: per me nulla aveva ormai più alcun valore, neanche la mia stessa vita insozzata da due gravissimi peccati.

E così decisi, il grande occhio nero acconsentì, seppur stando fermo, poiché sapeva la verità e ciò che profondamente un individuo avesse meritato, a patto che l’individuo stesso, nonché imputato, fosse stato d’accordo col grande occhio: d’accordo a tal punto non solo di sostenerlo bensì di permetterne il meccanismo d’attivazione. E io ero pienamente consapevole di quello che mi sarebbe spettato.

Impugnai l’occhio con forza e determinazione, piantai il dito sulla leva e premetti.

Una piccola palla infuocata fu l’ultima cosa che vidi, un proiettile sparato fuori dall’occhio scuro, che cadde a terra insieme a me, ma nella mia mano come se di essa fosse un prolungamento, mentre il dito ancora premeva il grilletto. Avendo in tal modo agito, caddi in terra morto, dando giustizia a quell’orribile danno che arrecai al mondo privandolo così precocemente di quegli adorabili fiori che nient’altro potevano essere mia moglie e mia figlia.

E tutte le luci si spensero.

Solo un piccolo suono spuntò dal nulla e mi dannò la morte.

*Biiiiip* -Papà, papà! Sono io, Claudia, sono uscita dal coma tre giorni fa ma nessuno è riuscito a rintracciarvi! Dove sei, papà? E la mamma? Mi mancate, voglio abbracciarvi e tornare a casa con voi, vi prego venite a prendermi, vi voglio bene. Vi aspetto.-

E poi, anche il telefonino morì.
   
 
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