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Autore: NonSoCheNickMettere2    02/09/2013    0 recensioni
What if? ambientato 20 anni dopo ROTS. Cresciuto come Sith da suo padre, Luke è così sconvolto dal primo test della Morte Nera che decide di rubarne i piani e passarli all’Alleanza ribelle. Dark Luke, sequel de Il rapimento.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Bail Organa, Luke Skywalker, Palpatine/Darth Sidious, Principessa Leia Organa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'apprendista Sith'
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Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 4 ------------
 

La mattina seguente, Luke si svegliò presto come al solito, mentre Asha dormiva ancora. La osservò per un po’, provando ad abituarsi all’idea che ora era legato a lei. Non sapeva come questo avrebbe cambiato la sua vita.

Lasciandola ai suoi sogni, si alzò, andò in bagno per vestirsi e poi nel soggiorno. La sua colazione abituale era già stata consegnata dal droide incaricato e si trovava sul tavolo, difronte ad un secondo vassoio. Prese il suo pad dalla credenza e si sedette. Inserì la scheda di memoria e aprì i dati decriptati nell’editor dei testi. Mentre li scorreva, portò la tazza alla bocca e bevve alcuni sorsi della sua cioccolata calda. I testi brevi erano assolutamente chiari: descrizioni, dimensioni, specifiche delle varie parti della Morte Nera. Le stringhe più lunghe erano ancora illeggibili nell’editor, ma ora era sicurissimo che sarebbero state correttamente visualizzate come immagini dentro un programma CAD adatto. Dopo aver scrollato alcune pagine, spense il pad, appoggiandolo sulla tavola, scollegò la scheda e la nascose di nuovo nella sua tunica.

Sorrise per la soddisfazione: ce l’aveva fatta. Era stato difficile, era stato pericoloso, ma ce l’aveva fatta lo stesso.

L’esame dei dati sarebbe stato interessante, ma sapeva che era impossibile per lui: avrebbe dovuto passare alcuni giorni chiuso nel CED dell’Executor, utilizzando un paio di computer e dei droidi. Assolutamente impensabile. A questo punto, doveva dare la scheda di memoria all’Alleanza il prima possibile: più tempo l’oggetto incriminante rimaneva in suo possesso, più lui era in pericolo.

Ma come consegnarla? Era difficile immaginare come contattare i ribelli alle spalle di suo padre. E anche se ci fosse stato un modo, loro lo consideravano solo come il tirapiedi di Vader. Nessuno si sarebbe mai fidato di lui.

Non appena formulò quel pensiero, si rese conto che non era completamente vero. La Senatrice Leia Organa si era fidata di lui una volta… e lui si era fidato di lei.

La lunga cicatrice indelebile al suo fianco gli dolse automaticamente al ricordo del duello perso contro il padre e della fuga della Principessa. Una parte di lui gli diceva che non poteva rimproverarla: non c’era nulla che lei avrebbe potuto fare. Ma un’altra parte si sentiva tradito e abbandonato: lei lo aveva convinto a ribellarsi e poi era scappata tra le braccia della sua amorevole famiglia, lasciandolo solo a fronteggiare l’ira di Vader.

A dire il vero, la reazione del Signore Oscuro era stata relativamente mite. Aveva spento la sua lama prima che il danno fosse irreparabile. Poi gli aveva garantito le migliori cure mediche. Aveva autorizzato l’uso di anestesia e antidolorifici: nessun altro maestro Sith l’avrebbe mai fatto, poiché un dolore molto acuto era un’ottima benzina da gettare sul fuoco del Lato Oscuro. In ultimo, aveva persino mentito a Palpatine per coprire il tentativo di fuga del figlio, raccontandogli che la ferita era stata una punizione per la sua incompetenza nel farsi scappare la prigioniera. L’Imperatore aveva riso compiaciuto, blaterando qualcosa su come finalmente Vader prendesse seriamente il suo ruolo di maestro Sith nel correggere le mancanze del ragazzo. Così, al giovane era stata evitata una buona dose di fulmini della Forza e forse persino la morte. Tutto questo aveva fatto sentire Luke più leale verso suo padre, anche se la sua voglia di libertà non si era mai sopita per davvero.

Nonostante ciò, il mese successivo al suo ferimento era stato il più duro di tutta la sua vita. L’aveva passato diviso tra sentimenti di terrore e abbandono, dolori post-operatori e sogni di fuga. Alla fine, suo padre gli aveva proibito la minima conversazione con la Principessa… come se il suo rapimento fosse stato un’iniziativa personale di Luke! Desiderando solo dimenticare, una volta tanto era stato contento di obbedire: non aveva mai più neanche rivolto uno sguardo alla donna.

Eppure ora, più ci pensava, più lei gli appariva come il suo unico contatto con i ribelli.

Aprì la rete interna e controllò gli appuntamenti istituzionali. Quel giorno era fissata una convocazione del Senato. Luke era ben consapevole che l’organo residuo della Vecchia Repubblica sarebbe stato a breve sciolto definitivamente. L’Assemblea non aveva più nessun potere reale e quegli ultimi incontri erano soltanto formalità. Palpatine li autorizzava solo per tenere quieti i nostalgici che avrebbero creato disordini, se lo scioglimento fosse stato troppo immediato. Nonostante l’assoluta futilità dell'incontro di quel pomeriggio, il giovane Sith presumeva che la Senatrice Organa avrebbe comunque partecipato, considerando il suo zelo.

Teoricamente nulla gli impediva di assistere all’assemblea nell’area riservata ai visitatori di riguardo. Praticamente, il problema era che non aveva l’abitudine di andarci. Era impossibile che la sua presenza passasse inosservata e che i pettegolezzi non arrivassero presto a Corte. Aveva bisogno di trovare una scusa credibile che gli evitasse domande da parte di suo padre.

«Buongiorno,» Asha lo distrasse dai suoi pensieri. Era vestita con un abito più semplice, ma non meno colorato di quello del giorno precedente e i suoi capelli neri erano legati in una lunga treccia.

Luke la salutò con un cenno del capo. «La tua colazione è già qui.»

Lei gli si avvicinò e si sedette difronte a lui. Alzò il coperchio termico e guardò incuriosita il contenuto.

«Cioccolata calda e brioche,» le spiegò.

«Mai assaggiati,» rispose la donna, prendendo la sua tazza e sorseggiando. Arricciò il naso. «È molto dolce,» notò senza entusiasmo.

«Puoi ordinare ciò che preferisci per i prossimi giorni,» le disse lui. «Questa è la mia colazione abituale. Non conoscendo i tuoi gusti, penso che per oggi abbiano copiato i miei.»

Lei scosse la testa. «No, va bene. È solo un po’ strano: non siamo abituati a pasti così zuccherati su Ujjain.» Bevve ancora, cercando di dimostrarsi adattabile.

Sedettero in silenzio per un po’, senza nessun argomento di conversazione. Luke guardava al suo pad sul tavolo, ma non lo stava più leggendo. Asha all’inizio diede un’occhiata al soggiorno, poi finì per osservare il traffico fuori dalla finestra.

In ultimo, fu lei a rompere il ghiaccio. «Quindi questa è la nostra casa?» Il suo tono era sobrio, ma non era difficile leggervi una delusione stupita.

Lui la guardò sorpreso e annuì, arrossendo leggermente. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma improvvisamente si rese conto di quanto fosse modesto il suo appartamento: una camera da letto, un bagno e il soggiorno dove si trovavano al momento. Tuttavia, non era neanche la piccola dimensione che colpiva, ma la totale mancanza di qualsiasi decorazione. In camera, il letto era il solo arredamento: i pochi cassetti alla base della sua struttura erano sempre stati sufficienti per le sue divise (ma dubitava che lo sarebbero stati anche per gli abiti di lei). Nel soggiorno vi era solo un tavolo, una credenza e un divanetto, tutto dello stesso deprimente colore grigio del resto dell’edificio militare in cui viveva. Non c’erano quadri, né foto, né piante, né tende, né sopramobili. Niente di niente. Le sue stanze non erano diverse dalle sale riunioni, dagli alloggi dei soldati o dalle stanze di servizio. Non erano per niente come ci si sarebbe aspettato che fossero le stanze dell’erede dell’Impero. Le case dei Moff di minore importanza e dei governatori locali erano decisamente più ricche della sua. Non gli era mai importato, perché ora, tutto d’un colpo, quel fatto lo disturbava?

«Potrei forse provare ad abbellirla un po’?» lei sondò il terreno con cautela.

«Perché no?» il giovane Sith scrollò le spalle, ritornando a osservare il suo pad.

«Stai lavorando?» gli chiese.

«No,» scrollò la testa, non desiderando rispondere. «Controllo solo le email.»

«Andrai a lavorare più tardi?» insistette lei.

Alzò lo sguardo verso la donna, non capendo dove volesse andare a parare. «Non lo so. Quando serve, mi assegnano una missione, ma spesso senza alcun preavviso.»

«Allora cosa fai, quando sei a casa?» continuò.

Luke cominciava a stufarsi di quell’interrogatorio, ma voleva dimostrarsi gentile. «Ogni giorno, dopo pranzo, mi alleno un paio di ore con mio padre. Se ce n’è l’opportunità, testo navi e armi. Studio della roba sull’Impero e il governo, quando me lo ordinano. Questo è tutto. Per lo più sto solo qui a disposizione.»

Lo guardò perplessa. «Cosa ci si aspetta che io faccia?»Lui scrollò la testa. «Non ne ho la più pallida idea.» Capì: la donna pensava che si sarebbe annoiata a morte lì. Una vaga idea cominciò a formarsi nella sua testa. «Ti piacerebbe visitare Imperial City, oggi?»

«Certo,» gli rispose con entusiasmo.

«Abbiamo molti palazzi storici, alcuni musei interessanti e dei giardini botanici.» Il giovane Sith fece una pausa. «Potremmo persino vedere una riunione del Senato questo pomeriggio,» aggiunse con indifferenza, come se fosse stato l’ultimo dei suoi pensieri.

«Questo sarebbe davvero interessante! Non abbiamo nessuna assemblea del genere a Ujjain,» dichiarò lei.

Luke le sorrise in approvazione: ecco la buona scusa che stava cercando!

Dopo diverse ore, nel pomeriggio, si sedettero nell’area sopraelevata del Senato, dedicata ai visitatori.

«Wow! È enorme! Mi vengono le vertigini!» notò Asha, osservando dall’alto in basso lo spettacolo degli innumerevoli seggi del Senato disposti intorno a quello centrale del Capo di Stato.

Luke si obbligò a non ghignare. Questa ragazza era una principessa persino nelle sue movenze graziose e nel suo portamento reale. Ma, poiché Ujjain era solo un modesto pianeta in un Sistema insignificante, tutto ciò che avevano visitato quel giorno nel cuore dell’Impero l’aveva meravigliata. Eppure, anche lui doveva ammettere che non ci si abituava mai veramente all’impressionante vista del Senato.

La riunione stava quasi per terminare e il giovane Sith aspettava il momento giusto per agire: dopotutto, lui non era lì per turismo. Cercò il seggio del Sistema di Alderaan. Fu difficile individuarlo tra i tanti levitanti, ma fu ripagato dal vedere la Senatrice Leia Organa al suo posto, come aveva previsto. I suoi occhi marroni erano ancora orgogliosi come li ricordava. Giovane come lui, ora sembrava in qualche modo più matura.

Di colpo la Senatrice divenne consapevole che qualcuno la stava osservando e guardò direttamente nella sua direzione, incrociando il suo sguardo, con lo stupore e la curiosità che le si dipinsero in volto.

Non desiderando attirare la sua attenzione, Luke si voltò per guardare le altre persone presenti nell’area dei visitatori. Erano per lo più Moff minori, tutti presi dal crearsi delle nuove relazioni per migliorare i loro affari politici ed economici. Disgustoso: per fortuna lo scioglimento del Senato avrebbe presto chiuso quel mercato. Ma al momento, era proprio ciò di cui aveva bisogno.

Cercò qualcuno che conoscesse. Riconobbe il Moff Enrich, seduto accanto ad una splendida Twi’lek blu. Ma dubitava che il governatore avrebbe chiacchierato volentieri con lui: suo padre lo aveva minacciato di morte già un paio di volte. Non lontano, vide anche il Grand Moff Ricci. La sua politica regionale si accordava bene ai bisogni dell’Esercito e perciò avrebbero potuto scambiarsi alcune informazioni interessanti. Sfortunatamente, al momento non aveva alcuna compagna vicino a lui che potesse intrattenere Asha. Alla sua sinistra, trovò finalmente qualcuno adatto: il Grand Moff Long e sua moglie.

Non appena la riunione fu aggiornata, Luke si alzò e, con un gesto, invitò sua moglie: «Vieni. Ti presento una coppia.»

Lei annuì, felice di poter conoscere qualcuno lì a Coruscant. «Tuoi amici?»

Lui sbatté gli occhi in sorpresa. «Un politico e sua moglie. I Sith non hanno amici,» rispose.

Incerta su come commentare l’ultima asserzione, lo seguì in silenzio.

Il Grand Moff non riuscì a mascherare completamente la sua sorpresa nel vedere Luke lì. Ma sapeva che era meglio non fare domande. Si ricompose e inchinò leggermente la testa per salutarlo, pienamente consapevole che il giovane Sith era probabilmente l’erede dell’Impero. «Lord Skywalker è un piacere incontrarvi.»

«Il piacere è tutto mio, Grand Moff Long,» contraccambiò la cortesia e rivolto alla moglie: «Signora.» Appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla di Asha, che si trovava accanto a lui. «Lasciate che vi presenti Asha Jagjit, Principessa di Ujjain del Sistema di Avanti, mia moglie.»

Lei eseguì un inchino perfetto e grazioso.

La signora Long le sorrise maternamente: «Abbiamo avuto l’onore di assistere al vostro matrimonio ieri. È stata una cerimonia veramente commovente.»

Il suo tono era così gentile e sincero che Luke le avrebbe quasi creduto, se non avesse percepito altrimenti nella Forza. Quella donna era un politico migliore di suo marito.

«Vi trovate bene a Coruscant, mia graziosa Principessa?» proseguì.

Asha sorrise timidamente. «Non conosco nulla qui. Oggi Lord Skywalker mi ha mostrato una parte di Imperial City, ma penso di dovermi ancora ambientare.»

«Naturalmente. È sempre difficile per noi donne seguire qui i nostri mariti,» recitò uno sguardo affettuoso rivolto al Grand Moff. «Dopo tanti anni, sento ancora nostalgia di casa e di tanto in tanto desidero ritornarvi. Ma, con il tempo, ci si fa degli amici. Per esempio, io ho conosciuto tanta gente aiutando ad amministrare l’orfanotrofio della Fondazione del Grand Moff Tarkin.»

«Interessante,» rispose la donna più giovane. «È una bella iniziativa.»

«Sarebbe un onore ricevere una vostra visita,» proseguì la signora Long. «Vi potrei presentare la signora Tarkin: è un’ospite veramente adorabile. Praticamente è lei che amministra la Fondazione, perché suo marito è sempre impegnato.»

Luke era già annoiato e non le stava più ascoltando. Con la coda dell’occhio, aveva tenuto sotto sorveglianza la Senatrice Organa per tutto il tempo. Quando la vide raccogliere le sue cose, capì che era ora di andare.

«Scusatemi,» interruppe bruscamente, «mi devo assentare per un momento.» Senza ulteriori spiegazioni, si rivolse ad Asha. «Aspettami qui: ho paura che ti perderesti. Torno subito.» Poi, quasi per scusarsi con i Long della maleducazione di quella secca partenza, aggiunse sorridendo: «Ti lascio in buone mani.»

Mentre il Grand Moff provò a nascondere il suo disappunto, la moglie salutò con cortesia: «Grazie, mio signore.»

Si era già voltato per andarsene, quando sentì Asha dire alla signora Long: «Mi piacerebbe veramente visitare la Fondazione…»

Corse tra la folla giù per le scale e raggiunse gli hangar. La nave di Alderaan era piuttosto isolata. La situazione politica per il pianeta era diventata dura negli ultimi anni, perché la linea politica degli Organa era in netta minoranza al Senato.

Luke si nascose tra le grandi colonne e attese.

Leia stava arrivando da sola e i suoi passi echeggiavano.

Il giovane Sith le si avvicinò silenziosamente da dietro e le sussurrò: «Senatrice Organa.»

Lei sobbalzò e lui le dovette mettere una mano sulla bocca per impedirle di gridare. Fu allora che lei lo riconobbe e lo guardò terrorizzata.

«Vi lascio andare subito, se mi promettete di non urlare,» le disse. «Non abbiate paura.»

La donna annuì e fu liberata. «Cosa volete da me? L’ultima volta che mi avete messo una mano sulla bocca, mi avete rapito,» gli rinfacciò con tono di sfida.

«L’ultima volta che mi avete rivolto la parola, ho passato tre settimane in ospedale,» replicò lui e fu soddisfatto nel vedere il senso di colpa scintillare nei suoi occhi.

Ma lei fece finta di niente. «A maggior ragione, non capisco cosa vogliate. Avevo avuto l’impressione che sarebbe stato poco igienico per entrambi essere visti conversare.» Il suo tono era carico di sarcasmo nel riferirsi alle brutali minacce di Vader.

Luke tirò fuori la scheda di memoria dalla sua tasca e gliela allungò. «Tenete!»

La principessa la prese insicura e lo guardò stupita.

«Sono i piani segreti di una nuova stazione da battaglia che, al momento, è in fase di test,» le spiegò.

Leia non era convinta. «Come faccio a sapere che non è una trappola?»

«Sono sicuro che avete le risorse per farla verificare,» le rispose seccamente.

Lei annuì. «Cosa c’è di così speciale in questa stazione da farvi affrontare tale pericolo?»

Luke si guardò furtivamente alle spalle. «Esaminate i dati e lo vedrete. Se rimango qui ancora, rischio troppo.»

La donna arrivò ad una decisione: nascose la memoria dentro la tasca della sua tunica.

Soddisfatto, lui si voltò per andarsene, ma udì alle sue spalle la voce di lei domandargli: «Perché?»

Sospirò. «Anch’io ho una coscienza,» mormorò e corse via.

Alcuni passi più in là, incontrò Asha. Era di sicuro troppo lontana per aver sentito la loro conversazione e probabilmente anche abbastanza da non poter identificare la Senatrice Organa. Ma, comunque, non era una bella sorpresa. «Cosa stai facendo qui?» le si rivolse con asprezza.

Confusa, spiegò: «Il Grand Moff Long e la moglie sono andati via. Ero sola e tu non tornavi. Allora ti sono venuta a cercare.»

Luke era preoccupato e per niente interessato alle sue giustificazioni. «Ti avevo detto di aspettarmi là,» la rimproverò seccamente.

Lei annuì, ma non lasciò andare. «Chi è quella donna?»

«Nessuno di cui devi preoccuparti,» liquidò la domanda.

Asha fece finta di non aver capito l’avvertimento implicito e insistette. «Sono consapevole che il nostro matrimonio è stato combinato per ragioni di alleanze politiche. Posso capire…»

Irritato sia dalla sua insistenza che dall’insinuazione, afferrò la sua tunica. «Non capisci un bel niente. Non è come pensi.» Abbassò la voce a un sussurro. «Dimenticati di quello che hai visto o ci farai ammazzare tutti e tre. Coruscant è un posto molto più pericoloso di quel che sembra. Per il tuo bene, non vedere e non sentire niente,» la minacciò e la lasciò andare, solo per puntarle un dito in faccia. «E quando dò un ordine, mi aspetto di essere ubbidito.»

La moglie abbassò la testa in un silenzio imbarazzato.

Soddisfatto dalla sua sottomissione, si voltò seccamente per raggiungere in fretta il loro trasporto, non preoccupandosi che lei dovesse quasi correre per seguirlo. Si sedette nel posto del guidatore e si accorse che l’aveva lasciata indietro. La osservò mentre raggiungeva la nave e finalmente si sedeva anche lei.

Asha evitava il suo sguardo. Era evidentemente confusa e spaventata.

Ovvio che lo fosse, si rese conto Luke, lui aveva appena agito e parlato proprio come avrebbe fatto suo padre. Era disgustato di sé stesso. Pieno di vergogna, distolse lo sguardo e mise in moto la navetta per tornare a casa. Mentre volavano tra il traffico di Coruscant, si scusò. «Mi dispiace,» mormorò. «Ma non è così che doveva andare.»

«Lo so,» rispose lei con calma, «Ti dovevo aspettare lassù.»

Il giovane squassò la testa. «Non mi riferivo a questo. Volevo dire che i Sith non dovrebbero sposarsi.»

La donna lo guardò subito stupita. «Vorresti rimanere da solo per tutta la vita?»

Luke ne fu confuso: aveva sempre provato a non pensare a quell’eventualità, ma non era che la logica conseguenza della propria affermazione. No, non gli piaceva la sua solitudine. Aveva dei ricordi lontani della sua prima infanzia, immagini sfocate della sua madre adottiva che lo abbracciava e del suo padre adottivo che gli arruffava affezionatamente i capelli. Non riusciva a ricordare i loro nomi, ma l’amore e la felicità che aveva provato erano impressi per sempre dentro di lui. Avrebbe desiderato sentire ancora quei sentimenti, ma non osava sperare. Quel tempo era finito e ora era intrappolato in questa vita da Sith che odiava. Non aveva alcuna voglia di trascinarvi un’altra persona e, d’improvviso, capì quanto era spaventato dall’idea di poter ferire qualcuno tanto profondamente quanto era stato ferito lui. «Non è questo il punto,» disse infine, «noi non siamo in grado di gestire una famiglia.»

Asha si accigliò non capendo. «Tuo padre lo fa,» dichiarò con uno sguardo interrogativo.

«Già,» lui alzò gli occhi al cielo, sospirando, «un esempio illuminante del perché i Sith non dovrebbero avere famiglia.»

«Quindi devo presumere che tu non sia felice delle nostre nozze.» Sembrava veramente delusa. Dopotutto, quello che lui aveva detto non le doveva essere suonato troppo carino nei suoi confronti.

«Senti, non volevo sposarmi fin dall’inizio. Quindi, non ha a che fare con te,» spiegò, cercando di metterci una toppa.

«Il nostro matrimonio non ha a che fare con me?» notò lei, quasi sarcastica.

Lui le gettò un’occhiata e poi guardò di nuovo il traffico. Era incerto su cosa dire: non era mai stato bravo a parlare. In più, realizzò che non aveva la minima idea di come lei giudicasse il loro matrimonio: non ci aveva proprio pensato. «Tu eri d’accordo con le nozze?» chiese infine.

«Ho sempre desiderato sposarmi,» gli rispose.

«Avevo capito che avesse combinato tutto tuo padre,» le disse stupito.

«Infatti è così,» gli confermò, «e me lo stavo aspettando già da un po’: la maggior parte delle mie amiche è già sposata da qualche anno.»

A Luke sembrava un po’ strano quello che lei stava dicendo. «Ma con qualcuno che non hai potuto scegliere per niente?»

«Questo è normale su Ujjain,» gli spiegò.

«Vuoi dire che sul tuo pianeta nessuna ragazza sceglie il marito?» si stupì lui. Era consapevole che molti matrimoni alla Corte imperiale erano combinati per convenienza, ma i fidanzati erano sempre coinvolti in qualche modo. Per quel che ne sapeva, lui era l’unico uomo che aveva visto sua moglie per la prima volta il giorno delle nozze.

«Per tradizione i mariti sono scelti solo dalle famiglie,» gli confermò.

«Ma come si può sposare qualcuno che non si ama?» Non che gli importasse veramente molto della vita coniugale a Ujjain, ma non poteva dire di non essere incuriosito da una tradizione così strana.

«Vedrai che alla fine ti amerò.» Sembrava che lei lo volesse rassicurare.

Lui non aveva inteso portare la questione sul loro livello personale. Non si aspettava il suo amore: non poteva chiedere tanto. Non sapeva nemmeno se lui stesso fosse in grado di amare qualcuno: una semplice coabitazione civile gli sembrava già una sfida piuttosto impegnativa per un Sith. Perciò la quieta certezza che aveva avvertito nel suo tono era nello stesso tempo spaventosa e attraente, ma a ogni modo mal risposta: non voleva nutrire delle speranze, solo per soffrire quando sarebbero finite in frantumi. «Ma perché? Non sai nemmeno chi sono,» sottolineò con un’asprezza involontaria nella sua voce.

«So che sei mio marito,» dichiarò lei semplicemente.

Luke le gettò un’altra occhiata stupita: quello era più o meno lo strano pensiero che anche lui stesso aveva fatto il giorno precedente, durante la cerimonia, quando l’idea che lei sarebbe stata la sua donna era venuta fuori da chissà dove. Ma non era una motivazione sensata, giusto?

Davanti al suo silenzio pensieroso, Asha aggiunse: «Io sarò sempre dalla tua parte.»

E quello che cos’era? Una promessa? Un obiettivo? E perché? Non si poteva semplicemente comandare ai propri sentimenti di venir fuori a piacere. Luke non capiva: «Come puoi obbligarti ad amare qualcuno?»

«Io non mi obbligherò a nulla: verrà con naturalezza,» provò a spiegargli la donna. «Non ho scelto i miei genitori, i miei fratelli o le mie sorelle, ma io li amo tutti. Amo i loro pregi e i loro difetti, perché sono la mia famiglia. Non ho scelto il pianeta in cui sono nata, ma amo la sua gente e i suoi paesaggi, perché è il mio pianeta natale. Allo stesso modo, mi affezionerò anche a te.»

Lui rise sommessamente, scuotendo la testa. Non aveva molta esperienza in faccende sentimentali, perché quell’ipocrita di suo padre aveva sempre blaterato molto su come fossero pericolose le donne, proibendogli qualsiasi storia d’amore, fino al giorno in cui lo aveva improvvisamente obbligato a sposarsi. Ma affezionarsi a qualcuno non era esattamente ciò che aveva compreso essere l’amore. «Non sembra che sarà una passione travolgente.»

«La passione se ne va veloce come viene. L’affetto cresce negli anni. Perciò, il vero amore è quest’ultimo,» dichiarò lei.

Non era completamente irragionevole: poteva perfino essere vero, da un certo punto di vista. Ma per sfortuna i Sith di solito ragionavano in assoluti e quindi lui continuava a pensare che il suo discorso fosse piuttosto bizzarro.

«Si può sposare chi si ama o si può amare chi si sposa: qual è la differenza?» aggiunse Asha.

Già… alla fin fine, qual era? Luke non aveva la risposta.

Arrivarono a casa. Le gettò un’ultima occhiata, prima di concentrarsi sulla manovra di atterraggio.

Era stato così arrabbiato nell’ultima settimana per tutta quella faccenda delle nozze, preoccupandosi solo del proprio orgoglio ferito, che non aveva riflettuto sulle implicazioni. Dopotutto, ora qualcuno gli era seduto accanto e chiacchierava con lui, promettendogli perfino una specie di affetto a venire. Anche se non credeva possibile quest’ultima cosa, la sua semplice compagnia era molto di più di ciò che avrebbe mai osato sperare solo dieci giorni prima. E, quindi, era veramente importante come e perché era accaduto? Comprese che aveva due possibilità: continuare a essere arrabbiato, sprecando ciò che gli era stato donato, o lasciar andare i sentimenti negativi e sfruttare al meglio quella situazione.

Per la prima volta nella sua vita, si immaginò di tornare a casa e baciare sua moglie. Immaginò di poter parlare con naturalezza e ridere con lei di qualcosa. Immaginò di poter condividere con lei un dolore o una gioia. Immaginò di arruffare i capelli di loro figlio e poi di giocare con lui, o di fare ciò che i padri normali facevano con i loro bambini…

Si fermò bruscamente di fantasticare: ora era andato troppo in là. Non importava ciò che lei diceva o quanto lui desiderasse delle relazioni affettive: lui era ancora un apprendista Sith in stato di schiavitù. Poteva provare a valorizzare la sua compagnia, ma non poteva permettersi tanta speranza: non sarebbe stato salutare per nessuno dei due.

  
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