“L’apparenza inganna e condanna”
di Lilly81
La porta blindata era troppo pesante perché potesse chiudersi con la
movenza sfuggente di un braccio, perciò, attutita la brusca frenata sul lucido impiantito a scacchi grazie alle suole di gomma delle
scarpe, Bulma fu costretta a ritornare
precipitosamente sui suoi passi e a gettarsi contro di essa con tutto il suo
peso.
Stordita dal rimbombo restituito dalle pareti dell’ampio laboratorio,
la sua mano vacillò intorno alla chiave che fu rigirata con tre mandate in
rapida successione.
Se la porta fosse stata fornita del quintuplo di quei chiavistelli li avrebbe adoperati ad uno ad uno senza
curarsi di aver confidato nella precauzione più banale ed inutile alla quale si
potesse far ricorso in quel frangente.
Le luci a neon si accesero con un secondo di ritardo, quel tanto che bastò a farle urtare nella corsa il ginocchio contro lo
spigolo della cassa degli attrezzi posizionata contro il muro.
Le stelle che vide non la fecero demordere, né la vista della pelle lacerata
che prese a scurirsi nell’afflusso del sangue, né il pensiero tragicomico che
la sorte accanita, nelle sembianze di un padre assai sbadato, va a piazzare
ingombri appuntiti laddove mai ci sono stati: continuò la corsa e si arrese
dietro ad uno dei pannelli solari in costruzione, quello intorno al quale aveva
lavorato per tutto il mattino.
Si accovacciò lì dietro, con una mano agganciata al ginocchio dolorante
ed un’altra impegnata a scorrere la rubrica del suo
cellulare come se da questo dipendesse l'assoluzione di un condannato a morte
pochi istanti prima di essere incappucciato dal boia.
“Chichi, mi senti? Ho bisogno di aiuto!” sibilò col fiato corto.
“Pronto? Bulma, alza la voce, non ti sento
bene...”
“Non posso alzare la voce, dannazione!” imprecò con la mascella così
serrata da dare l'impressione di star masticando sassi “devi
far venire subito Goku a casa mia!”.
Chichi sorresse
il portatile col collo piegato, estrasse la teiera dal forno, sculettò un
fianco per chiudere un cassetto.
Spiegò senza scomporsi che Goku era andato a pesca con i ragazzi e
sbirciando l'orologio alla parete che non mancava molto al momento del rientro.
“Guarda che sono in pericolo! Deve venire subito!”
“Ma cosa ti è successo?” prese la tovaglia a
quadretti e la fece svolazzare sulla tavola “Vegeta non è lì con te? Pronto, Bulma, ci sei...?”
“Al diavolo!” non aveva più campo e... scampo.
I passi dell’uomo si avvicinarono con una cadenza regolare e la porta
corazzata fu scossa dal susseguirsi di due pugni, neanche tanto energici eppure
sufficienti a farle strizzare le palpebre in sincronia e a sussultare le spalle
a singhiozzi ravvicinati:
“So benissimo che sei qui! Apri questa maledetta
porta!”.
Bulma cascò seduta
all’indietro ed incominciò a piangere e ad intimare
terrorizzata di andarsene via.
“Vuoi spiegarmi cosa diavolo ti è preso?!” a
Vegeta non era mai piaciuto perdere tempo dietro ai capricci femminili,
soprattutto quelli di una bisbetica come Bulma che
sfoggiava uno stato d’animo a seconda di come stava il suo utero, ma esigeva
una risposta se di colpo la sua compagna, nel vederlo apparire sulla soglia
della cucina, sgranava gli occhi neanche avesse visto un fantasma, rovesciava
la pentola che aveva riempito d’acqua, e si metteva a correre lanciando un urlo
terrificato.
In tal caso, ma era molto raro, Vegeta dimenticava di essere il
principe dei saiyan, faceva domande da terrestre, si
sforzava di trovare un senso a cose che nella norma
non lo avrebbero toccato.
Ma quella reazione
di Bulma non rientrava nei normali standard delle sue
nevrosi quotidiane.
Provò a meditare su cosa avesse fatto per renderla a tal punto
indisposta nei suoi riguardi: gli ultimi ricordi che aveva di lei erano il
bacio a fior di labbra che gli aveva dato la sera precedente prima di posare la
testa sui suoi pettorali ed addormentarsi, al sapore
rinfrescante del dentifricio appena utilizzato ed un lieve retrogusto di
tabacco, e lo sdegno che le aveva rivolto quando a colazione ella gli aveva
messo davanti dei croissant bruciacchiati ed una bottiglia di latte scaduta da
due giorni.
Aveva solo storto la bocca e mugugnato qualcosa a denti stretti, una
cosuccia da poco da cui non si sarebbe esentato neanche un comune terrestre.
Da allora non l’aveva vista per tutto il giorno, fino a quando non era
andato in cucina avvinto dai morsi della fame al calar del crepuscolo.
Era certo di avere la coscienza a posto nella stessa misura in cui
sapeva di non aver visto nei suoi occhi sbarrati un rancore o un malumore
qualunque, ma una reazione più allarmante congenere al
panico e all’orrore, non molto distante da quella manifestata su Namecc la prima volta che l’aveva conosciuto.
La porta blindata fu letteralmente piegata in due sotto una pressione
neanche tanto insistente, avrebbe forse impiegato più forza per schiacciare un
verme sbucato tra l'erba.
Bulma si accorse che
restare nascosta le metteva in moto tanta adrenalina
nelle vene da condurla sull'orlo di un infarto, così decise di uscire e di
fronteggiarlo a viso aperto una volta per tutte:
“Non osare avvicinarti!” gli intimò senza molta convinzione, rendendosi
conto da sola di quanto sembrasse ridicola.
“Se questa è una nuova tecnica di seduzione ti
avverto che non mi eccita per niente, al contrario mi sto innervosendo!”
dall'aspetto si sarebbe detto che la sua rabbia era già tracimata tutta.
“Cerca di restare calmo...” mise le mani
avanti come se si trattasse di ammansire una bestia selvatica, facendo appello
al suo tono più accomodante e finto “è importante che tu non ti
innervosisca...”.
Vegeta fece un passo indietro per scrutarla meglio:
“Che cosa vai farneticando? Sei sicura di non aver bevuto niente?”
“Io sto benissimo!” prese ora la posa di
attacco “sei tu quello che non è affatto normale!”.
Vegeta sogghignò e si appoggiò indolente sul tavolo da lavoro:
“Sentiamo... di che cosa mi si accusa questa volta...?”
incominciava a persuadersi che per Bulma fosse stata
la solita stressante giornata di lavoro ed aveva voglia di lasciarla sfogare
per gustare l'attimo in cui l'avrebbe mandata al diavolo.
“Guardati allo specchio” gli disse molto
seriamente.
“E perché mai dovrei farlo?” tornò ad
irrigidirsi e per non darle la soddisfazione di obbedire ad un suo imperativo
frenò l'istinto di guardarsi le scarpe ed i pantaloni sportivi di tutti i
giorni, che sapeva sgualciti ma lindi, recuperati neanche mezz'ora prima
direttamente dall'asciugatrice.
La vide muoversi in direzione del pannello solare di ultima generazione
intorno al quale lavorava già da due giorni e tirare
il lenzuolo che lo copriva, come ad esibire un dipinto d'autore:
“Guardati!”.
Lo specchio che lo rivestiva non era del tutto nitido, eppure
sufficiente a rifletterlo nella sua interezza in una gradazione più scura.
L'attenzione ricadde subito sul volto: come un cadavere riaffiora dalle
acque e la zizzania rispunta tra le spighe di grano, lo stigma di Majinbu, emblema del male e dell'ossequio più subdolo, era
riapparso sulla fronte.
“Ma cosa...” si portò una mano lì e strofinò
con insistenza.
Si era rasato quel mattino e non c'era niente. Non si era più guardato
allo specchio, non aveva idea da quanto fosse riapparso quel segno,
ma ora che ci rifletteva gli veniva alla mente l'immagine di alcuni
bambini, mentre rincasava da solo dopo essere stato al parco con il figlio, il
quale aveva chiesto di andare a concludere la giornata a casa di Goten, che lo avevano fissato spaventati prima di darsela a
gambe.
Vegeta non se ne era dato pensiero giacché erano molti quelli che l'osservavano costernati quando ad esempio attraversava la
strada con il rosso o spiccava il volo per deviare la folla.
“Mi dai ragione ora?” fece Bulma rovesciando
una mano sul fianco.
“Ti dico che sto benissimo!” ribadì lui, certo
di essere nella piena padronanza delle sue facoltà mentali “di cosa ti
preoccupi?”
“Ma ti sei guardato bene allo specchio?” fosse stato solo per lo stigma
sulla fronte forse non sarebbe stata così in
apprensione, ma i suoi occhi, scavati e contornati di nero, sbattevano diritto
in faccia al suo interlocutore una luce sinistra e mefistofelica.
Vegeta faceva paura come quel giorno sull'arena del torneo.
“Quanto tempo è trascorso dalla morte di Majinbu?”
Bulma sussultò alla domanda, ad
ogni movimento dell'uomo il suo corpo vibrava preda del terrore.
“Sette... soltanto sette giorni” spifferò portandosi alla debita
distanza.
Non riusciva a capacitarsi cosa potesse essere accaduto e si mise a
scandagliare rapidamente tutto quello che aveva fatto in
giornata: al duro allenamento nella stanza gravitazionale aveva preferito
l'aria aperta del giardino ed una sana mezz'ora di riscaldamento, non oltre.
Per il resto era stata una giornata uguale a tante altre, non aveva fatto incontri particolari, né assunto qualcosa di poco
commestibile o di allucinogeno, la notte prima aveva dormito profondamente e
non aveva fatto incubi, non aveva meditato su niente che lo avesse potuto in
qualche modo turbare o incattivire.
Come il tuono segue il fulmine, l'onda la
risacca, Vegeta sentì l'aria vibrare intorno ancor prima che qualcuno si
materializzasse alle sue spalle:
“Che diavolo fai qui?” gli disse senza voltarsi.
Bulma intervenne
risollevata a chiarire prontamente che era stata lei a dirgli di venire.
“Si può sapere cosa è successo? Chichi mi ha detto che era una questione di vita o di morte!” Goku si guardò intorno constatando che
tutto era in ordine e rimpiangendo con l'acquolina alla bocca la pasta al forno
che era stato costretto a lasciare sul tavolo.
Chichi lo aveva
dovuto tirare per le orecchie nel momento in cui lui, adducendo come scusa che Bulma era una che sosteneva di essere in pericolo di vita
anche quando era soltanto una vespa a ronzarle intorno, aveva prospettato prima
di consumare la cena, magari facendosela finire pure di traverso se proprio era
una questione urgente, e poi di andare a vedere cosa era successo.
“Osserva Vegeta e dimmi cosa noti di strano” gli fece cenno di venire
avanti.
“Non intendo essere oggetto di osservazione” ringhiò il saiyan a denti stretti e la vena sulla tempia pulsò
spasmodica quando vide l'altro mettersi a girare intorno con fare indagatore.
Goku si accarezzò perplesso il mento e alla fine sbottò senza molta
persuasione:
“Forse è diventato un po' più alto...”.
“Adesso BASTA!” urlò Vegeta con tanta veemenza da far nascondere Bulma dietro le spalle dell'altro.
“Ma come puoi non essertene accorto?” piagnucolò la donna dandogli una
manata sulla nuca “non vedi che è tornato sotto l'influenza di Babidi?!”
“Ti ripeto che io sto benissimo!” continuò a sbraitare sulle stesse
note di prima “siete voi con il vostro atteggiamento che mi state facendo
perdere la pazienza!”
“Lo senti? Può
scoppiare da un momento all'altro se non facciamo...”
restò a bocca aperta ad osservare l'espressione pacifica dell'amico, che dopo
un primo istante di agitazione aveva indebolito la mascella.
“A me sembra il solito Vegeta...” concluse.
“Finalmente ti sento dire una cosa sensata” convenne l'altro.
“Forse un tantino più irritato del normale” le strizzò un occhio “ma da
lui non promana alcuna aura negativa”.
Bulma lo fissò per
qualche istante sbattendo con nervosismo le palpebre, alla ricerca di una
spiegazione logica che giustificasse il suo allarme e non la facesse passare
come l'isterica farneticante che lo aveva scomodato per niente:
“In ogni caso, non è una cosa normale, bisogna trovare una ragione al
perché quel segno sia ricomparso e trovare il modo di farlo scomparire, anche
se non sussiste il rischio che lui rada al suolo la città e mandi all'altro
mondo dei poveri innocenti come ha già fatto!” vociò stridula annaffiandolo di
saliva.
All'imposizione severa del dito con il quale aveva indicato la sua
fronte, Vegeta era scattato rivolgendole contro le spalle.
Al terrore di prima si era sostituito nelle
occhiate della donna una specie di sdegno e di disgusto che gli montavano
dentro una collera incontrollata, acuita anche dalla considerazione poco
edificante che potesse ritornare ad essere un potenziale pericolo pubblico,
neanche fosse stato durante quella settimana dalla sconfitta di Majinbu una bestia inferocita sotto l'effetto di un
narcotizzante ora scaduto o si fosse impresso col fuoco quel marchio di sua
volontà.
“Io non ho la più pallida idea di quello che è potuto accadere!” ci
tenne a precisare “questa volta non sono sceso a compromessi con nessuno!”.
Goku dichiarò all'altro che gli credeva portandosi tanto di mano sul
petto ad avvalorare la sua fiducia, con Bulma
convenne che era qualcosa di insolito ed
imprevedibile, argomentò la necessità di mantenere la calma e di evitare vani
allarmismi con l'aria tutt'altro che cattedratica, dondolando con la schiena la
sedia su cui si era accomodato e sciogliendo in bocca un cioccolatino al latte
arraffato dalla scrivania, ma si vide costretto alla fine a scrollare le spalle
e a dichiararsi incapace di trovare un rimedio, così... su due piedi.
La donna balbettò due ma sconnessi, le ciglia fremettero a
trattenere una lacrima, le fiere spalle si ingobbirono
sotto il peso della frustrazione.
“Se questo segno non dovesse andare via, per me non ci sono problemi,
posso anche tenermelo” le parole di Vegeta furono la scarica elettrica che
riattivò i suoi neuroni scoraggiati dandole l'impulso feroce di portarsi le
mani tra i capelli e scuotere la testa in piena escandescenza.
“Ma cosa ti salta in mente di dire?! Quel... coso
non è normale! Deve scomparire! Non puoi andare in giro così! E niente ci
garantisce che tu riesca a mantenere il tuo autocontrollo!”
“L'acqua miracolosa...” borbottò Goku
soprappensiero mentre Bulma perseverava nella sua
crisi di nervi.
Se un malcapitato ignaro dei fatti si fosse imbattuto in quel trio avrebbe avuto qualche riserva ad additare Vegeta come
l'unico pericolo pubblico.
La donna si girò di scatto nella direzione di Goku prestando la massima
attenzione:
“Se andassi all'obelisco di Balzar, potrei farmi dare l'acqua
miracolosa” si alzò e si mise a guardare in direzione del soffitto grattandosi
l’interno dell’orecchio “il suo effetto purificante potrebbe fare al caso
nostro. Forse in Vegeta è affiorato qualche residuo della
magia di Babidi e l'acqua miracolosa potrebbe
eliminarlo”.
Bulma esclamò che era
un'ottima idea ed esultante stava per lanciargli già le
braccia al collo quando, dopo l'imposizione di due dita sulla fronte, si
ritrovò ad avvinghiare il vuoto lasciato dall'altro.
“Di cosa stava parlando?” si affrettò ad
informarsi Vegeta con i lati della bocca piegati in una smorfia forse di
sospetto o forse di disappunto, difficile da decifrare le sue rughe tanto
queste erano contratte in una maschera snaturata e corrotta.
Allora la donna narrò in breve dell'esistenza dell'acqua miracolosa e
di come si fosse rivelata utile in diverse occasioni non solo a rinnovare la
forza latente in un guerriero ma anche a purificare il male instillato negli
uomini dalle oscure forze del male.
Vegeta non batté ciglio e Bulma, la quale
aveva ancora qualche remora a dargli troppa confidenza, si approfittò del suo
silenzio per riportarsi a distanza andandosi a sedere dietro la scrivania dove
poggiò i gomiti e sorresse in attesa il mento.
Il saiyan si osservò ancora qualche istante
allo specchio, poi prese a misurare la stanza a passi lenti: se si trattava di
un residuo riaffiorato della magia di Babidi, come
sostenuto da Kakaroth, non riusciva a spiegarsi chi o
cosa lo avesse ripescato dai meandri della sua mente, né il perché, perciò alla
fine concluse tra sé che era successo e basta, che il
rapporto di causalità non sempre sussiste, che non sempre è dato sapere perché
viene una malattia o spunta un neo sulla pelle.
Bulma intanto si mosse
inquieta sulla sedia, finse noncuranza mettendosi a giocherellare con una penna
e quando la fece cadere a terra e l'uomo si fermò di scatto, sussultò neanche
avesse corso il rischio di essere bacchettata come una scolaretta
indisciplinata e distratta durante un compito in classe.
Si alzò risollevata come una piuma quando vide entrare nel laboratorio
suo figlio di gran premura:
“Chichi mi ha detto che Goku è dovuto venire qui di fretta, cosa è successo?” chiese trafelato a sua
madre, ma gli occhi rincorsero la figura del padre, il quale non si smosse e
continuò a dargli le spalle.
Gli dava un disturbo più letale della coda di Freezer intorno al collo,
più ributtante dello sputo di Darbula, più soffocante
dei rotoli di grasso di Majinbu tornare ancora ad essere oggetto di osservazione e di analisi.
Bulma prese un respiro
profondo:
“Tuo padre ha... un problema”
“Tua madre esagera, come sempre” intervenne Vegeta voltandosi.
Tanto già sapeva come in un copione quello a cui
sarebbe andato incontro, perciò meglio anticipare le mosse del figlio e
sbattergli la questione diritto in faccia.
Trunks allora
chiese che tipo di problema avesse, non sembrava prestare molta attenzione alla
sua fronte e all'emblema.
“Come fai anche tu a non essertene accorto subito?!”
gli strattonò la madre un lembo della maglietta “siete diventati ciechi?” ma Trunks continuava a non capire e a fissarlo perplesso.
Vegeta gli chiese senza mezzi termini se ricordava di avergli visto
quel segno sulla fronte quando si erano separati al parco:
“Ah... è quello...” fu finalmente illuminato.
Gli rispose allora di non averci fatto caso esattamente come era accaduto qualche istante prima.
“Ma come si fa a non notare una cosa simile?”
fece Bulma fuori di sé.
“Forse perché non emana alcuna aura negativa...”
spiegò il bambino e trasse un respiro di sollievo “credevo chissà cosa fosse
successo!”.
Rammentava bene che suo padre aveva quello
stesso marchio e quegli stessi occhi cerchiati di nero quando lo aveva stretto
a sé prima del sacrificio.
Era uno dei ricordi più preziosi che avrebbe sempre custodito e
preservato e se nel momento in cui rimediava alla mancanza di un gesto
d'affetto suo padre avesse avuto fattezze ben più mostruose, come un diamante
imbrattato di fango il valore di quel ricordo non si sarebbe in ogni caso
deprezzato.
Bulma assunse una
strana tinta paonazza e le labbra presero a tremare convulsamente quando vide
il figlio accomiatarsi con la scusa di andare a mettere qualcosa nello stomaco
poiché aveva lasciato la casa di Chichi in fretta ed in furia.
“Tuo figlio ha più senno di te” sentenziò Vegeta quando restarono di
nuovo soli.
Ella non ebbe il
tempo di replicare perché l'aria subì un'altra vibrazione che solo il saiyan percepì e Goku riapparve di nuovo in tutta la sua
sostanza, recando tra le mani un'ampolla riempita d'acqua.
Raccontò di aver fatto un salto anche al Palazzo del Supremo, di aver
esposto la questione a Piccolo, il quale pure non era riuscito a definirne il
nocciolo se non con la deduzione che fosse un residuo della magia di Babidi da provare ad espellere
attraverso l'acqua miracolosa.
“Visto che ti trovavi, perché non sei andato
anche da Re Kaioh, così lo comunicava a tutta la
galassia?!” berciò il principe dei saiyan
strappandogli da mano l'ampolla.
Bulma strinse
istintivamente una mano intorno al braccio dell'amico quando Vegeta esitò un
istante prima di ingurgitarla, osservando la boccetta con lo stesso scetticismo
di un sommelier per una bottiglia di vino senza etichetta d'annata.
Il liquido non aveva nulla in più e nulla in meno dell'acqua uscita da
un comunissimo tubo incrostato di città e Vegeta voltò le spalle per inchiodare
la sua faccia falsamente indifferente sulla superficie del pannello.
Un bruciore alla gola, come una raucedine appena accennata, lo
costrinse a tossire e lo spasmo che poco a poco lo assalì fu tale che dovette
piegarsi in due per fronteggiarlo.
Bulma incrociò la sua occhiata
di apprensione con quella fiduciosa di Goku, che tramutò in disorientamento
quando lo videro tornare ad irrigidirsi e restare
immobile, senza ancora mostrare gli effetti subiti, come un regista che indugia
prima del colpo di scena:
“Tutto... bene?” si informò Goku con cautela.
La tosse tramutò in una risata talmente sghignazzante che Bulma ritornò a torcere la stoffa della casacca dell'amico.
Non ebbe neanche il tempo di vedere l'ampolla gettata violentemente
nella loro direzione che questa già cadde frantumata in mille pezzi ai loro
piedi.
“Questo è il risultato! Niente!” l'emblema non si era neanche sbiadito
piuttosto riluceva sulla fronte imperlata di sudore come un vecchio cimelio di
metallo tirato a lucido ed esposto in vetrina.
“Non è il caso di reagire in questo modo” replicò Goku questa volta con
un misurato cenno di durezza.
“Forse c'è una cosa che non avete ancora afferrato: la questione non mi tocca affatto, non c’è niente in me che non vada, anzi
non sono mai stato meglio di così, perciò cercate di non farmi perdere tempo
dietro ai vostri ridicoli rimedi!” voltò di nuovo le spalle e se ne andò via.
“Sei ancora convinto che Vegeta sia quello di
sempre?” lo scosse il tono di scherno di Bulma, che
incrociò le braccia e mosse il ginocchio per scrollare con disturbo ed
incredulità le schegge di vetro finite sulla sua scarpa.
“Ti ripeto che non è sotto l'influsso di Babidi,
si è soltanto innervosito perché si è visto attaccato. Cerca
di essere più comprensiva e paziente in attesa di trovare un altro rimedio”.
Bulma tornò ad
assumere le sembianze di ragazzina indifesa quando lo vide dare segno di
accomiatarsi:
“Non penserai di lasciarmi da sola con... lui?” accennò tremante in
direzione della porta da cui era uscito.
“Non ti farà niente, puoi stare tranquilla, e poi sento l'aura di Trunks qui in casa”
“Quello è un altro che sottovaluta il pericolo di questa situazione.
Come te, non si è neanche accorto della trasformazione subita dal padre”
“Perché ha già avuto a che fare con lui quando aveva quelle sembianze e
sa che, nonostante l'aspetto, è nel pieno controllo di sé” Goku le rammentò che
Vegeta non era mai stato del tutto sotto l'incantesimo di Babidi.
“Questo è molto confortante” sorrise lei di un sarcasmo troppo
sopraffino da cogliere al volo “ma non mi sembra di chiederti la luna se ti
prego di restare qui in casa almeno questa notte”.
Lo sapeva già che si sarebbe grattato la
zazzera ed avrebbe sorriso scioccamente, lo faceva sempre quando era in
imbarazzo o doveva fare qualcosa contro voglia:
“Chiamo il ristorante giù all'angolo ed ordino
tutto quello che hanno nel menù” concluse spiccia e soddisfatta.
* * *
Seduto sulla sponda del letto aveva la stessa
posa rilassata di una fiera temibile intenta ad abbeverarsi sul margine di un
torrente, con le spalle ricurve che gli appesantivano il mento e due braccia
impegnate a sostenerlo.
Lo specchio che era di fronte ne rifletteva lo sguardo inquieto con
magnetismo tale da costringere a deviarlo in altra direzione, ma non c’era
punto della stanza fatto di specchio o di vetro, fosse un
suppellettile sul mobile o la finestra chiusa senza tende, che non gli
rinfacciava quello sfregio sulla fronte dai contorni così precisi ed
inequivocabili da assomigliare ad una fenditura allargata in una risata
irriverente: sembrava proprio che la sua fronte fosse un’entità staccata dal
resto del corpo, che a tratti rideva spassosa e in altri momenti sogghignava
diabolica.
L’apparente quiete fu interrotta dall’uscio che si aprì e la fiera
tutt’altro che mansueta smise di dissetarsi al torrente, drizzò il dorso e
fiutò l’arrivato con una posa guardinga e sospetta.
Gli occhi bistrati registrarono le movenze altrettanto caute della
donna, la quale lo osservò come un essere bizzarro avulso da quel contesto, con lo stesso sconcerto che avrebbe avuto per un
coccodrillo trovato nella piscina in giardino, o con la puzza sotto al naso che
le avrebbe suscitato un sudicio mendicante adagiato sulle sue lenzuola;
incrociò due braccia nervose, si umettò la lingua nel vano tentativo di connettere
qualche parola logica che sortì l’effetto opposto:
“Non pensavo fosse qui”
“Dormo in questa stanza da un bel pezzo di tempo, o lo hai forse
dimenticato?” l’osservò portarsi con stanchezza verso
la poltrona nell’angolo ed incominciarsi a slacciare le scarpe con la flemma di
chi vuol guadagnare tempo, perché Bulma Brief era una di quelle donne che normalmente si scalzano
le scarpe di ginnastica prima con un piede e poi con l’altro e le lasciano con
noncuranza laddove capita.
Ora invece si gingillava attorno ai lacci, si massaggiava
i piedi indolenziti, sistemava il paio di scarpe in riga scrupolosa contro il
muro sporgendosi alla destra della poltrona.
“Goku mi ha suggerito di invocare il Dio Drago tra sei mesi
nell’ipotesi in cui non si riesca a trovare altra soluzione al problema” glielo
aveva proposto mentre divorava a tavola la quinta porzione di manicaretti e
lanciava un’occhiata languida all’arrosto con le patate posizionato
all’altra estremità del tavolo.
Bulma gli aveva
letteralmente sbattuto davanti il vassoio, condendolo
di saliva nel momento in cui urlava che sarebbe stato difficile convivere sei
mesi con un uomo che sembrava uscito da un girone dell’inferno.
“E tu cosa gli hai risposto?” incalzò Vegeta.
Questa volta a Bulma convenne soltanto emettere
un sospiro e scrollare le spalle.
“Qual è il tuo problema?” inquisì il saiyan
insinuante come una serpe, avendo già vaga mezza idea.
“Il problema non è mio, è tuo. Hai un aspetto terrificante, fai paura, sembri prossimo a voler far
saltare in aria il pianeta se non sei prima tu ad
esplodere, incuti timore solo a guardarti, non hai niente in meno ad un
indemoniato e…” si raggelò innanzi alla sua risata.
“Cosa c’è?” le rughe intorno alla bocca si trattennero in un sogghigno
impertinente “da un giorno all’altro ho smesso di piacerti? Mi guardi come se
fossi l’ultimo essere di questa terra…” si mosse con lentezza verso di lei
senza rinunciare al sorriso sprezzante che lo rendeva ancora più temibile “ il
principe diventa bestia, ma forse dimentichi l’importante dettaglio che sono
sempre stato più bestia che principe. Forse il mio volto appare stravolto, non
ti do tutti i torti, ma per il resto sono sempre io…”
“Non provare ad avvicinarti!” scattò dalla poltrona come punta da uno
spillo.
“Sei presuntuosa se pensi che in questo
momento abbia voglia di metterti le mani addosso per provare piacere!”.
Lei indietreggiò fino a finire contro il muro:
“Vedi che non sei normale?! Sei fuori di te! Tu mi fai paura!” l’uomo aveva i nervi così tesi che le venature
sul polso sembravano volersi spaccare.
“Smettila di fare la bambina, Bulma!”
spulciando sillaba per sillaba si riconosceva oltre quel rimprovero che
rispolverava ogni qualvolta lei faceva la capricciosa
e la viziata una dignità offesa “sono la stessa identica persona con cui sei
andata a letto ieri sera!”.
La donna incominciava ad avere gli occhi altrettanto infiammati: alla
fine la belva sul guado del torrente ne aveva incontrata un’altra altrettanto
pericolosa.
Dopo essersi osservati ed annusati
incominciavano a ringhiare l’uno contro l’altra prima dell’attacco finale.
“Cosa mi garantisce che tu non perda il controllo stanotte e mi uccida
nel sonno?!”
“Te lo garantisco io!” irrigidì le fiere spalle “lo vuoi capire o no
che non sono mai stato del tutto sotto il controllo di Babidi
neanche quando era vivo, che ho avuto la capacità di oppormi anche al suo
volere?”.
Questa volta fu Bulma a sogghignare con
disdegno, in quella posa che aveva visto fare a lui un’infinità di volte:
“Era proprio quello che volevo sentirti dire” la mandibola scandì ognuna di quelle
parole come se avesse voluto sputargliele diritto in faccia “sapere che non sei
mai stato sotto l’influenza di quel mago è quanto più mi possa fare male”.
Vegeta ebbe un raro lampo di disorientamento nello sguardo febbricitante:
non comprese subito il suo affanno improvviso, la vampa che le accalorò il volto,
il rancore inconfessato che tracimò dall’azzurro degli occhi, come un criminale
attende appostato dietro l’angolo di casa e se ne approfitta quando è troppo
tardi per farci ritorno.
“Eri nel pieno controllo di te quando al torneo hai sollevato un
braccio ed hai disintegrato un intero settore. Io ero
lì a pochissimi passi e malgrado ciò hai colpito lo
stesso! In quel momento eri tu e neanche per un istante hai avuto lo scrupolo
di riflettere che potessi esserci anche io tra quella
folla…” il singhiozzo che le salì alla gola la costrinse a mordersi un labbro e
ad inghiottirselo di nuovo.
Il silenzio si frappose tra loro come un macigno piombato dall’alto,
così pesante che anche il principe dei saiyan faticò
a toglierlo di mezzo per una lunga manciata di istanti:
“Era questo allora?” fiatò Vegeta amaramente
“come hai fatto a vivere questa settimana con un tale veleno in corpo? Perché non me lo hai detto subito?!”
l’amarezza è come una pietra dalle molteplici sfaccettature, dove la luce
colpisce cambia sfumatura, e nell’ultima domanda si tinse di rabbia.
Il marchio sulla fronte pareva pressato da un ferro incandescente: per
la prima volta Vegeta lo sentiva incombere sul cervello, scavarlo e nutrirlo
come un cancro galoppante.
Incredibile quanto la lingua riesca ad essere
più efficace di un pugno nello stomaco, poiché essa non si avvale della
violenza e della sopraffazione, che reggono l’istante del dolore, ma della verità
e della ragione, scomode che siano, quando non affila menzogne.
Lei si lasciò di nuovo sprofondare nella poltrona, sfibrata dallo sfogo pareva essersi quietata:
“Che senso aveva? Rivederti ed abbracciarti è stato più
importante di ogni altra cosa” sorrise crogiolandosi di quel ricordo neanche
tanto lontano nel tempo ma destinato già ad essere perenne come le memorie di
grandi conquiste o di importanti scoperte.
“Io non sapevo dov’eri seduta quel giorno” sentì il bisogno aggressivo
di aggrapparsi a quell’unica discolpa per alleviare l’improvvisa e dolorosa
emicrania.
“Non una ma ben due volte hai colpito la platea” gli rammentò lei con
ritrovata freddezza “lascia perdere Vegeta, non ti
porto rancore, ma almeno adesso mi comprenderai se ti dico che con quell’aspetto
mi fai paura e che ho qualche remora a fidarmi del tutto”.
La fronte gli ribolliva come preda di una febbre smaniosa, oscillò di
alcuni passi, e quando vide riflesso nello specchio di fronte quell’emblema che
pareva volesse ora prendersi gioco di lui, atteggiandosi a giudice implacabile di
un processo senza difensori, nel quale ogni prova era a suo sfavore e la
condanna senza appello, seppe cosa fare per trovare tregua.
Il colpo che uscì dalla sua mano disintegrò lo specchio in mille pezzi,
trapassò la parete che franò rovinosamente per almeno la metà svelando la
stanza attigua.
Bulma restò
pietrificata come una statua di marmo dello stesso colore.
Dalla coltre di polvere esalata dalla parete rovinata
apparve Son Goku, mezzo addormentato e con addosso solo un paio di calzoncini
bianchi.
Bulma lo aveva
sistemato per la notte proprio in quella stanza:
“Urka!” si stropicciò
gli occhi “pensavo fosse solo un modo di dire… svegliarsi con le cannonate!”.
“Si può sapere cosa diavolo ci fai ancora qui?” l’apostrofò
il principe dei saiyan rimasto livido di rabbia
almeno quanto prima.
Bulma trovò il
coraggio di aprire bocca per spiegare che era stata lei a chiedergli di
restare.
“A questo punto devo convenire con tua moglie che davvero c’è qualcosa
in te che non va…” fece l’altro senza scomporsi più di tanto, con la bocca
ancora impastata dal sonno.
“Sarei stato di sicuro meglio se non avessi visto la tua faccia.
Ficcatevi nel cervello che io sto bene, sono pienamente padrone delle mie
parole e delle mie azioni, quante volte ve lo devo ripetere?”
“D’accordo, ma di certo sei più agitato del solito…”
“Sono così tutte le volte che ti vedo!” diede
loro le spalle e si incamminò verso la porta “ti do cinque minuti per lasciare
questa casa e, quanto a lei, portatela pure con te se la mia presenza la
spaventa a tal punto. Non sarò certo io quello che se ne
andrà questa notte…”.
La porta chiusa violentemente fece franare altri calcinacci e Bulma tossicchiò a più riprese.
“Non la prendere a male ma devo andarmene…” fece Goku mortificato “qui
non servo a niente, la mia presenza ha peggiorato solo la situazione”.
Le disse di stare tranquilla, di contattarlo
se c’erano altri sviluppi, che qualche soluzione si sarebbe pur trovata.
Alla fine a Bulma non restò altro da fare che
guardare la desolazione di quella stanza, dare un calcio ad
una pietra e fare un respiro profondo.
“Aspetta” lo bloccò nell’istante in cui lui impose due dita sulla
tempia.
Goku la vide oltrepassare la parete franata e recuperare qualcosa ai
piedi del letto sui cui si era addormentato.
“I tuoi vestiti…” gli gettò contro “e suggerisci a tua moglie di
comprarti un paio di mutande più alla moda, ma non dire che te l’ho detto io altrimenti chissà che penserebbe…”.
* * *
L’uscio si aprì automaticamente ed entrarono con passo indeciso due
individui dall’aspetto poco rassicurante, imbacuccati com’erano di impermeabile, cappello calato sulla fronte e grosse lenti
scure.
Uno, fisico atletico a dispetto di qualche
ruga di troppo sulla fronte, dava l’impressione di temere di essere stato
pedinato poiché andò a scostare una tenda per gettare un’occhiata circolare al
di là delle siepi, poi, appurata la tranquillità circostante, la signora col
passeggino e l’ambulante che vendeva frittelle, si voltò bruscamente ed urtò
contro quello più grosso e tarchiato che non si smosse di un centimetro.
L’orologio alla parete segnava trascorse da poco le cinque del
pomeriggio, erano giunti puntuali all’appuntamento e se ad uno dei due
non era ancora chiara la ragione della convocazione e si rigirava a disagio il
cappello tra le mani, quello più grosso e tarchiato osservava incuriosito i
pesci nell’acquario e tentava di afferrarne uno con le mani.
“Vedi di non fare danni” si sentì ammonire con un tono preoccupato più
che autoritario.
Allora questi incrociò le braccia e con la sua ingombrante mole si
lasciò sprofondare sul divano a cui saltarono due
molle.
Trunks,
appoggiato con i gomiti sul corrimano della scala, li fissava dall’alto con
cipiglio perplesso, sentì ad un tratto il rumore
cadenzato di un paio di scarpe e scorse sua madre andare sorridente a
sciorinare i convenevoli di padrona di casa.
Quello più magro fu per un istante stordito dal suo profumo e dal
sorriso smagliante nella stessa misura con cui aveva reagito alla telefonata
ricevuta nel mattino con la quale la donna gli aveva
detto di aver bisogno del suo aiuto.
Non riusciva a capacitarsi di cosa si trattasse, considerato
soprattutto che gli era stato letteralmente imposto di non venire da solo, e
non era del tutto persuaso se fosse prudente entrare in familiarità con certa
gente pur facendo parte della cerchia di amicizia di
Goku.
Erano trascorsi tre giorni da quando era ricomparso sulla fronte di
Vegeta il famigerato marchio di Majinbu, questa volta
apparentemente innocuo se non fosse accaduto che il saiyan
aveva disintegrato tutti gli specchi esistenti nella
casa ed aveva smesso di rivolgere parola a Bulma da
quella sera in cui Goku era andato via.
Per il resto continuava ad allenarsi, come forma di diversivo più che di
accanimento, e solo se era Trunks ad
entrare nella stessa stanza si tratteneva senza girare i tacchi.
Bulma si era resa conto di quanto insostenibile si fosse fatta la situazione
e che per risolverla sarebbe bastato mettere da parte i timori, accordargli
fiducia e fingere che quel segno sulla fronte fosse soltanto uno dei tanti
sfregi impressi sul suo corpo, a ricordo indelebile di quale battaglia poco
importava, ma aveva preferito mantenersi salda nella sua ostile posizione nel
momento in cui aveva scoperto infranti anche i pannelli a specchio sui quali
stava lavorando o quando aveva visto il postino indietreggiare spaventato
perché il saiyan era… semplicemente comparso
sull’uscio.
Tale infatti era la tensione che soggiogava lo
sguardo di Vegeta ed i suoi muscoli, così innaturale ed impressionante, che era
certa che prima o poi avrebbe dato in escandescenze irreversibili come una
bombola di gas messa vicina al fuoco.
Sarebbe bastata una minima arrabbiatura, una qualsiasi cosa andata
storta a fare da miccia.
Già di suo perdeva le staffe facilmente, figurarsi cosa avrebbe potuto
combinare sotto quel giogo!
Ciò nonostante, Trunks gli rivolgeva parola come era abituato a fare, in assoluta tranquillità e
confidenza, in risposta riceveva un grugnito masticato a qualche parola, ma
niente che non rientrasse nei normali schemi di condotta del principe dei saiyan.
Lo aveva sentito il giorno prima rivolgersi in
tono scherzoso al padre, silenzioso spettatore dai vetri della finestra di un
tramonto imbrunito da nuvole di pioggia, mentre alludeva alla prospettiva di
una sfida contro lui e Goku sfruttando la fusione con Goten.
Era stato soltanto allora, intanto che Vegeta assaporava con calma una
lattina di aranciata, che a Bulma era venuto il
dubbio di averlo condannato senza appello, ma era bastato che egli si voltasse ed inchiodasse in lei quegli occhi scavati e scellerati come
quel giorno sull’arena del torneo, quando rinnegò sé stesso ed i suoi cari in
nome di una rivalsa più importante, per vedere spento il barlume di calore che
aveva sentito avvolgerla da dentro.
Alla scienziata era venuta in mente una possibile soluzione al problema
durante la notte, perché si sa, la notte porta consiglio, anche se lei era una
di quelle convinte che per non risvegliarsi con le occhiate occorresse dormire
almeno otto ore di seguito senza intermezzi, e poiché Mister Satan, da personaggio famoso qual era
non compariva nell’elenco degli abbonati, aveva contattato Gohan
di buon mattino, giusto qualche istante prima che la nuvola d’oro accorresse
per portarlo a scuola, per farsi dare il numero di telefono.
“Ci siamo dovuti travestire alla meglio perché non è il caso che la
gente veda Bu…” fu la prima cosa che Mister Satan disse quando fu invitato a sedersi, tanto per rompere
il ghiaccio.
Si mosse a disagio sulla sedia nel momento in cui vide avvicinarsi Trunks, con la stessa aria tranquilla ed
un po’ spavalda di quando lo aveva dovuto affrontare al torneo innanzi a
migliaia di spettatori.
Si era dovuto oramai rassegnare al fatto che esistessero persone che
non lo acclamassero e gli chiedessero l’autografo quando lo incontravano e che
avevano il potere di spegnere con la sola forza dello sguardo tutta la boria di
cui si era nutrito illegittimamente in quegli anni.
“Io ho fame” furono le prime parole che un Majinbu
piuttosto annoiato pronunciò, seguito da un colpetto di tosse imbarazzato del
compagno.
Ma Bulma aveva predisposto quell’incontro nel minimo dettaglio
e strizzò un occhio d’intesa in direzione del figlio:
“La mamma ha apparecchiato un’intera tavola di dolci, vieni…” gli fece
cenno di seguirlo.
“A volte è peggio di un bambino” commentò Satan quando rimasero soli.
L’uomo, centellinando la tazza di the, si apprestò ad ascoltare con
attenzione il discorso di Bulma, si massaggiò il
mento ispido ai preamboli, poi si asciugò la bocca con un fazzoletto a metà del
ragionamento, ancora si grattò una tempia, accavallò una gamba, accennò più
volte affermativamente col capo in prossimità
dell’epilogo, fino a quando alla fine comparve l’oggetto della discussione alle
spalle della donna ed allora saltò dal divano gettandosi addosso la bevanda
bollente e lanciando un urlo di terrore misto a dolenza.
Già durante il torneo Mister Satan era
rimasto seriamente impressionato dallo sguardo allucinato di quel biondino,
tanto che aveva perseverato a rimuginare sulla sua immagine anche quando la
folla lo aveva ormai acclamato vincitore; ora gli si riproponeva
di nuovo in carne ed ossa come un incubo che si concretizza –alquanto
inaspettatamente visto che non aveva afferrato a pieno il racconto di Bulma– con lo stesso identico colore di capelli ed il
sigillo cosparso di sudore poiché aveva ultimato l’allenamento nella stanza
gravitazionale pochi istanti prima.
Vegeta gettò un’occhiata in tralice in direzione della cucina, dove Trunks e Majinbu, vinta la prima
diffidenza, gareggiavano a chi lanciava in alto più pasticcini e li divorava
contemporaneamente.
“Si può sapere cosa sta succedendo?” inquisì e Bulma
vide Mister Satan diventare pallido come la sua
camicia.
“Penso di aver trovato una soluzione al problema” esordì la donna con
una certa fierezza.
“Quale problema?” la smontò con un sogghigno
strafottente.
“Non fingere di non saperlo”
“E dovrebbe essere lui” accennò con disprezzo all’altro uomo che
sussultò spaurito “la soluzione al tuo problema?” rafforzò il possessivo
con la stessa enfasi con cui le avrebbe volentieri calpestato un piede.
“Majinbu era una creatura di Babidi, conosce le sue magie e possiede poteri altrettanto
magici, forse potrebbe liberarti dalla stregoneria con una semplice imposizione
delle mani” spiegò ed anche Mister Satan, alla luce
di quello che gli era stato argomentato prima,
incominciò a poco a poco a vederci più chiaro.
“Io non ti comprendo” parlò il saiyan con una
rabbia nutrita di farneticante rammarico “mi hai accolto in questa casa quando
ero il più disumano dei guerrieri ed ora che ho smesso
di esserlo saresti capace di bandirmi dalla faccia della terra soltanto perché
il mio aspetto non ti rassicura!”.
Mister Satan, che intanto aveva perso due
spanne d’altezza, si sentì ingombrante come se li stesse scrutando nudi.
Sperò che Bu venisse a chiamarlo per dirgli
di voler far ritorno a casa, qualsiasi scusa andava
bene per defilarsi da quell’atmosfera, anche che dicesse ad esempio che i pasticcini
non erano stati di suo gradimento perché non freschi di giornata- non erano
bastati quelli sfornati la mattina dal pasticciere all’angolo della strada e
così si erano dovuti acquistare pure quelli avanzati il giorno prima- ma il
ciccione saltellava felice intorno al tavolo nell’altra stanza e fagocitava i
biscotti che Trunks gli lanciava sospeso in aria.
“Ma perché ti ostini a fingere che sia tutto
normale? Prima o poi dovrai
pur fare i conti con uno specchio ed allora ti accorgerai che il tuo volto è
stravolto come se avessi appena sterminato un pianeta o fossi sul punto di
farlo! La gente ha paura di te al solo guardarti! Sono tre giorni che te ne
stai rinchiuso in casa, quando ti deciderai ad uscire?!”
pensò di aver fatto centro, che la sua reclusione fosse il sintomo di un
disagio che lo stava logorando più di quanto volesse ammettere.
“Che cosa vai blaterando?! Non mi è mai
importato di piacere alla gente!”
“Ma dovresti almeno importarti di quello che provo
io!”.
Nel silenzio che sovvenne Mister Satan
sentì solo il battito del suo cuore e trattenne il respiro per paura di
attirare attenzione.
“Sai cosa ti dico?” scacciò l’aria come a mandarla al diavolo “ci
vediamo tra sei mesi, da me altro non avrai, raduna le sfere, e spera che Shenron
ascolti le tue suppliche!”
* * *
Un pasticcino alla marmellata di ciliegie si staccò dal soffitto della
cucina, rimbalzò sui suoi capelli azzurri e si sbriciolò sul pavimento.
Bulma restò a fissarlo
indifferente, una miserabile briciola di un soqquadro più ampio, tirò su col
naso, riprese il fazzoletto e si asciugò gli occhi.
Come se non fosse bastata l’uscita di scena di Vegeta, Mister Satan, non appena il saiyan aveva
spiccato il volo, recuperate le due spanne d’altezza, aveva osato ricordarle
che tra sei mesi si sarebbe dovuto invocare il Dio Drago per annullare nelle
menti dei terrestri il ricordo di Majinbu.
Questo era quanto aveva decretato Goku per agevolare l’inserimento del
ciccione rosa nella società.
Lei, con tanto di braccio teso ad indicargli
la direzione della porta, aveva urlato che il problema di Vegeta aveva
precedenza su tutto.
Era rimasta a farneticare da sola, poi la rabbia era tracimata in
pianto, si era trascinata stancamente fino in cucina per prendere un fazzoletto
di carta ed aveva seguitato a piangere su di una
sedia.
Si sentì appoggiare una mano sulla spalla in segno di conforto:
“Mi dispiace” mormorò suo figlio.
Rispose che tanto c’erano i robot ad occuparsi
della pulizia, ma Trunks le spiegò che intendeva
riferirsi a suo padre.
“La colpa è anche tua, se tu mi avessi spalleggiato in questi giorni,
forse sarebbe stato meno ostinato e si sarebbe dato da fare a trovare una
soluzione, ed invece se ne è andato via!”
“Ma papà sta bene, te lo assicuro! Non ha niente che non vada, è quello di sempre! Secondo me sei tu
quella che ha esagerato…” Trunks aveva sempre trovato
difficile schierarsi da una parte o dall’altra, fra due caratteri difficili e
volubili sapeva che non era il caso di mettersi in mezzo giacché la ragione non
pendeva mai tutta da un lato o tutta dall’altro, ma questa volta proprio non
riuscì a contenersi e fu in favore del padre che la lancia venne
spezzata.
“Adesso parli proprio come lui! Possibile che sia l’unica a vederlo come un problema? Forse Babidi ha stregato tutti quanti tranne me!” stropicciò con rabbia il fazzoletto tra le mani.
“Papà era esattamente come lo vedi ora quando ha dato
la sua vita contro Majinbu, aveva quel volto e quel
segno sulla fronte quando mi disse…” si fermò, incerto se svelare quel ricordo
troppo prezioso per condividerlo con altri.
“Cosa?” sibilò sua madre col fiato sospeso.
Il bambino si grattò la testa:
“Ecco… papà usò delle parole un po’ difficili, ma il senso era che
dovevo prendermi cura di te…”.
Al Santuario di Dende le era
stata data notizia del generoso sacrificio del suo compagno, ma Trunks non le aveva raccontato nel dettaglio l’estremo
saluto di suo padre, temendo quasi che il ricordo potesse dissolversi nel
momento in cui ne avrebbe fatto partecipe un’altra persona, come vanno
custoditi in gran segreto i desideri espressi al cadere di una stella perché
nessuno ne contamini la speranza di vederli un giorno realizzati.
La donna si aggrappò alle sue spalle piccole eppure già tanto vigorose:
“E me lo dici soltanto ora?”
“Non… non ci fu il tempo…” fece confuso da quella reazione e sentendosi
in colpa per un egoismo genuino più che premeditato avvertì il bisogno di
aggiungere dell’altro “lui… lui mi abbracciò anche prima di andare a
combattere…”.
Ed allora Bulma pianse amaramente, mai così piccola e sciocca si era
sentita innanzi a suo figlio, mai così traboccante d’amore era stato il suo
cuore.
* * *
Vegeta non amava le vie di mezzo e così il luogo in cui decise di
sostare fu una landa di un unico colore, quello della terra sterile e riarsa,
senza ombra né vegetazione fin dove poteva spaziare la vista.
Non c’erano uccelli, né gorgoglio d’acqua, né chiome ondeggianti
d’alberi, solo il sibilo del vento a sfiorargli l’udito ed era questo che era
venuto ad ascoltare, niente altro, come un cultore
esigente seleziona i suoi dischi; se avesse potuto avrebbe ordinato alla natura
di far tacere anche quell’elemento ed allora quel posto sarebbe stato
silenzioso e vuoto come lo spazio da cui era venuto.
Il tramonto allungava il profilo del dirupo su cui si era seduto, se ne
stette lì per un pezzo imprecisato di tempo, non si smosse neanche quando il
rumore di un jet interruppe l’atmosfera immota di quel luogo e gli atterrò alle
spalle.
Decisamente però non se lo aspettava e per questo almeno il sopracciglio ebbe una
contrazione di sorpresa.
Quando Bulma riuscì ad
inerpicarsi fino a dove si trovava lui, aveva il fiato corto ed il sudore che
le appiccicava la maglietta a causa del caldo e dello sforzo.
Si mantenne le ginocchia e continuò a
respirare trafelata:
“Possibile che tu… non sappia scegliere… posti migliori?” si strofinò
la fronte con un braccio.
“E chi ti dice che proprio qui avrei messo
tende? Come hai fatto a trovarmi?” era certo che su
quel jet si fosse portata dietro anche Trunks come
guida ed invece era da sola.
La scienziata trovò la forza di sfoggiare uno dei suoi sorrisi più
immodesti:
“Se almeno ti degnassi di voltarti lo scopriresti”.
Il saiyan vide allora che aveva all’occhio un
rivelatore d’auree dal vetro color verde.
Era appartenuto a Radish, Bulma
ne aveva già fatto uso all’epoca del primo arrivo dei saiyan
sulla Terra, esploso al conteggio delle potenti energie di Goku e di Vegeta, lo
aveva riparato e conservato in un cassetto del suo laboratorio come un prezioso
cimelio.
“Ho sempre pensato che potesse rivelarsi utile” strizzò un occhio
d’intesa e ripose l’aggeggio nella borsetta.
Vegeta l’osservò e si accorse che non era più
la stessa donna di qualche ora prima, non fissava con orrore l’emblema
cesellato sulla sua fronte, piuttosto lo guardava diritto negli occhi con
un’emozione tale che egli si sentì quasi in imbarazzo per non conoscerne la
ragione.
“Faresti meglio a conservarlo come si deve, perché se l’uso che ne fai
è quello di cercami ogni volta che mi allontano da
casa, lo distruggerò con le mie stesse mani”
“Sei mesi mi sembrano un po’ esagerati…” .
Vegeta la squadrò un’altra volta ancora, ed
ancora una volta scorse nei suoi occhi quell’inspiegabile trepidazione, quel
sorriso appena accennato sulle labbra di chi ha scoperto qualcosa e preferisce
continuare a fingere di non saperlo, il petto che si sollevava per
un’accelerazione non più determinata dallo sforzo fisico:
“Certo che hai una bella faccia tosta ad
essere venuta fin qui”
“Non puoi neanche immaginare quanta ne abbia in questo momento” si
gettò contro il suo petto, annusò l’odore del suo collo, si inebriò
del suo calore, del piacere di ritornare a stringerlo, della soddisfazione di
poter dare sfogo a quel meraviglioso scompiglio che le parole di Trunks le avevano generato dentro, malgrado lui persistesse
a non alzare un dito.
Vegeta non riuscì a capacitarsi di cosa le fosse preso, cosa avesse
determinato un tale cambiamento di posizione, ma si lasciò baciare mentre ella mormorò tra un bacio ed un altro, senza respiro, che le
dispiaceva, che aveva sbagliato, che era stata una sciocca, che lo amava per
quello che era, non importava quale fosse il suo aspetto.
Strofinò il volto rigato dalle lacrime contro quello
ispido di lui, salì disperatamente con la bocca ed impresse le labbra contro il
sigillo maledetto.
Si staccò lentamente e quando tornò a guardarlo per perdersi ancora nei
suoi occhi, restò stravolta:
“Il segno…” indicò la sua fronte “non c’è più…”.
A livello fisico Vegeta non sentì alcun cambiamento, a parte un lieve cedimento
nella tensione muscolare, per questo dovette sfregare proprio quel punto per
dare riscontro alle parole della donna.
“Come è possibile?” si illuminò il volto di Bulma mentre si faceva strada nella sua mente un pensiero dal
risvolto prodigioso.
Vegeta la smontò con una risata improvvisa ed
infame:
“Non penserai che sia stato per merito tuo? Il tuo mondo non è quello
delle fiabe ed io non sono il principe che torna ad
essere tale grazie ad un bacio”.
Bulma balbettò confusa
che il marchio si era dissolto proprio dopo quel contatto:
“Non arrovellare il cervello a trovare una spiegazione” le disse il saiyan molto seriamente “può essere stato l’effetto ritardato
dell’acqua miracolosa…” non era escluso che la sua tempra orgogliosa fosse in
grado di opporsi, nel bene o nel male, a qualsiasi pressione esterna.
“ Forse l’aria di questo posto…” il silenzio aiuta a trovare
concentrazione e a smaltire gli eccessi.
“Babidi che è stato sprofondato in un girone
ancora più basso dell’inferno…” re Yammer talvolta aveva
difficoltà a gestire certi personaggi un po’ ribelli.
“La vicinanza qualche ora fa di Majinbu…” perché
due segni uguali si respingono.
“Uno scherzo del destino…” quando non si trovano risposte migliori la soluzione è quella di ricorrere ad un concetto astratto,
così comodo e fallace da riuscire a quietare anche gli interrogativi più ossessionanti.
“Non stava scritto da nessuna parte che sarebbe durato fino alla mia
morte, è scomparso spontaneamente così come è venuto,
non c’è da aggiungere altro”
“Pensa pure quello che vuoi” esclamò Bulma elettrizzata, troppo romantica e sognatrice per
ragionare sempre in termini di scienza “quello che conta alla fine è altro…”
stava per ritornare a baciarlo, ma il saiyan la
respinse spostando lievemente il capo all’indietro.
“Non è il caso che tu lo faccia ancora…” aveva abbozzato un
incomprensibile ghigno da canaglia tutto ad un tratto.
Bulma lo fissò senza
capire, soprattutto non riusciva a comprendere per quale ragione lui avesse
preso a guardarle la bocca con un certo disturbo:
“Non ti è mai comparsa una cosa simile…” accennò senza osare toccarla.
Fu lei ad estrarre di fretta dalla borsetta
uno specchietto per appurare meglio con i propri occhi:
“Ah, è soltanto l’herpes!” spiegò rassicurata.
“Bene” soggiunse lui col massimo della soddisfazione “non ti azzardare
ad avvicinarti fino a quando quel coso non sarà scomparso”.
Bulma divenne livida:
“Prima ci siamo baciati e non mi pare che tu non abbia gradito…”
ridusse gli occhi a due fessure.
“Non me ne ero accorto, ma ora che l’ho visto
preferisco che tu non lo faccia per i prossimi giorni perchè mi fa senso. Sei fuori fase, passi
pure sul sudore, ma ancora devo capire come tu faccia
ad avere i capelli appiccicati di marmellata…” le diede le spalle e si avviò a
scendere.
“Guarda che l’herpes mi è uscito a causa dello stress di questi giorni,
tutto per colpa tua, e poi non è già più contagioso!” gli corse dietro “quanto
alla marmellata mi basta una doccia per tornare splendente come prima! Mi hai
sentito?! Guarda che sto parlando
con te…!”.
FINE
Grazie in
primis a chi è arrivato a leggere fino a questo punto e non ha lasciato perdere a metà del racconto: anche questo è già un
risultato!
Da tanto
non postavo una nuova storia, è stato un vero piacere tornare a ripropormi e spero sia stato una gradita sorpresa per voi
ritrovarmi.
Un
ringraziamento in particolare a chi mi ha scritto privatamente in questo
periodo chiedendo mie notizie: è anche grazie alla
stima da loro dimostrata che questa storia, da diversi mesi abbandonata in
cantiere, ha trovato alla fine una realizzazione.