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Autore: NonSoCheNickMettere2    09/09/2013    0 recensioni
What if? ambientato 20 anni dopo ROTS. Cresciuto come Sith da suo padre, Luke è così sconvolto dal primo test della Morte Nera che decide di rubarne i piani e passarli all’Alleanza ribelle. Dark Luke, sequel de Il rapimento.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Bail Organa, Luke Skywalker, Palpatine/Darth Sidious, Principessa Leia Organa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'apprendista Sith'
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Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 6 ------------
 

Da un po’ di tempo, Luke sedeva pensieroso nella sua astronave, ancora immobile sulla superficie di Rhen Var: ora aveva un grosso problema. La Senatrice Organa e i suoi compagni erano riusciti a ingannare il sistema imperiale di investigazione per poterlo incontrare su quel pianeta. Perciò, al momento, suo padre stava aspettando una spia da interrogare. Il giovane Sith non poteva semplicemente tornare a casa a mani vuote, raccontando che la spia gli era sfuggita: sarebbe suonata come un’incompetenza troppo grossolana per passare impunita. D’altra parte, di sicuro, non poteva assolutamente spiegare a Vader che i ribelli avevano soltanto voluto parlare con lui.

Si strofinò gli occhi con la mano destra e poi la fece discendere a coprigli il viso, per fermarla infine sul mento. Parecchio contrariato, sospirò rabbiosamente e lanciò i guanti neri contro il pannello di controllo. Che i Jedi fossero tutti dannati, era veramente nei guai! Niente lo avrebbe salvato dalle botte che il Signore Oscuro gli avrebbe certamente rifilato.

Provò a calmarsi. Aveva bisogno di un’idea: se non c’era modo di sottrarsi completamente alla punizione, forse avrebbe potuto almeno alleggerire la mano di suo padre.

Stava aspettando una spia Bothan, giusto? E allora Luke gliela avrebbe data. Una spia Bothan che, sfortunatamente, non avrebbe più potuto dichiarare la propria innocenza. Vader non sarebbe stato troppo felice per il mancato interrogatorio, ma il fallimento del suo apprendista sarebbe stato meno grave.

Premette il pulsante che attivava lo schermo di navigazione sul pannello di controllo. Selezionò la mappa della Galassia e cercò Bothawui. Si trovava nella fascia centrale bassa, in mezzo tra il quadrante sinistro e quello destro. Considerando che al momento si trovava nel quadrante destro superiore, lo stesso di Coruscant, quella deviazione di percorso gli avrebbe preso un bel po’ di tempo, probabilmente una settimana, o giù di lì. Ma si sarebbe trattato di un inconveniente minore, perché non gli era stata assegnata alcuna scadenza e si trattava di un ritardo ancora accettabile.

Caricò il programma di calcolo per l’iperspazio e avviò la procedura per la nuova destinazione. Raccolse i suoi guanti e se li rimise. Si allacciò il casco e le cinture di sicurezza.

Decollò, pronto a dare conferma per il salto a velocità luce, non appena il computer avesse finito l’elaborazione dei dati.

Alcuni giorni dopo, Luke atterrò alla periferia di una delle città più piccole di Bothawui. Aveva scelto un penitenziario di secondaria importanza in una delle aree meno sviluppate del pianeta: così era più probabile che la sua breve incursione passasse inosservata. Non prevedeva alcun particolare problema: le leggi di Bothawui assicuravano processi giusti con procedure garantiste, ma erano dure, quasi crudeli, con chi era stato giudicato colpevole.

Quando finalmente i suoi piedi toccarono il suolo, non poté fare a meno di notare che il paesaggio era veramente bello: le basse costruzioni non coprivano la vista delle pianure verdi e delle montagne sullo sfondo, dove un sole giallo stava alzandosi. Fece un profondo respiro che riempì i suoi polmoni di atmosfera fresca, dopo giorni di aria riciclata nella nave. Il posto era proprio incantevole: non gli sarebbe dispiaciuto fermarvisi un po’ di tempo.

Che razza di Sith era!, si rimproverò da solo, scuotendo la testa. La sua mente non era mai attenta a ciò che stava facendo e da quando in qua si preoccupava di osservare paesaggi incantevoli? Riprese più velocemente la sua strada verso la prigione.

La costruzione era bassa e larga, scontatamente circondata da un muro alto, ricoperto di filo spinato. Ed era molto rovinata: la pittura vecchissima era per lo più scrostata e incredibilmente sporca, le crepe erano dappertutto.

All’unico ingresso, la guardia lo fermò. Anche se sapeva già come era fatto un Bothan, osservò con curiosità l’essere peloso e le sue lunghe orecchie: gli sembrava una capra con un corpo umano basso. Considerando come quegli occhi neri lo squadravano stupiti, avrebbe scommesso che la creatura stava pensando quanto strani fossero gli esseri umani.

Terminata la sua osservazione, la guardia si ricordò cosa in teoria stava lì a fare e, alzando il suo fucile, gli chiese: «Il vostro nome?»

Luke toccò la sua mente con la Forza e sorrise a quello che percepì. Era fortunato: sarebbe stato fin troppo facile. «Non hai bisogno di sapere il mio nome,» disse con un tono ipnotico.

«Non ho bisogno di sapere il vostro nome,» il Bothan fece eco.

«Portami dal direttore,» aggiunse il Sith, mantenendo il controllo della mente del suo interlocutore.

«Vi porto dal direttore.» La creatura si voltò, agitando una mano per far segno di seguirlo.

Passarono dall’ingresso e percorsero un breve corridoio fino a una porta. La guardia bussò.

«Avanti!» fu risposto dall’interno.

La guardia aprì la porta ed entrò alcuni passi. «Vi porto dal direttore,» ripeté ancora.

Il direttore lo fissò interrogativo e poi mosse il suo sguardo su Luke. Non era uno sciocco, reagì nel riconoscere l’abbigliamento tradizionale Sith e capì che cosa stava succedendo. Si alzò. «Grazie, Trey’lis. Potete tornare al vostro lavoro,» disse alla fine, senza spostare i suoi occhi stupiti dal temuto essere umano.

La guardia si inchinò leggermente e uscì.

Il giovane entrò, richiuse la porta dietro di sé e si presentò. «Sono Luke Skywalker, figlio di sua eccellenza Darth Vader e suo apprendista Sith.»

Il Bothan annuì in riconoscimento. Aveva paura, ma mantenne il sangue freddo. «È un onore ricevervi, mio signore,» rispose formalmente. Era evidentemente insicuro se dovesse inchinarsi, o stringergli la mano, o fare qualcos’altro.

Il giovane, per niente preoccupato dalle formalità, semplicemente si sedette in una delle sedie difronte la scrivania.

Il direttore tornò a sedersi di nuovo nella sua sedia. «Che cosa posso fare per voi, mio signore?» chiese.

«Voglio un condannato a morte,» rispose Luke senza preamboli.

Il Bothan lo fissò, non capendo. «Non abbiamo prigionieri politici qui, solo criminali comuni.»

«Non mi interessa quale sia il crimine,» il Sith spiegò. «Voglio solo prelevare qualcuno in attesa di esecuzione.»

Il direttore si schiarì la gola. «Mio signore, sarete d’accordo che sarebbe una grave interferenza nella nostra giurisdizione interna…»

«Ho bisogno di un Bothan,» infastidito, Luke lo interruppe seccamente. «Preferite che scelga un innocente?» minacciò.

«Capisco,» rispose il direttore. Sospirò e si infilò gli occhiali. Si girò verso un mobiletto e aprì uno dei cassetti.

Con sorpresa del giovane uomo, si trattava di un archivio cartaceo. Osservò affascinato il pezzo d’antiquariato: nelle prigioni imperiali era tutto computerizzato.

Il Bothan rovistò tra le cartelle, nell’evidente ricerca di qualcuno che potesse dare via senza rimpianti. Finalmente si voltò e gettò sulla scrivania uno spesso incartamento. Si risedette e lesse a voce alta il compendio: «Kai Saav’etu, trentaquattro anni, condannato a morte per l’omicidio di un bambino durante una rapina a mano armata. L’esecuzione è fissata per il prossimo mese.»

«Per me va bene,» confermò Luke. «Potete segnare oggi come data di esecuzione.»

Pieno di stupore, il direttore lo guardò dritto negli occhi.

Il Sith si chiese se tutti i Bothan fossero così lenti o questo qua fosse un caso speciale. «Muovetevi!» sollecitò.

L’alieno abbassò di nuovo lo sguardo sottomesso, prese una penna e scrisse in caratteri sconosciuti.

Soddisfatto, Luke diede un ultimo avvertimento. «Confido che dimenticherete del tutto il nostro incontro.»

«Naturalmente, mio signore,» il governatore rispose gravemente. Si alzò e rimise la cartella nel cassetto. «Se mi seguite, vi consegno il prigioniero,» indicò la porta.

Il Sith semplicemente annuì e lo seguì.

Il braccio della morte era persino più fatiscente del resto della prigione. Era incredibilmente sporco e la puzza fece storcere il naso a Luke. Si fermò all’ingresso e attese. Le celle dell’Executor non erano certo i posti più allegri della Galassia, ma l’ossessiva mania per l’ordine di suo padre si applicava persino alle stanze dei prigionieri, perciò esse avevano il grigio aspetto nuovo e lucente di tutto il resto dell’astronave.

Il direttore, accompagnato da una coppia di guardie, andò fino a metà corridoio e si fermò. La lunga chiave cigolò nella serratura arrugginita e la porta si aprì. I tre sparirono dalla vista del Sith, entrando nella cella. Un parlottìo in una lingua diversa dallo standard provenne dall’interno: toni riconoscibili di ordini secchi e di aperta sfida. Poi riemersero, scortando un altro Bothan con le mani ammanettate dietro alla schiena e i piedi legati da una catena, abbastanza lunga da farlo camminare, ma troppo corta per permettergli di correre. Il gruppo formato da quei quattro era veramente strano dal punto di vista di un essere umano: erano bassi come bambini di dieci anni e sarebbe stato difficile distinguere una creatura dall’altra, non fosse stato per la diversa fattura dei loro abiti.

Il detenuto fu scortato davanti a Luke, che annuì in approvazione.

«Desiderate che gli aggiungiamo altre restrizioni, mio signore?» chiese il direttore collaborativo.

«Non è necessario,» rispose il Sith. «Non vivrà abbastanza a lungo per provare a fuggire.»

Gli occhi del prigioniero si spalancarono. «La mia esecuzione è fissata per il prossimo mese! » rimostrò.

Disgustato, Luke lo spinse verso l’uscita. «Taci e cammina, feccia!» gli ordinò. «Non lo rimpiangerai: ti darò una morte molto più rapida e meno dolorosa di quella che la tua stessa gente riserva alla spazzatura come te.»

E sapeva bene quello che diceva.

Alcuni giorni dopo, il cadavere del Bothan giaceva sul pavimento di uno dei più importanti palazzi di Imperial City, tra i piedi di Vader e di Luke, che incombevano su di lui, uno di fronte l’altro.

Il Sith più maturo girò il corpo morto con uno dei suoi stivali, per ispezionare la ferita fatale. L’essere era stato penetrato da metà schiena al petto. Non era uscito sangue: un’inconfondibile cauterizzazione provocata da una spada laser. Evidentemente irritato, chiese infine: «Come posso interrogarlo?»

Suo figlio tenne la testa bassa, rivolto al fallimento che giaceva ai suoi piedi. «Stava scappando, avrebbe potuto avvisare i suoi compagni. Non ho avuto altra scelta.»

La maschera nera fissò i lineamenti del giovane. «Capisco,» sottolineò con un tono che lasciava intendere chiaramente il contrario.

«A ogni modo, non penso che avesse alcuna informazione importante,» azzardò Luke per alleggerire la sua situazione. Era vero. Beh, non totalmente vero, ma sicuramente vero. Si aggrappò con tenacia alla parte sincera della sua affermazione, in modo che la sua onestà potesse splendere nella Forza.

Suo padre si portò le mani dietro la schiena, con una che teneva l’altra, e si allontanò di qualche metro, voltandosi. «Perché?»

Il Sith più giovane alzò lo sguardo verso l’elmetto. «L’ho percepito.» Anche quello era innegabilmente vero.

Vader si girò per incontrare con il suo sguardo gli occhi azzurri. «Dubito fortemente che l’Alleanza usi qualcuno debole di mente come spia,» affermò.

Luke doveva ammettere che suo padre aveva un punto a suo favore. «Questo Bothan lo era,» insistette, concentrando la sua memoria sulla facilità con cui aveva letto la sua mente, nei pochi momenti in cui lo aveva lasciato vivo.

L’oscura presenza di suo padre investì interrogativamente i suoi sensi: stava venendo indagato, la sua affidabilità giudicata. Non poteva opporsi senza conseguenze a quell’inquisizione. Abbassò lo sguardo in disagio, dimenticando la provenienza del cadavere e pensando alla verità nelle sue parole: non aveva pronunciato neanche una bugia!

Lo scrutinio richiese parecchi secondi, scanditi solo dal rumore del respiratore artificiale. Alla fine, Vader raggiunse le sue conclusioni e ruppe il silenzio soffocante. «Perciò probabilmente era solo una pista falsa.» Era di sicuro irritato, ma non veramente arrabbiato.

Il giovane osò gettare un’occhiata verso le lenti nere, anche se era ben consapevole di cosa lo aspettasse ora.

«Però ti era stato ordinato di consegnare un prigioniero vivo.» Il tono era severo, mentre un dito era puntato verso di lui.

Luke annuì rassegnato al suo destino.

Percepì alle sue spalle un armadietto della stanza sollevarsi dalla sua posizione e volare verso di lui. Avrebbe potuto provare a intercettarlo con la Forza e fermare la sua traiettoria. Ma non era una sessione d’addestramento: qualsiasi resistenza avrebbe solo portato a conseguenze peggiori. Con più sottomissione avesse accettato la lezione che stava per ricevere, prima sarebbe finita. Si preparò all’impatto.

L’armadietto lo colpì violentemente sul lato destro della schiena, deviando e spingendolo. Represse stoicamente un lamento e si sforzò di mantenere l’equilibrio. La parte contusa pulsava, ma si concentrò di nuovo nella Forza per verificare dove fosse l’oggetto. Percepì che aveva già invertito il suo movimento; la sua traiettoria era più veloce e diretta nuovamente contro la sua schiena, ora verso il lato sinistro. Chiuse gli occhi per cercare nuove forze. Questa volta fu colpito più in basso, l’area di impatto arrivava fino alla coscia, mentre l’angolo superiore dell’oggetto strappò la sua tunica e gli aprì una ferita sanguinante sulla spalla. Singhiozzò, ma si riprese immediatamente sentendo l’armadietto ancora pericolosamente vicino. Istintivamente piegò il collo, abbassando la testa, e alzò il braccio destro per proteggere la parte più vitale. Il terzo colpo gli provocò la compressione dell’arto.

Poi tutto finì. L’armadietto tornò al suo posto.

Luke raddrizzò la sua postura e aprì gli occhi.

L’impassibile maschera nera lo stava osservando con freddezza. «Ricordatelo per le prossime volte,» lo mise in guardia.

Avrebbe voluto scappare, gettarglisi contro, sputargli addosso, chiedergli il perché, piangere. «Lo farò,» rispose.

«Bene,» disse suo padre, ignorando i sentimenti contrastanti del figlio, che sicuramente poteva percepire nella Forza. «Sbarazzati di questa roba,» ordinò, accennando con la testa al cadavere, «poi, sei libero.»

«Sì, mio signore,» Luke lo salutò con un inchino rispettoso. Poi si inginocchiò per afferrare una delle caviglie del Bothan e uscì dalla stanza, trascinandoselo dietro.

Non si preoccupò dello stupore dei soldati che incontrava nei corridoi, mentre camminava tirando il suo inusuale pacco. Alla prima apertura dello schiacciatore dei rifiuti che incrociò, ci gettò dentro la creatura morta e si diresse verso le sue stanze.

Ora lo stress del debriefing stava scemando. Rifletté che, tutto sommato, era andato piuttosto bene, nonostante il dolore pulsante della sua schiena. Il castigo non era stato severo, solo un avvertimento che doveva eseguire in pieno gli ordini. Di sicuro suo padre non aveva sospettato l’incontro con i ribelli e si era persino persuaso che non c’era niente di interessante nel Bothan.

Rientrò nel suo appartamento. Udì Asha in camera che cantava un motivo a lui sconosciuto. Lei entrò nel soggiorno e lo vide. Si fermò di cantare per dargli il benvenuto con un sorriso: «Salve. Sei finalmente a casa.» Gli si avvicinò, ma la sua attenzione venne catturata dallo strappo sulla tunica e dal sottostante taglio. «Sei stato ferito in missione,» osservò.

«Non esattamente.»

Lei lo squadrò con aria interrogativa, ma non lo pressò e si recò difronte alla credenza. «Se ti sdrai sul divano, ti medico subito.»

«Non è necessario: è solo superficiale. Posso gestirla,» rispose lui con baldanza.

La donna rovistò in un cassetto, senza guardarlo. «Sono sicura che puoi fare qualche magia Sith…»

Luke si mise quasi a ridere: non aveva mai sentito nessuno, prima d’allora, parlare con tanta noncuranza dei poteri che dava la Forza.

«…Ma lascia che me ne occupi io, per questa volta,» inconsapevole del divertimento di lui, lei proseguì con un tono imperioso. Rivolta a un Sith.

Il marito scosse la testa alla sua involontaria avventatezza, anche un po’ stupito che qualcuno si preoccupasse di una sua ferita leggera. «Agli ordini! » scherzò e si tolse la tunica, gettandola sul pavimento. Si sdraiò sul divano a pancia in giù, con gli avambracci incrociati sotto la fronte. Lasciando esposta libera all’aria fresca la parte dolorante, la posizione era piacevole. Chiuse gli occhi e si rilassò. Sentì i passi di lei provenire dalla credenza fino al divano e il suo improvviso sospiro.

Girò la testa per capirne la causa: gli stava osservando la schiena. Allungò il collo per gettarvi anche lui uno sguardo, per quello che poteva: due ampi lividi si stavano inscurendo, coprendo la maggior parte del suo dorso e un terzo tinteggiava la sua pelle dalla spalla destra fino al gomito. Non era nulla a cui non fosse abituato. Scrollò le spalle e riappoggiò di nuovo la testa sugli avambracci.

Asha gli si avvicinò e si inginocchiò di fianco al divano. Accarezzò dolcemente i suoi capelli. «Pensavo che avessi solo un taglio,» il suo tono era pieno di compassione. «Non avevo capito che i ribelli ti avessero fatto questo.»

Luke non sapeva come reagire alle sue improvvise attenzioni. La pietà e la cura erano state strappate via dalla sua vita diciassette anni prima, quando una lama rossa aveva assassinato i suoi genitori adottivi, che segretamente rimpiangeva. «È stato Vader,» affermò gravemente.

«Tuo padre?» chiese lei confusa.

Sospirò: come spiegarle? «Mi aveva ordinato di consegnargli una spia viva, ma l’ho uccisa.»

«Non capisco,» ammise lei.

«Non tollera il minimo errore.» Alzò lo sguardo di lato per incontrare quello di lei. «Senti, non è così grave come sembra.» Non aveva voglia di parlare di suo padre.

Lei annuì, anche se non era molto convinta, e lui riappoggiò confortevolmente la sua testa.

Luke sentì un fluido fresco scivolargli sulla schiena e le dita di lei spalmarlo con delicatezza. Il dolore si alleviò significativamente: era come stare in paradiso!

«È fantastico,» notò. «Che cos’è? Un tipo di bacta?»

«Olio alimentare,» rispose Asha divertita.

«Olio?» fece eco lui.

«È uno dei migliori prodotti agricoli di Ujjain,» gli spiegò. «Lo usiamo per cucinare, come fluido per la pelle, come olio per i mobili, come combustibile per le lampade tradizionali, come balsamo per le ferite… Possiamo fare di tutto con questo olio.» Fece una pausa. «Sei mai stato ad Ujjain?»

«No,» ammise il giovane Sith.

«Le sue colline sono coperte di ulivi,» la voce di lei era distante. «I loro tronchi corti e pallidi crescono rugosi e attorcigliati. In primavera, i loro rami ondeggiano al vento e poi, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, si raccolgono le olive tonde e verdi per spremervi l’olio.» Il suo tono si fece malinconico. «Mi piacerebbe mostrarti il mio pianeta.»

Luke la capì e avrebbe desiderato poter soddisfare il suo bisogno, ma la realtà non lo permetteva. «Lo sai che non posso. Devo rimanere sempre a disposizione per le necessità militari.»

«Allora prenditi una licenza!» gli rispose ridendo, perché sapeva di dire qualcosa di impensabile.

La medicazione era finita e il giovane Sith si sentiva già meglio. Si sedette, girandosi verso di lei.

«Mmh,…» lui fece finta di meditarci su. «Sai? Hai ragione, scherzò. «Anzi, la prossima volta che Vader non sarà soddisfatto del mio lavoro, mi licenzierò.»

Scoppiarono a ridere al pensiero irrispettoso.

Poi le accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano e improvvisamente tonò serio. «Grazie.»

«Prego,» gli sorrise lei.

  
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