Beta: Naky94
Fandom: star trek (2009)
Pairing: Kirk/Spock; Spock/Uhura
Personaggi: James T. Kirk, Spock, Leonard McCoy, Nyota Uhura, Montgomery Scott, un po' tutti
Rating: pg-13
Genere: avventura, sentimentale, fantascientifico
Avvertimenti: OOC (palese, chiaro e conciso. Se voi non ce lo vedete, siete ciechi); slash
Trama: "Se proprio dobbiamo dare vita al più vecchio di tutti i cliché, quantomeno mi chiami per nome."
Note: avrei dovuto pubblicare questa storia almeno una settimana fa. Diciamo che non mi convinceva e a dirla tutta continua a non convincermi. Hey! Mi sono contenuta e non vi propongo uno strazio di 52 pagine (sono solo 34, poco rispetto alla precedente LOL). Anyway, quando ho cominciato a scrivere questa storia una mia amica mi disse che sarebbe stato bello scrivere una storia inserendoci il cliché più vecchio del mondo, trito e ritrito, presente in TUTTE le storie. E io mi sono detta: mah, why not? E quindi mi sono ritrovata a scrivere questa... cosa. Davvero, non so se mi sono drogata oppure ho bevuto durante tutta la stesura. Come sempre queste note hanno davvero senso, mio Dio. Delucidazioni, come sempre, alla fine.
Se i personaggi vi sembreranno troppo OOC, come li vedo io, perdonatemi, credo di essermi allontanata proprio tanto dalla mia visione standard della serie e del film. Per una volta ho voluto giocare un po' di più con l'idea che mi era balzata in testa.
So che Spock non è come quello che conosciamo, ma mi sto allontanando molto da quello della serie originale. Un po' perché ho una mia idea in testa che vorrei sviluppare, un po' perché nel reboot lo vedo più "umano". Abrams ha voluto mostrare più la sua metà umana che si lascia andare ai sentimenti. Io mi sto basando su questo, quindi non gridate allo scandalo, per favore.
Mi levo dalle scatole. Come sempre vi ringrazio per il vostro tempo.
Buona lettura!
Piccolo P.S. volevo pubblicamente ringraziare la mia splendida Beta (sì, l'ho trovata!) Naomi, che sopporta i miei scleri e le scemenze che scrivo. Grazie mille, santa donna ♥
Disclaimer: Kirk, Spock e compagnia cantando non mi appartengono, sono del santissimo e lodatissimo Gene Roddenberry e un po' (ma una briciolina) di Abrams e dei suoi reboot. Io? Io non ci guadagno niente, scrivo per soddisfare le mie malate fantasie. That's all, folks!
Scritta per la community dieci&lode sul set #10 Futuristico e sul prompt 06. Viaggio nello spazio.
Volete davvero comprendere questa storia? Vi consiglio di tornare indietro e leggervi tutte le storie della serie 'A friendship that will define you both', se non l'avete già fatto.
Scotty
notò a malapena l'entrata del
capitano, i suoi occhi erano puntati sulla camera del reattore. Perso
nei suoi pensieri, quasi non si accorse della mano che veniva
poggiata sulla sua spalla, quando ne ebbe coscienza si voltò
ad
incontrare due occhi d'oceano.
Sospirò e ritornò a fissare la
camera -Mi dispiace, c'è poco da fare.-
Jim sollevò la mano
dalla spalla dell'ingegnere, portandosela tra i capelli -Non possiamo
caricarli in qualche modo?-
L'altro rise -E come? Ci vorrebbe un
mago per caricare questi gioielli.- indicò i serbatoi
criogenici
poco lontani -Erano quasi del tutto scarichi dopo che abbiamo
attraversato il confine ed ora sono belli che andati.-
Il
capitano spostò il peso da un piede all'altro, impaziente
-Quindi
stiamo vagando in uno spazio sconosciuto con energia limitata e
curvatura zero?-
-Senza il dilitio? La curvatura è un ricordo
lontano.- rispose l'ingegnere.
Il silenzio calò tra loro,
pesante tanto quanto l'atmosfera che da giorni serpeggiava sulla
nave.
Dopo aver distrutto il pianeta invaso dai Ma'Toi avevano
fatto rotta verso la loro galassia, ma era stato inutile quando i
cristalli di dilitio si erano quasi del tutto scaricati e l'energia
della nave era stata compromessa.
-Ma in questo momento la
curvatura è quello che mi preoccupa di meno.-
avanzò Scotty, mentre
Keenser arrivava con un padd tra le mani.
Si girarono a guardare
l'alieno che tese il padd a Jim, questi gli sorrise di rimando e
gettò un'occhiata agli ultimi rapporti.
-Questo è il rapporto
che mi ha inviato prima che scendessi, giusto?- domando Kirk.
Scott
annuì -Senza la curvatura non possiamo pensare di uscire da
questa
galassia, il confine distruggerebbe l'intera nave. E soprattutto a
questa velocità dureremo per altri... - l'uomo si
fermò, scrollando
le spalle -... undici, dodici giorni al massimo.-
Jim controllò
le altre informazioni -I supporti vitali quanto reggeranno?-
Keenser
si girò verso il capo ingegnere, questi lo guardò
sconfortato
-Cominceremo ad avere problemi con gli impianti di condizionamento, i
replicatori, persino l'illuminazione. Molti dei supporti ci
abbandoneranno nei prossimi due o tre giorni.- spiegò,
mentre i suoi
occhi scuri lasciavano intravedere tutta la preoccupazione viva in
lui.
-Lo spazio è freddo, capitano.-
Per un breve istante a
Jim venne in mente la pelle di Spock, calda come il fuoco
-Congeleremo e moriremo prima di accorgercene.- terminò,
intuendo
quello che l'amico stava per dire.
. . .
Spock
lasciò la plancia
entrando nel turboascensore, il suo turno era appena terminato e
voleva passare da Uhura prima di ritirarsi nel suo alloggio.
Improvvisamente l'avanzata del turboascensore venne frenata da un
fulmineo e vertiginoso calo di corrente, la capsula sobbalzò
e il
vulcaniano poggiò una mano alla parete per mantenersi in
equilibrio,
le luci tremarono e si spensero. L'inconveniente energetico
durò per
un totale di 5.4 secondi, poi tutto ritornò ai valori
standard, fino
a che le porte della capsula si aprirono.
Spock s'incamminò
verso l'infermeria, conscio del fatto che ben presto molti degli
strumenti della nave avrebbero smesso di funzionare e la situazione
sarebbe andata peggiorando.
Il morale dell'intero equipaggio era
pericolosamente basso, persino lui se n'era accorto; gli ultimi
avvenimenti avevano avuto un impatto negativo su tutti loro.
Facendo
il suo ingresso nell'infermeria e, in particolare, nella camera a
parte dove il dottor McCoy aveva deciso di ricoverare Uhura,
notò
che sia il dottore che un'infermiera erano vicini alla sua compagna e
che questa si era finalmente svegliata.
Si avvicinò a loro,
silenziosamente, e nel momento in cui riuscì a vedere la
ragazza
oltre la spalla del dottore, lei si volse a guardarlo.
-Spock...
- sussurrò, con la voce stanca e roca.
McCoy si girò e Spock
annuì in segno di saluto, ma l'altro non
ricambiò. Era dal momento
in cui aveva preso la decisione di distruggere il pianeta che l'altro
non riusciva a sostenere il suo sguardo.
-Tenente.- la salutò
lui, avvicinandosi al letto.
Il dottore si schiarì la voce, poi
si rivolse nuovamente alla ragazza -Non possiamo prevedere se ci
saranno effetti a sorpresa, nell'immediato futuro. Il suo fisico ha
subito un forte stress, dobbiamo tenerla sott'osservazione ancora per
qualche giorno.-
Lei abbassò il capo, poi sospirò frustrata
-Non che faccia i salti di gioia, ma va bene.-
McCoy grugnì,
fintamente scocciato -Ma c'è qualcuno che abbia piacere di
vedere la
mia faccia, di tanto in tanto?-
L'infermiera e Nyota risero -Non
credo. A nessuno fa piacere andare dal dottore.-
Spock fece
scorrere lo sguardo sui presenti, poi si rivolse al medico -Posso
chiederle se il Ma'Toi è stato distrutto?-
Leonard faticò a
rispondere, Uhura li fissò con un'espressione curiosa e allo
stesso
tempo confusa -Mi segua, Spock.-
I due si allontanarono dalla
sala, percorsero l'infermeria fino ad arrivare allo studio di McCoy
nella parte interna di tutta la zona.
-Vuole sedersi?- chiese il
medico, facendo un mezzo giro intorno alla scrivania per poi
accasciarsi stancamente sulla sedia.
-No.- rispose Spock -Devo
ripeterle la mia precedente domanda?-
L'altro gli lanciò uno
sguardo seccato -L'ho capita benissimo, grazie.
Il Ma'Toi non è stato distrutto, no. Jim ha dato ordine che
venisse
rinchiuso.
E' in una
prigione di
silicone.-
Spock inarcò
un sopracciglio, se
fosse
confuso o sorpreso, non avrebbe saputo dirlo
-Le chiedo scusa, ma... questo
ordine non era registrato in nessuno degli ultimi rapporti che ho
controllato.-
McCoy
si passò una mano sul volto, sbuffando innervosito -Lo sa i
primi
aggeggi che hanno dato forfait
quali sono stati?-
Il
primo ufficiale non rispose, limitandosi ad aspettare una spiegazione
che non tardò ad arrivare -I registratori, i padd, il mio
computer.
Andati. Me lo spiega come avrei potuto mettere agli atti gli ordini
del capitano se ho a malapena l'energia per i
bio-letti?-
-Non ne ero
a
conoscenza. Inoltrerò
il suo problema all'ingegnere Scott. Gli strumenti medici, il timone
e i sensori hanno la priorità.-
Il dottore lo guardò
stralunato, una nota d'imbarazzo a colorirgli il volto -Beh,
sì...
grazie, di nuovo.-
-Ma credo di non comprendere la scelta del capitano. Il Ma'Toi
doveva essere distrutto, così come tutti gli altri della sua
specie.
Era l'ordine diretto dell'ammiraglio.- avanzò il vulcaniano,
portandosi le braccia dietro la schiena. McCoy parve a disagio, si
mosse sulla sedia e poi spostò il capo di lato, allontanando
lo
sguardo dal suo.
-Non penso che la sua scelta di non rivelare gli
ordini del capitano sia dovuta solo alla mancanza di energia, non
è
forse così?-
Il dottore borbottò tra sé e sé -E'
così,
invece. Per
quale motivo avrei dovuto tenermi una cosa del genere?-
Spock
assottigliò le palpebre, un movimento millimetrico che
però non
passò inosservato -Molto probabilmente perché il
capitano non
voleva che si
sapesse.
Lui è a conoscenza del fatto che questa scelta andrebbe
contro gli
ordini che ci sono stati dati.-
McCoy
grugnì
il suo disappunto
-Ma a
lei non fa sorgere proprio nessun dubbio il fatto che Marcus ci abbia
mandati fin qui per distruggere quegli esseri, ben sapendo che non
eravamo pronti per un'operazione del genere? Insomma, Spock, Jim
sarà
anche un buon capitano ma è giovane, non credo che la flotta
assegnerebbe una missione del genere ad un ragazzo tanto giovane e
con poca esperienza sulle spalle.-
-Lei dubita del capitano?-
L'altro digrignò i denti e si alzò in piedi sbattendo
le mani sulla
scrivania. Si
piegò
in avanti e
mormorò
-Gli affiderei la mia vita, così come so che chiunque su
questa nave
farebbe lo stesso. E' giovane, testardo e impulsivo. Ma è l'essere
migliore di quest'
universo,
non esiterebbe a morire per proteggere la
nave e il suo equipaggio. E' astuto, intelligente e imprevedibile. E'
un buon capitano, ma non un militare. E' questo
che sto dicendo.-
Spock
rimuginò sulle parole dell'altro, l'immagine di uno
spavaldo
Jim Kirk durante il
test della Kobayashi Maru si formò nella sua mente.
Astuto,
intelligente e imprevedibile.
Era proprio come l'aveva sempre visto lui. Non negava quelle
qualità, ma allo stesso tempo non riusciva a spiegarsi il
perché
l'altro
continuasse a commettere errori tanto banali quanto nocivi sia per la
sua carriera che per l'intero equipaggio.
-Comunque sia, dottore, non vedo alcuna logica tra la
mancanza d'informazioni sulla missione che ci è stata data e
il
tenere in vita un nemico.-
McCoy fissò le mani poggiate alla
scrivania, cercò qualcosa da dire ma la verità
era che neppure lui
riusciva a comprendere il
modus
operandi di Jim.
-Avrà le sue buone ragioni. Portare
quell'essere agli scienziati, a Marcus, forse ci chiarirà un
quadro
che è stato scoperto solo per metà.- la sua voce
si era stranamente
addolcita, così come il suo sguardo -Non contesti tutte le
sue
decisioni. E' il suo primo ufficiale, non un avversario.-
-Non
ho mai contestato le decisioni del capitano, mi limito ad
illustrargli le alternative logiche e le possibili conseguenze delle
sue azioni..-
Il
dottore lo guardò come se volesse dirgli qualcosa, poi
scosse il
capo -Sarà meglio che vada da Uhura. Appena si è
svegliata ha
chiesto di lei. E' ancora molto debole ed è confusa, ma si
rimetterà
presto.-
Spock non si mosse -C'è possibilità che lei abbia
ricordi su
quanto le è
accaduto?-
McCoy sospirò,
incerto
-Non l'abbiamo
ancora sottoposta ai test psicologici.
Non
ce la sentiamo di turbare il suo stato fisico. E' molto debole, non
possiamo affaticarla.-
Il primo ufficiale annuì, poi ritornò
dalla sua compagna appena risvegliatasi.
. . .
-Sei
qui.- sorrise Nyota, mentre lui avanzava nella saletta e l'infermiera
usciva in silenzio.
Lui non rispose, limitandosi ad avvicinarsi
al letto
e a tenere le mani dietro la schiena.
-Spock cosa... cosa è
successo in questo tempo? I Ma'Toi sono stati annientati?-
Il
vulcaniano annuì debolmente -Sì, Nyota. La
minaccia Ma'Toi è stata
estirpata, ma non credo che sia salutare parlarne adesso. Sei ancora
molto debole.-
Lei allungò una mano verso la sua divisa, facendo
scorrere le dita sul tessuto blu della maglia -Sei stressato, te lo
leggo in faccia. Cosa succede?-
Il vulcaniano inarcò un
sopracciglio -Non sono stressato.- rispose flebilmente.
-Spock
c'è qualcosa che non va? Sei strano... -
-Sono lieto della buona
riuscita dell'operazione e che tu sia di nuovo cosciente. Credo,
però, che sia il momento di lasciarti riposare.-
Lei scosse il capo, strinse la presa sulla divisa e i suoi occhi
si fecero seri -No. Voglio sapere che cosa succede.-
Spock
rimase in silenzio, non abbassò lo sguardo ma mantenne il
contatto
visivo. Non sapeva come parlare alla sua compagna di quello che era
successo nella
precedente
settimana.
Forse doveva
semplicemente nascondere quello che lei non avrebbe voluto
sapere, ma questo non era nella sua natura.
Così
non si premurò di addolcire il suo tono, spiegarlo
in modo che lei potesse accusare il colpo senza che questo le venisse
sbattuto contro con una ferocia tale da spezzarle
il respiro.
Il suo tono rimase secco e distante, come se stesse parlando di una
scoperta scientifica, o elencando gli ultimi rapporti dei sensori;
come se quello non facesse assolutamente
parte della loro relazione.
-Io
e il capitano ci siamo baciati. Due volte.-
Il silenzio
calò tra
loro. Rimasero entrambi fermi con lo sguardo fisso l'uno in quello
dell'altro, come se Spock non avesse mai parlato o Nyota non avesse
sentito.
Per un attimo il vulcaniano pensò che la donna gli
avrebbe chiesto di ripetere.
Ma poi gli occhi di lei si fecero
opachi, scuri più della sua pelle di cioccolata o dei suoi
capelli
d'ebano. S'inondarono di lacrime che non caddero, e
lei si girò dall'altra parte per nascondersi.
Tossì
per schiarirsi la voce, o forse per liberare un groppo in gola che le
stava otturando persino il respiro.
-Lo sapevo... - disse,
infine. La sua voce era un sussurro appena udibile, e forse orecchio
umano non l'avrebbe captato. Ma Spock aveva una maledizione (che lui
nemmeno considerava tale) ed era il suo udito sensibile, capace di
captare anche
il più flebile
dei mormorii.
-Eri
convinta che tra me e il capitano ci fosse un interesse emozionale.-
Forse Spock doveva stare zitto, pensò Nyota, forse doveva
smetterla di parlare. Perché la sua voce la irritava; la
mancanza di
dispiacere per quello
che aveva fatto era quello che più faceva male e alimentava
la
rabbia nel suo cuore.
-Puoi biasimarmi? Siete
così vicini. Mio
Dio, così vicini... -
-Questo perché i nostri ruoli... -
Lei
si voltò e mostrò il volto rigato
dalle lacrime, gli occhi ridotti a due fessure che la facevano
sembrare la più spietata delle predatrici -Non ci provare,
Spock.
Non permetterti di prendermi in giro. Non c'entra niente con il
vostro ruolo di capitano e primo ufficiale. E neppure ve ne rendete
conto. Non so chi sia più patetico tra voi due.-
Il
vulcaniano non rispose. Non sapeva che cosa dire.
O forse
qualcosa da dire c'era... -Non era mia intenzione provocare dolore.-
-Ma l'hai fatto. Dannazione,
l'hai fatto.-
Il silenzio calò di nuovo tra loro, carico di una
tensione che non poteva essere scaricata in alcun modo. Nessuna
parola o gesto avrebbero potuto essere d'ausilio per la situazione in
cui si trovavano. -Lasciami sola. Per favore, vattene.-
pregò la
donna.
Spock annuì
brevemente e la guardò un'ultima volta. Poi si
voltò per uscire
dalla sala e dall'infermeria.
-La cosa peggiore sai qual è?-
concluse Nyota,
a bassa voce -Che io
ti amo
con tutta la mia essenza, e tu neppure te ne rendi conto.-
. . .
Jim
sedeva a
gambe incrociate
tenendo gli
occhi puntati
sulla parete in silicone. Dietro
il vetro schermato c'era il
nemico che lui aveva conosciuto
come Lena.
Era grato
del fatto
che la semplice sintetizzazione del silicone potesse trattenere
qualcosa di così potente come un Ma'Toi.
Il
nemico fatto di luce si mosse nella sua gabbia, prima di fermarsi e
sostare al centro della stanza.
Lui
abbassò le palpebre e portò una mano su queste,
massaggiandole
lentamente. Un principio d'emicrania avanzava nella sua
testa.
Da quando avevano
portato al termine la missione, la situazione era andata precipitando
in fretta,
come in una sorta
di effetto domino. Quella
reazione a catena avrebbe portato tutti loro incontro ad un orribile
epilogo.
Si
sentiva come mai prima d'allora. Durante i suoi giorni in Iowa non
aveva avuto il privilegio di essere il capitano di una nave spaziale,
i tempi erano stati terribili
ma non aveva mai permesso al mondo esterno di metterlo in
difficoltà.
Invece ora, tutto quello che gli
accadeva intorno aveva
ripercussioni dentro di sé.
Si
era fatto abbindolare dai sentimenti, dalle speranze... dal bagliore
di qualcosa che aveva sempre desiderato.
Essere il capitano di
una nave, però, comportava il dimenticare i suoi sentimenti
e
desideri. Doveva
agire nel modo migliore per il suo equipaggio e per portare a termine
le missioni. Era
suo dovere
scongiurare ogni pericolo rischiasse di abbattersi sulla sua
nave.
Invece in
quell'ultima settimana aveva dimenticato tutto quello che gli era
stato insegnato (che lo stesso Pike gli aveva detto prima di metterlo
sul ponte dell'ammiraglia e lasciarlo galoppare tra le stelle) e come
risultato finale c'era stata la distruzione di un pianeta e
l'imminente fine dell'Enterprise.
E
ora aveva questo nemico rinchiuso in una cella di silicone che, se
liberato, si sarebbe vendicato senz'
alcun
riguardo. Ma lui
continuava a tenerlo in vita.
Qualcuno
entrò nella stanza, sentì il fruscìo
della porta e passi tanto
leggeri da essere a malapena percepibili. E non aveva bisogno di
voltarsi, per sapere.
-Avrebbe dovuto mettermi
al corrente della sua
decisione, capitano.-
La voce di Spock era bassa, e per quanto
non avesse alcuna
particolare inflessione, Jim la trovò calda e rassicurante.
-Mi
avrebbe solo urlato contro quanto io sia un “ammasso
di
illogiche ossa umane”-
rispose
lui, continuando a contemplare
il Ma'Toi.
-Sopravvaluta
la mia tendenza ad alzare la voce.- Spock camminò fino a
posizionarsi al suo fianco, in piedi.
Jim alzò il capo e
incontrò gli occhi scuri del suo primo ufficiale.
-Vorrei
chiederle il perché della
sua decisione, chiaramente ha deciso di disobbedire agli ordini della
flotta.-
Calò il
silenzio, inframmezzato solo dal ronzio
delle luci all'interno della
sala.
-Lei ci ha
aiutati.- indicò
il Ma'Toi.
-Eppure è un nemico, pertanto va eliminato.-
Jim
sorrise tristemente -E' rinchiusa in questa cella, che male
può
fare?-
Spock inspirò profondamente -Se riuscisse
a liberarsi, non esiterebbe a perseguire una personale vendetta.-
Jim annuì, certo, lo
sapeva anche
lui.
Eppure non riusciva a dare ordine che quelle
cellule
venissero bruciate .
-Abbiamo distrutto un intero pianeta, Spock.- disse, invece.
Il
primo ufficiale rimase in silenzio.
-Tutta quella gente, come me,
come la maggior parte degli ufficiali di questa nave. Sono tutti
morti, bruciati dalle esplosioni e dalle radiazioni. Cancellati
dall'esistenza.-
Le mani del capitano si portarono sulle sue
ginocchia, le dita strinsero la divisa -Non avrei dovuto
permetterlo.-
Spock abbassò lo sguardo sui capelli biondi di
Jim, il colore reso più chiaro dalle luci candide
dell'intera stanza
-Sono stato io a dare l'ordine.-
Il
capo biondo si mosse in un senso di diniego, poi si piegò
verso il
basso -L'avrei fatto anch'io, perché quella era l'unica
soluzione logica.-
-Esatto.-
-E
allora perché, Spock? Perché sento... - Jim prese
un respiro
profondo, poi sbuffò seccato -... perché
è come se avessi
sbagliato tutto? Da quando ho preso il comando.-
Il primo
ufficiale avrebbe
voluto
dirgli che quei sentimenti erano qualcosa di illogico, un peso che
non avrebbe dovuto permettersi di portare dentro. Ma non lo fece,
perché Jim era umano, ed era l'umano che più di
tutti era legato ai
suoi sentimenti, alle emozioni che controllavano le sue azioni.
-Lei è un capitano, questo richiede decisioni che vanno
contro
la sua natura, seppure siano necessarie. Ha svolto il suo dovere
così
come le era stato richiesto di fare.- riuscì
a rispondere.
Jim si portò
una mano alle labbra, poi tirò su con il naso -Lo sa come
sono
entrato a far parte della flotta?-
-Non
ne sono a conoscenza.-
-Pike mi sfidò
a fare meglio di quanto avesse fatto mio padre. Mi
chiese
di diventare un eroe.-
-Infatti
sulla Terra lei è stato acclamato come eroe. Ha distrutto la
Narada.-
Jim alzò gli occhi d'oceano su di lui -Non l'ho
distrutta io. E' un'offesa a lei, Sulu, Chekov, Scotty... no, non
sono io l'eroe.-
Spock piegò leggermente il capo di lato -Tutti
noi siamo stati decorati in seguito alla sconfitta di Nero.
Ma lei ha insistito per fronteggiare il
nemico, ha
lottato per
impedirmi di commettere un errore.-
Jim
gemette e si girò verso la luce all'interno
della gabbia
-Ecco dove
sbagliano, tutti. Sbagliano nell'avere troppe aspettative, nel
credere nelle fantasie. L'eroe che ha sconfitto
la Narada.
Quello stesso eroe non ha potuto salvare l'intero equipaggio della
Spartacus, la base lunare e
quella su
Aldebaran. E il
pianeta Ka'yo. Quello stesso eroe ha lasciato che un intero pianeta
venisse bruciato dai siluri quantici. Ora cos'è rimasto, mh?
Macerie
fluttuanti nello spazio.-
Spock
aggrottò le sopracciglia -Mi sembra di percepire del
disprezzo,
nelle sue parole. Disprezzo verso se stesso?-
Jim non rispose a
quell'ultima domanda, non si mosse neppure, continuando a tenere
d'occhio la luce al di là del vetro.
-Non dovrebbe.- mormorò
Spock, la voce più bassa del solito.
Il capitano sbuffò una
falsa risata -Non dovrei? Ho incasinato tutto... -
-Incasinato?-
Jim si alzò in piedi, fronteggiandolo faccia a faccia
-Significa
che ho complicato tutto. Il morale dell'equipaggio è a
terra, la
nave sta per abbandonarci. Io ho tenuto in vita un pericolo per
l'intera galassia e... - si fermò. Avrebbe voluto ricordare
a Spock
quello che era accaduto solo pochi giorni prima, ma non lo fece. A
cosa sarebbe servito?
-L'unica
soluzione logica a questo incasinamento
sarebbe quella
di trovare un modo
per poter fare ritorno nella nostra galassia.-
Jim rise, e il suo
sorriso fece nascere qualcosa dentro lo stomaco di Spock, qualcosa
d'indefinito.
-Non esiste il termine 'incasinamento'.- lo informò
il capitano.
Spock
inarcò
un sopracciglio -Davvero?-
Si
guardarono per un po',
senza sapere cosa fare. Jim tentava di allontanare lo sguardo da quel
volto fiero e nobile, senza riuscirci. Spock nuotava in due mari
limpidi (non
c'era altro modo
per descrivere gli occhi del capitano)
come mai aveva fatto
nella sua esistenza.
-Nyota
si è svegliata?- fu Jim a
spezzare il silenzio. Non era ciò che avrebbe voluto
chiedergli, ma
era tutto quello con cui aveva potuto rimpiazzare la domanda
“-Perché non parliamo di
quando le nostre labbra erano
le une sulle altre?”
Vide
che l'altro s'irrigidiva prima
di annuire -Il
dottor McCoy
la terrà sotto osservazione per alcuni giorni,
così da poter
effettuare ulteriori test sul suo fisico.-
Il
capitano sorrise, lieto di sapere che la sua sottoposta e amica era
fuori pericolo.
-Andrò a farle visita... - disse, mettendo da
parte quella fastidiosa ed insignificante voce, nella sua mente, che
gli ripeteva “è fatta. Lei
è sveglia, lui non sarà mai
tuo.”
Spock impiegò
qualche istante prima di rispondere, poi disse -Sarebbe meglio se non
lo facesse.-
Jim lo guardò confuso -Perché?-
-Ho parlato a
Nyota di quello che è accaduto tra di noi,
durante la scorsa missione.-
Ci fu un
momento di
silenzio in cui la mente di Jim lavorò febbrilmente per
elaborare le
parole di Spock.
-Non le avrei mentito. Non è nella mia natura.-
spiegò il vice.
-Uh... cosa... cosa le ha detto, di preciso?-
Spock osservò attentamente gli occhi del capitano, azzurri e
confusi. Sorpresi e incerti.
-Che ci siamo baciati due volte. Lei
sospettava da tempo che ci fosse un coinvolgimento emotivo tra noi
due.-
-Coinvolgimen...
-
Jim non riuscì a parlare. Scosse il capo prima
di dargli
le spalle.
Le
luci nella stanza tremarono,
per un solo momento i due pensarono che si sarebbero spente.
-E
c'è? Un coinvolgimento emotivo tra noi?-
Il
capitano si
avvicinò al
vice, passo
dopo passo,
sempre più vicino. I loro volti ad una distanza
vergognosamente
minima.
-Sarebbe illogico negarlo. Se
fosse stato altrimenti non ci
saremmo avvicinati così tanto, su quel pianeta.-
Jim sentì il
cuore perdere un battito e il
respiro accelerare in maniera patetica. Lui stesso si sentiva
patetico.
-E
sapendo questo... che cosa intende fare?-
C'era
una luce
negli occhi del suo
capitano, un
senso di
speranza
che li illuminava e
li rendeva ancora più affascinanti. Ancora
più azzurri. Più...
Si
trovarono premuti fronte contro fronte. Spock percepì,
attraverso il
contatto, i
sentimenti
dell'altro:
paura, ansia, speranza.
-Ci sono delle ragioni per cui mi sono
legato al tenente Uhura. Non era nei miei piani quello di
intraprendere
una relazione con un essere umano, ma Nyota è riuscita a
farmi
cambiare idea.- spiegò lentamente, mentre un senso di
angoscia e una
punta d'irritazione s'irradiavano da Kirk.
-Per
metà sono umano, questo fa sì che sia
più difficile, per me,
schermare completamente la mia mente e purificarla dalle emozioni.
Sono cosciente di provare affetto, per la mia compagna.-
Jim abbassò le palpebre e Spock avrebbe voluto dirgli di non
farlo. Perché quegli occhi... quegli
occhi.
-La ama?- le mani del
capitano scivolarono
sui
fianchi di Spock, le
dita si
aggrapparono alla sua divisa.
-Non sono
in grado di
rispondere a questa domanda.-
Un
sospiro. Si avvicinarono ancora di più.
-Allora
non dovrebbe starci insieme. Perché se non risponde 'sì'
a quella domanda, senza esitazioni... allora lei
non è la donna giusta.-
-Come
può dirlo? Lei ama tutte le donne con cui passa le sue
notti? Tutte
quelle che guarda e che desidera?- chiese l'ufficiale.
Ma nella
sua voce non c'era
accusa, solo curiosità. Lui non conosceva l'amore, come
poteva
essere certo di provare una tale emozione?
L'unico
amore conosciuto
era stato
quello di
sua madre. Ma
gli era stato
detto che l'amore di una madre e quello di un amante, erano emozioni
completamente diverse.
-Geloso?-
scherzò Kirk.
-La gelosia mi è sconosciuta.-
Jim annuì,
poi circondò
con le braccia
il busto
dell'altro e lo
strinse a sé -Quindi glielo chiedo di nuovo: cosa intende
fare?-
Il
vulcaniano non rispose subito, non aveva una risposta logica e
razionale da esporre al momento.
-Devo stabilizzare
la mia
relazione sentimentale
con il tenente Uhura.-
Rimasero
abbracciati, in silenzio. Il capitano poggiò la fronte
contro la
spalla del vice, premendosi contro di lui.
Era di nuovo come se
entrambi stessero cadendo e si aggrappassero l'uno all'altro per
restare in piedi.
-Quindi
farà come se niente fosse mai accaduto, non è
così? Perché
noi non siamo come le nostre controparti. Non siamo nell'universo da
cui arriva l'ambasciatore.-
-Esatto, capitano.- disse
il vice, ma faticò a rispondere.
-Perché
in fondo lei è il mio primo ufficiale... e quello che
è accaduto
tra noi potrebbe complicare il nostro rapporto lavorativo.-
-Il
regolamento vieta di intrattenere... -
Jim lo interruppe -Sa
quanto me ne frega del regolamento?-
Spock riuscì a percepire
tanta tristezza provenire dall'altro, un vago senso di delusione e
solitudine. Di nuovo tanta,
tanta solitudine.
Jim
si scostò da lui, si tirò indietro e gli sorrise
dolcemente, ma
entrambi sapevano quanto forzato fosse quel sorriso -Non è
accaduto
niente su quel pianeta, Spock. Cerchi di recuperare il suo rapporto
con Uhura.- mormorò -E se le farà problemi le
dica che è colpa
mia, ero ubriaco e l'ho
scambiata per una ragazza. Uh, se Uhura ricorda ancora
come ci
siamo conosciuti, non stenterà a crederle.-
Jim
lo oltrepassò velocemente,
uscendo dalla stanza.
Spock
si concentrò sulla sua schiena muscolosa, sulle spalle
larghe
curvate un po' di più in avanti, sul capo basso. Jim Kirk
camminava
come se un altro peso fosse stato aggiunto agli altri che già
premevano su di lui.
. . .
Nyota
osservò la porta dinanzi a sé, indecisa tra
l'entrare o l'andare
via. Avrebbe bussato, questa volta, anche se da quando era
sull'Enterprise non aveva mai sentito il bisogno di farlo.
Ma ora
era diverso, non sapeva quello che avrebbe trovato dall'altra parte;
questo pensiero la spaventava ma, allo stesso tempo, non poteva
lasciar andare tutto così facilmente. Non dopo tutta la
fatica che
aveva fatto per conquistare quel francobollo di felicità nella
sua
vita.
Ma se avesse
bussato, allora sarebbe stato come mettere un muro tra lei e Spock,
come se la loro imminente separazione fosse troppo reale.
Allora
inserì il codice di sicurezza che il suo compagno le aveva
dato e
aspettò che la porta si aprisse trascinandosi dietro un
sibilo.
Spock si era cambiato, indossando la sua tunica scura, segno che
stesse meditando. Non avrebbe voluto interromperlo in un momento
tanto importante, ma allo stesso tempo lei aveva bisogno
di lui, ora.
Camminò nella stanza e lui aprì le palpebre, era
disteso sul letto con le mani ferme sul suo addome.
-Nyota, hai
lasciato l'infermeria?-
Lei
sorrise debolmente, poi avanzò verso di lui: indossava
ancora la
tuta che l'infermiera le aveva dato.
-Il dottore mi ha ordinato
di riposare, ma dato che l'infermeria è quasi del tutto a
secco
d'energia mi ha detto che sarei potuta tornare nei miei alloggi.-
Spock si mise a sedere notando l'incertezza negli occhi di lei. E
questo andava in contrasto alla sua usuale forza d'animo ed
esuberanza.
I capelli di lei erano sciolti e le ricadevano sulle
spalle, il
vulcaniano ricordò
tutte le volte in cui le sue dita li avevano
accarezzati.
-Avvicinati.-
le disse, e lei scosse il capo restando ferma dov'era.
-Voglio
sapere.- cominciò, poggiandosi alla parete che divideva lo
studio
dalla camera da letto -Voglio capire cos'è successo e come.-
Spock
annuì, poggiò i piedi sul pavimento e
restò seduto sul letto con
la schiena ritta e le mani sulle ginocchia.
Nyota ricordò che
Spock non indossava nulla sotto la tunica nera, questo le fece
scorrere un brivido lungo la schiena.
-Cosa
vuoi sapere, di preciso?-
-Hai detto che vi siete baciati due
volte... - lei
tentò
di allontanare da sé l'immagine di James Kirk sul suo
compagno -...
come è accaduto?-
Spock inspirò prima di parlare -Per quanto mi
piacerebbe poter semplificare questa spiegazione, non credo di
esserne in
grado.
Non penso esistano parole adatte per ciò che è
accaduto.-
Il
sorriso sulle
labbra di lei
era amaro
-Io ho bisogno di
sapere. Perché non può bastarmi un semplice 'ci
siamo
baciati'. Abbi
un po' di
rispetto per me.-
-Le parole non mi sono di alcun ausilio ma, se
me lo permetterai, ti mostrerò tutto.-
Si
avvicinò a lui, comprendendo il senso delle sue frasi, e lo
guardò
decisa. Non c'era altro modo per sapere, e lei aveva bisogno di
chiarimenti
-Fallo.-
Il
vulcaniano
le portò una mano sul volto e le accarezzò una
guancia, risalendo
verso il punto di contatto tra le loro menti.
-La tua mente si
unirà con la mia, e tu sarai capace di vedere James Kirk
attraverso
i miei occhi.- mormorò dolcemente Spock, ma Nyota
pensò che la sua
voce si fosse addolcita nel momento in cui aveva chiamato in causa il
capitano. La tristezza le penetrò nel cuore.
La
fusione ebbe inizio e lei
se ne rese conto solo quando un flusso di luci colorate le
scoppiò
dietro le palpebre e si ritrovò ad annaspare nel calore di
mente
contro mente.
Spock non si era mai fuso mentalmente con lei,
pensò, e
questo la commosse.
Aveva voglia di piangere.
-Allora...
siamo riusciti a eliminare tutte le navi nemiche,
nessuno a
bordo è rimasto ferito e il salvataggio dell'equipaggio
della
Kobayashi Maru è in corso.-
Nyota
vide Jim mordere una mela, lo guardò con occhi non suoi,
dall'alto
del centro di osservazione della sala di simulazione. Il giovane si
muoveva con disinvoltura dentro la sua divisa blu e grigia, guardava
nella sua
direzione e
sorrideva.
Un sorriso sfrontato, saccente, un ghigno
che gridava 'vi ho fregato!'.
Si accorse di stare guardando James Kirk attraverso gli occhi di
Spock, e di provare un peso al centro del petto che non apparteneva a
lei. Era Spock, le sue sensazioni; riconobbe un misto d'irritazione
e sorpresa. La
curiosità di sapere chi fosse quel cadetto e come, come
avesse fatto a
superare il suo
test.
La figura
di Kirk
scomparve, così come la sala di simulazione: tutto intorno a
lei
tremò e, prima di chiedersi cosa stesse succedendo, si
trovò nella
sala del consiglio e Jim era in piedi nell'uniforme standard, rosso
sangue, e i suoi occhi blu stavano fissando lei (no, non
lei, stavano
guardando Spock) ed
erano aggressivi. Gli occhi di un ribelle che non accetta la
sconfitta.
Il suo volto era di nuovo una maschera di spavalderia
e arroganza -Non credo nelle situazioni senza via
d'uscita.- e
questo aveva rotto
qualcosa dentro Spock. Una semplice frase che aveva sconvolto
la sua dormiente metà umana.
Nyota non capì, non comprese se quel qualcosa
fosse ammirazione o miscredenza, ma
era forte e... lei non aveva mai pensato che in Spock esistessero
sensazioni di quel genere.
Sentimenti. Aveva sempre pensato che questi
fossero radicati in fondo, troppo in fondo. Persino dopo la morte di
Amanda, lui non aveva mostrato dolore, rabbia o
delusione. Le aveva detto -Ho bisogno che tutti svolgano i propri
compiti.- e lei si era rassegnata.
Il suo compagno aveva sempre
messo da parte la sua umanità,
soppresso tutti gli impulsi e le emozioni che questa tentava di far
emergere. Ma questo non significava che lui non possedesse
passioni e
lei lo sapeva, lo
sapeva, e
allora perché era
stata così stupida da non considerare mai quella
possibilità?
L'unica
volta che l'aveva
fatto era stata
dopo la distruzione di Vulcano, lui aveva mostrato solo freddezza
vulcaniana e logica, e lei si era arresa facilmente.
Oh, troppo,
troppo facilmente.
-La
stessa anomalia che abbiamo visto oggi, una tempesta di fulmini, si
verificò quando sono nato prima che una nave Romulana
attaccasse la
USS Kelvin.Quella nave con formidabili e avanzatissimi armamenti non
è più stata vista da allora. La Kelvin fu
attaccata ai confini
dello spazio Klingon e ieri alle 2300 c'è stato un attacco.
Quarantasette falchi da guerra Klingon distrutti dai Romulani,
signore, secondo i rapporti i Romulani erano su un'unica, imponente
nave.-
Un
nuovo ricordo si era fatto strada attraverso la connessione
mentale.
Riconobbe
questo momento, la tensione che opprimeva la plancia e la paura per
le parole di Jim. Parole che Spock aveva
ascoltato
attentamente e che,
nella sua mente, erano
sembrate logiche.
Logiche e
possibili, perché Jim le aveva
pronunciate
con uno sguardo
lontano da
quello di un
cadetto che tentava di brillare su tutti gli altri, che urlava 'sono
il migliore!'.
No, lo sguardo di
Jim si era incupito, l'azzurro era stato soppiantato da un blu scuro,
come il colore del mare in tempesta. Un
fremito aveva
sconquassato
il petto di Spock. Un fremito.
Aveva
pensato
che Kirk fosse più intelligente di quanto sembrasse, fosse
interessante.
I
ricordi tremarono di nuovo, le pareti della memoria vennero
abbattute. Rimasero in plancia, ma in posizioni diverse, e ora lei
(lui) si
trovava a pochi centimetri dal volto di Kirk. E non riusciva a
smettere di guardare in quegli occhi d'oceano.
C'era
qualcosa nell'aria, qualcosa che assomigliava alla confusione, alla
rabbia. Spock non capiva perché quell'umano lo stesse
confondendo in
quel modo, non sapeva
perché i sentimenti stessero ribollendo dentro di lui. Il
suo sangue
caldo sembrava voler bruciare il suo corpo. Jim gli sorrideva con
un'espressione sprezzante, e questo, Spock, non riusciva a
sopportarlo.
-Ma com'è possibile, Spock? Mh? Il suo
pianeta è stato distrutto, sua madre assassinata e lei non
fa una
piega.-
-Se
presume che queste esperienze possano ostacolare la mia
capacità di
comandare la nave, si sbaglia.-
aveva risposto Spock, forzando se stesso per mantenere intatta la sua
razionalità e sopprimere
quello che stava provando.
Nyota per poco non ansimò, quello che
c'era dentro Spock... non erano sentimenti umani.
La rabbia, il dolore, la confusione. Quel turbinio non era umano...
lei stessa, essere umano fatto d'emozioni, non avrebbe potuto reggere
tutto quel
peso.
Quelle erano
antiche passioni vulcaniane, passioni tenute chiuse dentro una torre
di logica e meditazione, calma mentale e spirituale.
Ma James
Kirk era un bambino capriccioso che si divertiva a forzare la
serratura aprendo
i cancelli di quella torre, senz'alcun riguardo.
-Eppure
è stato lei a dire che la paura è necessaria per
il comando.
Insomma, ha visto quella nave e quello che ha fatto-
la voce di Kirk era bassa, profonda e provocatoria. Un brivido di
rabbia e... altro
spezzò Spock in due. E non riusciva più a capire,
in quel momento,
dove finisse il vulcaniano e cominciasse l'essere umano. Non si
riconosceva più, la sua ragione stava vacillando. E la voce
di Kirk
continuava a confonderlo...
Altro.
Nyota cercò di pensare, cercò di riconoscere quel
sentimento
e... sussultò sconvolta.
Lussuria.
Ecco cos'era.
-Sì, certamente.-
rispose Spock.
E solo in quel momento Nyota si rese conto di
quanto le loro voci basse non fossero fatte solo di rabbia,
capì che
quegli sguardi non erano, non potevano essere,
quelli di due nemici. C'era qualcosa che si stava formando, qualcosa
che stava nascendo. Il loro tono di voce era quello di un gemito
durante un contatto fisico, la tensione tra loro era l'infinita
voglia di toccarsi e lottare per possedersi.
Nyota non l'aveva capito prima,
ma ora
era chiaro. Dannazione, era chiaro, e questo la uccideva.
-E
ha paura o no?-
e la voce di Jim
sapeva di sfida, una sfida lanciata ad un guerriero con la sua solita
spavalderia. E Spock si disse che forse, forse sì, aveva
paura di
toccarlo, perché c'era qualcosa tra di loro che si stava
formando e
che lo stava destabilizzando. Aveva paura di non riuscire a tornare
indietro. Aveva paura di quella vicinanza, perché se il
vulcaniano
primordiale in lui si fosse liberato... allora avrebbe finito per non
avere più il controllo di sé.
Aveva
paura. Lui,
vulcaniano.
Jim avrebbe
liberato quel suo lato nascosto sotto anni di logica. Jim, con quegli
occhi d'oceano, le labbra piene che accarezzavano ogni parola, il
volto attraversato da una fresca ferita.
James Tiberius
Kirk.
-Non le
permetto di farmi una predica sui pregi delle emozioni.-
aveva risposto lui, velocemente. Troppo velocemente. Perché
doveva
tirarsi indietro, allontanarsi.
Stagli lontano.
-Perché non mi
ferma?-
Nyota ansimò di
nuovo, e stavolta si sentì soffocare per davvero.
Perché Kirk stava
gettando benzina sul fuoco, e quelle
fiamme non
potevano essere domate.
E,
Dio,
era... era la
cosa più...
Non riuscì a dirlo, non voleva neppure pensarlo.
-Stia lontano da me.-
aveva detto Spock. E quello che non aveva detto, quello che era
rimasto nella sua mente in lotta era stato altro: 'Stammi
lontano o non riuscirò a fermarmi. Non toccarmi o
sarà la fine per
me, te. Noi. Stai lontano da me o finirò per volerti vedere
soccombere sotto di me. Perché vorrò possedere la
tua mente, la tua
forza, il tuo corpo. I tuoi occhi.'
Spock
non si era mai sentito tanto male come in quel momento. Mai sentito
così poco vulcaniano come in quel preciso istante, e questo
alimentava la sua rabbia. Questo gli faceva male.
Perché lui aveva scelto di essere figlio di Vulcano, l'aveva
voluto
e non era giusto. Non era giusto che Jim Kirk tentasse di mettere in
discussione quella scelta.
-Come ci si sente a non
provare rabbia? O disperazione?-
le labbra di Jim erano vicine, vicine.
-O il desiderio di vendicarsi di chi ha ucciso la
donna che
ti ha messo al mondo?-
-Stia
lontano da me.-
ripeté Spock, e
sentiva di aver raggiunto un limite. Il suo limite.
-Lei
non prova niente!-
e ora Jim
aveva urlato, tutte le emozioni stavano fluendo tra di loro, e non
c'era neppure bisogno del contatto per sentirle, percepirle tutte. -I
sentimenti non hanno il minimo senso, per lei. Lei non l'ha mai
amata!-
E Spock non pensò
neppure un attimo, non si fermò a riflettere o a calmarsi.
No. C'era
solo un'ira funesta, i suoi occhi vedevano solo una cieca rabbia
colorata di rosso, rosso e azzurro.
Il primo pugno a Kirk, il primo vero contatto tra loro due e qualcosa
penetrò in loro. Fu come se si fossero agganciati l'uno
all'altro.
Un legame era stato
creato.
C'era
solo ira, dolore, la furia di un uragano di emozioni che Spock non
poteva
sopprimere.
Voleva solo prevalere, prevalere sull'umano.
Incurante del legame, di quell'unione che si era creata e che
andava rinsaldandosi sempre più. Le
dita del vulcaniano erano strette sul collo di Kirk. Così fragile.
Eppure così forte.
Nyota tentò di sottrarsi al ricordo, cercò
di ritornare in sé e uscire dalla mente di Spock. Non poteva
sostenere tutti quei sentimenti, non ce la faceva.
Erano troppo
per lei.
Spock la comprese, capì la fragilità della psiche
umana e allontanò velocemente il ricordo. Ma la
donna stava
male, e allora si
accorse di
non poter
continuare. Lentamente, con dolcezza, separò le loro menti e
la
lasciò andare.
Quando
il respiro di
lei
ritornò regolare, i due si guardarono di nuovo. Nyota non si
era
accorta di aver cominciato a piangere, ora sentiva le guance umide e
le lacrime che le scivolavano sul collo e
la tuta
bianca.
-Mi rendo
conto che il transfert emotivo... -
-Non parlare.- lo stroncò la
compagna.
-Non dire niente.-
Spock scosse il capo -Non hai ancora visto il perché delle
mie
azioni nei riguardi del capitano.-
Lei si asciugò le guance ma
non si mosse dal letto, sapeva
che se si fosse alzata le gambe non l'avrebbero retta.
-Credimi
se ti dico che mi sono fatta un'idea. Ed è più
che chiara.-
I
due rimasero in silenzio per un po'; lei tentò di riprendere
il
controllo delle proprie emozioni, di scindere quelli che erano stati
i sentimenti di Spock, dai suoi.
Si inumidì le labbra con la
lingua, ma la sua bocca era asciutta.
-Tutto quello che hai
provato... - una
voce
spezzata e sconvolta ruppe la quiete
-... l'hai mai sentito per me?-
Spock si prese alcuni secondi
prima di risponderle -Prima del mio incontro con il capitano Kirk non
ero mai
stato preda di così
tante emozioni.
La mia
stabilità mentale non era mai stata intaccata.-
spiegò, con calma
-Neppure
durante la morte del
mio pianeta e di mia madre sono stato preda delle mie antiche
emozioni.
Il capitano ha una
capacità che nemmeno
la mia logica riesce a spiegare. Lui
ha potuto risvegliare istinti
vulcaniani
che noi domiamo
con la
logica e la
meditazione.-
Nyota
annuì, ma non era certa di aver compreso la situazione. Non
era
certa di nulla, in quel momento.
-Quindi... lui può giocare con
le tue sensazioni?-
-Non è
corretto.
Il
capitano continua a confondermi con le sue azioni, ma sto lavorando
sulla mia stabilità telepatica, così da evitare
di essere
sopraffatto da quest'affinità tra le nostre menti.-
La donna
chiuse gli occhi
e lasciò fuoriuscire un sospiro incerto -Non capisco, Spock.
Provi o
no, qualcosa per lui?-
Il vulcaniano rimase in silenzio, non
sapendo davvero cosa rispondere.
Non era
semplice, per lui,
scindere le emozioni, riconoscerle e sapere con certezza cosa
provasse.
Tutti continuavano a porgli domande per cui non aveva
risposta alcuna.
-Se non
mi dici subito di no... allora è inutile anche rispondere.-
disse
lei, sorridendo tristemente.
-E' difficile comprendere quello che
il capitano suscita in me. Logicamente non posso fare altro che
sopprimere queste sensazioni, poiché
i nostri ruoli non possono essere compromessi da fattori emotivi.
Allo stesso tempo quello
che
è nato tra noi, durante l'aggressione,
destabilizza la mia razionalità quando gli sono accanto,
quando mi
tocca e, soprattutto, quando le nostre menti s'incontrano.-
Nyota
lo guardò scioccata -Ti sei fuso mentalmente con lui?-
Spock
annuì -Più di una volta, per essere precisi. Due
volte.-
Lei
rise, ma il suo sorriso lasciava trapelare solo un'enorme delusione
-Quindi è inutile, non è così? Cercare
di riparare quello che
c'era tra noi... non ha più senso.-
Il vulcaniano la guardò con
una serietà tale da farla tremare -Il nostro legame emotivo
non è
rotto. Non capisco perché tu abbia bisogno di ripararlo.-
Lei
sentì una flebile speranza nascere dentro il suo petto, poi
scosse
il capo -Mi stai dicendo che tu potresti sopportare di stare con me
quando... c'è tutto questo desiderio verso di lui?-
-Desiderio?-
-Oh,
Spock. Rabbia, confusione, passione.
Tu lo desideri, è per questo che l'hai baciato e non sei
riuscito a
frenarti, non è forse così? Non sono stupida.-
Spock
scosse il capo -Ti ripeto che non ho ancora ben chiara la natura del
mio legame con il capitano. Ma di qualunque natura si tratti, non ho
il desiderio di intraprendere una relazione sentimentale con lui.-
Lei lo guardò basita -Perché?-
-Perché sono vulcaniano,
non ho alcun bisogno di tutta la confusione che lui mi arreca. Sono
un essere razionale, logico e lui è completamente opposto
alla mia
natura. Inoltre sono il primo ufficiale di questa nave e lui il mio
capitano.-
Nyota rise
-Per un attimo ho sperato che dicessi 'perché
amo te'.-
Spock parve confuso, poi disse -Tu sei stata una scelta. Il
coinvolgimento emotivo tra noi due è stata una scelta
volontaria tra
due parti, la mia e la tua. Il contatto che ha legato me e il
capitano è stato il frutto di un impulso che non potevo
controllare.-
Lei
allontanò lo sguardo, dirigendolo verso il pavimento. C'era
qualcosa
di estremamente errato
nelle parole di Spock. Qualcosa che stonava e che era terribile da
sentire.
Avrebbe voluto dirgli che quello che lui provava non era
completamente irrazionale
e che, anzi, era la cosa più logica dell'intero universo. Il
fatto che gli occhi di Kirk destabilizzassero tanto il suo compagno,
no, non era il prodotto di un mero impulso.
Le
emozioni del vulcaniano, per quanto forti e confuse, avevano parlato
chiaro durante
la fusione.
Lui voleva Kirk, si
era trovato a provare appagamento attraverso il loro contatto,
seppure
fosse stato tanto
violento. Anzi,
quello che lei non era neppure riuscita a pensare era proprio quello:
l'aggredirsi verbalmente e fisicamente. Girarsi intorno, volersi
possedere, lottare fino a sentire dolore.
Era stata la scena più erotica che avesse mai visto in vita
sua.
Nyota avrebbe voluto dirgli che l'amore non
è
razionale, ed
era il motivo per
cui lei ancora continuava ad amarlo, dopo tutto quello che aveva
visto.
Avrebbe
dovuto
rivelare tante cose, al suo compagno. Essere sincera.
Però
non lo fece, perché lei era un essere pieno di sentimenti, e
questi
non facevano altro che dirle quanto volesse che Spock restasse con
lei.
Gelosia, rabbia, tristezza, paura.
Emozioni irrazionali,
frutto del suo amore.
E allora rimase in silenzio e si limitò ad
inclinarsi verso lui
e a poggiare il capo sulla sua spalla. Chiuse
gli occhi, si
disse
(auto ingannandosi)
che forse poteva funzionare. Il loro rapporto poteva ritornare a
quando James Kirk non faceva ancora parte della vita del suo
compagno.
A prima di quella stupida simulazione della Kobayashi
Maru.
Forse avevano ancora una speranza, e lei avrebbe solamente
colto tutte le occasioni e lottato fino alla fine.
Perché era un
essere emotivo, e non
voleva pensare alla soluzione più razionale.
2 giorni dopo
Kirk
chiuse gli occhi ed esalò un respiro profondo che si
condensò in
una nuvoletta bianca, al di fuori delle sue labbra.
Gettò uno
sguardo a Sulu che manteneva il timone rimanendo completamente fermo,
ma la sua compostezza era solo una facciata e a dimostrarlo erano le
mani che tremavano.
-Sulu, quanto manca per il confine?- chiese
il capitano, poggiando le mani sui braccioli della poltrona. Si
sentiva congelare ma non voleva mostrare il suo disagio agli
ufficiali in plancia.
-Alla
nostra attuale velocità non arriveremo prima di tre mesi,
signore.-
rispose il timoniere, e la sua voce tremò, Chekov si
voltò a
guardarlo ma non disse nulla.
Il giovane non sembrava fare molto
caso al freddo pungente, essendo abituato alle basse temperature
della Russia dell'est, ma allo stesso tempo non riusciva ad esserne
completamente indifferente.
-Tre mesi... - ripeté Jim. Non
voleva davvero mostrare preoccupazione, ma se non avessero trovato
alcuna soluzione, non avrebbero resistito per altri tre giorni.
Sospirò contrito, poi la sua attenzione venne attirata da
alcuni
attendenti che facevano la loro comparsa sul ponte, portando dei
vassoi.
-Che succede?- chiese mentre una di loro gli si
avvicinava.
-E' cioccolato caldo, signore. Rimedio contro il
freddo.- rispose questa.
-Grazie mille.- sorrise Jim,
crogiolandosi nel lieve calore della tazza bollente tra le sue mani.
Guardò lo schermo dell'ammiraglia bevendo distrattamente il
suo
cioccolato, osservò lo spazio profondo e buio pensando alla
prossima
mossa.
Erano in una galassia sconosciuta, stavano viaggiando in
uno spazio ancora inesplorato e doveva capire come muoversi.
Si
girò verso Spock, notando che questi aveva rifiutato la
tazza di
cioccolato. Il vulcaniano doveva soffrire quell'impertinente freddo
più di tutti quanti loro, ma nonostante tutto non ne dava
alcuna
dimostrazione.
-Spock non beve il cioccolato?- chiese, curioso.
Il vice lo guardò e scosse il capo -Non si adatta al mio
apparato digerente.- rispose.
Jim alzò il capo e inarcò
scettico le sopracciglia -Uh, uh. Si può rimediare con
qualcos'altro
di caldo?-
Il vulcaniano negò, di nuovo -Non è necessario.-
Jim annuì non del tutto convinto, ma cambiò
subito discorso. In
realtà non aveva molta voglia di parlare con Spock, non dopo
quanto
era successo giorni prima.
-Allunghi quanto più possibile il
raggio dei sensori. Cerchi qualunque cosa, un pianeta, una base,
persino una nave.-
Il primo ufficiale annuì, poi ritornò alla
sua postazione -Intende chiedere aiuto?- chiese, girato di spalle.
Jim guardò la sua schiena curva sullo schermo della
consolle,
s'impedì di pensare al corpo dell'altro e si
concentrò sui suoi
capelli corvini -Nelle nostre attuali condizioni non possiamo fare
altrimenti. I cristalli non sono un danno che può essere
riparato,
siamo... - si fermò a prendere fiato, non voleva essere
così
pessimista davanti ai suoi ufficiali. Ma la sincerità, quella,
la doveva a tutti loro -Stiamo andando alla deriva.-
decretò, con
una voce profonda e dannatamente seria.
L'interfono sulla
poltrona fischiò l'arrivo di una chiamata -Sala macchine al
capitano
Kirk.-
-Qui Kirk, che succede Scotty?-
L'ingegnere sospirò
pesantemente, poi si decise a parlare -I cristalli si sono scaricati
troppo in fretta, signore. Più di quanto avessi immaginato.
Ogni
supporto sta venendo a mancare.-
Jim inspirò profondamente, poi
la voce dell'addetto alle comunicazioni Alden parlò verso di
lui
-Capitano i ponti undici, dodici, tredici e quattordici, sono
completamente a secco d'energia.-
Il capitano si voltò a
guardarlo -Il personale?- chiese.
-E' stato trasferito sul ponte
tre, nella sala ricreativa sei.- rispose questi.
Jim annuì
-Scotty, quanto tempo abbiamo prima che si spenga tutto?-
L'ingegnere impiegò alcuni secondi prima di rispondere,
molto
probabilmente, pensò Kirk, stava correggendo i suoi calcoli
-Il
timone e i sensori reggeranno almeno per altri tre giorni. Richiedono
una gran quantità d'energia, ma c'è quella
ausiliaria che può
tenerli in vita a lungo. Per quanto riguarda tutti gli altri supporti
vitali, e parlo dei computer, comunicatori, turboascensore, l'intero
ponte ologrammi, i replicatori... entro cinque ore sarà
tutto fuori
portata.-
Alcuni ufficiali sussultarono, Jim se ne accorse ma non
si girò a guardarli. Non aveva niente, niente,
da dire per
consolarli.
-I propulsori, cosa mi dice di quelli?-
-I motori
a curvatura sono già andati, per quanto riguarda quelli a
impulso
manterranno per non più di altre tre ore.-
Jim si portò una
mano al volto sbuffando frustrato.
-Va bene, ho capito. Mi
contatti se ci saranno altre spiacevoli novità.-
-Sì, signore.-
Per un po' rimase a fissare il vuoto, la tazza che teneva in una
mano era diventata tiepida, aveva perso tutto il calore di pochi
attimi prima. Doveva pensare e in fretta, prima di tutto doveva fare
in modo di assicurarsi che tutto l'equipaggio si concentrasse in un
punto preciso della nave e non restasse bloccato quando tutte le
porte si sarebbero chiuse.
-Spock, rapporto.- si girò verso il
primo ufficiale e si accorse che per un solo attimo le sue mani erano
state scosse da un tremore. Molto probabilmente il freddo lo stava
assillando.
-Nulla, capitano. I sensori non hanno registrato dati
soddisfacenti per le nostre attuali necessità.-
Un fremito
attraversò la schiena di Jim, il freddo era pungente. Bevve
ancora
un po' di cioccolato così da permettere al tepore della
bevanda di
liberarlo per poco da quell'agonia.
-Lasci perdere quello che sta
facendo, ci sono altri ordini per lei.-
Spock si girò a
guardarlo e portò le mani dietro la schiena, mantenendo la
solita
postura composta e rigida.
-Capitano?-
-Convochi gli
ufficiali addetti alla sicurezza di tutti i ponti, voglio che mi
raggiungano in sala conferenze tra mezz'ora. Faccia arrivare anche
l'ingegnere Scott e McCoy. Avremo molto da preparare.-
-Procedo
subito.-
. . .
Mezz'ora
dopo erano tutti riuniti in sala conferenze. Gli ufficiali addetti ai
ponti e i tenenti comandanti.
Jim entrò nella sala e li salutò
con un veloce gesto del capo, Spock lo seguì in silenzio.
-Jim
che succede?- chiese McCoy, quando il superiore si fu avvicinato a
lui.
Jim gli lanciò un'occhiata preoccupata ma aspettò
che
tutti si sedessero, prima di cominciare.
-Andrò diritto al
punto, signori.- esordì, lasciando scorrere lo sguardo sui
presenti
-Ci troviamo in una situazione d'emergenza: i cristalli di dilitio
che alimentano i supporti energetici e i propulsori dell'intera nave,
hanno consumato la loro energia. Entro cinque ore saremo intrappolati
nella nave, l'energia che alimenta le porte, persino i
turboascensori, verrà a mancare.-
McCoy borbottò qualcosa tra i
denti, Jim fece scivolare una mano sulla sua spalla. Un semplice
gesto di conforto che avrebbe volentieri esteso a tutti, se avesse
potuto.
Spock osservò confuso il contatto tra i due, ma si
voltò
a guardare il tavolo dinanzi a sé senza dire nulla.
-Dobbiamo
liberare tutti i ponti e concentrare l'equipaggio della nave in un
unico punto. Dobbiamo distribuire termocoperte perché il
freddo
peggiorerà non appena il calore raccolto nella nave
verrà a
mancare.-
-Cosa ne sarà del riciclo dell'aria?- chiese uno degli
ufficiali in sala.
Jim si girò verso Scotty, passando a lui la
risposta a quella domanda. L'ingegnere guardò prima il
capitano, poi
l'ufficiale -Non richiede molta energia, il filtro che purifica
l'aria e la lascia circolare continuamente sarà sufficiente
per
almeno altre due, tre settimane.-
L'ufficiale annuì, ancora
confuso.
-Non ce le abbiamo due, tre settimane.- mormorò il
dottore, la voce rassegnata -Con questo freddo che
peggiorerà fino a
toccare lo zero assoluto... moriremo congelati.-
Jim gli lanciò
un'occhiata truce -Non morirà nessuno. Ho promesso che
saremmo
tornati tutti a casa, e lo faremo. In ogni caso, il primo ufficiale
Spock ha preparato un piano per l'evacuazione dei ponti. Il dottor
McCoy si occuperà di raccogliere tutto il materiale medico
che potrà
essere utilizzato senza bisogno d'energia.-
Sulu si schiarì la
voce -Signore, mi offro volontario per restare al timone.-
Jim
gli sorrise -Sul ponte saranno necessarie non più di due
persone. Il
timone e i sensori sono gli unici sistemi ancora utilizzabili.
Resterò sul ponte e, se le fa piacere, mi farà
compagnia.-
Spock
guardò prima il timoniere, poi Jim -Le chiedo il permesso
d'intervenire, capitano.-
Jim si girò verso di lui e gli fece
segno di continuare -Nonostante sia consapevole delle
abilità del
tenente Sulu al timone, credo che sia adeguato se restassi con lei
sul ponte. In quanto primo ufficiale è richiesta la mia
presenza.-
Il capitano sorrise, s'impedì di sperare
che Spock lo
stesse facendo per restare in sua compagnia.
-La sua presenza
sarà necessaria anche all'equipaggio. Sulu sarà
più che
sufficiente.-
Spock si girò a guardare il timoniere, il suo
sguardo vitreo e oscuro -Il tenente ha prestato servizio per il turno
alfa e beta. Credo che le sue necessità biologiche
necessitino di
riposo.-
Il tenente scosse il capo -Posso sostenere un terzo
turno.-
Jim sospirò e abbassò le palpebre -Non
sarà questione
di turni, Sulu. Una volta che la corrente verrà a mancare,
resteremo
bloccati in plancia.-
-Le faccio presente, capitano, che in
quanto vulcaniano non necessito di riposo tanto quanto voi esseri
umani. Di conseguenza se lei avrà bisogno di dormire, sarei
capace
di mantenere la dovuta attenzione ai sensori e al timone.-
Jim
guardò Sulu, il ragazzo lo fissò di rimando senza
obiettare. In
quel momento non potevano soffermarsi sulle capacità di
ognuno di
loro, sulle loro abilità. Dovevano pensare al benessere
della nave e
Spock... lui era l'essere migliore che potesse
stare in
plancia.
-Bene. Signor Sulu raggiungerà tutti gli altri membri
dell'equipaggio. Le sue capacità saranno utili al nostro
servizio di
sicurezza.-
Il tenente annuì, sospirando un -Sì, signore.-
-L'equipaggio dovrà essere concentrato nella sala ricreativa
sei, è abbastanza grande per poter ospitare tutti. I phaser
saranno
utili per riscaldare le pareti, regolateli al minimo ed evitate di
fare buchi nelle paratie.- scherzò Jim, qualcuno sorrise
senza
nessuna traccia d'ilarità.
-Dalle cucine dovrà essere
recuperato quanto più cibo possibile, sintetico, signori.
Non
abbiamo il tempo o l'energia per replicare complicate portate.
Recuperate il cibo sintetico che solitamente viene inserito nel kit
delle squadre di sbarco.-
Vide qualcuno digitare sui padd, le
luci tremarono e per un attimo si spensero. Poi si riaccesero.
-Scott, lei resterà nella sala macchine. Ci terremo in
contatto
con i comunicatori, dal momento che le comunicazioni interne alla
nave non saranno possibili.-
L'ingegnere annuì, il modo in cui
le sue spalle si rilassarono diedero modo, a Jim, di pensare che
l'amico volesse evitare di trovarsi con il resto dell'equipaggio.
-Scelga una squadra di ufficiali competenti per restare con lei.
Deve tenere sotto controllo l'attività del timone.
Più reggerà e
più ci permetterà di avvicinarsi a qualunque
cosa ci sia là
fuori, in grado di aiutarci.-
-Sì, capitano.-
-Bene. Se non
ci sono domande, potete andare.- disse, alzandosi dalla sedia.
Gli
altri lo seguirono a ruota e, salutandolo uno ad uno, uscirono.
Alcuni 'buona fortuna' lo raggiunsero, e lui
sorrise.
-Jim...- lo richiamò McCoy, fermo accanto a lui. Si
guardarono
per un po', poi il dottore sospirò pesantemente -Che
facciamo con il
Ma'Toi? Se dovesse liberarsi quando verrà a mancare
l'energia?- Jim
scosse il capo -La cella è completamente ricoperta dal
silicone,
Lena non potrebbe penetrarlo.-
Il dottore lo guardò scettico
-Perché continua a tenerla in vita?-
Il capitano lasciò
scorrere le mani sulle sue braccia -Conto su di lei, Bones. Deve
assicurarsi che l'equipaggio non corra pericoli, deve occuparsi di
tutti finché noi non avremo trovato una soluzione.-
Spock si
avvicinò silenziosamente a loro e li osservò,
incuriosito dai loro
atteggiamenti.
Il dottore sbuffò con il naso, poi scosse la
testa rassegnato -Starete bene, lassù? Farà
freddo. Vi farò
portare delle coperte prima che tutto si fermi. Avrete bisogno di
cibo.-
Jim strinse la presa sulla sua spalla -Dottore ha
dimenticato che sono allergico al cibo sintetico?-
McCoy annuì
-E' vero. Vi farò replicare qualcosa prima che tutto si
fermi.
Avrete bisogno di mangiare, e non esigo un no come
risposta.
Ordini del medico.- disse, impedendo a Jim di lamentarsi.
Spock
li fissò sorridersi a vicenda, poi i due si abbracciarono e
lui capì
che c'era dolcezza nei loro gesti. Erano amici di lunga data, uniti
da molto tempo, si disse.
Jim parve non volerlo lasciare. Poi si
separarono.
-Stai attento.- gli mormorò McCoy,
lasciando
da parte le formalità. Jim sorrise -E quando mai non lo
sono?-
Il
dottore roteò gli occhi al cielo -Ogni volta che il tuo bel
culetto
finisce nella mia infermeria, capitano.-
Il ragazzo
sorrise, poi si girò verso Spock.
-Prepari tutto quello che può
servirle, ci vediamo tra tre ore in plancia, comandante.-
Spock
annuì una sola volta.
Per lui non c'erano stati caldi sorrisi e
pacche sulle spalle.
Forse, si disse, era stato meglio così.
L'indecifrabile sensazione nel suo petto, però, non sembrava
pensarla allo stesso modo.
.
. .
-Posso
restare con te.- si lamentò Nyota, gli occhi neri erano
spalancati e
velati dalla preoccupazione.
Spock scosse il capo -Devi restare
con il dottor McCoy, lui potrà prendersi cura di te. Sei
ancora
molto debole.-
La ragazza sospirò pesantemente, fuori dalla
cabina si stavano muovendo gli ufficiali che vivevano su quel ponte.
Stavano lasciando i loro alloggi; anche lei avrebbe dovuto preparare
le sue cose ed andare con loro. Ma la verità era che non
voleva
pensare a Spock e al fatto che sarebbero stati lontani. Per
chissà
quanto tempo.
E lui sarebbe rimasto bloccato in plancia con il
capitano.
-Tu riuscirai a prenderti cura di me, io potrei anche
essere utile... - ribatté, cercando di sostenere le sue
ragioni, ma
conscia del fatto che lui non le avrebbe accettate.
Spock le si
avvicinò e la guardò con severità -Io
e il capitano saremo
sufficienti per controllare il timone e i sensori. Inoltre la plancia
è nella zona più estesa della nave,
sarà invasa dal freddo, prima
di quanto avverrà in tutti gli altri ponti. Non è
necessario che tu
ti esponga ad un tale pericolo.-
Lei agguantò la sua divisa e lo
guardò inferocita -Espormi a tale pericolo? Spock tu sei il mio
ragazzo. Il mio posto è al tuo fianco.-
Lui guardò le mani
di lei tentando di decifrare il suo sguardo di fuoco ma tutto quello
che disse fu -Sono anche il primo ufficiale. Il mio posto è
con il
capitano e il tuo non è la plancia.-
-Sono il tenente... -
-...
delle comunicazioni, Nyota. E queste saranno interrotte non appena
verrà a mancare l'energia. Inoltre siamo in tutt'altra
galassia, non
ci sono ripetitori appartenenti alla flotta stellare, pertanto non
arriveranno messaggi dall'esterno e, per le comunicazioni interne,
avremo i comunicatori.- concluse lui.
Lei sospirò affranta, poi
poggiò la fronte al suo petto.
Spock ricordò che Kirk aveva
fatto lo stesso, due giorni prima, poggiando la fronte alla sua
spalla. Ma ora il peso sul suo corpo era leggero, e in lui non c'era
tutta la tensione che c'era stata con il capitano.
-Non voglio...
- tentò di spiegare lei, ma senza riuscirci. La frase rimase
incompleta, perché non sapeva come spiegare cosa ci fosse
dentro di
lei.
-Non vuoi che io rimanga da solo con il capitano?- chiese
lui, e la donna incontrò i suoi occhi scuri.
-Non... non è solo
questo... -
Spock prese le mani di lei e le allontanò dalla sua
divisa -Tra la moltitudine di aspetti relativi alle situazioni
sentimentali, che ho appreso sulla Terra, mi è capitato
d'incontrare
ed esaminare il tema della fiducia.-
spiegò lui,
sottolineando in particolare l'ultima parola -Ho compreso che in una
relazione tra due individui la mancanza di fiducia equivale ad una
profonda rottura emotiva che, conseguentemente, porta alla
separazione. Non è, naturalmente, l'unico significato di
questo
termine ma in questo caso penso che sia quello appropriato.-
Lei
lo guardò basita, un po' confusa e imbarazzata. Sapeva che
Spock
avrebbe intuito il suo comportamento ambiguo. Doveva solo lasciarlo
andare, lasciarlo andare.
-Il fatto che tu abbia timore
della situazione in cui io e il capitano ci verremo a trovare,
è una
chiara dichiarazione della tua mancanza di fiducia nei miei
riguardi.-
Nyota scosse il capo -No! Non è questo. O meglio, non
è solo questo.- enfatizzò,
gesticolando furiosamente.
-E'
che dopo quello che è successo quando io non c'ero, cosa
posso
aspettarmi? Cosa puoi aspettarti da me? So che sei fedele, so che i
vulcaniani non tradiscono, io lo so. Ma il capitano
ti porta a
comportarti come se la tua natura non esistesse, come se non avessi
nessun controllo su te stesso. E' come una tempesta ionica che mette
fuori uso tutte le tue apparecchiature.-
Spock inarcò un
sopracciglio, perplesso per la metafora della donna, ma lei
continuò
a parlare.
-Cosa puoi pretendere? Ho paura, ho il timore di
perderti e non puoi assicurarmi che non succederà.-
Il
vulcaniano portò le mani dietro la schiena -Esatto, molte
variabili
potrebbero incidere sul corso degli eventi: potremmo morire, venire
separati... -
-Sì, ho compreso il concetto.-
l'interruppe
lei, infastidita -Ma James Tiberius Kirk è... lui
è così
imprevedibile. E' per questo che ho tutta questa paura. E poi... non
sappiamo quello che accadrà, potremmo morire tutti e
l'ultima faccia
che tu vedresti sarebbe quella del capitano? L'ultimo volto che io
vedrei sarebbe quello di chiunque altro tranne il tuo?- il suo volto
era disperato, ma non c'erano lacrime a rigarlo. Non si sarebbe
permessa di piangere.
Spock sembrava non comprendere la sua
agitazione, era completamente estraneo alle sue paure e timori.
Prima d'ora il suo comportamento non le avrebbe arrecato
fastidio, perché lui era vulcaniano e lei lo aveva accettato
per la
sua natura. Diamine, lei si era innamorata proprio
di Spock il
figlio di Vulcano. Ma poi aveva sentito i sentimenti che il capitano
riusciva a suscitare nel suo (suo, suo, suo)
vulcaniano logico
e composto. Neutrale.
E adesso quel suo lato così arido di
sentimenti la faceva solo stare peggio; perché ora sapeva
che c'era
dell'altro, in lui, che non era destinato a lei.
-Nyota- la voce
di Spock era grave e mortalmente seria -se non riuscirai ad accettare
e superare ciò che è accaduto tra me ed il
capitano Kirk, non
capisco come potremmo restare legati. Ti ho fatto presente della mia
volontà di restare al tuo fianco come compagno, ti ho
spiegato il
perché non è possibile che tra me e il capitano
ci sia altro se non
un rapporto puramente lavorativo. Ti ho reso chiare le mie
intenzioni, ma se tu non riesci ad accettarle, dovremo mettere fine
al nostro rapporto sentimentale.-
Lei chiuse gli occhi ed inspirò
profondamente, incredula e allo stesso tempo abbattuta.
-Mi rendo
conto che voi umani avete bisogno di tempo per riuscire ad accettare
situazioni come la presente. Sono consapevole del fatto che i tuoi
sentimenti, in questo momento, sono negativi e che tu abbia subito un
drastico calo del tuo tasso di fiducia nei miei confronti.-
continuò
Spock -Per due persone il cui rapporto emotivo è fonte di
sentimenti
negativi, miscredenza e, nel tuo caso, dolore
è illogico
proseguire lungo un percorso che non porterebbe al benessere di
entrambi.-
Nyota camminò verso il letto e si lasciò cadere
su
questi. Le braccia strette tra le ginocchia e il capo piegato in
avanti.
-Quando ti ho incontrato, per la prima volta, ho pensato
che tu fossi l'essere più bello, intelligente e... perfetto
per me.- sorrise malinconica -Non ero interessata ai ragazzi spavaldi
come Kirk, o ad altri cadetti. Non avevo occhi che per te. Le tue
conoscenze, la tua lingua e cultura, il tuo modo di rapportarti agli
altri. La luce nei tuoi occhi.- lei alzò lo sguardo su di
lui.
-Ti
ho amato sin da subito. Quando hai accettato il mio invito di uscire
a cena, quando ci siamo baciati la prima volta... Spock, io ti amavo
sempre più. Mi innamoravo ogni giorno un po' di
più.- la sua voce
tremò dall'emozione, dalla tristezza per la consapevolezza
che tali
momenti fossero solo ricordi lontani. Racchiusi in un'altra vita,
un'altra galassia, in un altro tempo delle loro esistenze -Non hai
scelto di stare con me perché ero vulcaniana e razionale.
Hai scelto
di stare con me perché eri affascinato, e forse
perché tuo padre
l'aveva fatto prima di te e... forse la sentivi come una scelta
assolutamente logica.-
Spock non lasciò trapelare alcuna
emozione, ma allo stesso tempo sentiva che le parole di Nyota stavano
alimentando il dubbio dentro di sé.
Aveva meditato a lungo sul
perché avesse scelto lei, accettato la sua corte e,
successivamente,
le avesse permesso di entrare nella sua vita. Tutte le volte si era
trovato ad elencare le solite ragioni: la curiosità e
possibilità
di poter studiare da vicino la natura umana; la scelta di suo padre,
che anni prima si era unito ad un'umana, e lui aveva pensato che
fosse logico intraprendere una relazione simile; il fatto che essendo
per metà umano, erano alte le probabilità che non
avrebbe
attraversato il tempo del pon farr, per questo motivo i suoi genitori
non l'avevano promesso ad alcuna femmina vulcaniana. Così
aveva
pensato che fosse logico relazionarsi con un'umana fertile che non
avrebbe trovato illogica la sua mente, e che non si sarebbe aspettata
il tempo dell'accoppiamento.
Sì, molte erano state le ragioni
logiche. Ma si rendeva conto di quanto Nyota non le trovasse
soddisfacenti, ora che quello che avevano era stato messo in
discussione da una terza variabile. Ora capiva che la sua donna stava
soffrendo a causa della sua natura vulcaniana.
-Quello che
ti sto dicendo è che non ho mai avuto bisogno di
quell'affetto che
noi umani cerchiamo. Perché ti ho accettato così
come sei e ti ho
amato per questo, ti amo per questo. Ma ho visto,
no, ho
sentito, quello che provi per lui. E allora come puoi biasimare le
mie paure? Come puoi pensare che io mi fidi ciecamente di te, quando
tu sembri perdere te stesso, in sua presenza?-
Nyota aveva
ragione, le sue argomentazioni erano logiche e lui ne era cosciente.
L'allarme risuonò nei corridoi e nelle stanze, la luce
gialla
testimoniava che avrebbero dovuto evacuare subito gli alloggi.
La
donna sospirò rassegnata e lo guardò tristemente
-Ne riparleremo.-
disse semplicemente.
Spock tentennò per un attimo, poi si decise
ad annuire e si diresse verso la porta della cabina.
-Spock.- lo
richiamò Uhura, lui si girò a guardare il suo
volto pieno di
preoccupazione -Dimmi solo che starai attento, e che farete in modo
di tirarci fuori da questa situazione.-
Lui scosse il capo -Farò
attenzione e lavorerò con il capitano per cercare una
soluzione.-
Questo parve bastare, perché lei gli sorrise debolmente.
5.2 ore dopo
Jim si
raggomitolò nella coperta guardando distrattamente lo
schermo della
plancia. Il ponte di comando non era mai stato così deserto
come in
quel momento.
Faceva freddo. Un freddo da ghiacciare le ossa.
Non
c'era molto che i due comandanti potessero fare: Jim aveva inserito
la rotta, ma non poteva regolare la potenza dei motori. Lo stesso
valeva per Spock che poteva solo leggere dati su dati rilevati dai
sensori.
Inoltre tra loro era sceso un silenzio tombale; era
passata ormai mezz'ora da quando erano lì ma non avevano
scambiato
più di qualche informazione riguardo il loro lavoro.
Le luci sul
ponte si spensero ad un tratto, senza lasciare loro nemmeno il tempo
di capire cosa stesse accadendo. La nave traballò
leggermente e un
boato echeggiò tra le pareti.
Il trasmettitore di Kirk cinguettò
l'arrivo di una chiamata e lui sospirò, intanto le rosse
luci
d'emergenza invasero l'ambiente.
-Parla Kirk.-
La voce
dell'ingegnere capo arrivò stanca e irritata, Kirk non
poteva
biasimarlo.
“Siamo sulla stessa barca”
avrebbe detto,
se non fosse stato troppo turbato per scherzare e se quella battuta
non fosse stata troppo squallida.
-Capitano i turboascensori e le
porte sono fermi. Siamo ufficialmente bloccati. Qui in sala macchine
abbiamo ancora un po' d'energia.-
Il capitano sospirò e si portò
una mano sulla fronte -Qui le luci si sono spente, abbiamo
però
quelle d'emergenza. Dovrebbero reggere per un po'.-
Scott ordinò
qualcosa ad uno degli ingegneri, Jim non riuscì a
comprendere, poi
ritornò a parlare con lui -Avete le stelle. Qui non ci sono
schermi
o punti d'osservazione, ma lì in plancia avete lo schermo
principale
e nella sala ricreativa c'è il punto d'osservazione. Le
stelle vi
aiuteranno.-
Jim poggiò il trasmettitore sulla consolle e
osservò lo schermo, proprio le stelle di cui Scott stava
parlando.
Gli stessi astri che amava, in quello spazio che era diventato casa
più di quanto lo fosse stata la fattoria di Frank in Iowa;
ma
proprio quei suoi grandi amori ora lo tradivano.
Tremò dal
freddo e sentì i denti battere gli uni contro gli altri.
-Voi
come farete laggiù?- chiese, intuendo che gli ingegneri
presto si
sarebbero trovati completamente al buio, senza nessuna luce naturale
a guidarli.
-Abbiamo le barre illuminanti. Non si preoccupi.-
Jim sorrise -E di cosa dovrei preoccuparmi? In fondo sta andando
tutto liscio come l'olio.-
Spock lo guardò perplesso, ma
Jim voltò il capo verso il trasmettitore -Scott, non
c'è proprio
niente da poter fare?-
Non vide l'ingegnere scuotere il capo,
dall'altra parte del trasmettitore, non riuscì a vedere
neppure il
suo sguardo furibondo; perché lui era un ingegnere ed era
suo dovere
permettere che tutti tornassero a casa sani e salvi.
-Non
possiamo... non so, espellere il nucleo e farlo scoppiare? L'abbiamo
già fatto con Nero, potrebbe darci una spinta.-
Scott sospirò
-No, Jim. A cosa servirebbe? Ci darebbe una spinta esigua, saremmo
comunque troppo lontani dal confine. Senza contare che non potremmo
attraversarlo.-
Jim annuì, anche se non poteva essere visto.
Forse aveva solo bisogno di una buona scusa per muoversi,
perché
stava congelando.
-Pensi a qualcos'altro, Scott. Ci dev'essere un
modo per uscirne.- disse, tentando di tenere saldo il suo tono
autoritario -Chiudo.-
La comunicazione venne interrotta e il
capitano si girò verso il primo ufficiale.
-Spock, rapporto. E
la prego di non dirmi che lì fuori ci sono solo stelle,
nebulose
e... qualsiasi altra cosa sia completamente inutile
nella
nostra attuale situazione.-
I due si guardarono, il vulcaniano
scosse il capo -Nessuna forma di vita, nessun pianeta in vista. Siamo
lontani dal sistema solare a cui ci eravamo approcciati. Abbiamo
precedentemente attraversato questa parte della galassia utilizzando
la curvatura, è completamente inesplorata.-
Jim grugnì e gettò
il capo all'indietro stringendosi di più dentro la coperta.
Doveva
pensare a qualcosa. Non credeva nelle situazioni senza vie d'uscita,
no. Doveva esserci una scappatoia, un modo per uscirne illesi.
Si
mordicchiò il labbro inferiore e pensò
attentamente: ripeté nella
mente le nozioni apprese all'accademia sui cristalli di dilitio; i
corsi d'ignegneria e le poche volte che era stato con Scott in sala
macchine.
Provò a focalizzarsi su tutto quello che conosceva, le
cose che aveva imparato, la sua esperienza. Lì, da qualche
parte,
doveva esserci qualcosa.
Ma il freddo era feroce e lui non
riusciva a concentrarsi, voleva solo rannicchiarsi in un angolo e
riscaldarsi.
-Capitano... - lo richiamò Spock che si era
avvicinato a lui. Kirk non l'aveva neppure sentito arrivare.
-Mh?-
rispose questi, spalancando le palpebre (gesto che gli
risultò
incredibilmente faticoso).
-Sta tremando.- constatò l'altro e
lui si rese conto che, sì, effettivamente i suoi denti
stavano
battendo tra loro, ferocemente, e il suo corpo veniva scosso da
potenti brividi.
-Va tutto bene.- disse lui, mettendosi composto.
Il vulcaniano parve scettico, poi si avvicinò ai phaser che
avevano poggiato sulla poltrona del comando -Si sieda in
quell'angolo, riscalderò la parete così
potrà smettere di
tremare.-
La voce di Spock era insofferente, si accorse Kirk. E
proprio non riusciva a capire fino a che punto sarebbe arrivato il
suo vice che stava soffrendo molto più di lui, eppure
manteneva una
compostezza inaudita.
Scosse il capo -No, ce la faccio. Torni
pure al suo posto.- bisbigliò.
Spock lo fissò incerto, poi fece
semplicemente come gli era stato ordinato.
Jim lo guardò
ritirarsi alla sua postazione: sarebbe stato un lungo, lunghissimo
turno. E non era certo di come sarebbe andata a finire.
3.1 ore dopo.
-Diario
del capitano, data astrale... - un fremito lo interruppe e lui
strinse le gambe vicino al petto -...non ha importanza. Tanto non sto
nemmeno registrando.-
Spock lo guardò senza capire, si chiese se
Jim non stesse impazzendo.
-Stiamo ancora viaggiando nello
spazio, ma più che altro direi che stiamo vagando
sperando in
un colpo di fortuna. Chissà, magari un salvataggio
dell'ultima ora.-
ridacchiò poggiando la fronte contro le ginocchia. Le
braccia si
mossero sotto la pesante coperta termica andando a circondare le
gambe. Spock continuò a guardarlo e a ricordare del freddo
che li
attorniava: aveva provveduto a riscaldare le pareti, il cibo, il
cioccolato caldo per Jim. Ma la situazione non stava migliorando di
certo.
Stava ricorrendo a tutta la sua stabilità mentale per
appianare le sensazioni fisiche, ma senza ricorrere alla meditazione
non era certo di poter resistere ancora per molto.
-Il mio primo
ufficiale è un vulcaniano.- continuò Jim,
immaginando di registrare
sul diario di bordo -Dovrebbe soffrire il freddo più di
quanto
faccia io, ma invece sono l'unico a tremare come un gattino
infreddolito. Mh, bel paragone.-
L'ufficiale inarcò un
sopracciglio, ora si stava seriamente chiedendo se il freddo non
avesse compromesso le funzioni psichiche del capitano.
-Ehi
Spock!- lo chiamò questi -Perché non ha freddo?-
Il vulcaniano
gli si avvicinò lentamente, osservandolo sibilare dietro la
coperta
-Credo che lei debba riposare. Sarebbe salutare per le sue funzioni
psicofisiche.-
Jim tirò la coperta fino a scoprire solo i
brillanti occhi azzurri -Sta scherzando? E il timone? Non
può
occuparsi di tutto.-
Ok forse, pensò Jim, l'aveva detta
grossa. Molto probabilmente il suo primo ufficiale si sarebbe offeso.
- Il timone non avrà bisogno di essere controllato
costantemente, la nostra rotta è stata impostata e non ci
sono
meteoriti o detriti di alcun genere in rotta di collisione.-
Il
capitano parve scettico -Si annoierà di certo senza un po'
di
compagnia.- ma la sua voce era ancora un concentrato di bisbigli
tremanti.
Il comandante si avvicinò e, seppur riluttante,
portò
una mano alla sua fronte. Jim lo guardò incuriosito e un po'
imbarazzato, le stesse emozioni che ondeggiarono tra le loro menti
durante il contatto di pelle contro pelle.
-Che sta facendo?-
-Ha la febbre.- constatò Spock, con voce neutrale.
Il
capitano mugugnò qualcosa, forse un “fantastico”
che morì
dietro la sua barricata di tessuto termico.
-Contatterò il dottor
McCoy.- asserì il primo ufficiale, avvicinandosi al
trasmettitore.
Però Jim fu più veloce e con uno scatto (che,
davvero, sorprese
tutti e due) gli bloccò la mano impedendogli di raggiungere
l'oggetto per comunicare.
-Non lo faccia.- sospirò il capitano,
le gambe erano ritornate sul pavimento e la coperta era scivolata di
lato. Gli girava la testa per il movimento brusco -Non voglio che lui
si preoccupi. Posso sopravvivere con qualche grado di febbre.-
Da
Jim ora proveniva solo tanta frustrazione e un brivido di...
timore.
-Perché?-
-Io sono quassù e lui è bloccato con
tutti gli altri. Starà male, si arrabbierà, si
tormenterà. Lo
conosco e non voglio che lui si preoccupi.
C'è già tanto di
cui preoccuparsi, non voglio essere un altro peso.-
La fronte di
Spock si contrasse, costernato disse -Lei è il capitano. E'
compito
dell'ufficiale medico darmi istruzioni per aiutarla a stare meglio.-
Jim scosse il capo -Va tutto bene. Tanto non è che possiamo
fare
molto, Bones non mi ha dato medicinali di alcun tipo... dato che sono
allergico alla maggior parte di essi. Mi basterà stare
tranquillo.-
disse, sforzando un sorriso stanco e per nulla convincente.
Le
loro mani erano ancora l'una sull'altra, quando Spock se ne accorse
percepì un certo disagio fluirgli dentro. Jim
notò che, anche in
quella tenue luce rossastra, le orecchie del vice si erano colorate
di un verde più acceso.
Fu sul punto di scherzarci, sul serio,
ma il freddo e la stanchezza sembrarono allearsi in un solo attimo e
tutto, intorno a lui, vorticò velocemente e si
ritrovò a cadere in
avanti.
Spock avanzò poggiando una spalla sul suo petto e
avvolgendo il suo corpo con un braccio. No, il capitano non stava per
niente bene.
Le loro mani si separarono, Jim sospirò un “sto
bene” molto stanco e si accasciò contro
il corpo rigido
dell'ufficiale.
-Capitano... - lo richiamò la voce baritonale del
vulcaniano -Kirk, mi risponda!-
Lo spinse di nuovo sulla sedia,
accertandosi che non potesse più cadere e con urgenza
recuperò il
comunicatore -Spock a McCoy, dottore risponda!-
Gettò un'altra
occhiata al capitano: le ciocche bionde scomposte e le labbra
semiaperte, il capo riverso all'indietro. Sapeva solo che in quel
momento d'incoscienza, molto probabilmente, la febbre stava
peggiorando.
-Dottore, risponda!- ripeté, con molta più
durezza
di quanta fosse appropriata.
-Qui McCoy, che diamine succede?
Cos'è tutta questa fretta?-
Spock non perse tempo -Il capitano
ha la febbre, la sua temperatura corporea è aumentata di 3.8
gradi
Celsius. Ha perso conoscenza.-
Bones imprecò dall'altra parte
del comunicatore -Dannazione, quel traditore del suo corpo! E' il
freddo, Spock, gli è venuta la febbre a causa del freddo.
Sta
sudando?-
Il vulcaniano osservò il superiore e le piccole perle
di sudore che erano comparse sulla sua fronte, scostò la
coperta per
controllargli il collo -Il suo sudore è freddo, dottore.-
rispose
immediatamente.
Il suo interlocutore imprecò di nuovo, poi
sospirò frustrato -Non posso fare molto, da qui. Non posso
somministrargli alcun medicinale.-
-Il capitano ha affermato di
essere intollerante a molti dei convenzionali infusi medici.-
McCoy
grugnì -E' per questo che tutte le volte devo riempirlo di
cortisone
e somministrargli dosi praticamente infinitesimali di medicinale.-
-La reazione al freddo dovrebbe essere l'ipotermia, dottore. Per
quale motivo la temperatura corporea del capitano è in
aumento?-
chiese il primo ufficiale, mentre Jim si riprendeva e sfarfallava le
palpebre, confuso.
-Non lo so. Il corpo umano è sensibile agli
sbalzi di temperatura, soprattutto all'esposizione a climi gelidi.
Per il momento è quasi un bene che il suo corpo sia
accaldato e lei
deve evitare di fargli prendere freddo. Mi ha capito?-
-Affermativo.
La contatterò tra due ore.-
McCoy grugnì qualcosa, ma Spock non
aspettò e chiuse la conversazione.
Gli occhi azzurri di Jim lo
fissavano curiosi e febbricitanti, acquosi come mai prima d'ora.
Aveva ricominciato a tremare stringendosi le braccia intorno al busto
per tenersi caldo.
-Spock. Mh.- tentò di parlare l'altro, poi
dalle sue labbra rantolò un colpo di tosse e lui
tentò di
schiarirsi la gola -Che mi succede?-
Il vulcaniano osservò il
timone, poi si decise a fare come il dottore gli aveva suggerito.
Si
allontanò fino ad arrivare alla parete sulla quale era posto
lo
schermo, essa s'incontrava con l'inizio delle consolle tattiche,
formando un angolo in cui avrebbe potuto posizionare il capitano.
Prese alcune coperte dal mucchio che era stato loro consegnato quando
si erano ritirati in plancia, le posizionò a terra.
-Che sta
facendo?- mugolò il capitano, fremendo.
-Il dottore è stato
chiaro, deve rimanere al caldo.- spiegò Spock, andando a
riscaldare
la parete con il raggio del phaser regolato al minimo della potenza.
La superficie si colorò di un rosso acceso quando il laser
la
colpì, poi ritornò nivea come prima, ma
più calda.
Si avvicinò
a Jim e lo aiutò a mettersi in piedi, tenendolo per un
braccio.
Le
dita di Spock saggiarono i muscoli coperti dalla divisa, non seppe
perché il suo pensiero si fosse soffermato sul fisico del
capitano,
ma s'impose di lasciar perdere. Lo condusse nell'angolo in cui aveva
posizionato le coperte e lo fece sedere contro la parete.
Jim
sospirò stanco e per poco non scivolò di lato,
venne agguantato
giusto in tempo -Mi sento così debole, dannazione!- si
lamentò.
-E' la condizione standard per la comune influenza terrestre.-
gli disse il vice, avvolgendolo nella coperta. Jim mugolò
dal
piacere quando il suo corpo si accorse del calore sulla parete dietro
di lui, sorrise debolmente e Spock si avvicinò ai sensori.
Lesse
velocemente gli ultimi dati rilevati e ancora una volta non c'era
stata alcuna scoperta interessante.
-Ho freddo. Ho freddo.-
grugnì il capitano, dando una gomitata alla parete.
Spock
ricordò la temperatura fin troppo bassa che serpeggiava
nell'ambiente e se ne sentì invadere. Doveva allontanare la
sua
mente dalle sensazioni fisiche che arrivavano direttamente al suo
cervello. Cadere in uno stato di profonda meditazione, era
ciò che
l'avrebbe aiutato.
Regolò i sensori al dispositivo di
rilevazione acustica così che, se avessero trovato forme di
vita o
pianeti, ne sarebbe stato informato.
-Lei non ha freddo?- chiese
Jim, continuando a biascicare le parole come se non riuscisse a
parlare correttamente. Doveva essere un altro dei sintomi della
febbre umana.
Spock si avvicinò a lui e si infagottò in
un'altra coperta, poggiandosi alla parete. Entrambi erano divisi da
strati su strati di tessuto, eppure riusciva a sentire il corpo
dell'altro bruciare a pochi centimetri dal proprio. Ebbe
l'irrefrenabile impulso di toccarlo, riscaldarsi su quella pelle
tanto calda, certo non come la propria, ma quantomeno calda
abbastanza da poter tenere lontano il freddo. Jim sibilò
qualcosa,
poi gli si poggiò contro e abbandonò il capo
sulla sua spalla
-Perché non ha freddo?-
Spock lo sentì muoversi (no, tremare) e
si impedì di osservare il suo volto stanco e spossato -La
mia mente
si sta concentrando al fine di occultare le sensazioni fisiche che
arrivano direttamente al mio sistema neurale.-
Jim soffiò dalle
labbra una buffa risata, poi tossì -Quindi ha freddo o no?-
chiese,
petulante.
A Spock ricordò un tedioso bambino umano.
-Sì,
ho freddo.- ammise, sperando che Jim la smettesse di parlare. Questi,
di rimando, gli si fece più vicino.
Rimasero in silenzio per un
po', poi Jim tirò su con il naso, una, due, tre, quattro
volte.
Spock si arrese e si girò a guardarlo.
Ma l'altro aveva gli
occhi chiusi e il collo che si sforzava per protrarsi in avanti verso
i suoi capelli -Capitano, le chiedo di spiegarmi la natura del suo
comportamento.-
Jim aprì leggermente le palpebre e gli lanciò
un mezzo sguardo gentile -Non ho capito una parola di quello che ha
detto.- sospirò, abbassando di nuovo le palpebre e
riprendendo a...
Spock non sapeva come definire quel gesto.
-Che sta facendo?-
chiese, sperando di essere stato comprensibile questa volta.
Jim
sorrise sornione, poi poggiò di nuovo il capo sulla sua
spalla -Ha
un buon profumo.- ammise sincero.
E Spock non seppe che dire,
rimase immobile e pensò solo che se fosse stato umano, se,
molto
probabilmente avrebbe trovato confortante portarsi una mano al volto
per manifestare la sua irritazione. Ma lui non era umano. Non del
tutto, almeno.
-Credo che l'atto dell'annusare non si confaccia
agli uomini, quanto più al popolo animale, signore.- disse,
con lo
stesso tono che avrebbe utilizzato per parlare ad un bambino umano.
Un irritante bambino umano.
Jim rise, poi sospirò quando
la plancia sembrò cominciare a girargli intorno e un
principio di
nausea andava ad ingombrargli la gola.
-Rimane il fatto che ha un
buon odore.- sussurrò a bassa voce, continuando a stringersi
nella
coperta termica.
-Dovrebbe provare a dormire.- suggerì il
vulcaniano, notando la stanchezza e la sofferenza sul suo viso.
Jim
non rispose, si limitò a mugolare qualcosa
d'incomprensibile,
persino per il sensibile udito di Spock, e si abbandonò
tentando di
trovare un po' di tranquillità nel sonno.
Due ore dopo Jim
stava vomitando. Si era alzato di scatto ed era scappato via
dall'angolino in cui si erano rifugiati. Spock lo aveva visto correre
verso il contenitore metallico in cui erano stipati i padd, svuotarlo
e chinarsi su di esso. Il vulcaniano si era messo subito in piedi e
si era avvicinato al capitano, questi stava tremando e tossendo, ma
si era voltato per un attimo verso di lui e con voce roca gli aveva
intimato di stargli lontano.
Poi Jim si era alzato, aveva
cominciato a tremare con maggior veemenza e si era accasciato sul
pavimento, cogliendo lo stesso Spock di sorpresa.
Questi lo
raccolse dal pavimento, prendendolo tra le braccia, senza molta
fatica lo portò nell'angolino che avevano condiviso per
quasi due
ore e gli adagiò addosso anche la sua coperta termica. Il
freddo si
era fatto aggressivo, molto più di quanto fosse stato prima,
e la
pelle del capitano non era più calda, ma la temperatura era
diminuita in maniera considerevole.
Prese il trasmettitore e si
sintonizzò nuovamente sulla frequenza del dottor McCoy.
Questi gli
rispose immediatamente ma la sua voce sembrava molto più
stressata
di quanto non lo fosse stata due ore prima.
-Come sta?- chiese
McCoy, senza perdere tempo.
-Ha vomitato ed è nuovamente
svenuto. La sua temperatura corporea è drasticamente
diminuita- si
fermò per premergli una mano sul collo -arrivando ai
trentadue gradi
Celsius.-
Sentì l'altro sospirare, evidentemente agitato
-Ascolti, lo deve tenere al caldo con tutti i mezzi che possiede. Gli
getti addosso tutte le coperte termiche che ci sono, tenti di
riscaldare l'ambiente con i phaser il più possibile,
condivida il
suo calore corporeo con lui.-
Spock osservò il capitano ancora
incosciente, represse un brivido al pensiero di dove condividere il
suo calore corporeo, ma si disse che stava solo
tremando a
causa del freddo.
-Spock, è lì?- si lamentò McCoy,
attendendo
una sua risposta.
-Dottore il mio dovere è cercare
un'alternativa alla soluzione in cui si trova attualmente la nave.-
L'altro grugnì il suo disappunto -Il suo primo dovere, in
questo
momento, è scongiurare che il capitano vada in ipotermia e
ci
rimetta la pelle.-
Spock non aveva mai sentito tanta
preoccupazione e agitazione nella voce del dottore, comprese il
perché il capitano non aveva voluto che l'altro sapesse.
-Spock
mi ascolti attentamente.- disse il medico, tentando di restare il
più
calmo possibile -Si spogli, faccia lo stesso con il capitano e tenti
di riscaldarlo con il suo corpo. Lei è vulcaniano,
è molto più
caldo di quanto non sia un terrestre.-
Il primo ufficiale fece
vagare lo sguardo sul capo biondo poggiato alle coperte che aveva
steso sul pavimento. La temperatura era scesa ancora, diventando
quasi artica, ad ogni suo respiro poteva vedere nuvole di aria calda
sprigionarsi dal suo corpo. Agli angoli dello schermo si erano
formate piccole chiazze di ghiaccio.
-Molto bene, dottore.-
acconsentì, finalmente -La contatterò se
dovessero esserci
complicazioni.-
McCoy sospirò -Mi auguro di non risentirla,
allora.-
. . .
Spock
lasciò che il capitano si adagiasse meglio sul suo petto, i
capelli
biondi gli solleticavano il collo e il naso dell'altro si scontrava
con le sue clavicole. Sentiva che l'altro aveva smesso di tremare, ma
sapeva che al di sotto dei trentadue gradi Celsius un corpo umano non
era più soggetto a brividi.
Jim mugolò qualcosa nel sonno, ma
Spock non riuscì a capire, così si
limitò ad osservare
distrattamente le pareti della plancia, le varie postazioni tutte
oscurate dalla luce d'emergenza che le dipingeva di un rosso
scarlatto.
Tirò la coperta termica fino a coprire il naso,
faceva troppo freddo, ora.
-Spock.- mormorò il capitano, e Spock
riuscì a percepire le labbra dell'altro muoversi sulla sua
pelle.
Represse un brivido che sicuramente non era dovuto
alla bassa
temperatura.
-Non si muova, sto condividendo il mio calore
corporeo con lei al fine di prevenire un drastico calo della sua
temperatura corporea e, conseguentemente, la sua morte.-
spiegò
lentamente, tentando di tenere saldi gli scudi della sua mente per
impedirsi di percepire le emozioni che fluivano da Jim. Ora che
questi era sveglio, però, esse si erano rinvigorite e gli
scudi
mentali di Spock non erano così resistenti,
poiché lui stesso si
sentiva molto debole.
Ora avvertiva confusione, paura e un velo
di gioia arrivare dal capitano.
-Mi sta dicendo che siamo nudi e
che quello che mi sta avvolgendo non è la coperta termica ma
lei?-
chiese il superiore e nella sua voce non c'era traccia
d'ilarità.
Spock riuscì a percepire solo una vaga sensazione che
somigliava
all'ansia -Esatto, capitano.-
Jim sbuffò divertito -Se proprio
dobbiamo dare vita al più vecchio di tutti i
cliché, quantomeno mi
chiami con il mio nome.-
Il vice non rispose, continuò a
guardarsi intorno mentre il capitano cercava di allontanarsi un po'
dal suo corpo.
-Non si allontani, il mio corpo è abbastanza
caldo da... -
-No, Spock. La prego. E' già abbastanza strano.-
mormorò l'altro, ritraendosi e poggiando il capo a terra,
sulla
coperta.
-Strano? Non riesco a comprendere.-
Jim rise, poi
socchiuse le palpebre perché la stanchezza lo stava
semplicemente
logorando -Eh. E' meglio che non comprenda, mi creda.-
Il
vulcaniano aspettò qualche secondo, il silenzio
calò tra loro e lui
poteva distinguere il freddo sulla pelle dell'altro. Senza pensarci
due volte si girò su un fianco e, molto lentamente,
allungò una
mano sulla schiena del capitano per avvicinarlo a sé.
-Spock.-
si lamentò questi, ma il vulcaniano non lo
ascoltò e intrecciò le
gambe con le sue.
-Anche la mia temperatura corporea sta subendo
una considerevole diminuzione. Dobbiamo tenerci caldi o soccomberemo
entrambi.- spiegò il vice, mentre l'altro alzava lo sguardo
su di
lui.
Jim non poté fare molto se non arrendersi e abbracciare il
suo primo ufficiale e nascondere il viso sulla sua spalla. Spock
sembrava così sottile, magro e slanciato, invece ora Jim
poteva
sentire i muscoli di quel corpo sotto le dita o direttamente dal
contatto di petto contro petto.
Spock era bello.
-Perché è
così in ansia?- chiese il vulcaniano, dopo alcuni minuti di
silenzio. Jim non riusciva a dormire e, purtroppo, fare finta di
essere caduto in un sonno profondo non era possibile dal momento che
era avvinghiato ad un telepate.
-Non sono in ansia.- mentì,
reprimendo un sussulto quando un brivido di freddo gli
attraversò la
schiena.
Spock se ne accorse e strofinò una mano calda sulle sue
spalle, fino a scendere verso il bacino. Ripeté il movimento
lentamente, in modo da riscaldarlo completamente. Jim
rabbrividì di
nuovo, non di certo per la temperatura.
-Riesco a percepire
quello che prova.- lo informò Spock, ma non c'era davvero
bisogno di
quell'informazione.
-Lo so. E' per questo che volevo allontanarmi
da lei.-
L'ufficiale continuò ad accarezzarlo dolcemente, il
capitano chiuse gli occhi e non poté che lasciarsi andare,
accettare
quel tocco caldo e goderne.
Ma non poteva. Oh, non poteva. Era
sbagliato stare lì ed accettare quelle mani ardenti e
sperare che
non smettessero mai di bruciargli la pelle.
Sbagliato.
-Ora
percepisco un sentimento negativo.- gli disse il vulcaniano,
guardandolo con i suoi occhi scuri e curiosi. Jim pensò che
Spock
avesse gli occhi più puri di tutto l'universo, come quelli
di un
bambino che, affascinato, vede ogni cosa per la prima volta.
Pensò
che avrebbe potuto uccidere per quegli occhi. Poi si ricordò
che
quelle gemme d'ossidiana non gli appartenevano.
-Non avrei dovuto
fare quello che ho fatto.- disse Jim, ma non sapeva di cosa stesse
parlando. Ormai i suoi pensieri sembravano fluire direttamente dalle
sue labbra -Non avrei dovuto confonderla. Mi dispiace. Sono il
capitano e lei è il mio primo ufficiale e, mi creda Spock,
mi creda
se le dico che il pensiero di... me e lei, no, non
mi aveva
mai sfiorato prima.-
Lo sguardo di Spock attraversò i suoi occhi
azzurri, guardandolo come se fosse una complicata equazione
matematica che non riusciva proprio a risolvere.
-Ho fatto molte
cose stupide, ultimamente.- ridacchiò Jim, imbarazzato.
Anche se in
quella trappola di braccia e carne si sentiva protetto; sapeva che
avrebbe potuto aprirsi completamente e nessuno l'avrebbe giudicato.
Non ci sarebbero stati sguardi di compassione o sorrisi carichi di
pietà.
Lui non voleva la pietà di nessuno, non l'aveva mai
voluta. Era per questo che non si era mai aperto con anima viva, se
non con Bones. Era quello il motivo che lo spingeva a non parlare mai
del suo passato, della sua famiglia, della sua miserabile vita.
Per
il resto del mondo lui, Jim Kirk, era nato il giorno in cui aveva
messo piede sullo shuttle che l'avrebbe trasportato a San Francisco.
Spock non gli rispose, ma Jim ci avrebbe scommesso la poltrona
che l'altro stava scansionando tutte le sensazioni che si stavano
alternando dentro di sé.
Chiuse gli occhi e lasciò scivolare una
mano verso il suo petto, scese fino al ventre prima di arrivare al
fianco: lì, dove pulsava il cuore di Spock. Il vulcaniano si
mosse
appena, Jim lo prese come un sussulto, anche se l'altro non l'avrebbe
mai ammesso, neppure sotto tortura.
Si concentrò per un po',
così da sentire il cuore vulcaniano pompare sotto le sue
dita, ad
una velocità maggiore rispetto a quella del suo stesso
muscolo
cardiaco. Ma era rilassante, lo faceva sentire meno solo.
-Perché
ha agito in quel modo, se sapeva che era un errore?- chiese il primo
ufficiale, osservando la mano del capitano lì, sul suo
cuore.
Jim
sorrise, poi lo guardò -Non mi sembra di averla costretta.
Anche lei
sapeva di quanto fosse sbagliato, eppure non l'ho vista mollarmi un
pugno e scappare.-
Il vulcaniano inarcò un sopracciglio,
perplesso -Per quale motivo avrei dovuto utilizzare la violenza su di
lei? Sono piuttosto certo che nel suo atto non ci fosse alcun segno
di aggressività.-
-Era un modo di dire.- chiarì il superiore
-Quello che voglio dire è che... mi piace pensare che io sia
un
disastro e che combini un guaio dietro l'altro. Ma su quel pianeta,
non so, ho sbagliato e forse non avrei dovuto avvicinarmi a lei, ma
allo stesso tempo non ero da solo.- borbottò Jim.
-Intende dire
che dal momento in cui ho ricambiato il suo bacio, l'errore
è stato
diviso in parti uguali tra me e lei.-
Jim stirò le labbra in un
ghigno stanco, le palpebre faticavano a restare aperte. Non tremava
più, ma il suo corpo era così freddo.
-Ho preso un abbaglio,
credevo di poter trovare quello che stavo cercando senza accorgermi
che era un miraggio. Quello che cerco non esiste.-
Spock
percepì un flusso di delusione, tristezza, rassegnazione
arrivare
direttamente dall'altro. Questi sentimenti erano freddi più
della
stessa temperatura che li stava avvolgendo. E capì che non
era il
corpo del capitano a congelare, ma il suo animo, la sua mente. Ogni
giorno Jim perdeva un po' di sé. E lui non lo aveva mai
notato
prima, perché il suo superiore era bravo a nascondere tutto
dietro
il suo esuberante e sfrontato comportamento, dietro occhi di ghiaccio
che si sforzavano di sorridere. Spock si chiese se non fosse il
peggior primo ufficiale tra tutti quelli che operavano sulle altre
navi della flotta.
-Come fa a... - cominciò il vice, ma Jim lo
frenò.
-Quando avevo dieci anni... - disse, con un sorriso
stanco e triste, troppo triste -... mio fratello
Sam lasciò
la fattoria in cui vivevo. Ha visto quel ricordo, durante la fusione.
Dopo che mi disse di non poter restare in quella casa perché
lì non
riusciva ad essere un Kirk, mi chiese di insegnarglielo. Ma io non
potevo.- gli occhi del capitano divennero lucidi, ma non pianse.
Spock si lasciò scivolare sulla schiena e si tirò
il capitano
dietro, così che questi fosse disteso per metà su
di lui.
-Io
stesso non mi sentivo un Kirk. Cosa avevo di quel grande eroe di cui
tutti parlavano? Studiavo, facevo ciò che mi veniva
chiesto...
aspettavo una madre che mi aveva abbandonato. Non ero un eroe, e non
mi pareva di essere neppure il figlio di un grande
uomo. Così
decisi di smettere di essere un Kirk, così come mio fratello
aveva
detto. Decisi di non essere più un bravo ragazzo e seguire
le
regole. Decisi di smetterla di essere “la copia sputata di
mio
padre”.-
Spock fece vagare una mano verso quella del capitano
ancora poggiata al suo fianco. Intrecciò due dita con le
sue, e un
calore del tutto nuovo gli entrò dentro.
Si trovò a sospirare
mentre qualcosa, nel suo cervello, gli suggeriva quanto piacevole
fosse quel contatto. Le sue dita con quelle di Jim.
L'altro
continuò a parlare -Rubai l'auto che quel coglione di Frank
mi aveva
detto di lavare. Quella era di mio padre, sa? Un'auto d'epoca.
Bellissima. La rubai e cominciai a guidarla.- tirò su con il
naso
-cinquanta, sessanta, settanta chilometri orari. Sorpassai Sammy e
gli feci vedere chi era il perfetto James Tiberius
Kirk.
Ottanta, novanta, centodieci; la velocità aumentava, ed io
premevo
su quell'acceleratore a cui a stento arrivavo, Spock.-
I due si
guardarono, Kirk era spaccato in due tra l'euforia che provava
ripensando a quel momento e l'abissale malinconia. Spock
tentò
d'infondergli un po' di calma. Ma non ce n'era molta per nessuno. La
temperatura era scesa ancora, lo schermo si era congelato in
più
punti, le luci d'emergenza non avrebbero retto ancora a lungo.
Ma
il vulcaniano continuò a trasmettergli la pace della mente e
dell'anima, attraverso quel bacio infinito tra le loro dita.
-La
polizia mi seguiva, io sterzai tentando di seminarla. Arrivai alla
cava di Riverside. Non c'era possibilità che mi fermassi in
tempo.-
Jim alzò la voce, l'euforia del momento penetrò
dentro Spock, lo
lasciò senza fiato -Sarei caduto nella cava, avrei volato
dentro
quella Corvette e mi sarei schiantato contro le rocce.-
Spock
osservò l'altro lottare contro la stanchezza e il freddo,
piantare
la mano libera a terra e farsi forza sulle ginocchia. Jim
salì su
Spock, cavalcioni sul suo bacino, separati solo dall'intimo.
La
termocoperta scivolò di lato e l'aria ghiacciata li
colpì entrambi.
Ma non si mossero, gli occhi di Jim stavano ipnotizzando il suo
primo ufficiale -Cosa ha fatto, allora?- chiese questi.
-Ho
aspettato che l'auto arrivasse fin quasi al precipizio, ho ingranato
la quinta. Vedevo tutta la cava e, in lontananza, l'English River.
Mio Dio, sembrava di stare sul tetto del mondo.-
Jim rise, tremò
e si abbassò sul suo collo. Non lo sfiorò
così come Spock si era
aspettato, rimase semplicemente vicino a lui, a respirare aria calda
sulla sua pelle. Di rimando, il vulcaniano strinse la presa sulle
dita ancora intrecciate.
-Sono saltato fuori dall'auto, quando
questa era ormai in fase di caduta. Sono caduto sul terreno,
scivolando all'indietro, fino quasi a finire per davvero nel
precipizio.- mormorò sulla pelle chiara del suo vice -E ho
capito,
Spock. Ho capito tutto, in quel momento. L'amore,
l'affetto,
l'essere importanti per qualcuno... non ero bravo in quelle cose.
Nessuno mi voleva per davvero, mi respingevano perché per
loro io
ero nessuno. Ma l'adrenalina, rischiare la pelle, la
velocità...
quelle semplici cose mi avevano fatto sentire vivo, vivo,
per
la prima volta.-
Spock non parlò, avrebbe voluto dire che molti
umani trovavano conferma della loro vita nel momento di maggiore
pericolo per questa. Avrebbe voluto ricordargli che era solo una
reazione chimica nel momento in cui l'adrenalina veniva rilasciata
nelle sinapsi del sistema nervoso centrale. Ma non lo fece.
Perché
Jim lo stava guardando con una sincerità e una speranza
tali... da
fargli male. Sentiva un vero e proprio dolore,
nella mente.
-Non m'importa essere importante per qualcuno, Spock. L'ho capito
quel giorno, ho compreso quello che in molti non capiranno mai.
Volevo essere importante per me, volevo sentirmi di nuovo vivo,
volevo fare quello che mi faceva stare bene.-
Spock gli accarezzò
il palmo della mano con il pollice -Essere il capitano di una nave...
è esattamente l'opposto di tutto quello che ha detto.-
mormorò a
bassa voce.
Jim annuì e riposò di nuovo contro la sua spalla,
Spock tirò la coperta su di loro, così da
riscaldarsi di nuovo.
-Sì... - sussurrò Jim poggiando le labbra sulla
sua pelle -...
le cose ora sono diverse. Io non esisto più, ora ci siete
voi. Tutti
voi, e questa nave. La mia nave. Nata e cresciuta nella mia stessa
città, in quel cantiere navale che ogni tanto spiavo da
lontano.-
Rimasero in silenzio ancora per un po', stretti l'uno all'altro,
le dita di Spock che non riuscivano a fermarsi. Non volevano
fermarsi. Stava accarezzando Jim, sfiorandolo come aveva fatto solo
con Nyota, e ora l'intimità che li avvolgeva era qualcosa di
nuovo
per lui.
Il contatto tra loro non era solo qualcosa di fisico, si
ritrovò a pensare, c'erano le loro menti che pur separate
sembravano, allo stesso tempo, così vicine. Come se
volessero
protendersi l'una verso l'altra.
E Spock cedette agli impulsi di
quella parte della sua mente che cercava, voleva ed aveva bisogno di
Jim Kirk.
Cedette, come aveva già fatto in passato.
-Aveva
detto che non ci sarebbe più stato nulla tra noi.-
sospirò Jim.
Spock abbassò le palpebre e pensò a quello che
stava facendo,
le sue dita stavano accarezzando quelle di Jim in un movimento lento
e ipnotico. Voleva essere rilassante ma, allo stesso tempo, stava
dicendo molto di più. Allora si rese conto che non era la
prima
volta che i loro corpi parlavano per loro ma, anzi, era già
avvenuto
tutte le volte in cui i loro sguardi si erano incontrati restando
bloccati l'uno nell'altro e loro non ne avevano mai compreso il
motivo.
C'era qualcosa che lo proiettava verso il suo capitano,
qualcosa che era stato partorito nella sua mente sin dal primo
momento in cui lo aveva visto nella camera di simulazione durante il
test della Kobayashi Maru. Qualcosa che non poteva evitare e che gli
suggeriva solo quanto importante fosse quell'imprevedibile umano
biondo dagli occhi di un azzurro sereno, come il cielo d'estate.
-Io
e il tenente Uhura non abbiamo intenzione di interrompere il nostro
intercorso emotivo.- chiarì, ma le sue dita continuavano a
corteggiare quelle di Kirk -Mi trovo a dover ammettere,
però, che
quando sono in sua presenza, ho difficoltà nel moderare e
frenare le
mie azioni. Lei riesce a confondermi ad un punto tale da farmi
commettere atti puramente illogici.-
E questo doveva cambiare,
questo doveva avere fine. Sapeva che il suo comportamento
così poco
da vulcaniano era un prodotto di tutte quelle emozioni che, nel corso
degli anni, erano andate a fargli visita: i suoi coetanei che non
l'avevano mai accettato; i membri del concilio vulcaniano che lo
avevano disprezzato apertamente per il suo svantaggio
(sua
madre umana) e avevano mostrato accondiscendenza verso i suoi studi
ed il suo impegno; gli anni all'accademia e le difficoltà
nell'essere accettati tra esseri puramente estranei alla logica e
alla soppressione dei sentimenti; la distruzione di Vulcano, quando
aveva sentito chiaramente la maggior parte dei suoi simili
morire. E poi, alla fine di tutto, Jim Kirk e il fatto che fosse
riuscito a provocare più di una reazione emotiva, in lui. In
realtà,
pensandoci, il capitano era riuscito a suscitare vaghi momenti
(seppure di una durata infinitesimale) di rabbia, irritazione,
confusione e persino preoccupazione.
Ora doveva trovare un modo
per stabilizzare di nuovo la sua mente, la sua vita, smetterla di
lasciarsi controllare da un legame (un impulso della
mente)
creatosi per puro caso, con Jim.
Lui non era un essere impulsivo,
era vulcaniano e come tale aveva devoluto la sua vita agli
insegnamenti di Surak.
Avrebbe cercato quella quiete che sin da
bambino gli era mancata. Aveva deciso.
A costo di lasciar andare
anche Nyota.
La logica gli imponeva di salvaguardare prima di
tutto la sua stabilità mentale, in modo da poter continuare
con il
suo lavoro, poi alle relazioni sociali ed emotive
con
eventuali umani.
I suoi pensieri furono interrotti da Jim che
allontanò la mano da lui e le fece vagare sul suo petto,
fino a
risalire al suo volto.
Portò le mani sulle sue guance e,
lentamente, si abbassò fino a poggiare un casto bacio sulle
sue
labbra -Le chiedo scusa se i miei modi di fare le arrecano
così
tanto disturbo.- sorrise il capitano -Da oggi saremo solo amici,
Spock. Non voglio che le cose tra noi si complichino, gliel'ho
già
detto una volta. Dobbiamo solo dimenticare quello che è
accaduto ed
andare avanti. Voglio che lei rimanga sulla nave e che continui ad
essere il mio primo ufficiale.-
Il vulcaniano annuì una sola
volta, perdendosi negli occhi del suo superiore che parevano volerlo
divorare. Nel suo tocco c'era passione, desiderio,
ma anche
sincerità.
Jim voleva davvero che loro fossero amici, ma quella
non era la sua unica volontà.
Spock non sapeva bene cosa
significasse essere amico di qualcuno, quindi non rispose al
capitano.
Jim ritornò a prendere possesso dell'angolino tra il
collo e la spalla di Spock e chiuse gli occhi per riposare.
Era
inutile forzare qualcosa che non voleva essere forzato, si disse Jim.
Spock non era una delle sue conquiste, possibile da manipolare fino a
quando non avrebbe potuto portarlo a letto.
C'era molto di più
in gioco, e solo ora se ne rendeva conto. Solo in quel momento,
mentre la nave andava alla deriva nell'universo freddo e loro molto
probabilmente sarebbero morti assiderati.
Quando i ricordi
dell'ambasciatore Spock erano venuti fuori durante la fusione con il
suo primo ufficiale, si era reso conto del fatto che la controparte
del suo giovane vice, fosse innamorato del suo capitano. Non sapeva
come le cose fossero andate tra i due, se si fossero trovati ad un
certo punto della loro vita o se, semplicemente, l'amore di quello
Spock fosse rimasto occultato dietro la sua logica e disciplina
vulcaniana.
Ma le cose tra sé e il suo attuale ufficiale
scientifico, sarebbero state diverse. Aveva fatto tanto per
inquadrare il suo secondo in comando, e ancora faticava a
comprenderlo e a trovare un modo per far sì che
funzionassero
insieme per il bene dell'intera nave. Non poteva mandare tutto al
diavolo, non ora. Non dopo tutto quello che avevano passato per
essere lì.
Si sarebbe concentrato solo sulla loro amicizia
nascente, avrebbe ignorato i suoi desideri fisici e quel richiamo che
arrivava da Spock ad ogni loro contatto o anche ad un semplice
scambio di sguardi.
L'avrebbe lasciato andare e continuare la sua
relazione con Uhura. Perché era ciò che doveva
fare, ciò che un
amico avrebbe fatto.
-Un passo indietro, Spock.- sussurrò sulla
pelle del suo vice, calda e accogliente -Farò un passo
indietro,
glielo devo.-
. . .
La
temperatura sul ponte di comando aveva oramai raggiunto picchi
polari. Non si erano sbagliati quando avevano predetto che la plancia
sarebbe stata invasa dal freddo dello spazio molto prima di tutti gli
altri ponti.
Spock non si muoveva più, molto probabilmente
impegnato nella meditazione per allontanare la sensazione di freddo
da sé. Jim, dal canto suo, si era svegliato ed era sceso dal
corpo
del suo vice, così da lasciarlo meditare in pace.
Ora era
disteso sulla schiena e si teneva stretto alla termocoperta, con lo
sguardo perso nel vuoto; non sapeva quanto tempo fosse passato da
quando erano saliti in plancia. Potevano essere trascorsi giorni,
ore, o anche solo una manciata di minuti.
Non riusciva a pensare
lucidamente, il freddo gli era entrato nella pelle, aveva lambito le
sue ossa e lui poteva sentirlo scivolare fino alla sua anima. Era la
sensazione peggiore della sua intera esistenza.
Guardò Spock
steso accanto a lui, represse la voglia di allungare un braccio e
stringerli la mano, non poteva. Doveva smetterla di imporsi in quel
modo con il suo primo ufficiale, agire come se ci fosse davvero la
possibilità di qualcosa tra loro.
Da quando avevano cominciato a
lavorare insieme non aveva fatto altro che comportarsi in modo
bizzarro. Era sempre stato cosciente del fatto che i vulcaniani
fuggissero al contatto fisico e alle sensazioni generate negli altri
esseri. E lui non aveva fatto altro che stargli il più
vicino
possibile, perdersi nei suoi occhi scuri e sfiorarlo ogni volta con
la scusa di un contatto involontario.
Quando si erano baciati
sapeva che l'altro l'aveva voluto tanto quanto lui, ma il punto non
stava in quello. Spock era stato chiaro: si era sentito confuso.
E questa verità faceva male, perché lui non
poteva avere il suo
primo ufficiale grazie alle complicazioni emotive che creava in lui.
E poi, si disse Jim, i vulcaniani erano esseri che sceglievano un
compagno per la vita, creando un legame e restando insieme fino alla
fine dei loro giorni. E lui, Jim Kirk, non aveva mai avuto una
relazione che fosse durata più di... quattro ore. Mai stato
con la
stessa donna (e qualche volta uomo, senza contare qualche alieno dal
sesso non ancora ben definito), due volte.
Lui non credeva
all'amore, non ci aveva mai creduto. Più che altro ci aveva sperato,
e questo era pronto ad ammetterlo solo a se stesso.
Molto
probabilmente nemmeno Spock (in quanto vulcaniano) credeva all'amore,
non come gli esseri umani, almeno. Però il dato di fatto
rimaneva:
avrebbe scelto un compagno per la vita, e Jim non sarebbe potuto
essere una delle possibili scelte.
Sbuffò quando un'altra ondata
di freddo gli solleticò la pelle, per un attimo gli venne in
mente
quando Lena era entrata dentro di lui e tutto quello che aveva
sentito era stato fuoco. Con il suo calore gli
aveva invaso
le membra e ora avrebbe dato tutto per poter sentire di nuovo quel
tepore.
-Lena.- ricordò Jim, ripensando all'essere ancora
imprigionato nella sua gabbia in silicone.
Chiuse gli occhi e
ricordò l'ultima missione e tutto quello che era accaduto
nella
precedente settimana.
Ancora una volta si sentiva un fallimento
come capitano.
Neppure aveva cominciato il suo mandato (nemmeno
un anno) e già tutto andava a rotoli. Si fece i complimenti
da solo.
Calore.
Quella semplice parola gli aveva suggerito
qualcosa, un indizio ben nascosto nella sua mente che però
non
riusciva a portare alla luce.
Luce.
All'improvviso
spalancò le palpebre, osservò le luci d'emergenza
la cui intensità
era diminuita annunciando che a breve si sarebbero spente.
-Certo...
- mormorò, portandosi seduto. La termocoperta
scivolò dal suo corpo
e Spock interruppe la meditazione per fissarlo confuso.
Jim si
guardò intorno e sorrise, rilasciando uno sbuffo divertito
-Certo,
certo, certo!- disse, mettendosi in piedi e prendendo abiti a caso.
Non vedeva benissimo, i vestiti erano stati tolti da Spock e,
nonostante la meticolosità del vulcaniano, erano stati
gettati alla
rinfusa nel momento di maggiore pericolo per Jim.
Indossò la
divisa il meglio che poté, sperando di non averla messa al
contrario.
-Capitano... - lo richiamò Spock ma l'altro non
ascoltò, limitandosi a prendere il phaser tra le mani.
Il freddo
era insostenibile e il primo ufficiale si chiedeva come facesse il
superiore a stare fuori la coperta termica.
-Spock!- Jim si voltò
verso di lui e si abbassò fino ad incontrare il suo sguardo
-Ora lei
si vestirà e si metterà al timone. Quando
l'energia sarà tornata
si spinga al massimo della velocità e ci porti dall'altra
parte del
confine, il prima possibile. Ok?-
Il vulcaniano lo guardò
impassibile, ma il sopracciglio inarcato stava ad indicare tutta la
confusione del momento. Il capitano stava sorridendo, i suoi occhi
azzurri erano carichi di quella speranza che da tanto tempo non
vedeva in essi.
La stessa che li aveva illuminati nella battaglia
contro Nero.
-Quale energia? Il freddo le ha... -
-No! Faccia
come le ho detto. Si vesta e ricordi i miei ordini.- lo interruppe
Jim e poi gli portò una mano sulla spalla.
Spock percepì paura,
calore, speranza e un vago accenno di malinconia -Vi ho promesso che
vi avrei portati fuori di qui. E' quello che intendo fare.- disse il
superiore, rimettendosi in piedi.
Puntò il phaser alla massima
potenza, poi si girò verso il turboascensore.
. . .
Leonard
guardò verso l'entrata della sala. Gli sembrava di aver
sentito un
rumore sordo provenire dal retro della paratia, ma doveva essere
stata la sua impressione.
Si strinse nella termocoperta e guardò
il resto dell'equipaggio a pochi passi da lui. Si erano concentrati
tutti in una parte della sala, accatastandosi gli uni sugli altri. Il
freddo cominciava ad intensificarsi e lui non sapeva che altro fare
per farli stare meglio.
Vide il tenente Giotto premurarsi di
riscaldare le pareti, come faceva ogni mezz'ora. Ma con il freddo che
andava peggiorando sempre più, neppure quel tiepido calore
avrebbe
fatto qualcosa.
Il rumore ritornò, lui si voltò di nuovo verso
l'entrata della sala; era come se qualcuno stesse correndo o
scalciando. Ma non era possibile, l'intero equipaggio era stato
spostato in sala ricreativa, a parte per i due sul ponte e la squadra
dei sei ingegneri rimasti in sala macchine.
Non c'era più
energia, era impossibile che qualcuno si fosse mosso dal proprio
posto per andare a zonzo nella nave.
Eppure qualsiasi cosa fosse
quel rumore, si fece più vicino. E Leonard aveva una brutta
sensazione.
Grugnì seccato e prese il comunicatore per mettersi
in contatto con Spock. Magari quei due sul ponte erano al corrente di
quanto stesse accadendo.
-McCoy a Spock.- chiamò, ma non giunse
alcuna risposta. Aggrottò le sopracciglia e ci
riprovò di nuovo
-Qui McCoy, signor Spock è lì?-
Ancora nessuna risposta. Il
rumore si fece tanto vicino e lui pensò che ci fosse
qualcuno dietro
la parete sulla quale era poggiato.
-Spock, dannazione!
Risponda!-
Uhura gli si avvicinò, guardandolo dall'alto -C'è
qualche problema, dottore?- chiese preoccupata.
Questi le fece
cenno di stare seduta -Sto cercando di contattare il suo fidanzato,
ma non risponde.-
La ragazza tremò, e lui si sentì in colpa per
averle instillato un altro cruccio. Doveva già essere
abbastanza
preoccupata di suo.
-Sono certo che starà in fase di
meditazione. O forse starà cercando di non far morire
assiderato il
capitano.-
Lei annuì lentamente, lo sguardo incerto e l'ansia
dipinta sul volto.
Dopo attimi che parvero eterni, il
comunicatore trillò e la voce di Spock si espanse dalla
piccola
cassa -Parla Spock.- disse semplicemente.
Leonard non si accorse
di aver sospirato di gioia, si limitò a sbraitare -Quando il
dottore
chiama, voi dovreste rispondere! Nessuno ve l'ha insegnato?- quasi
urlò.
-Siamo stati impegnati al fine di trovare una soluzione
per poter riportare energia alla nave.-
Uhura sorrise debolmente
e scosse il capo -Come sta Jim? Si è ripreso?-
Spock impiegò
qualche secondo per rispondere -Non ne sono certo, a dire il vero.
Fisicamente sembra essersi completamente ripreso, nonostante la sua
debolezza sia palese. Penso, soprattutto, che le sue condizioni
psichiche ne abbiano risentito, dal momento che in quest'attimo ha
deciso di calarsi nel condotto del turboascensore.-
Bones sgranò
le palpebre -Ecco il rumore.- mormorò tra sé e
sé -E di grazia,
dove sta andando?-
-Non ne sono a conoscenza. Mi ha dato ordine
di restare al timone ed aspettare che l'energia sia di nuovo in
circolo, così da poter condurre la nave fuori da questa
galassia.-
Uhura lo guardò con un'espressione indecifrabile: tra lo
scettico e il felice.
-Mi sta dicendo che sta scendendo in sala
macchine?-
Il tono del primo ufficiale rimase inalterato ma, e
Bones ci avrebbe scommesso la testa, doveva sicuramente essere
seccato -Credo ci siano problemi di comunicazione, forse è
per
questo che non ha compreso la mia precedente affermazione. Non
ne
sono a conoscenza, dottore.-
Uhura si portò le mani al volto
e sorrise, senza sapere cosa provare e Leonard si sentiva come lei,
capiva benissimo la sua collega.
-Va bene, va bene! Ma mi
contatti se succede qualcosa!- sospirò rassegnato, lasciando
andare
la comunicazione.
-Quell'idiota... - digrignò i denti e la donna
accanto a lui si lasciò sfuggire una vera e propria risata.
-E'
sempre il solito, non è così?- disse lei.
Il medico si girò a
guardarla e notò una lacrima scivolarle da una palpebra. La
sua
espressione sembrava felice, preoccupata, rassegnata.
-Sì, quel
dannato.- rispose Bones. Allo stesso tempo lui stesso sperava che il
suo capitano riuscisse a tirarli fuori da quella situazione.
Qualsiasi piano avesse in mente.
Il rumore al di là delle pareti
non lo insospettiva più, era Jim, ora lo sapeva. Non lo
aveva mai
sentito così vicino come in quel momento. Poggiò
il capo contro la
parete e chiuse gli occhi.
-Dannato, dannato capitano.- sussurrò.
Uhura lo fissò con un sorriso ambiguo.
Si chiese chi, tra le
quattrocento anime presenti su quella nave, non fosse innamorato di
quel disastro dai capelli biondi e dall'animo indomabile.
Il
capitano James T. Kirk che, ancora una volta, tentava il tutto per
tutto per salvare loro la pelle.
. . .
Jim
corse verso la prigione in fondo al corridoio. Era la sala
più
grande, in cui avevano rinchiuso Lena. Sperò che l'essere
fosse
ancora lì, che non si fosse liberato in alcun modo.
Puntò il
phaser verso le porte serrate e sparò il laser al massimo
della sua
potenza. Riuscì a sciogliere metà della
superficie e, quando si
aprì un passaggio più che sufficiente
entrò all'interno della
sala.
Corse verso la gabbia in silicone e, per sua grande gioia,
la sfera di luce era ancora lì. Quando lui si
avvicinò essa vibrò
leggermente.
Jim ansimò sentendo il corpo sempre più debole a
causa della febbre, il freddo e lo sforzo fisico per arrivare fin
lì.
Era stremato e le ginocchia non lo ressero, così cadde sul
pavimento. La testa gli girava e la stanza cominciò a
vorticargli
intorno, ma lui s'impose di resistere ancora un po'.
Solo qualche
altro minuto.
-Lena... - ansimò -... so che puoi sentirmi e
capirmi. Lo so.-
Si chiese se non fosse un piano troppo stupido.
Come sempre si era gettato prima ancora di sapere cosa fare; e se
l'essere non avesse accettato? Se li avesse uccisi o, peggio, fosse
scappato lasciandoli morire in quell'inferno di ghiaccio?
Ma
doveva provarci perché non c'era nient'altro che potesse
fare.
-Ti
ho lasciato vivere perché non sopportavo l'idea che tu
morissi. Mi
hai aiutato, ci hai aiutati e... capisco che dalla
tua nascita
le cose non sono state facili.- la osservò mentre la luce si
avvicinava lentamente al vetro -Neppure per me lo sono state. Siamo
nati in un mondo che non ci ha accettati da subito. Ma per me
è
arrivato il momento di riscattarmi e ho preso il comando di questa
nave, mi sono spinto in avanti tentando di dimostrare agli altri che
valevo qualcosa. Che io ero qualcuno. -
La luce frenò la
sua avanzata e lui la guardò ancora per qualche secondo, la
stanza
era completamente buia, solo quella sfera luminescente brillava
nell'oscurità.
-Ora sta a te scegliere come andare avanti. Io ho
voluto che tu avessi una possibilità, che non perissi come i
tuoi
simili, perché tu stessa hai preferito vivere piuttosto che
uccidere
altri esseri viventi.-
Mirò la barra luminosa che ancora
stringeva tra le mani, si era scaricata ed ora non emanava che una
flebile luce verdognola.
-La nave non ha più energia. Stiamo
morendo tutti, se non attraverseremo il confine e torneremo nella
nostra galassia per sostituire i cristalli di dilitio, beh... allora
periremo in neppure poche ore. Il freddo ci sta devastando.- disse,
guardandola deciso.
-Sono qui, ora, e sto tentando il tutto per
tutto. Hai detto che volevi servirmi, che avresti fatto di tutto per
me. Hai detto di potermi amare.- prese un respiro profondo, mentre i
suoi occhi azzurri guardavano la sfera luminosa con determinazione
-L'amore è dare senza chiedere nulla in cambio, Lena. Amore
è fare
qualcosa per l'altro solo per vederlo felice; stargli accanto anche
se non fisicamente. Non sempre questo sentimento è come lo
immaginiamo, a volte possiamo solo amare da lontano, ma questo non
significa che ciò che proviamo sia meno puro o reale. Il
compromesso, Lena. Amore è scendere a compromessi con la
volontà di
colui che vorremmo accanto.-
La luce vibrò di nuovo e Jim puntò
il phaser verso la serratura blindata della gabbia -In questo momento
ti sto chiedendo di scendere a compromessi con la tua sete di
vendetta, contro chi ti ha fatto del male, contro me che ti ho
tradita. Ti sto chiedendo di dimostrarmi il tuo amore, salvando la
mia vita e quella degli esseri che mi stanno più a cuore.-
Prese
un profondo respiro e sparò alla serratura, la vide scattare
e la
porta si aprì, cigolando. In un battito di ciglia, l'intera
camera
venne pervasa da un chiarore accecante.
Jim serrò le palpebre;
sperò, pregò che Lena li aiutasse. Non sapeva
cosa sarebbe
successo, tanto più perché l'essere era troppo
veloce per essere
percepito. Ora era libero, avrebbe potuto andarsene senza
più fare
ritorno, e lui avrebbe perso l'ultima speranza per poter salvare la
nave.
Sentì un boato risalire dalla sala macchine, come l'urlo
di un demone dai meandri del profondo inferno. Ci fu una scossa che
lo fece cadere con la schiena contro il pavimento; la luce lo stava
ancora circondando e lui si rifiutò di aprire gli occhi.
Sentiva
che non avrebbe dovuto, Lena non voleva farsi vedere. Qualunque
decisione avesse preso.
Non capì neppure come successe ma la
nave cominciò a muoversi e tutto riprese vita: i generatori,
le luci
artificiali, i supporti vitali.
Quando fu certo che l'intensità
dell'illuminazione non fosse più quella derivante dal
Ma'Toi, aprì
gli occhi; vedere di nuovo l'energia scorrere nella sua nave (come
sangue nelle vene di un caldo corpo umano) fu la sensazione
più
appagante che avesse mai provato in vita sua.
Sospirò di gioia,
ansimò e sentì l'emozione scoppiargli nel petto.
Rise, perché
altrimenti avrebbe pianto.
Si voltò verso le grate di
condizionamento dell'aria e le sentì emanare aria calda.
Ce
l'aveva fatta.
. . .
Spock
non capiva come fosse possibile ma, nell'esatto momento in cui tutti
i supporti energetici ritornavano a dare segni di funzionamento, fece
come gli era stato ordinato ed impostò la rotta per il
confine e la
velocità massima. La nave impiegò esattamente 2.5
nanosecondi prima
di spingersi in avanti ed entrare in curvatura.
Il comunicatore
interno fischiò l'arrivo di una chiamata, lui la raccolse
dalla
stessa postazione di navigazione -Qui Spock.-
Ci fu un attimo di
silenzio, poi la voce del computer prese vita e gli arrivò
diritta
ai timpani -L'ho fatto perché lo amo. Vi ho salvati tutti
perchè
lui me l'ha chiesto.- disse la voce.
Spock non comprese, il
computer aveva avuto un malfunzionamento?
-Ma non posso
dimenticare quello che mi è stato fatto. Non posso. E per
quanto io
lo ami, quando sarò pronta tornerò ad ucciderlo,
ad uccidere
tutti.-
Il
primo ufficiale fece per chiedere chiarimenti ma poi lentamente
capì
quello che doveva essere successo; non ci sarebbe stata alcuna altra
alternativa se non quella di liberare il Ma'Toi e fargli prendere il
possesso della nave. Permettergli di dare energia ai loro supporti
vitali fino a fargli raggiungere il confine e superarlo,
così come
avevano fatto quando erano giunti in quella stessa galassia.
Era
Lena a parlare, attraverso il computer della nave.
-Quindi,
vulcano,
te lo dirò adesso e sarà meglio che non
dimentichi le mie parole:
restagli accanto e fa di tutto per proteggerlo, perché
quando ci
incontreremo di nuovo io estirperò la vita dal suo corpo...
-
Spock
osservò il timone, sentì le porte del
turboascensore aprirsi,
qualcuno stava arrivando -Ma tu hai detto di amarlo.-
Lena non
rispose subito, poi la voce computerizzata spiegò -Lo amo
tanto da
non poterlo sapere lontano da me. Lo amo tanto da non sopportare che
possa essere toccato, amato, da chiunque altro. Lo amo tanto da
impazzire.-
La comunicazione s'interruppe, sentì dei passi
risuonare dietro di lui, una mano poggiarsi alla sua spalla. Si
girò
ed incontrò lo sguardo confuso di Uhura, stava fissando la
maglia
della sua divisa.
Spock neppure se n'era
accorto, abbassò lo sguardo e si rese conto di avere addosso
la
divisa di Jim, il suo profumo imprigionato nel tessuto color oro.
Non
disse nulla,
la plancia si stava riempiendo con gli ufficiali che avevano voluto
riprendere il servizio.
Si alzò in piedi quando Sulu si avvicinò
a loro -Comandante.- il
timoniere sorrise incerto.
Spock lo salutò abbassando il capo per poi
dirigersi verso la sua postazione; ignorò gli sguardi
curiosi di chi
si accorgeva del suo abbigliamento. Non pensò neppure per un
attimo
di andare in cabina per cambiarsi.
Qualcosa, nel petto, si
contorse e diede vita ad un'emozione. Non sapeva quale fosse, non
l'aveva mai provata prima. Era calda, eccitante, intossicante.
Quando Jim arrivò in plancia, tenendosi a stento sulle
gambe,
notò che l'altro aveva indosso
la divisa blu
della
sezione scientifica.
La sensazione dentro il vulcaniano parve accentuarsi, tanto
più che
gli sguardi di tutti erano puntati su di loro.
Il capitano
sorrise e i suoi occhi azzurri si accesero di una gioia nuova,
arrancò fino alla poltrona, lasciandosi cadere sulle coperte
termiche che erano rimaste inutilizzate, sospirò sfinito e
si lasciò
andare contro lo schienale.
-Sulu, ci porti a casa.- mormorò
Jim.
Spock incontrò i suoi occhi di cielo, annuì
sperando che
il capitano comprendesse il significato del suo gesto. Li aveva
salvati tutti, ancora una volta.
Certo aveva liberato un nemico,
una volta ritornati avrebbero dovuto affrontare più di una
situazione scomoda per le loro azioni in quest'altra galassia; ma per
il momento erano vivi ed era stato, di nuovo, grazie a Jim.
Il
capitano gli sorrise apertamente, poi guardò
lo schermo.
Stavano tornando a casa lasciandosi alle spalle i
Ma'Toi, l'altra Terra distrutta, il freddo e le incertezze. I baci
tra capitano e primo ufficiale, il contatto di pelle contro pelle.
Jim aveva detto che avrebbe fatto un passo indietro.
Un
passo indietro.
Spock non poté che soffermarsi sul modo in cui le spalle di
Jim
si muovevano sotto il tessuto azzurro della propria
divisa.
Era un'emozione tanto intensa da risultare quasi
fastidiosa.
Quello che Spock non sapeva, era che quell'emozione
aveva un nome. Un'emozione che mai avrebbe pensato di provare; o
meglio, mai con quell'intensità.
Quell'emozione aveva un nome, e
lui non lo conosceva. Ma
era certo che ciò
che stava provando
non l'avrebbe più lasciato andare; sembrava essersi attaccato
alla sua anima, alla sua mente, all'immagine di Jim Kirk con la
divisa del comandante Spock.
Ashaya.
Amore.
Note finali:
1. secondo il dizionario vulcaniano il termine "Ashaya" significa
"Amore".
2. Ad un certo punto ho scritto che Spock non è stato
promesso ad alcuna femmina vulcaniana, l'ho dedotto dal fatto che nel
reboot Spock e Uhura sono fidanzati.
Ho pensato che se Spock fosse stato promesso a T'Pring allora non
avrebbe intrapreso alcuna relazione sentimentale con nessuno. Beh, a
parte con Kirk, ma quelli son dettagli.
3. Il legame tra Kirk e Spock ha un nome ed un suo perché,
quello che si è creato tra loro verrà spiegato in
seguito, quindi non scervellatevi per capire cosa trama la mia mente
malata e malvagia.
4. E' stato possibile scindere Lena dal corpo di Uhura e rinchiuderla,
perché, se ricordate, nella scorsa fic spiego che gli
scienziati hanno trovato un modo per liberare i corpi impossessati.
Quello che non ho spiegato, ed è una pecca per cui mi scuso,
è che è possibile anche tenere in vita il Ma'Toi
dopo la scissione, senza che questo muoia necessariamente. Come
è successo in questo capitolo.
5. Per chi non lo sapesse (ma non credo) per i vulcaniani l'atto dello
sfiorarsi le dita è un gesto di grande
intimità. Appunto, paragonabile ad un intimo bacio tra
terrestri. Quindi, sì, in realtà si sono baciati
per un bel po' in questa storia.
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui e vi bacio tutti.
Alla prossima,
Naka.