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Autore: MaidOfOrleans    11/09/2013    2 recensioni
Quando Lori viene uccisa dal fidanzato, Ninni è l'unica a sapere come siano andate veramente le cose. Ed è pronta a tutto pur di mantenere il segreto.
Avvertenza: rileggendo la storia mi sono resa conto che alcuni ragionamenti di Ninni possono essere visti come una giustificazione del gesto commesso dal fidanzato di Lori. Ovviamente, sono lontanissima dal voler trovare delle attenuanti per chi commette femminicidio; i passaggi in questione servono solo a sottolineare quanto sia sconvolta la psiche di Ninni, che, come vedrete, ha delle idee un po' particolari sull'amore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lori aveva gli occhi a fessura e un sorriso che le sollevava le guance finché le ciglia di sopra e quelle di sotto non si fondevano in un’unica linea bruna. La sua voce era chiara come la luce del sole che filtra attraverso le veneziane abbassate a metà, il suo piccolo neo sullo zigomo simile ad una goccia di caffè. Lori è morta.
L’ha uccisa Giulio che la amava tanto, proprio troppo,  aveva il terrore di non farcela senza di lei. Se mi lasci non ti garantisco niente, diceva, magari combino una grossa cazzata. Io ero lì, ho visto i colpi che partivano da quella che sarebbe romantico pensare come una rivoltella e invece era una comunissima pistola d’ordinanza.
Il commissario dei carabinieri mi guarda, uno sguardo grigio acciaio. Preoccupato, anche.
“Le va un caffè?”
Scrolla le spalle. Io mi alzo e incomincio a trafficare, perché, diceva mia nonna, quando non sai che pesci prendere devi sempre cercare di avere le mani impegnate. Prima di voltarmi, in realtà, mi sfioro furtiva il retro delle ginocchia, giusto per controllare di non avere buchi nelle calze.
“Conosceva bene la signora Torres?”
Accendo il gas, mio dio che puzza. Ninni, cogno, chiamalo una buona volta ‘sto strozzino di un tecnico, qua va a finire che ci resti secca. Lori ha passato tre anni a preoccuparsi per me. Io lei la lasciavo a se stessa, era quella forte, quella che comunque riusciva a cavarsela.
“Signorina. Sì, la conoscevo. Abbastanza.”
Merda. Ho messo troppa poca acqua. Riempio una tazzina e la servo al commissario, che fa del suo meglio per ignorare l’odore di bruciato. Ne approfitto per sbirciargli il distintivo, l’ ha appoggiato sul tavolo: si chiama Mauro Antonioni.
“E il signor Fiore?”
Giulio la amava tantissimo. Davvero. Non è stata colpa sua, è un uomo buono.
Però non lo dico. Stringo le labbra e rispondo “Lo vedevo quando veniva a trovarla.”
Il commissario si distrae e capisco che sta guardando la foto sulla mensola grande. Lori è bella come al solito, ha quel suo sorriso di chi potrebbe divorare morso per morso la luna. I miei occhi sono uno aperto e l’altro chiuso, ma va bene, va bene così.
“Mi dispiace per la sua perdita” se ne esce dopo un attimo di silenzio. “Sembra che foste piuttosto intime.”
Inaspettata, stupida, del tutto inadatta al contesto- il commissario con la camicia inamidata, la cucina in penombra, i mobili di finto legno- mi esce una lacrima.
“Vuole che vada via? La deposizione può aspettare.”
Gentile, il signor Antonioni. Nonostante gli occhi di metallo. Piantala, Ninni, strofino forte la guancia umida con il dorso della mano.
“Si figuri, chieda pure quello che deve.”
Il viso stravolto di Giulio, Lori che rovina all’indietro, ha colpito con la testa il tavolino rotondo. C’era del sangue sul suo vestito a pois, un vestito rimediato al mercato, povero.
“Era a casa della signorina Torres quando è successo.”
“Mi aveva…invitata a pranzo. Lo fa spesso.” Lo faceva, penso. Non lo farà mai più.
“Aspettavate una visita del signor Fiore?”
Socchiudo gli occhi, una fitta lancinante che mi spacca in due la testa. Se solo ce la fossimo aspettata, adesso io starei tagliando le carote a striscioline nel tinello di Lori, e sbrigati, Ninni, per pietà, non abbiamo mica tutto il giorno. Respiro forte.
“No. Non veniva mai per pranzo.”
“E lei ha idea del perché oggi abbia fatto eccezione?”
Scrollo le spalle. Lei ha idea. No che non ce l’ho, non ce l’ho, nemmeno Lori ce l’aveva, ecco perché è morta. La mia Lori, morta per sempre.
“In ogni caso, mi racconti com’è andata.”
“Stavamo chiacchierando in salotto” inghiotto un groppo di saliva “E si spalanca la porta. Era Giulio, urlava. Ha detto un miliardo di volte mi sparo, adesso mi sparo e brutta puttana. Poi ha tirato fuori la pistola- Giulio è una guardia giurata, ce l’ha sempre dietro- e via con i  colpi.”
“Tre.”
Il corpetto del vestito che si lacera, partono tre bottoni, uno dopo l’altro, al rallentatore. Lori spalanca gli occhi, così neri, così immensi, ma ci si accorge subito che non vedono niente, è come se mi fissassero da dietro un vetro sporco. Un’ultima parola- Ninni.
“Tre”, ripeto. Se sono ancora qui è perché i carabinieri erano al piano di sopra, a casa della signora Gallucci, suo figlio si è messo nei casini con la droga, non ho capito bene. Hanno sentito degli spari e sono volati giù. La porta era sfondata, Giulio incapace di parlare, io sotto tiro, pallida, immobile. Lori morta.
“Ascolti”, continua Antonioni, fissandosi le mani squadrate, immagino, per non guardare me, con la gonna ricucita due volte, i capelli annodati a caso dietro la nuca e le unghie spezzate. Lo metto a disagio, appena colpita da un lutto e anche povera. “La signorina Torres le aveva mai parlato di comportamenti violenti da parte del signor Fiore? L’aveva mai picchiata, minacciata? Lei  le aveva fatto parola di volerlo lasciare?”
Un giorno lo mollo, Ninni, solo non adesso, non ce la farebbe, povero bimbo. Lo sai che gli voglio bene, non se lo merita. Porta pazienza, guarda che te l’ho promesso, lo mollo. Poi tu e io. Non fare quella faccia, si vede che non ci credi.
“Mi stia a sentire”, riesco a replicare “Giulio non voleva. Non era un coso, un bruto, non lasciate che i giornali dicano scemenze del genere. E’ solo che la amava troppo.”
Il commissario si alza e mi rivolge, stavolta, uno sguardo di vera commiserazione. “Mi dispiace, cara, ma vede, chi ama di solito non fa fuori il compagno a colpi di pistola.”
Sto zitta. Ma che cosa c’è, se non l’amore, che esasperi a tal punto da spingere la gente a mettersi a sparare?
“Ringrazi la sua buona stella che eravamo vicini, o il raptus del signor Fiore non avrebbe risparmiato neanche lei.” Verissimo. Anche se Antonioni non sa. E che cavolo ti aspetti, Ninni, gli sbirri non sanno mai niente.
“Mi ripete le sue generalità, per favore?”
Spegne il registratore e tira fuori penna e blocco per gli appunti, facendomi sentire alle elementari, quando la maestra mi chiamava alla lavagna per nome e cognome. Stesso gelo alla bocca dello stomaco.
“Ninni…cioè, Virginia. Virginia Di Lorenzo”, snocciolo “Nata a Torino il ventinove dicembre dell’82.”
“Numero della carta d’identità?”
Glielo detto, sentendomi ormai al di fuori del mio corpo, poi lo accompagno alla porta.
“Si faccia forza, e soprattutto resti a disposizione.”
Sorrido a fatica per rassicurarlo e svuoto nel lavandino le tazze ancora piene di caffè.
 
Mia madre deve aver visto il telegiornale, perché ha chiamato quattro volte.  Abita da sua sorella, a Chieri. Ci si è trasferita quando è morto papà, io avevo ancora tanto da fare qui in città, avevo, diceva lei, tutta la vita davanti. Povera mamma.
Lei non capisce. Non capirebbe, soprattutto. Lei come Antonioni, come il brigadiere giovane che mi ha scortato premurosamente in casa subito dopo il fatto, come Giulio. Non è colpa loro, non ne sarebbero in grado. Capivamo solo Lori e io.
L’ho incontrata un pomeriggio di settembre, quando si è trasferita nell’appartamento di fronte al mio. Io stavo lavando il pavimento, e ho cominciato a sentire il suo odore quando lei era a metà della seconda rampa di scale: garofano e latte. Poi è sbucata sul pianerottolo, una dea bruna con le labbra rosse e l’abito giallo come la mimosa di maggio. Bellissima. Mi ha rapito dal primo secondo, quando mi ha chiesto con il suo accento dolce e strano se mi avrebbe dato fastidio accendendosi una sigaretta.
Spalanco la finestra e respiro l’aria calda e densa. Lori fuma- fumava- Winston blu. Ne odoravano i suoi capelli ricci, la sua pelle, la sua lingua morbida. Non mi disturbava affatto. Lei credeva di sì e che non glielo dicessi per gentilezza, ma per me quell’odore era solo un altro pezzo di lei.
Ci siamo amate per due anni, sette mesi e diciannove giorni. Da pazzi. Pensavo a lei ogni minuto della giornata, al lavoro, al telefono con mia madre, mentre facevo pipì. Lei aveva Giulio, è vero, ma cercava il momento adatto per dirglielo, stavano insieme da quando lei era arrivata in Italia e non era mica semplice piantarlo in asso dopo non so quanto tempo. Poi lui la amava troppo, Lori me lo ripeteva sempre. Non posso fargli questo, Ninni, c’ho paura, magari dà di fuori e si tira un pallettone in testa. E invece, un martedì di luglio qualunque, lui le ha fatto un’improvvisata e ci ha viste darci un bacio. Nessuno bacia- baciava- come Lori. Ti lasciava le ginocchia molli.
Non ho molto tempo. Appena uscirà dallo shock, Giulio racconterà tutto, e la mia versione delle due amiche che pranzano insieme andrà a farsi benedire. Devo concludere prima che succeda.
Dal momento in cui ho visto gli occhi di metallo del commissario mi sono resa conto che non avrei detto una parola. Non per proteggere qualcuno, chi se ne frega ormai, Lori è morta, non invecchieremo insieme in Messico come sognavamo nei pomeriggi, lunghissimi eppure così brevi, di abbandono l’una all’altra. Per proteggere qualcosa.
Quel che avevamo era l’acqua gelida e pulita che rotola giù dalle montagne, prima che il fango del greto del fiume ci si mischi e la faccia diventare marrone. Era le sere di giugno quando non sono ancora scivolate nella notte, il profumo dei tigli al bordo della strada, dita tiepide di sole che accarezzano la pelle. Era nostro, soprattutto. Mai toccato, visto, rovinato da qualcun altro.
Il mondo non lo avrà, Lori, te lo prometto. Non finché ci sono io. E’ per questo che devo fare in fretta.
Stacco il telefono. Povera mamma che non può capire. Rivedo nella mente i suoi grembiuli azzurri, i suoi capelli tinti come capita. Mi spiace mamma. Mi spiace davvero.
Chiudo la porta a chiave senza un perché, davanti alla porta di fronte è teso del nastro giallo come quello delle serie TV americane. Lori si arrabbierà, lo so. Che cazzo combini, Ninni, ti mollo da sola ventiquattr’ore e guarda cosa riesci a mettere su, sei loca, mezza matta. Si arrabbierà, ma mi capirà. Non lo ammetterà mai, ma ne sarà perfino contenta.
Vado in bagno, mi depilo accuratamente e dopo una veloce sciacquata alla faccia inizio ad aggiustare il trucco. Due mani di mascara e quel rossetto perlato che a lei piaceva tanto. Sciolgo i capelli sulle spalle, sono talmente belli, Ninni, li avessi io biondi così. Li spazzolo per qualche minuto e all’ultimo fisso sopra la tempia destra un piccolo fermaglio di tartaruga. Sul vestito non ho dubbi, quello blu mare con la gonna a campana, che mi fa sembrare una turista americana a Portofino. Questo me l’ha detto Giulio, in verità. Gli stavo simpatica, direi quasi che gli piacevo.
Mi spruzzo due gocce del mio unico profumo e indosso gli orecchini di perle di nonna Michela. E’ il momento.
Le tazze lavate sono ancora sullo scolapiatti, le asciugo e le ripongo nel mobiletto. Poi, apro il gas.
L’odore se ne andrà in un minuto, o meglio, io non lo sentirò più. Ci si abitua a tutto, tranne che a un mondo senza Lori. Quando mi troveranno, verrà fuori la verità, lo so, ma noi saremo già lontane, anche se non proprio in Messico.
Serro le finestre e vado a stendermi sul letto, non ci vorrà molto a prendere sonno, sono talmente stanca e la puzza è già quasi un ricordo. 
A tra poco, amore, sto arrivando. Mi raccomando, aspettami. 
  
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