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Autore: FinnAndTera    12/09/2013    2 recensioni
[NagiRei]
C’era sempre uno spazio vuoto fra loro, uno spazio che sembrava incolmabile, circondato da alte mura invisibili impossibili da sfondare.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autrice: piccola, minuscola ed insignificante flash scritta di getto dopo la puntata numero dieci che, fra parentesi, mi ha fatto malissimo. Tutti cucci e pucci, ma quello spazio fra Nagisa e Rei e quell'insolto silenzio il mio cuore proprio non l'ha retto.


Un muro impossibile da sfondare.


C’era sempre uno spazio vuoto fra loro, uno spazio che sembrava incolmabile, circondato da alte mura invisibili impossibili da sfondare; Nagisa guardava Rei e con gli occhi gli chiedeva un po’ di attenzione, ma il ragazzo non sembrava farci caso e allora lui restava senza parole. Ogni tanto provava a dare qualche spallata a quel durissimo muro con un’offerta di gelato o una futile chiacchiera, ma Rei non aveva fame e quelle cose non gli interessavano. “Va bene”, gli diceva mentre continuava a cercare il suo sguardo che puntava sempre avanti, lontano, e mai accanto a lui. Quando erano con gli altri riuscivano a ridere e a scherzare in santa pace, come se la sola presenza di qualcuno dei ragazzi gli desse il permesso di essere così amici; ma da soli, sul pullman per tornare a casa o seduti in giardino, quel muro ritornava inspiegabilmente a separali.
Era stato – e purtroppo continuava ad essere – in quei momenti che Nagisa aveva scoperto cosa significasse il silenzio. Un silenzio pesante e pieno di disagio, un silenzio che lo opprimeva ma che non riusciva a respingere. I suoi tentativi venivano stroncati sul nascere, perché per poter sfondare quel muro doveva esserci un lavoro di squadra che materialmente non esisteva.
E Rei continuava a guardare avanti e a pensare alle sue cose, cose che Nagisa poteva solo pensare di indovinare. Eppure lui continuava a guardarlo e a offrirgli il gelato, perché era sicuro che se avesse continuato a provare quel muro non lo avrebbe di certo sfondato, ma almeno avrebbe tentato di scavalcarlo, incrociando le dita e sperando di non precipitare rovinosamente giù.

 
   
 
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