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Autore: NonSoCheNickMettere2    13/09/2013    0 recensioni
What if? ambientato 20 anni dopo ROTS. Cresciuto come Sith da suo padre, Luke è così sconvolto dal primo test della Morte Nera che decide di rubarne i piani e passarli all’Alleanza ribelle. Dark Luke, sequel de Il rapimento.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Bail Organa, Luke Skywalker, Palpatine/Darth Sidious, Principessa Leia Organa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'apprendista Sith'
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Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 10 ------------
 

Quando Luke rinvenne e aprì gli occhi, si trovò sdraiato sul freddo pavimento di una cella. La riconobbe facilmente come la prigione dell’Executor dove i ribelli aspettavano di essere interrogati. Sapeva fin troppo bene che pochi passi più in là, dietro la porta chiusa, si trovava la stanza dove Vader eseguiva il suo lavoro più sporco. Niente avrebbe potuto fargli comprendere meglio la sua situazione attuale.

Toccò la sua cintura sulla sinistra. La sua spada laser non vi era più agganciata. Naturalmente.

Fu sopraffatto dalla rabbia per il modo in cui era caduto in trappola. Non la scacciò: aveva bisogno di tutte le sue forze più oscure se voleva scappare da lì. Si alzò in piedi e chiamò la Forza per muovere i controlli delle porte scorrevoli. Ma… la Forza non c’era. Non sentiva nulla: non importava con quanta volontà provasse a chiamarla, solo un silenzio sconcertante permeava i suoi sensi. Non aveva mai sperimentato nulla di simile prima di allora e fu colto dal panico.

Si guardò intorno per capirne il motivo e notò sopra di lui una gabbietta, che pendeva dall’alto soffitto. Tra le sbarre, vide muoversi un piccolo rettile. Gli girò intorno e allungò il collo, per provare ad averne una visuale migliore. Non poteva osservarlo molto bene ed era quasi sicuro che, prima d’allora, non aveva mai avuto occasione di vederlo dal vivo, solo in foto, ma pensava che fosse un ysalamiri. Qualche volta suo padre gliene aveva parlato con disgusto, chiamandolo «una maledizione innaturale», «un’opera del male» e tanti altri epiteti del genere. Eppure, evidentemente non aveva scrupoli nell’usarlo per tenere sotto controllo il figlio traditore. Quel piccolo esemplare creava sicuramente una bolla di piccolo diametro, che nascondeva la Forza solo nel ristretto spazio della cella e non interferiva con le attività di Vader sul ponte o nel suo appartamento.

Siccome la gabbia si trovava proprio al centro del soffitto, Luke andò in un angolo in modo da trovarsi alla massima distanza possibile nel piccolo spazio della sua cella. Ma ancora non sentiva la Forza.

Se voleva avere la minima speranza di fuggire dalla sua prigione, doveva assolutamente liquidare lo ysalamiri. Tornò al centro della stanza e saltò più in alto che poté. Sfortunatamente, senza l’aiuto della Forza, non era abbastanza.

Dannazione!

Si tolse lo stivale destro e lo lanciò insù. Colpì la gabbia con abbastanza energia da farla dondolare un po’. Il rettile emise un grido acuto. Riprovò e riprovò: prendendo meglio la mira, saltando mentre lanciava, aumentando la forza, lanciando entrambi gli stivali insieme. Ma era tutto inutile: non riusciva a fare nessun vero danno. Tutto ciò che otteneva era solo di far gridare la creatura terrorizzata. Alla fine, era esausto e coperto di sudore.

D’improvviso si sentì uno sciocco, realizzando che probabilmente la gabbia era stata messa in vista proprio per aggiungere al danno la beffa. Suo padre voleva dimostrargli quando basso e impotente fosse, per farlo sentire di nuovo come un bambino dipendente e rimetterlo al suo posto.

Rassegnato, sospirò, si sedette e si rimise gli stivali.

Passò un tempo indefinito senza fine apparente. Sedette, fece qualche passo, si sdraiò e dormì. E poi si svegliò, si sedette, fece qualche passo, si sdraiò e dormì ancora. E ancora. E ancora. Non aveva la minima idea da quante ore fosse lì. Probabilmente giorni.

Nessuno venne. Ogni tanto poteva sentire degli stivali echeggiare fuori dalla cella, apparentemente senza mai fermarsi davanti alla sua porta.

La sua sola compagnia era lo ysalamiri sopra la testa. Lo sentiva masticare e succhiare. Alla dannata creatura era stato dato ciò che non era stato concesso a lui: cibo e acqua. E non era per niente strano, considerando che era il trattamento usuale per i prigionieri in attesa di interrogatorio. Il suo stomaco brontolava, ma il vero tormento era la secchezza in bocca, ben dura da sopportare senza l’aiuto della Forza. Iniziò a sognare di mangiare il rettile e di bere l’acqua della sua vaschetta, ma si trattava di un pensiero senza conseguenze, dal momento che non poteva raggiungere la gabbia.

A un certo punto, dopo un lungo tempo e prima di un altrettanto lungo tempo, sentì delle urla strazianti, cariche di dolore, provenire dalla camera di tortura. Non una grande sorpresa: le pareti di quell’area non erano acusticamente isolate di proposito, in modo che i prigionieri potessero contemplare cosa li aspettava in caso di reticenza. Era un trucco psicologico ovvio, ma funzionava benissimo: a quelle grida gli si torcevano le budella e gli veniva la pelle d’oca. Per tutto il tempo che continuò quel rumore angosciante, Luke non fu in grado di pensare a null’altro che immaginare sé stesso patire un tormento del genere.

Poi vi fu di nuovo silenzio. L’uomo era morto? Si era trattato di un ribelle? O, forse, un povero soldato, scelto a caso, solo per stroncare lo spirito di Luke? Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.

Arrivato a questo punto, il giovane era terrorizzato sia di essere dimenticato in quella cella a morire di fame, sia di essere portato fuori per l’interrogatorio.

Così, alla fine, poteva sapere esattamente cosa aveva sofferto ogni vittima che aveva catturato. I loro volti riempirono la sua mente. Ognuna di loro era stata diversa: coraggiosamente risoluta, o spaventata, o rassegnata. Ogni essere umano aveva il proprio modo peculiare di affrontare una morte dolorosa. Si chiese oziosamente se i loro fantasmi vivessero ancora in quelle stanze allo stesso modo in cui affollavano la sua coscienza colpevole: in tal caso, che spettacolo si stava preparando per loro!

Forse era giusto. Sia Palpatine che Vader gli avevano detto che un Sith potente poteva piegare la Forza al proprio volere, ma Luke sentiva che non era così: la Forza conosceva la sua giustizia e alla fine ripagava ognuno per le proprie azioni. Forse stava solo per punirlo giustamente di tutti i suoi crimini.

Cielo! Come era arrivato a pensare che sarebbe stato giusto essere torturato? Come era arrivato in quella cella, prima di tutto? Non era un ribelle! Cosa gli era venuto in mente di passare dei segreti militari ai nemici?

Doveva riconoscere che Vader era veramente abile nel proprio lavoro: non l’aveva ancora visto, ma stava già rimpiangendo tutto ciò che aveva fatto. L’avrebbe torturato con le proprie mani?

Darth Vader, Signore Oscuro dei Sith, non era mai stato tenero con lui e nessuno si sarebbe aspettato qualcosa di diverso. Eppure… Eppure, era consapevole che suo padre non aveva mai neanche sfiorato la crudeltà prevista da un addestramento Sith. Aveva avuto a che fare con Palpatine abbastanza per sapere cosa fosse un vero maestro Sith. E, in fondo in fondo, suo padre non lo era.

Ma questa volta, non era solo un affare di famiglia. Questa volta, l’Imperatore in persona avrebbe sicuramente ordinato una morte molto lenta e dolorosa per Luke. Suo padre l’avrebbe permesso? O avrebbe corso il rischio di affrontare l’ira del Sith più anziano per il bene di un figlio che l’aveva già ingannato un paio di volte?

Non riusciva a darsi delle risposte, diviso tra paura e speranza.

A un certo punto, senza preavviso, la sua attesa angosciosa finì. Il rumore di stivali si fermò di fronte alla cella e le porte si aprirono.

Il giovane trepidante si alzò in piedi velocemente.

Un soldato apparve con un fucile tra le mani. Dietro l’uomo, nel corto corridoio, si sentiva il rumore del respiratore artificiale. Lo sguardo di Luke non ne cercò il proprietario, non desiderando affatto incontrare le sue lenti.

Vader non si avvicinò. Naturalmente non voleva entrare nell’area di influenza dello ysalamiri e provare il rivoltante silenzio della Forza, a cui aveva sottoposto il figlio.

Senza proferire parola, il soldato entrò, puntò il fucile alla gabbia e sparò un paio di raffiche di laser. Il rettile emise un ultimo forte grido e cadde immobile.

I sensi di Luke furono improvvisamente invasi dalla presenza vitale delle centinaia di migliaia di persone sulla nave e, soprattutto, dalla forte e oscura energia che suo padre stava proiettando appena fuori dalla porta. Superato quello shock, il giovane si sintonizzò meglio sul campo energetico, riprendendo il controllo della propria mente.

Silenzioso come era venuto, il soldato se ne andò, lasciandolo da solo ad affrontare il furibondo Signore dei Sith che stava avvicinandosi. I suoi stivali neri entrarono nella visuale dello sguardo abbassato del figlio.

Luke pensò che forse doveva inginocchiarsi e provare a calmarlo il più possibile, blaterando qualcosa per implorare perdono o, più realisticamente, una morte rapida con l’esecuzione veloce di una spada laser.

Il calcolo delle sue opzioni fu brutalmente interrotto dalla voce cupa, che sibilò «Ecco il traditore!», e da un pugno violento, che colpì il suo zigomo sinistro. Dovette chiamare a raccolta il suo appena ritrovato potere nella Forza per non cadere, lottando per l’equilibrio. La testa gli girava ancora, quando una mano guantata afferrò la sua gola e lo sollevò in modo che i suoi piedi non toccassero il suolo. I suoi occhi incontrarono improvvisamente la maschera nera che avevano evitato fino a quel momento.

Anche se istintivamente le sue dita afferrarono la mano meccanica che lo soffocava, non lottò per davvero. Forse, dopotutto, suo padre gli voleva abbastanza bene da finirlo alla svelta. Il dolore si fece acuto e, solo con uno sforzo enorme, poté mormorare: «Più veloce, ti prego.» La presa si strinse. La sua vista si offuscò e si rese conto con riconoscenza che stava per svenire. Ma improvvisamente fu lasciato andare e cadde a terra. L’aria passò di nuovo nella sua gola bruciata e automaticamente si massaggiò il collo per lenire l’indolenzimento della sua pelle livida.

Così seppe che ciò che era accaduto non era stato altro che uno sfogo paterno. Non osando alzare la testa, lanciò un’occhiata furtiva all’ombra nera che incombeva su di lui.

«Non commetterò di nuovo questo errore,» dichiarò Vader, come se stesse rispondendo alla precedente supplica del figlio.

Ma Luke non capì. Cosa voleva dire «di nuovo»? Suo padre non aveva mai afferrato la sua gola prima d’allora, né con le mani, né con la Forza. Il giovane si inginocchiò e decise di appellarsi alla pietà, se in qualche modo il Sith ne provava: «Ti prego, dammi una morte veloce, mio signore.»

«Taci!» ordinò Vader seccamente, alzando una mano imperiosa. «Di sicuro sai che Palpatine non lo permetterà» fu la raggelante risposta. Si voltò e si allontanò di qualche passo. La sua rabbia stava scemando e le sue mani corsero dietro la schiena, come era solito fare quando meditava qualcosa.

Luke alzò lo sguardo sul retro del suo elmetto, insicuro su cosa dire.

«Voglio delle risposte.» La maschera nera si voltò indietro verso suo figlio, incontrando il suo sguardo. «Veloci e chiare, senza neanche l’ombra di una bugia.» La sua voce si incupì minacciosa: «Farò tutto ciò che è necessario per averle.»

Non ci poteva essere la minima incomprensione su ciò a cui si stava riferendo. Il giovane ritornò subito pienamente consapevole di dove si trovavano. Il suo cuore accelerò e deglutì. Il suo sguardo passò oltre la sagoma di suo padre e si focalizzò sulla porta: pochi passi più in là c’era la camera degli interrogatori. Immagini dei prigionieri in tormento lo assalirono.

L’Alleanza non significava niente per lui. I ribelli avevano fatto il loro sporco lavoro nel far saltare la Morte Nera e non aveva veramente più niente da nascondere. Non si sarebbe fatto torturare. Guardò di nuovo le lenti nere e annuì per cooperare. Percepì la soddisfazione di Vader.

«Dove e quando hai rubato i piani?» chiese, invadendo con forza la mente di suo figlio per poter rilevare qualsiasi traccia di inganno.

Luke non poteva evitare l’indagine e abbassò gli occhi a terra, sopraffatto dalla dolorosa intrusione. Era consapevole che doveva essere completamente sincero questa volta. «Circa un’ora prima che lasciassimo la Morte Nera, avevo scaricato i piani dall’ufficio di sviluppo, mentre stavo verificando le nuove armi per i Tie fighter.»

«Allora perché ti sei connesso dal Palazzo Imperiale?» La voce irata del Signore Oscuro si rivestì di perplessità.

«Non avevo avuto abbastanza tempo per scaricare il programma di decriptazione sulla Morte Nera,» spiegò il giovane Sith. «Perciò l’ho scaricato al Palazzo Imperiale, appena prima della cerimonia di nozze.»

«Come hai fatto a passare i piani all’Alleanza?» suo padre pressò senza tregua.

Luke sospirò. Non aveva alcuna voglia di denunciare Leia, ma non voleva affrontare le conseguenze di un eventuale silenzio. Oltretutto lei sembrava scomparsa: al momento doveva essere piuttosto al sicuro, certamente molto più di lui. «Li ho dati alla Senatrice Organa, nell’hangar del Senato,» rispose infine.

Il Signore Oscuro esitò stupito. «Si è fidata di te?»

Suo figlio scrollò le spalle.

«Le hai detto anche l’ubicazione della Morte Nera?»

«Ci siamo incontrati a Rhen Var,» il giovane ammise. «Aveva ingannato di proposito i nostri Servizi investigativi con la storia della spia, per potermelo chiedere.»

«E il Bothan morto?» Se possibile, la voce meccanica si incupì.

Luke deglutì. «Ho preso da una prigione di Bothawui un criminale comune condannato a morte. Poi, l’ho giustiziato in modo che sembrasse rimasto ucciso in un tentativo di fuga.»

«Certo che hai dell’iniziativa, quando vuoi.» Il tono di suo padre era un misto di accusa e rancore.

Improvvisamente qualcosa scattò nel giovane Sith, nonostante la sua situazione attuale raccomandasse sottomissione. La sua mascella si indurì e alzò lo sguardo rabbioso per guardare dritto nelle lenti nere. «Ho avuto un maestro severo,» sibilò gelido.

Il respiro di Vader accelerò per quanto l’apparato meccanico permettesse e le sue mani si chiusero a pugno.

Un breve guizzo di rimorso apparve nella oscura presenza che opprimeva la mente di Luke. Poi sparì velocemente, lasciando il giovane nel dubbio che fosse stato reale.

Se il Signore Oscuro avesse provato per un istante un qualche scrupolo, sicuramente l’aveva presto scordato e continuò con il suo interrogatorio. «Perché l’hai fatto?»

Suo figlio sbatté gli occhi. «Quella cosa era mostruosa. Dovevo fermarla.»

«Affidandoti ai nemici, invece che a tuo padre?» Vader chiese con un tono di rimprovero.

Gli occhi di Luke si spalancarono. Poteva forse dire che non concordava con il principale progetto dell’Imperatore?

Il pensiero doveva essere risuonato chiaro al Signore dei Sith, che ancora invadeva la sua mente, poiché rispose con un tono paternalistico: «Non sei più un bambino, figlio mio. Inizi a renderti conto che il governo della Galassia non funziona. Palpatine non vuole la pace. Non l’ha mai voluta. Lui stesso ha manipolato le Guerre dei Cloni dietro le scene, mentre gli erano stati dati i pieni poteri per fermarle.» Il suo tono divenne più risentito. «Io sono stato ferito su Mustafar, dove ero andato a giustiziare i Separatisti che lui aveva mandato lì.»

In tutta la sua vita, Luke non aveva mai sentito tanta amarezza nella voce di suo padre e capì in pieno il tradimento che il Signore Oscuro aveva sopportato, non solo per mano di quel tizio, Kenobi. I lineamenti del giovane si addolcirono quasi in compassione.

Vader si ricompose, ritornando al suo solito tono freddo. «Hai ragione: la Morte Nera era una bestemmia che non poteva passare impunita. Ma,» aggiunse severamente, «i ribelli non sono la soluzione.»

Il giovane Sith abbassò la testa, annuendo in ammissione dei propri errori. «Lo so, ma non avevo alternative.»

«Il tuo addestramento è quasi completo,» il Signore Oscuro stese una mano invitante verso di lui. «Unendo le nostre forze possiamo distruggere l’Imperatore, porre fine a questo conflitto distruttivo e portare ordine nella Galassia. Possiamo governare insieme come padre e figlio.»

Luke rialzò lo sguardo verso le lenti e un leggero sorriso incredulo increspò le sue labbra. Non aveva mai osato pianificare l’uccisione di Palpatine, perché era molto più forte di lui e non aveva immaginato che anche suo padre la desiderasse. Ma capì che insieme ce l’avrebbero fatta. Nella sua vita, il giovane Sith non aveva conosciuto altro che guerra, come se fosse stata una parte inevitabile dell’esistenza. Una leadership più saggia l’avrebbe fermata, portando la pace. Era sicuro che suo padre sarebbe stato più clemente dell’Imperatore, ne aveva fatto esperienza molte volte, e presto anche gli altri l’avrebbero capito, cessando le ribellioni. Ma in mente non aveva solo il bene della Galassia in generale: anche lui aveva i suoi problemi. «Potrò riavere mia moglie?»

Il Signore Oscuro incrociò le braccia sul petto e rispose: «Naturalmente.» L’aria divertita in fondo al suo tono era chiara e, nella Forza, persino la risatina coperta dalla maschera. «Assomigli molto a tuo padre, giovanotto,» aggiunse come secondo pensiero. «Adesso alzati, figlio mio.»

Il giovane Sith obbedì e attese disposizioni, mantenendo uno sguardo interrogativo verso le lenti nere.

«Per sconfiggere Palpatine, bisogna che ti addestri su un’abilità che ancora ti manca del tutto,» spiegò Vader.

Suo figlio annuì, sapendo bene di cosa si stesse parlando: i fulmini della Forza. Sfortunatamente aveva dell’esperienza sulla loro violenza, ma non aveva mai provato a generarli.

«Non abbiamo molto tempo, perché saremo a Coruscant entro pochi giorni,» il Signore Oscuro proseguì. «Adesso, va’ nella tua stanza, bevi, mangia e riposa. Domattina ti addestrerò.»

Luke inchinò la testa in rispetto. Avrebbe dovuto anche pronunciare qualche frase formale. Ma, per la seconda volta nella sua vita, era stato appena graziato da una morte meritata: non aveva mai sentito che a qualcun altro fosse stata usata tanta clemenza su quella nave. Avrebbe voluto esprimere in qualche modo la propria riconoscenza, ma gli mancavano le parole. L’uomo davanti a lui non gli aveva mai concesso la minima confidenza e il giovane Sith non aveva idea di cosa dire per far arrivare il suo messaggio oltre l’invisibile muro gelido che li divideva. Alla fine, sussurrò: «Grazie, padre,» tralasciando il titolo onorifico che gli era stato insegnato a usare.

Vader si paralizzò in sorpresa. Il rumore del respiratore artificiale era l’unico indizio sensoriale che fosse ancora vivo. Eppure non trasmetteva nella Forza rabbia o irritazione, ma anzi un’immediata comprensione dei sentimenti del figlio. Dopo quattro cicli di respiri meccanici, annuì in riconoscimento di quelle parole, dando al giovane il più profondo senso di approvazione che gli avesse mai accordato in diciassette anni.

Il momento passò senza un commento e, quando entrambi sentirono che era finito, il Signore Oscuro lo avvertì con un tono più mite del solito: «Se fallisci questa volta, nessuno di noi due sopravvivrà.»

«Non fallirò,» Luke rispose risolutamente.

  
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