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Autore: wwwww    18/09/2013    9 recensioni
«Rei-chan, vieni a dormire da me sabato sera?»
Molti, forse, sarebbero andati nel panico ad una frase del genere, ma non Rei. Lui aveva tre giorni di tempo e un piano.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Pepi, perché è colpa sua lei che mi ha spinto a scrivere questa cosa e perché le voglio tanto bene. Scusami, vorrei scriverti una lemon a rating talmente rosso da sembrare viola, ma non ce la posso proprio fare.





«Rei-chan, vieni a dormire da me sabato sera?».
 
Nagisa glielo aveva soffiato, più che sussurrato, direttamente sulle labbra dopo un bacio lungo un’eternità. Rei era arrossito fino agli alluci e aveva provato a rifiutare, ma ormai Nagisa aveva deciso. E quando Nagisa decide una cosa, non è che tu abbia più qualche potere a riguardo, che si tratti delle tue attività pomeridiane o della tua propensione ad appartarti nei bagni durante la ricreazione. O della tua verginità.
Molti, forse, sarebbero andati nel panico, persi tra i loro timori di essere inadeguati, impreparati o, beh, maschi. Ma non Rei. Lui aveva tre giorni di tempo e un piano.
 
Giovedì
 
La prima parte del piano era molto semplice, in realtà: ricerca e analisi. Quindi, una volta tornato a casa dagli allenamenti, dopo aver impedito a Nagisa di chiudersi con lui nella toilette del treno e fatto tutti i compiti – era il primo della sua classe e aveva intenzione di rimanerlo, e non ci sarebbe stato club di nuoto o fan dei pinguini a impedirglielo -, si chiuse in camera, prese il portatile e iniziò la sua ricerca. O meglio, passò mezzora a pensare alla giusta parola chiave ed evitare alla freccetta del mouse di cliccare sul mah Jong, imbarazzato come una ragazzina.
Si risolse a cercare un generico “sesso”, sentendosi uno che cerca istruzioni per confezionare una bomba a mano. Non era la chiave giusta: i risultati portavano o a Wikipedia (troppo generico), o a siti porno (c’era da aspettarselo), o a forum e siti femminili. Rassegnato, aggiunse un “tra uomini” alla fine, con la stessa verve che avrebbe usato per ordinare plutonio impoverito da piantare in un asilo nido. I risultati sembravano più specifici, a parte i soliti link a materiale pornografico. Rabbrividì vedendo stralci di domande su Yahoo! Answers. Rabbrividì anche per gli altri risultati. Tuttavia, era una cosa che andava fatta, e procrastinare non gli sarebbe stato d’aiuto. Il suo piano sembrava molto più difficile di come l’aveva pensato sul treno, mentre Nagisa gli parlava di un qualche programma televisivo. Aveva pensato di trovare una cosa più simile, per dire, alla teoria del salto con l’asta: appoggiati qui, non fare questo e questo, l’angolo ottimale per ottenere la giusta spinta è pari a tot, il corretto modo di maneggiare l’asta è il seguente, e così via.
Rassegnato al suo destino, controllò che l’antivirus funzionasse correttamente una dozzina di volte, allontanò il cursore dal mah Jong, e si risolse ad aprire un sito a caso. Mise una mano davanti agli occhi, bendandosi come un condannato a morte, mosse un po’ il mouse e prima di cambiare idea cliccò quattro o cinque volte.
«Aaaaaah!» strillarono le casse del computer, piene di estasi.
«Aaaaah!»  strillò Rei.
«Rei! Che stai facendo?» strillò sua madre dal piano di sotto.
Nel panico, ci mise cinque secondi buoni pieni di terrore e gemiti per riuscire a beccare il pallino rosso in alto a sinistra.
Non lo poteva fare. Non lo poteva assolutamente fare. E, per tutti i dannati Speedo di questo mondo, perché diavolo quei tizi l’avevano così scuro? Non era bello per nulla. Non… non poteva assolutamente fare una cosa così orribile. Proprio no.
Si raggomitolò sul letto, disperato. Era un pelino nel panico. La sua faccia era diventata così rossa che gli occhiali potevano tranquillamente mimetizzarsi.
Doveva piantarla di dondolarsi traumatizzato e calmarsi. Riformulare il suo piano dall’inizio. Cancellare la cronologia, soprattutto.
Mentre raccoglieva la voglia di alzarsi per fare quest’ultima azione, il suo cellulare vibrò. Ovviamente, era Nagisa. Da una settimana si era comprato un videogioco nuovo e non faceva che tenerlo aggiornato sui suoi progressi. Gli aveva mandato una foto del suo personaggio, un essere dalla testa enorme, corpicino minuscolo e il naso dannatamente rosso, con addosso una muta da sub e un’espressione imbronciatissima. Il testo del messaggio era, ovviamente, “guarda, ho fatto Haru-chan!” più una serie di cuoricini e fiorellini e faccine. Si sistemò gli occhiali per soffocare un poco onorevole impeto di gelosia e cercò un modo di rispondere che non lo facesse sembrare piccato. Si risolse per un “guarda che Haruka-senpai non porta quel tipo di costume”. Nagisa gli mandò una linguaccia.
Doveva piantarla di compatirsi. In fondo, Nagisa avrebbe fatto a pezzi qualsiasi sua pianificazione. Per dire, la settimana prima erano usciti insieme: Rei credeva di avere previsto ogni possibilità, infatti aveva imparato orari del cinema, dei negozi più gettonati, di treni, autobus e del karaoke, preparato una lista di ristoranti e un pranzo al sacco per ogni evenienza. Pensava di avere la situazione in pugno, e invece si era ritrovato in spiaggia a inseguire i granchi, raccogliere conchiglie e impedire a Nagisa di distruggere il suo castello di sabbia. Andava bene così. Forse era come per il nuoto: doveva piantarla di pensarci, lasciarsi andare e tutto sarebbe andato nel verso giusto.
Chissà cosa avrebbe pensato Haruka-senpai del suo modo di usare i suoi preziosi insegnamenti.
Si rialzò dalla posizione fetale in cui si era raggomitolato e scese per cena.
La prima parte del piano era risolta, anche se non nel modo previsto inizialmente. Tuttavia, la seconda rimaneva invariata.
 
Venerdì
 
Gli allenamenti erano andati bene. Lui e Nagisa avevano perso due treni, ma non importava.
Tornato a casa si cambiò, riprese il treno e si diresse verso il centro commerciale. Rispetto al combini del suo quartiere, era ovviamente più grande, più fornito e soprattutto aveva le casse automatiche, cosa fondamentale. Aveva scelto un orario strategico, tra l’uscita dalle scuole e quella dal lavoro. Secondo i suoi piani, doveva esserci abbastanza gente da non farsi notare, ma non così tanta da sentirsi costantemente osservato.
La seconda parte del piano era quanto mai elementare e scontata, oltre che questione di semplice buon senso: rifornimenti. In altre parole, preservativi.
Fece prima un giro di ricognizione: lo scaffale che gli interessava era fin troppo vicino a quello di shampoo e simili. C’erano più persone attorno di quanto avesse previsto. Andò a prendere un pacchetto di orsetti gommosi – Nagisa adorava quei cosi – e uno di liquerizie da usare come diversivi, si fece coraggio e, dopo tre deviazioni verso il reparto di elettronica, si diresse verso il suo obiettivo.
Si paralizzò sul posto, tremante. Di nuovo, aveva sottovalutato il problema: c’era troppa scelta. Quello che lo mandò nel panico per primo erano gli XL. C’erano le misure? Insomma, sì, lo sapeva, ma… come poteva sapere se ne aveva bisogno? O se Nagisa ne avesse bisogno? Non è che avesse granché idea delle dimensioni standard e… una scatola di profilattici al gusto di frutti tropicali assortiti e pure colorati lo distolse dal suo dilemma per dargliene un altro. Ma che cavolo…? Doveva farci sesso, non la macedonia. Quel pensiero lo imbarazzò a morte e lo buttò ancora più giù nell’abisso delle sue paranoie.
 
«Misaki! Hai visto che carino?!»
«Hanako, non ti era passata la fissa per quelli con gli occhiali? Uh, muscoli!» realizzò improvvisamente Misaki. Le due amiche erano appena passate dal reparto dei cosmetici, giusto uno scaffale più in là di Rei, dove avevano messo mano su più o meno tutto. In un movimento ormai collaudato, si nascosero dietro la scansia di prodotti per capelli biologici per spiare meglio.
Per essere carino, era carino. Il modo in cui era bloccato davanti allo scaffale di preservativi e lubrificanti e simili immobile come una statua, però, era un filo inquietante.
«Ma che sta facendo?» aggiunse Misaki dopo averlo fissato per un po’.
«Sssht! Non vedi, sta comprando preservativi! Probabilmente si vergogna, per questo è fermo lì… guarda come sembra riservato e responsabile, la sua ragazza deve essere tanto fortunata… oh, i ragazzi con gli occhiali sono davvero i più dolci»
«Hanako…»
«Deve essere per la loro prima volta, guarda com’è impacciato e adorabile! Oh, Misaki, voglio un ragazzo così!»  
«Non per smontarti, eh, ma è la terza volta che lo dici solo oggi»
«Ma le altre due erano per quel figo di Ryuga Ideki!»
«Ok, te lo concedo, ma… lo sai come sei, con i ragazzi»
Hanako smise di ammirare Rei e la guardò offesa. Misaki si sentì vagamente in colpa, ma si fece coraggio e continuò.
«Lo sai, no? Tendi a vedere il mondo un po’ troppo come in uno shojo, ti fai troppe fantasie e poi ci rimani ma…»
«Cosa vuoi saperne di shojo, tu che leggi solo boy’s love?» la interruppe bruscamente Hanako.
«Non strillarlo!» Misaki strinse a sé la sportina dell’edicola, contenente il preziosissimo numero di Drap di quel mese. Una signora poco lontana la stava fissando male, non sapeva se per il boy’s love o per le sei tonalità di ombretto che aveva su un po’ tutta la faccia.
«Dico solo che dovresti conoscere qualcuno, prima di partire con i tuoi viaggi mentali, ecco».
«Oh, hai ragione. Dovrei proprio conoscerlo!»
«Ma che…? Stavi fantasticando su lui e la sua ragazza fino a due secondi fa!»
Troppo tardi: Hanako era già uscita dal loro nascondiglio ed era trotterellata fino al ragazzo.
«Ehi, ciao! Scusami…» disse, fingendosi timida. Rei si voltò sudando freddo come se l’avesse richiamato dal mondo dei morti.
«S-sì?» Riuscì ad articolare.
Hanako chiuse gli occhi per mostrare meglio il pasticcio sulle palpebre. Quella destra era verde smeraldo, così come un bel pezzo di tempia, ma anche un po’ fucsia. L’altra era lilla mischiato molto male con un arancione. Aveva le gote di due rosa diversi e ugualmente troppo carichi, e una striscia marrone sfumata malissimo sulla guancia destra.
«Quale colore pensi che mi stia meglio?» chiese, avvicinando il viso e sbattendo le ciglia civettuola.
Rei si avvicinò a sua volta, lasciando perdere i suoi dilemmi e scrutandola con attenzione.
Dopo una decina di secondi proclamò serissimo:
«Il verde, direi: i colori accesi donano molto agli occhi scuri come i tuoi. Ti consiglierei anche un blu»
Hanako era definitivamente e perdutamente innamorata. Misaki si colpì la fronte con il palmo della mano in modo drammatico. La grazia non era mai stata tra le sue doti, difatti lo fece con la mano destra, quella che teneva la sporta con Drap. La rivista schizzò dritta per terra, proprio ai piedi di Rei.
Il ragazzo si chinò subito a raccoglierla. In copertina c’erano, ovviamente, due ragazzi: uno con gli occhiali, vestito solo di un paio di mutande e una camicia aperta, con le mani legate da una cravatta, e un aitante biondone dall’aria nordeuropea.
Rei fece un’espressione talmente assurda che distrasse Hanako dai suoi intenti omicidi verso l’amica. All’inizio l’aveva solo guardata curioso, sistemandosi gli occhiali per la centesima volta. Poi era andato nel panico e aveva iniziato a tremare. Infine, non c’era altro modo per descriverlo, la luce divina l’aveva colto pieno facendogli realizzare una qualche verità fondamentale.
«Ecco la tua rivista, arrivederci» disse in fretta, per poi sparire all’orizzonte con uno scatto da centometrista.
Hanako e Misaki si guardarono confuse.
 
Era veramente uno stupido. Come, come aveva potuto non pensarci? È risaputo che le immagini sono uno dei modi più veloci di apprendere. In più, anche le scene più imbarazzanti sarebbero state filtrate dal fatto di essere una creazione femminile diretta ad altre ragazze e smorzate dai toni romantici, permettendogli di riuscire in ciò che aveva fallito il giorno precedente. Uscì dal supermercato e si diresse verso la libreria.
A metà strada cambiò idea e tornò indietro, controllando che Misaki e Hanako fossero andate via.
Alla fine, si decise per un pacchetto di preservativi standard e uno alla frutta. Il pacchetto era giallo e rosa, non poteva ignorare un simile segno del destino. Nagisa li avrebbe amati alla follia. Afferrò anche un tubetto di lubrificante senza far particolarmente caso alle caratteristiche varie, tanto lo avrebbero solo confuso di più, e si diresse verso le casse, furtivo e aggraziato come un ninja.
 
La ricerca del manga yaoi perfetto richiedeva cura e attenzione. La libreria era meno fornita di quanto si aspettasse, ma c’era comunque del materiale interessante. L’ideale sarebbe stato qualcosa di romantico al limite dello sdolcinato ad ambientazione scolastica, ovviamente con dei bei disegni. Non sembrava difficile.
Questo finché non ne aprì uno a caso, dal titolo particolarmente rosa e fintamente innocente. I personaggi erano orrendi e sproporzionati al punto da costringerlo a distogliere lo sguardo, sconvolto. E non aveva neanche aperto su una scena particolarmente pornografica.
Rimise a posto il manga bruscamente, senza neanche preoccuparsi di spiegazzarlo.
Doveva calmarsi. Era solo un primo tentativo sfortunato. Ultimamente la sua vita ne era piena. Meglio in quel momento che sabato sera, dopotutto… al pensiero, sprofondò di nuovo nell’imbarazzo. Iniziò ad analizzare i manga con cautela, scegliendo i primi numeri e guardando la trama nel retro della copertina. Lui voleva una semplice e stereotipatissima ambientazione scolastica, porca miseria, e invece era un tripudio di coinquilini strambi, colleghi ambigui, ragazzini venduti a fascinosi uomini d’affari, maghi e maledizioni, attori porno, addirittura ambientazioni futuristiche con scuole di formazione professionale per gigolò.
Tra i pochi dalla giusta ambientazione, c’era poi da considerare l’estetica: quasi tutti gli stili di disegno non lo soddisfacevano, per non parlare dei personaggi. Insomma, Nagisa basso e tanto carino, ma non così tanto. O forse era lui a non essere abbastanza grande e macho. Beh, almeno non aveva le mani più grandi della testa.
Poi, gli apparvero. In basso, in un angolo, quasi dimenticati, tre perfetti volumetti messi lì solo per lui. Tra i pochi senza un gigante ed un ragazzino androgino. I due ragazzi in copertina erano carini, disegnati impeccabilmente e colorati in modo delicato, miracolosamente alti uguali, con occhi e capelli di colori normali. La trama recitava “la commedia romantica di un liceale alle prese con le delusioni della pubertà”. Era perfetto. Doveva assolutamente essere suo.
Il commesso lo fissò in modo stranissimo mentre pagava, ma non ci fece troppo caso. Tornò a casa felice e soddisfatto di se stesso.
Nascose con attenzione i suoi acquisti nella sua camera. Dopo cena si sarebbe messo all’opera.
 
Nonostante la realizzazione della sera precedente, lo stato di relativa pace con se stesso e la filosofia di “quel che sarà, sarà” erano andati a quel paese. Elektel Delusion – il manga – era quanto di più perfetto potesse trovare. Era dolcissimo, ma non sdolcinato. Aveva riso come uno scemo e si era emozionato a ogni singola scena minimamente romantica, oltre ad essersi imbarazzato a morte ogni volta che le cose si facevano più spinte di un bacio – cioè abbastanza spesso. La prima volta stava per gettare via tutto e correre a dormire con i suoi genitori, ma aveva resistito e ne era valsa la pena. Fumi e Shunpei erano fantastici.
Adorava la naturalezza con cui interagivano e si toccavano: lui era sempre terrorizzato di fare la cosa sbagliata, o, peggio, non essere abbastanza bravo.
Ma non era quello che gli faceva venire voglia di tornare un ignaro bimbo di otto anni. La sua croce era quella faccenda dei ruoli, seme e uke, o gatto, o quel che era. Ne aveva un’idea anche prima, per quello aveva comprato il lubrificante, ma solo ora ci aveva pensato sul serio.
Analizzando la situazione razionalmente, per quanto possibile, la sera dopo poteva evitare di preoccuparsi: il sesso anale richiedeva una preparazione che non poteva essere ottenuta in una sera sola, quindi era da escludere. Però lui non aveva a che fare con qualcosa di razionale. Nagisa era una dannata variabile impazzita e avrebbe fatto quello che gli pareva, come al solito. E lui non era per nulla bravo a rifiutargli le cose.
Si rese conto che in tutte le sue elucubrazioni non aveva mai immaginato come sarebbe stato davvero. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e fece un tentativo. Si figurò Nagisa di fianco a lui, coperto strategicamente dal lenzuolo dalla vita in giù – non che non l’avesse mai visto nudo, condividevano uno spogliatoio praticamente tutti i giorni e per giunta non aveva la minima concezione del pudore, ma non era la stessa cosa – mentre allungava il braccio per togliergli gli occhiali, guardandolo come quando gli aveva chiesto di andare a dormire da lui.
Oh.
Oh.
Forse era arrivato il momento di andare a dormire. Si rialzò a fatica e ripose i tre volumi di Elektel Delusion dentro l’armadio, nella scatola da scarpe dove nascondeva le cose. Ovvero i suoi acquisti del giorno, una manciata di conchiglie, la carta di un gelato e foglietti vari, tra cui una caricatura idiota della sua trasformazione da larva occhialuta a meravigliosa farfalla nuotatrice. Nagisa disegnava come una capra zoppa, ma l’aveva tenuta comunque.
Addormentarsi non fu per niente facile.
 
Sabato
 
Il giorno fatidico era arrivato. Secondo il suo programma, doveva essere ormai pronto e dedicarsi a riposo & riflessione, ma per la verità era più che altro ancora confuso dalla notte prima. Quella faccenda dei ruoli lo disturbava ancora, ma aveva trovato un nuovo, enorme problema.
Poteva sembrare stupido e assai poco virile. Ma Rei era superiore a queste cose, soprattutto se aveva a che fare con la Bellezza (Ben Maiuscolo).
A dire il vero non è che ci avesse davvero pensato fino a quella mattina davanti allo specchio del bagno, dove aveva notato che un bottone si stava staccando dal pezzo di sopra del pigiama ed era quindi corso a ripararlo. Stava frugando alla ricerca di un rocchetto di filo della giusta gradazione di viola, quando il dubbio l’aveva stroncato: non sapeva cosa mettersi.
Riattaccò il bottone e procedette con metodo: sistemò sul letto tutte le magliette, le canottiere e le poche camicie che aveva. Sgombrò la scrivania e ci sistemò i pantaloni. Lasciò nell’armadio tutti i capi con cui Nagisa l’aveva già visto, pantaloni a parte, e ovviamente i pezzi della divisa. Ordinò il resto in una perfetta scala cromatica, rischiando una crisi di nervi per i capi fantasia.
Doveva valutare sia il modo in cui i vestiti gli cadevano addosso, sia quanto gli donava il colore. Spalancò per bene la finestra per avere più luce e iniziò quindi a provare le maglie una per una davanti allo specchio, fotografandosi prima a figura intera escludendo la faccia, poi dalle spalle in su.
Alla decima maglietta era già esausto. Si prese una pausa, cosa inusuale per lui, e si ritrovò a rimirarsi a torso nudo. Aveva le clavicole sporgenti e non gli piacevano. Più le guardava, più gli sembravano ossa di pollo. Tirò il braccio e fletté i muscoli, ma la situazione non cambiava. Si sentiva orribile.
Non sarebbe mai stato elegante come Haruka, o grande e accogliente come Makoto. Decisamente non sarebbe mai stato come Nagisa. Già, Nagisa… lasciò perdere, per non tornare ai pensieri imbarazzanti della sera prima. Con molto poco entusiasmo riprese il suo lavoro.
Stava provando la camicia lilla gessata, ancora nuova, quando sua madre entrò all’improvviso in camera sua, cogliendolo sul fatto.
«Ti prego, dimmi che quelle foto non finiranno su Internet» sospirò, togliendosi gli occhiali e pulendoli nell’orlo della maglietta.
«C-certo che no!» esclamò, indietreggiando e andando a sbattere contro la sedia della scrivania. «Stavo solo cercando di capire cosa mi sta meglio» ammise.
Gli occhi di sua madre brillarono divertiti.
«Rei, bastava che chiedessi a me!» rise, avvicinandosi al letto. «Santo Cielo, hai ancora questa cosa?» esclamò tenendo l’oggetto incriminato con due dita.
«È un regalo di papà, non posso buttarla» borbottò Rei.
Entrambi rimirarono in silenzio la camicia: era a maniche corte, verde acido a stelline gialle e con delle ruches davanti.
«Solo lui poteva trovare una cosa così assurda» osservò sconsolata, rimettendola a posto.
Il ragazzo non poté far altro che acconsentire, anche se in fondo quella camicia gli piaceva.
Sua madre si spostò verso la scrivania e scelse un paio di pantaloni.
«Quelli che ti stanno meglio sono questi, anche se non capisco perché tu li abbia voluti di questo colore» disse porgendoglieli.
Rei lasciò stare la seconda parte della frase (che c’era di strano nel color senape?) e li prese quasi commosso. Aveva un punto di partenza, ora! Effettivamente stava affogando nelle magliette.
«Ah, e lascia stare le canottiere, ti stanno bene, ma direi che non vanno bene per la sera.»
Fece una faccia da cucciolo riconoscente che avrebbe fatto sciogliere un sasso. Sua madre gli sorrise lievemente, addolcita.
«Oh, giusto, ero venuta a dirti di andare a raccogliere il bucato. Però forse è meglio che prima rimetti a posto la camera.»
«Subito!» esclamò obbediente, mettendosi subito all’opera.
Sua madre si voltò ed uscì dalla stanza. Arrivata all’inizio delle scale, si fermò e gli disse:
«Ah, Rei, invita Nagisa-chan a cena, uno di questi giorni.»
Rei avrebbe voluto sembrare calmo e perfettamente sicuro si sé, mentre spiegava a sua madre che aveva frainteso tutto. Invece, tutto quello che riuscì a fare fu un urletto strozzato mentre una pila di canottiere gli scivolava per terra.
«G-guarda che Nagisa non è la mia ragazza!» strillò molto virilmente.
Sua madre continuò a scendere le scale serenamente, guardandolo solo per un unico, infinito attimo, le labbra piegate in uno strano ghigno.
Lo sapeva? Non lo sapeva? Cosa sapeva?
Rei rimase immobile per cinque minuti buoni, agghiacciato.
 
Sempre sabato, sera
 
Si rimirò allo specchio un’ultima volta. Beh, non poteva apparire meglio di così, quindi avrebbe fatto meglio a muoversi.
Alla fine aveva deciso per il gilet nero a righe grigie con sotto una maglietta lilla con scollo a V, classificatasi terza nella grande analisi delle magliette e scelta perché le prime due erano una nera – banale – e una rossa, quindi faceva a pugni con l’ocra dei pantaloni. Aveva anche passato una buona mezzora in bagno per pettinare all’indietro i capelli col gel.
Ricontrollò lo zaino per la sesta volta. Il suo pigiama preferito era a lavare, quindi aveva dovuto ripiegare su quello blu a ciambelle. Tutti i suoi acquisti erano sul fondo, nascosti ma facili da ritrovare.
C’era stato un terribile momento di terrore appena uscito dalla doccia, perché non sapeva come destreggiarsi con la biancheria. Tuttavia, possedeva fondamentalmente un solo modello di mutande, quindi il dilemma si era limitato al colore.
Si decise e prima di iniziare a preoccuparsi del colore dei calzini che neanche portava e scese al piano di sotto.
Salutò i suoi genitori – suo padre gli fece i complimenti per il suo aspetto, quindi si sentì molto più sicuro di sé, anche se sua madre sembrava sul punto di scoppiare a ridere, situazione molto frequente in casa Ryugazaki –, tirò fuori dalla scarpiera i mocassini viola, nuovi fiammanti, se li infilò ed uscì.
Era sua intenzione arrivare cinque minuti in anticipo, come sempre.
 
I cinque minuti d’anticipo erano diventati venti di ritardo. Era terribilmente imbarazzante da ammettere, ma aveva sbagliato strada due volte. Due. Aveva controllato la strada su internet ed aveva sbagliato lo stesso. Per di più, le scarpe nuove gli facevano male e il gel stava già cedendo, così si ritrovava con ciocche rigide come spaghetti crudi sulla fronte. Cercò di rimetterle a posto con pochi risultati mentre, finalmente davanti alla casa giusta, cercava il coraggio di suonare il campanello. Inspirò, si aggiustò gli occhiali e allungò il dito tremante.
«Benvenuto alla festa!» esclamò Nagisa, aprendo la porta all’improvviso.
«Ahia!» esclamò Rei, dato che la porta gli aveva colpito il braccio.
«Rei-chan! Pensavo non arrivassi più! Ma che hai fatto?»
Lasciò stare la botta e cercò di ritrovare un minimo di dignità.
«Oh! Rei, benvenuto!» lo salutò Makoto, apparso alle spalle di Nagisa con una pila di asciugamani in braccio.
«Buonasera, Makoto-senpai» rispose in automatico. Sulla porta di quello che poteva essere il soggiorno c’erano due sue compagne di classe, Emi Kitamura e Chiba Michiyo, probabilmente intente a spiare Makoto. Lo salutarono con la mano.
«Sai, Haru-chan ha combinato un disastro con l’irrigatore da giardino, Mako-chan mi sta aiutando ad asciugare tutti» gli disse Nagisa.
No, un momento. Cosa cavolo stava succedendo? Perché c’erano tutte quelle persone? Per cosa cavolo si era tormentato per i tre giorni precedenti?
«Ma… ma…» pigolò, senza sapere bene come esprimersi «Pensavo saremmo stati… s-soli»
Nagisa ridacchiò e chiuse la porta dietro di lui. Si alzò leggermente per schioccargli un bacio sulle labbra.
«Rei-chan, non essere geloso!»
«N-non sono affatto geloso! Sei tu che non mi avevi detto di…»
Nagisa rise ancora e lo baciò di nuovo.
«Dai, Rei-chan, è una festa, divertiti! Ecco, dammi lo zaino, te lo porto su!» In qualche modo, Nagisa gli sfilò lo zaino di dosso e prima che potesse fermarlo corse su per le scale.
«Aspetta! Spiegami che sta succedendo! Nagisa!» chiamò inutilmente.
Entrò nel soggiorno, sorprendentemente spazioso e aperto sul piccolo giardino sul retro, ma comunque strapieno. In un angolo, Makoto stava frizionando i capelli di Haruka con un asciugamano preso dalla pila appoggiata di fianco a lui. Buona parte delle sue compagne di classe fingeva di non fissarli. Gou e la sua amica, di cui non conosceva il nome, stavano facendo amicizia con alcune ragazze. Un gruppetto di suoi compagni maschi, tra cui spiccava Eiichiro Onodera, uno degli attaccanti della squadra di calcio della scuola,  armeggiavano pericolosamente con lo stereo. Si voltarono tutti simultaneamente a fissare Rei, quando entrò. Alcuni avevano un asciugamano al collo.
Una potente schitarrata invase l’aria, e Nagisa riapparve, appendendosi all’improvviso al braccio di Rei.
«Non siamo un po’ troppi?» gli chiese.
«Io avevo invitato meno persone, ma quando ho detto che c’era anche Mako-chan improvvisamente volevano venire tutti»
«Nagisa, non esagerare» disse l’interessato, sorridendo.
«Non è vero!» smentirono metà delle ragazze presenti, troppo in fretta per essere credibili.
«Bene! E ora, karaoke!» esclamò Nagisa, saltellando verso la TV.
 
La serata poteva non essere quella che si era aspettato, ma stava imparando molte cose. Prima di tutto, aveva parlato per più di venti secondi con i suoi compagni di classe, prima che Nagisa lo trascinasse a forza verso la Nintendo Wii. Erano simpatici, in fondo. Non che avessero molti argomenti in comune, ma era un enorme miglioramento rispetto al solito “mi passi gli appunti di inglese?” “li ho già dati a Nagisa”.
Aveva anche scoperto che Makoto aveva un insospettabile talento al karaoke, ma era impacciato a livelli imbarazzanti quando si trattava di ballare: rischiava costantemente di prendere a gomitate gli astanti e passava quindi metà del tempo fermo a scusarsi. Questo perché Nagisa aveva costretto il club di nuoto ad una partita ad un gioco musicale alla Wii con un’improbabile canzone k-pop in sottofondo. Rei, nonostante non toccasse un videogame dall’Innominabile Disastroso Tredicesimo Compleanno di suo cugino Heiji (a cui aveva deciso di non pensare mai più), si era sentito piuttosto sicuro di sé. Nonostante ciò, era arrivato penultimo. Nella sorpresa generale, Haruka aveva stravinto, anche se praticamente tutti avrebbero giurato di averlo a malapena visto muoversi. Gou e Nagisa non avevano preso molto bene la sconfitta, quindi costrinsero Rei a un’altra decina di partite, anche dopo che Haruka aveva lasciato perdere il gioco ed aveva raggiunto Makoto in giardino. Non erano però riusciti a replicare il successo a sforzo zero, nemmeno con l’aiuto di Tetsu-san, il nerd della classe. Rei si chiese nebulosamente cosa doveva essersi inventato Nagisa per farlo uscire di casa, nel passaggio tra gli SHINee e Britney Spears.
Alla fine, Gou e Nagisa si erano arresi e si erano messi a giocare ad Animal Crossing con un paio di ragazze e Tetsu-san, seduti in cerchio sul pavimento.
Onodera, l’attaccante della squadra di calcio, e i suoi amici coinvolsero Rei in un discorso inizialmente sugli integratori vitaminici, che in qualche modo andò tragicamente a finire in una discussione sulle ragazze, cosa che mandò Rei nel panico e deliziò oltremodo gli altri quattro.
 
Haruka sbadigliò. Lui e Makoto avevano i posti migliori sul divano senza aver fatto alcuno sforzo per ottenerli. Chiba Michiyo era finalmente riuscita a farsi coraggio e intavolare una conversazione con Makoto sui fratelli minori. Haruka di tanto in tanto la guardava, annoiato.
«Haru-chan, torniamo a casa, ormai è mezzanotte passata» gli disse Makoto, notando il suo sbadiglio – e anche la sua insofferenza verso Chiba -, lasciando perdere la descrizione del primo fallimentare tentativo culinario della sua sorellina.
Haruka annuì e si alzarono. Chiba e le sue due amiche-spalla mascherarono molto male uno sguardo deluso, nonostante le scuse di Makoto.
Nagisa li notò e smise di tormentare Midori Sakurada per avere una degli abitanti del suo villaggio, Flo la pinguina.
«Haru-chan! Mako-chan! Ve ne andate già?»
«Sì, è mezzanotte passata, ormai»
«Cosa?!» esclamò Gou «dovevo essere a casa prima di mezzanotte! Mia madre mi ucciderà!
Chiuse il Nintendo DS di colpo e si precipitò a cercare la sua giacca. Nel mentre, beccò Tomoko Hayashi e Yoshino Mayeda che pomiciavano nell’ingresso.
Si riprecipitò in soggiorno per dare la notizia in anteprima. Lei e Nagisa se lo aspettavano da settimane, a dire il vero, e ci avevano anche scommesso sopra contro Midori.
Il pettegolezzo freschissimo le aggiunse quaranta minuti di ritardo, probabilmente i più imbarazzanti della vita dei due neo-fidanzati.
 
Piano piano, tutti ritornarono a casa.
L’ultimo gruppo di ragazze chiese se avevano bisogno di una mano per sistemare.
«C’è Rei-chan per quello!» rispose Nagisa, salutandole con la mano mentre uscivano. Il soggiorno non era ridotto malissimo, considerando che aveva ospitato una ventina di adolescenti. C’erano briciole di patatine ovunque e qualche lattina vuota, ma i mobili erano intatti e non c’erano macchie strane da nessuna parte.
Nagisa e Rei si ritrovarono soli nell’ingresso semibuio. Quest’ultimo iniziava a temere di essere stato invitato a restare solo per fare le pulizie.
Nagisa lo prese per mano, parlando di quanto non si aspettasse di Tomoko e Yoshino, e ritornarono in soggiorno.
Si guardò di sfuggita allo specchio di uno dei mobili. Davanti il gel teneva ancora, ma dietro era totalmente svanito e sembrava avere una sorta di aureola bluastra. Orripilante.
«Che capelli buffi che hai, Rei-chan!»
Imbarazzato, si sistemò gli occhiali e si lasciò cadere sul divano. Nagisa si tuffò di fianco a lui, sdraiandosi in modo scomposto e appoggiandogli la testa sulle gambe. Esitò un po’, poi gli accarezzò i capelli. Nagisa si stirò come un gattino, felice.
«Allora, Rei-chan, ti sei divertito?»
«Direi di sì, anche se mi aspettavo… altro» era delusione quella nella sua voce?
«Ho visto che parlavi con Onodera e gli altri!»
«Geloso?» chiese, spingendo gli occhiali fino alla radice del naso.
«Certo che no! Sono contento che tu abbia fatto amicizia, di solito parli solo con me!» gli appoggiò la mano sul collo, accarezzandogli il lobo dell’orecchio con il pollice.
Era carino da impazzire. Rei si fece ancora più rosso, e tentò per l’ennesima volta di aggiustare gli occhiali. Nagisa gli bloccò la mano a metà del gesto e se la sistemò sul petto.
«Perché non mi avevi avvertito della festa?» chiese finalmente Rei.
«Sì che l’ho fatto!»
«Veramente no. »
«Ma sì, sono sicurissimo!»
«Non mi hai mai detto nulla riguardo una festa»
«Ma devo almeno averti mandato un messaggio, come a tutti gli altri… guarda qui!» tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e controllò i messaggi inviati. «Uhm, ecco… deve essere qui… beh, ops. Scusa, Rei-chan! Credevo proprio di avertelo detto! Però, in classe ne parlavano tutti, come hai fatto a non sentirlo? »
«Ah, davvero? »
«Sì! È da giovedì, quando i miei genitori hanno deciso di portare le mie sorelle alle terme, che non si parla d’altro! Ma dove avevi la testa?»
Rei assunse una delicata gradazione di bordeaux. Nagisa chiuse gli occhi e strofinò il viso contro la sua pancia, mugolando assonnato.
E adesso cosa doveva fare?
Restarono fermi così per un po’.
«Non addormentarti su di me!» lo ammonì, più per spezzare il silenzio che per reale fastidio.
L’altro si alzò, stropicciandosi un occhio – lo faceva apposta o cosa?
«Hai ragione, andiamo a letto, Rei-chan!»
Gli prese entrambe le mani e lo tirò su, per poi partire verso le scale a passo spedito.
Rei provò a protestare e puntare i piedi, ma Nagisa lo trascinava con forza insospettabile per uno dieci centimetri abbondanti più basso e apparentemente assonnato. Alla fine lasciò perdere e lo seguì su per le scale, per evitare di cadere e rompersi qualche dente.
Dentro la sua testa tutte le preoccupazioni dei giorni precedenti si stavano raggruppando in una sorta di enorme cumulonembo carico di fulmini. Stava ricominciando a sudare. Ma se l’era dato il deodorante? Non ricordava. Non poteva neanche provare a controllare, o Nagisa avrebbe notato i suoi gesti strani e chiesto spiegazioni imbarazzanti.
Perché era così silenzioso? Era innaturale sentirlo tacere per più di cinque secondi.
Ormai erano arrivati al piano di sopra. La porta di ogni stanza aveva sopra una targhetta col nome del suo proprietario, fatte probabilmente quando erano ancora bambini. Quella della stanza di Nagisa era particolarmente rosa, piena di ghirigori e cuoricini. La calligrafia con cui era scritto il nome non sembrava sua.
Si era immaginato l’oltrepassare la soglia come una sorta di passaggio magico carico di significati, con improvvise luci mistiche e simbolici fiori che diventano simbolici frutti o cose del genere. In realtà, per poco non sbatté la faccia contro l’angolo e inciampò sulle bretelle del suo zaino, abbandonato di fianco alla porta.
La stanza di Nagisa non era come se l’aspettava. Per qualche motivo se l’era sempre figurata come una via di mezzo tra un santuario ai pinguini ed una scatola di tempere esplosa, a cui recentemente si era aggiunto un enorme letto a forma di cuore degno del peggior love hotel, petali di rosa ovunque e un armadietto nero laccato dal contenuto misterioso. Invece era sorprendentemente sobria, e persino ordinata.
Rimase imbambolato a fissare la stanza, chiedendosi in particolare che fossero le strane scatoline sul tavolo sotto la finestra. Nagisa, intanto, si era spiaggiato sul letto, sbadigliando. Ora l’orlo della sua maglietta lasciava scoperti una strisciolina di pelle e un po’ dell’elastico delle mutande.
Rei deglutì nervosamente. E adesso?
Recepì una vaga eco in lontananza. Nagisa doveva aver detto qualcosa.
«Eh?» chiese, sperando di non sembrare troppo ebete.
«Ti piace la mia camera, Rei-chan?» gli chiese, sollevandosi sui gomiti e inclinando la testa di lato.
«Me l’immaginavo diversa»
«Diversa come?»
«Più… rosa?»
«Non sono mica una principessa!» si tirò su a sedere, gesticolando per enfatizzare le sue parole. «O una delle mie sorelle, che però più che però sono più delle streghe…» aggiunse, rabbuiandosi un po’.
Seguì un altro silenzio imbarazzante. Rei si irrigidì ancora di più, mentre il nuvolone delle sue insicurezze iniziava a tuonare qualcosa che poteva essere riassunto in “ma cosa credi di poter fare, fuggi finché sei in tempo”.
«Rei-chan?»
«Beh, sì, ecco io…» si guardò attorno alla ricerca di qualunque cosa potesse trarlo in salvo. La trovò, giusto ai suoi piedi: il suo zaino. «Vado a lavarmi i denti!
Corse fuori dalla stanza buttandoselo in spalla, senza neanche chiedere dov’era il bagno. Sentì Nagisa ridere in lontananza.
Fortunatamente era dotato di targhetta come le altre stanze.
Entrambi i genitori di Rei (e anche Rei, a dire il vero) erano parecchio fissati con la cura della pelle e dei capelli, per non parlare del profondo amore per i cosmetici di sua madre, ma il bagno di Nagisa sembrava una profumeria in cui era appena passato un uragano.
Cercò di toccare meno cose possibili e da bravo bambino si lavò i denti con perizia eccessiva persino per lui, poi si infilò il pigiama con estrema lentezza. Scoprì che se l’era dato, il deodorante. Tentò di ridare ai suoi capelli una forma umana con le dita bagnate, ottenendo però scarsi risultati.
Temporeggiò ulteriormente leggendo le etichette degli shampoo. Qualcuno doveva avere i capelli tinti, a giudicare dai prodotti. Per qualche motivo si ritrovò ad immaginare Nagisa in versione mora, o rossa.
Neanche gli avesse letto nel pensiero, questo apparve.
Rei trattenne a stento un urletto sorpreso, rischiando di far cadere una pila di cosmetici vari. Per la prima volta in vita sua vide Nagisa sbiancare vedendo una scatoletta di forse cipria dall’aspetto costoso traballare sull’orlo del lavandino.
Entrambi rimasero a fissare la confezione fino allo scampato pericolo. Poi Nagisa recuperò il sorrisetto stanco e fintamente innocente che aveva da quando avevano salito le scale e lo baciò, alzandosi in punta di piedi e afferrandolo per il bavero della maglia.
Non era un bacio particolarmente passionale, aveva semplicemente appoggiato le labbra sulle sue, ma era quello di cui Rei aveva bisogno. La confusione nella sua testa evaporò all’istante.
Gli accarezzò la schiena e si abbassò per farlo stare più comodo.
«Adesso sei più tranquillo?» gli chiese Nagisa quando si separarono.
Rei annuì debolmente e posò la testa sulla sua spalla. L’altro sbadigliò, aprendo la bocca fino al limite massimo consentito dalla sua mascella.
«Dai, andiamo» prese Rei per la manica del pigiama e si diresse verso la sua camera. Casualmente, guardò lo zaino, lasciato aperto sul pavimento.
Ci si tuffò sopra come Haruka avrebbe fatto con una piscina piena di sgombro alla griglia.
«NO!» urlò troppo tardi Rei. Considerò seriamente di infilarsi nello scarico del lavandino e non emergere mai più, o bere tutti i flaconi di shampoo sperando fossero abbastanza tossici.
Nagisa fissò curioso le due scatole di preservativi, sorridendo alla vista di quello alla frutta.
Poi esaminò il flacone di lubrificante.
«Rei-chan, questo non va bene!» esclamò, voltandosi a guardarlo. Al momento, l’altro stava valutando se la finestra del bagno era abbastanza grande e se sarebbe sopravvissuto da una caduta dal primo piano.
«Uh?» trovò la forza di articolare.
«È a base oleosa, sarebbe meglio uno a base acquosa o siliconica, come quello che ho di là.»
«A dire il vero, l’ho scelto solo perché aveva una farfalla disegnata sopra…» confessò a mezza voce, cercando di non pensare alle implicazioni dell’ultima parte della frase.
Nagisa scoppiò a ridere così forte che dovette appoggiarsi alla vasca da bagno.
Rei non si era mai sentito tanto stupido in vita sua. L’altro si rialzò, sempre ridendo, lo prese per mano e lo portò in camera.
«Nagisa, aspetta, io, ecco, non…»
In tutta risposta, lo spinse sul letto. Questa volta lo baciò sul serio, a lungo, finché entrambi restarono senza fiato.
«Sotto le coperte, su!» gli ordinò. Rei eseguì, ancora col fiato corto.
Nagisa gli si accoccolò a fianco, abbracciandogli la vita e poggiando il viso nell’incavo del suo collo. Glielo baciò, per poi chiudere gli occhi e rimanere immobile.
Nonostante tutto, Nagisa era morbido, e caldo. Rei gli circondò le spalle con un braccio, che probabilmente di lì a poco avrebbe cominciato a formicolargli terribilmente dato che aveva la testa di Nagisa sulla spalla, e gli baciò i capelli. Erano la cosa più soffice che avesse mai toccato.
Dire che voleva restare così per sempre forse era scontato, ma era quasi la verità. Quasi perché non riusciva a liberarsi dell’ennesimo dubbio.
«Dormi?» gli chiese dopo un po’, raccogliendo tutto il suo coraggio.
«Ci stavo provando, sì»
«No, io intendo… volevi solo… dormire? » chiese, con la voce che si affievoliva pian piano fino a diventare poco più di un movimento di labbra.
Sentì Nagisa sorridere contro il suo collo.
«Voglio sapere se i preservativi al mango sanno veramente di mango!» rise. «E mangiarmi le ciambelle sul tuo pigiama» aggiunse mordendogli la spalla.
«Nagisa! Smettila! Non sono commestibile!
«Ah, davvero?»
Lo morse di nuovo. Rei prese a dimenarsi per farlo smettere, e ci riuscì solamente ribaltando le posizioni e bloccandolo sotto di lui.
Nagisa gli strinse le gambe attorno alla vita. Probabilmente era dove voleva arrivare fin dall’inizio.
«Allora, Rei-chan, che cosa vuoi fare?»
Per l’ennesima volta, Rei si fece prendere dal panico. Non andava bene, non aveva la minima idea di cosa fare, sarebbe stato orribile… oh, al diavolo.
Lo voleva. Lo voleva davvero. Aveva passato tre giorni ad arrovellarsi per quel preciso momento, non avrebbe sprecato il suo tempo per nulla.
Nagisa era bellissimo. Era la cosa più banale del mondo da constatare, ma era fin troppo vero. Anche adesso che aveva lasciato perdere ogni parvenza innocente e lo guardava malizioso.
Lo baciò.
 
L’unica cosa su cui Nagisa trovò da ridire, dopo, fu che il sapore di mango non sapeva abbastanza di mango.







Note:
Tutto ciò nasce dal fatto che Nagisa è un maledetto shota ingannevole e cockblocker professionista.
Scusate la fine, ma io e il contatto fisico tra i personaggi non andiamo d’accordo, come avrete notato. E poi mi imbarazzo a morte, il che è ridicolo vista la quantità di yaoi e slash che leggo.

Se qualcuno volesse vedere i genitori di Rei, eccoli. Volevo anche chiamarli seriamente Tamaki e una qualche versione femminile di Kyouya, ma Tamaki Ryugazaki suona veramente malissimo e ho trovato il significato del nome di Kyouya (specchio e notte, se non ricordo male) quando ormai avevo lasciato stare.
Mi piace pensare che sua madre lavori in un museo, o insegni arte, o qualcos’altro di artistico, mentre suo padre è un perfetto uomo d’affari con la più brutta collezione di cravatte del creato.

Ah, sì, in realtà Free! è una copertura per il mio vero amore segreto, i gerundi.
  
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