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Autore: littlemoonstar    22/09/2013    2 recensioni
Il mio nome è Cappuccetto Rosso, ma in questo nuovo mondo mi chiamano solo Red.
E in questo mondo un tempo fatato cerco di sopravvivere ora dopo ora, cercando di capire cosa lo abbia ridotto in questo stato pietoso e deprimente.
Io sono Red, e vivo in un mondo pericoloso, in cui il vissero felici e contenti non ha più senso di esistere.
Sono una sopravvissuta, e questa è la mia storia.
 
[Capitolo 18]
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. Itty-bitty living space.





Il bosco era buio e non si vedeva ad un palmo dal naso: il Cappellaio ed io camminavamo vicini, lentamente.
Senza fare nessun rumore. C'era un silenzio inquietante che aleggiava tra gli alberi,come se nessun suono fosse permesso.
« Ti farò arrivare fino ad un bivio, e da lì proseguirai da sola. » sibilò il Cappellaio, attento a non farsi sentire da nessuno. Annuii appena, guardandomi attorno. Non che ci fosse qualcuno in quel momento, e questo rendeva tutto ancora più inquietante: il bosco era tetro e tinto di luci fredde e scure, di certo non come lo ricordavo. Il vento sussurrava le sue note macabre tra gli alberi, smuovendo appena le fronde tinte di un verde spento, oramai non più vitale come una volta.
Faceva freddo. O forse ero solo io ad avere i brividi.
Strinsi a me la lancia, come per proteggermi dai fantasmi del bosco che vedevo in ogni angolo.
« Lo so. » mormorò il Cappellaio nel silenzio, probabilmente leggendo la mia espressione. « è triste. ».
Abbassai lo sguardo: a quelle parole era inevitabile pensare ad Alice.
« Ci siamo. » disse il Cappellaio con voce ferma: eravamo arrivati in un piccolo spiazzo d'erba, al centro di cui troneggiava un'imponente quercia secolare che, nonostante i toni spaventosi del bosco, sembrava ancora piena di forza e vigore.
« Dov'è l'uscita? » chiesi, pronta a proseguire.
« Aspetta. Dobbiamo attendere il suo arrivo. » ribatté il Cappellaio, guardando verso l'alto.
« L'arrivo di chi? » mugugnai, confusa. Credevo che avrei proseguito da sola, e adesso spuntava quella novità. Per un attimo pensai che il Cappellaio mi avesse teso una trappola, e che da un momento all'altro sarebbe spuntata la Regina con le sue maledette carte, ma scacciai subito quel pensiero dalla mia mente.
In cuor mio, sapevo che di qualcuno potevo fidarmi. E il Cappellaio era quel qualcuno.
Lo vidi sorridere, guardando ipnotizzato tra le fronde dell'albero. Seguii il suo sguardo, e notai in tutto quel verde una coda di un intenso color violetto, tanto scuro da sembrare nero.
« Buonasera, Stregatto. » esclamò il Cappellaio, per la prima volta ad alta voce. Dall'albero spuntarono due piccole orecchie striate di rosa scuro, che nell'oscurità sembravano quasi brillare.
« Cappellaio. » sibilò lo Stregatto con voce suadente. Sembrava provenire dalle profondità della terra. « Vedo che siete riusciti ad arrivare senza intoppi. Red. » concluse, con un lieve cenno del capo.
Conoscevo poco lo Stregatto, di norma non era un tipo molto socievole. E poi, parlare con lui era come fare discorsi a vuoto con un muro, e alla fine non si riusciva a trovare né capo né coda alla discussione.
« Lo Stregatto ti porterà fino al confine. Non preoccuparti, andrà tutto bene. » concluse, posando una mano guantata sulla mia spalla. Un sorriso amaro attraversò le mie labbra. Cominciavano ad essere un po' ripetitivi con quella positività gratuita, ma d'altra parte era l'unica cosa che ci era rimasta.
« Ecco... » iniziai, in imbarazzo. Non ero solita intraprendere quei discorsi. « Bé, grazie. E...prenditi cura di Alice. Cercherò di fare del mio meglio per aiutarla. ».
Non volevo fare promesse, perciò non lo feci. Era troppo pericoloso in quel mondo.
Il Cappellaio annuì e si voltò, tornando indietro lungo la strada. Lo vidi scomparire tra gli alberi, fino a che non mi lasciò sola nell'ombra.
« Andiamo. » disse risoluto lo Stregatto, saltando giù dall'albero. « La Regina non ci metterà molto a trovarci se rimaniamo qui. ».
Lo guardai, strabuzzando gli occhi. Si accorse che avevo esitato per qualche istante, ma avevo le mie buone ragioni: aveva il pelo molto più lungo e stopposo, e i colori erano intensi e fosforescenti. In più, era molto più grosso di quando l'avevo visto l'ultima volta.
« Oh, sei cresciuto, caro mio. » commentai, senza riuscire a trattenermi. In quelle occasioni non avevo quel maledettissimo filtro chiamato discrezione.
« Già. Radiazioni. E ti fanno anche la permanente. » ribatté lui, lisciandosi il pelo fluorescente. Lo vidi svanire appena, diventando poco meno reale.
« Scusa, è che con questi dannati colori sono parecchio visibile. » mi spiegò, alzando gli occhi al cielo.
Io non dissi nulla. Semplicemente mi limitai a seguirlo in silenzio, in attesa.
Un passo, poi l'altro. Sembrava che i minuti passassero così lentamente da sembrare ore, e il bosco era tutto uguale. Non si vedeva uno spiraglio di luce, né un cambiamento che portasse a pensare a un qualche tipo di uscita.
« Red. » sussurrò improvvisamente lo Stregatto, senza fermarsi. Lo seguii a passo rapido, facendogli intuire che lo stavo ascoltando con un cenno.
« Ho delle informazioni dal Bianconiglio. ».
Il mio cuore mancò un battito: in quella confessione apparentemente minima c'erano tante di quelle informazioni che il mio cervello per un attimo andò in pappa.
« E' stato qui? » chiesi, senza scompormi. Dovevo mantenere la calma, così come stava facendo lui.
« Mh mh. Purtroppo le guardie della Regina ci stavano pedinando, ed è dovuto scappare. Mi ha detto che, semmai ti avessi incontrata, avrei dovuto dirti delle cose. ».
Rimasi in silenzio. « Sta bene? » chiesi solamente, sperando con tutto il cuore che la Regina non l'avesse catturato.
« Si, è uscito dal regno appena in tempo. Mi ha detto di riferirti queste esatte parole. » prese un respiro, si fermò un momento, poi proseguì. « c'è chi sa del tuo tesoro,ma devi dirigerti oltre le dune di sabbia. ».
« Un messaggio criptico. » commentai, arricciando le labbra.
« Qui non possiamo essere troppo espliciti. » mi spiegò lui, fermandosi di colpo. « la Regina opera il controllo della mente. Può sapere anche i dettagli di ogni conversazione contenuta nella mente di ognuno degli abitanti di questo posto. ».
Lo Stregatto continuava a rimanere immobile, muovendo esclusivamente gli occhi in ogni direzione. Fu in quel momento che anche io mi accorsi di uno strano fruscio, lontano e intermittente, proveniente dal fondo del bosco.
Poi distinsi chiaramente i passi.
Poi le voci.
« Ci hanno trovati. » disse semplicemente lo Stregatto. « Vai. Sempre dritto, non puoi sbagliare. Vai! ».
Annuii appena, e in quel gesto c'era tutta la mia gratitudine. Cominciai a correre rapidamente, schivando le radici degli alberi e le sterpaglie. Caddi un paio di volte, ma mi rialzai nonostante la fatica e le ferite.
Facevano male, ma in quel momento dovevo pensare solo a correre.
Non so per quanto tempo corsi senza voltarmi. Una luce improvvisa alle mie spalle mi costrinse a girarmi, e in quel momento una specie di incendio divampò sotto i miei occhi, lontano quel tanto che ci avevo messo per arrivare fin lì.
Pregai che non fosse accaduto nulla allo Stregatto, poi mi voltai e continuai a correre.
Corri, corri, corri.
Era il mio unico obiettivo in quel momento. Sempre dritto, senza sbagliare.
Nella folle corsa cercai di eliminare gli arbusti che mi intralciavano con la lancia, provando a non rallentare il passo. Sentivo le voci farsi sempre più vicine nonostante lo Stregatto si fosse immolato come diversivo.
Pregai di nuovo che fosse sano e salvo, e continuando a correre mi scontrai con una parete trasparente, invisibile ad una prima occhiata.
Ma io non ci feci caso. Vista la velocità a cui andavo mi accorsi solo dopo di esservi entrata attraverso.
L'avevo oltrepassata, come una barriera invisibile che riusciva a bloccare solo chi non aveva tanta fiducia in se stesso da attraversarla. Per un attimo fu come passare attraverso una sostanza vischiosa, creata apposta per rallentare il passo a chi ci entrava.
Proseguii a fatica, un passo dopo l'altro. Passarono secondi, poi minuti. E finalmente emersi.
Caddi a terra con un tonfo, udendo il rumore lontano di tutto ciò che avevo nella sacca cadere a terra.
Tossii, cercando di eliminare quel fastidioso odore di terra dal naso. Poi guardai alle mie spalle e vidi nuovamente la siepe, verde e imponente di fronte a me.
« Sono fuori... » mormorai, afona. « Sono fuori. ».
Mi sentivo incredibilmente spossata, eppure l'adrenalina continuava a scorrermi vorticosamente nelle vene mantenendomi reattiva. Mi alzai in piedi, barcollando appena.
Non avevo idea di dove fossi, ma l'aria sembrava respirabile e non c'era traccia di neve. Di certo non ero nel bosco di Biancaneve, e questo era un bene. Se mi fossi ritrovata al punto di partenza avrei dato di matto.
Ripensai alle parole del Bianconiglio. Dovevo dirigermi oltre le dune di sabbia, ma lì vedevo solo una grande distesa d'erba apparentemente fresca e rigogliosa.
Cominciai ad avviarmi, temendo che le guardie della Regina potessero spingersi fuori dal regno: nonostante lei non ne avesse mai avuto l'intenzione, non aveva certo timore nel mandare i propri galoppini a farsi ammazzare all'esterno.
E cominciai a pensare ad Alice.
Nonostante cercassi con tutte le forze di non farmi coinvolgere in quelle stupide vicende sentimentali, e di lasciare spazio alla bambina emotiva che ero un tempo. Ma lei era tua amica.
Stupidi, stupidi sentimenti. Non facevano bene proprio a nessuno.




La lunga distesa d'erba si era fatta sempre più rada, fino a scomparire quasi del tutto per lasciare spazio ad un infinito orizzonte di roccia rossa. Visto che gli ultimi eventi avevano completamente sconvolto la mia bussola, avevo deciso di andare sempre dritto ed evitare di cacciarmi nei guai per vie traverse.
Non conoscevo quella zona, né ricordavo di esserci mai stata, perciò per me era come fare i primi passi.
Grazie al Cappellaio avevo soddisfatto la mia sete e mi ero rifornita di qualcosa da mangiare, così da poter rimanere tranquilla almeno per un altro giorno. Sapevo di dover raggiungere un deserto, e quello ne aveva tutto l'aspetto, ma poi?
Continuai a camminare per ore, senza mai fermarmi. Avevo lo strano timore che, se fosse calata la notte, quello non sarebbe stato decisamente il posto migliore per nascondersi.
« Oltre le dune di sabbia... » ripetei di nuovo, pensando alla voce calma e speranzosa del Bianconiglio. Le mie parole echeggiarono nel vento, rimbombando tra le pareti di roccia irregolare, che tendevano via via ad abbassarsi lungo il cammino.
Abbassarsi?
Intorno a me, qualcosa stava cambiando. Il paesaggio si faceva via via più ampio, le grandi rocce rosse lasciavano spazio a elementi sempre più piccoli, mentre il resto si trasformava in sabbia. Quel graduale cambiamento mi strappò un sorriso.
« Maledetto Stregatto, sa sempre tutto. » mugugnai, ripensando alle vaghe indicazioni che mi aveva dato quel micio troppo cresciuto. Vai sempre dritta, aveva detto. E forse non si riferiva solo al suo mondo, perché adesso c'era della sabbia sotto i miei piedi ed ero fermamente convinta che lui lo sapesse fin dall'inizio.
Chi invece avrei dovuto maledire era il Bianconiglio, che come al solito parlava ad indovinelli.
Il silenzio attorno a me improvvisamente fu interrotto da una serie di suoni sordi e non molto lontani.
E questa volta li riconoscevo bene. Erano spari, probabilmente di armi pesanti.
E mi ci stavo avvicinando sempre di più.
La sabbia sotto di me aumentava man mano che andavo avanti, e in poco tempo attorno ebbi solo un'infinita distesa di deserto rosso. Camminavo da ore oramai. Il sole era alto nel cielo, ma cominciava impercettibilmente a calare.
« Lasciami andare! » gridò qualcuno in lontananza, sovrastato da quel rumore assordante. C'era un bambino che piangeva, e il rumore di tanti passi che sembravano circondarmi.
Accelerai, stando ben attenta a dove mettevo i piedi: non c'erano posti dove nascondersi, e da quel che sentivo poco lontano da lì non erano tutte rose e fiori.
« Lasciami! » udii nuovamente, più vicino. La voce era femminile, delicata ma al contempo intensa.
« Stà zitta! » rispose bruscamente un vocione cupo, che rimbombò nel deserto vuoto.
Respirai a fondo. Le dune di sabbia rossa aumentavano sempre di più, e in pochi istanti non riuscii a vedere oltre di esse. Continuai a camminare, mentre il percorso in salita si faceva sempre più ripido.
« Se non fai silenzio sarò costretto a punirti, mi hai capito ragazzina?! » vociò qualcun altro.
Rimasi nascosta, osservando la situazione con la duna come riparo sicuro: c'erano due grossi tizi con un turbante sporco e logoro in testa e la barba incolta. Uno di essi stringeva tra le mani una sciabola arcuata di enormi dimensioni, mentre l'altro impugnava una sorta di mitra con caricatore, puntato dritto verso due ragazzini.
Strabuzzai gli occhi, inorridita. Stavano veramente minacciando due bambini con quelle armi?
Che diavolo avevano intenzione di fare?
« Allora, vediamo se con le cattive ti convinco io. » proseguì l'omone nerboruto, strattonando la bambina per il braccio. Lei si lamentò, e il fratello – sicuramente più grande di lei – provò a separare il grosso braccio di lui da quello, esile, della sorella. L'altro gorilla lo spintonò, lanciandolo sulla sabbia.
« Non ti impicciare, moccioso. » mugugnò, sghignazzando. « Allora, ragazzina, dimmi: dove sono nascosti gli altri? ».
Altri?
« Guarda che se non me lo dici, » proseguì l'altro, stringendo il mitra lucente sotto la luce del sole. « non vorrò sapere più nulla da te. Ti sparerò dritto in quella bella fronte e poi lo chiederò a tuo fratello. Li troveremo, quei bastardi dei vostri genitori. Perché non mi rendi le cose più facili? ».
La bambina piangeva, e tremava come una foglia. Sentii un moto di rabbia attraversarmi il corpo. La sciabola lucente brillò sotto il sole ancora rovente.
Adesso basta.
Superai la collina a passo lento e mi fermai, pronta a utilizzare gli ultimi proiettili che mi rimanevano contro quei due brutti ceffi. I cilindri metallici attorno al mio braccio tiravano da morire, ma non mi importava in quel momento. Le connessioni si attivarono, brillando come stelle di giorno. I due ceffi si voltarono in mia direzione, sollevando lo sguardo con sorpresa.
Puntai il braccio, oramai completamente avvolto nel metallo, verso di loro. I grossi cilindri girarono vorticosamente in entrambe le direzioni, e il primo grosso proiettile colpì il tizio con il mitra, che stramazzò a terra senza neanche il tempo di rendersene conto.
L'altro mi guardava con sdegno. « Chi diavolo... » sibilò, infuriato, stringendo la sciabola con mano ferma.
Un ghigno vendicativo apparve sulle mie labbra. Mi ricordava un po' il maledetto lupo che da piccola mi aveva quasi ammazzata. Era un po' la stessa storia.
Solo che a quel tempo non avevo un fottuto cannone al posto del braccio.
Saltai lungo la duna, scendendo a piena velocità. Il grosso omone mi venne incontro, brandendo la spada con una ferocia tale da somigliare davvero ad uno dei lupi del mio bosco.
Schivai il primo colpo, poi il secondo. Mi voltai verso i bambini. « Via! » gridai. Li vidi annuire e correre nella direzione opposta. Di fronte a me, quella specie di gorilla probabilmente mi voleva morta.
Schivai un altro attacco, osservando i suoi movimenti. Era piuttosto lento, nonostante la forza e la stazza.
Pronto a scagliarmi la sciabola appuntita addosso, non feci in tempo a respingere l'attacco che un rumore forte, acuto e fastidioso ci sorprese entrambi.
Il suono stridulo di un proiettile che colpisce la lama di un coltello, disarmando il proprietario.
« Che..? » balbettò l'omaccione di fronte a me, guardandosi le mani libere con l'espressione inebetita. La sciabola era a qualche metro di distanza da noi, conficcata nella sabbia. Bloccai ogni suo tentativo di ribattere puntandogli la lancia al collo.
« Fossi in te non mi muoverei più di tanto. » sibilai, premendo appena la lama contro la sua scorza dura. Lo vidi deglutire lentamente, poi fare un impercettibile passo indietro. Sopra le dune, due figure oscurate parzialmente dalla luce del sole apparvero a poca distanza da noi.
« Ti conviene andare dai tuoi amichetti. » cominciò una voce femminile ed energica. « e informarli che non ci faremo sottomettere così facilmente. Hai capito? ».
L'energumeno davanti a me si trasformò improvvisamente in un cucciolo spaesato e impaurito. Lo vidi annuire freneticamente, e in pochi istanti scappò a gambe levate senza neppure riprendere la spada.
Mi voltai di scatto verso le due figure, che avanzavano lungo la duna in mia direzione. La prima che riuscii a scorgere fu la ragazza, colei che aveva parlato: la pelle olivastra fu il primo elemento che mi colpì di lei.
Indossava un abito a due pezzi celeste, e uno scialle dello stesso colore le copriva la testa. Quando mi si avvicinò si scoprì il capo, mostrando i lunghi capelli corvini legati in una coda ripresa in più punti. Intravidi il manico d'oro di una spada dietro le spalle, legato alla schiena da una cinta che le fasciava il petto.
Mi sorrise. Era strano in quel contesto, ma nonostante la frenesia degli ultimi minuti ne fui sollevata.
« Grazie per averli salvati. » disse nuovamente lei, fissandomi con i grandi occhi nocciola. Erano così profondi che mi sentii quasi catturata da quello sguardo. Improvvisamente i miei pensieri tornarono ai due bambini che avevo fatto fuggire. Risposi al sorriso con un cenno della testa.
« Era giusto farlo. » dissi, ferma. I ringraziamenti mi mettevano a disagio. « Ho fatto il mio dovere. ».
« Di questi tempi è difficile trovare qualcuno che lo faccia come si deve. » aggiunse lei, sistemando la pesante cinghia scura sulla spalla. Solo in quel momento mi accorsi che, oltre alla spada, si trascinava dietro un mitra dalle dimensioni spaventose. Probabilmente era stata lei a disarmare quell'uomo.
« Io sono Jasmine. ». Allungò la mano verso di me.
« Red. » risposi io, sussultando appena. Non ci eravamo mai incontrate, prima d'ora. La principessa di Agrabah ora aveva l'aspetto di una bellissima guerriera rivoluzionaria. Quando pronunciai il mio nome, vidi lo stupore sul suo volto.
« Red? » ripeté lei, sorridendo nuovamente. « E' un piacere conoscerti, finalmente. Quando si vive in due regni così lontani, non capita spesso di incontrarsi. ».
Ma ora era diverso.
« Ehi, Al! » gridò poi voltandosi verso la seconda figura, che avanzava lentamente lungo la duna: pian piano riuscii a scorgere un ragazzo alto, dai capelli corvini e ribelli. Anche lui portava con se un pesante mitra da combattimento.
« Aladdin? » azzardai, riconoscendolo. Non lo avevo mai visto davvero, ma non poteva che essere lui.
« E' un piacere conoscerti, Red. » disse rapidamente lui, stringendomi la mano nelle sue, grandi e ruvide.
A quanto pare non ero così sconosciuta agli occhi degli abitanti degli altri regni. In quel momento pensai alle parole del Bianconiglio, e quasi mi venne un colpo. Se dovevo cercare oltre le dune di sabbia, il posto non poteva che essere quello.
La mia mano tornò lentamente normale: i cilindri metallici rientrarono dolorosamente l'uno nell'altro, lasciando spazio alla pelle artificiale sotto cui scorrevano fili e lucine e altra roba elettronica in eccesso.
Jasmine e Aladdin osservarono in silenzio quella trasformazione, accorgendosi della smorfia di dolore che traspariva, nonostante tentassi di nasconderlo, attraverso le mie labbra.
« Deve fare un male cane. » mugugnò Aladdin con un ghigno. Jasmine lo guardò male.
« Oh, non preoccuparti. » mi affrettai a dire io, cercando di non metterlo nei guai. « Ha detto la verità. ».
« Cosa ti porta qui ad Agrabah? » mi chiese lei, sistemandosi nuovamente lo scialle sulla testa. A quel punto mi guardai attorno: all'orizzonte si scorgeva il palazzo del Sultano, e le grandi cupole d'oro sembravano splendide nonostante il sottofondo delle armi da fuoco. La magia di quel luogo sembrava essere scomparsa.
« Sono in viaggio. » dissi semplicemente, ma nonostante il mio linguaggio ermetico entrambi sembrarono capire. Forse perché anche loro erano ribelli, come me.
« Allora vieni. Sarai stanca dopo il cammino nel deserto. » concluse lei, facendomi strada.






Agrabah era diventata una città di rivolte, lotta e speranza. Si, perché nonostante le bombe e i combattimenti per strada e in pieno giorno, c'era ancora una scintilla che animava quei vicoli.
Jasmine e Aladdin ne erano la prova. Da quello che mi raccontavano, il regno era stato messo sotto assedio dopo l'assassinio del sultano. Jafar era morto da un pezzo, ma i suoi sostenitori continuavano ad aizzare faide contro i ribelli sostenitori del vecchio governo.
« Noi siamo i legittimi successori al trono. » mi spiegò Jasmine, con un'occhiata rapida verso Aladdin. Eravamo all'interno di una casa nel cuore della città, uno dei tanti rifugi dei ribelli. « Ma al momento non possiamo rivendicare nulla di ciò che ci spetta. Se fossimo in grado di salire al trono potremmo riportare Agrabah a com'era un tempo. Ma c'è un caos tale che nessuno può smuovere nulla. E tutto ciò che possiamo fare è combattere i ribelli che sostengono il potere di Jafar. ».
Annuii, bevendo un sorso di quell'infuso rigenerante che Jasmine mi aveva offerto con tanta premura. La osservai mentre ripuliva la lama della sua spada con cura. Aladdin non le toglieva gli occhi di dosso: come se perderla per un istante potesse significare perderla per sempre.
Era un amore nascosto dalla lotta, dalla ribellione, ma onnipresente. In quel momento pensai alla ragione del mio viaggio, alla voglia di scoprire cosa avesse ridotto il mondo delle Fiabe in quello stato pietoso.
A Peter.
Peter?
Arrossii a quel pensiero. Ma che diavolo di stupidaggine aveva partorito il mio cervello? Peter?
Come potevo pensare a lui in quel momento così delicato?
Dio mio, stai diventato una vera idiota.
Scrollai la testa, cercando di rimuovere quel pensiero. Non avevo idea di dove fosse, se stesse bene o che altro, e non dovevo certo pensare a lui in un momento come quello. Nonostante fosse mio amico.
Nonostante tutto.
« Ma nonostante tutto questo casino, siamo ancora fiduciosi. » proseguì Jasmine, con un sorriso malinconico. « Fiduciosi? » ripetei io, ammaliata dalle sue parole.
« Lo so che sembra strano, Red, ma siamo tanti. I ribelli che sostengono mio padre credono davvero in quello che fanno. E ci riusciremo. Riusciremo a riportare Agrabah alla sua vecchia gloria. » concluse lei, con un meraviglioso fervore nella voce.
« Le rivolte si stanno facendo più aspre. » aggiunse Aladdin. « Non sarà facile. Ma non molleremo. ».
In quel momento quella strana sensazione che avevo percepito nelle strade della città si riversò interamente nei loro occhi: ovunque andassi c'erano persone che credevano realmente nella loro missione, come io credevo nel mio viaggio.
I ribelli non erano solo lì, ma dappertutto. Lottavamo per qualcosa, ed eravamo accomunati tutti dalla stessa speranza. Una speranza che non si sarebbe affievolita mai. Una luce perpetua, per sempre.
« Mio padre sarebbe stato fiero di noi. E anche di te, Red. » sussurrò Jasmine, con gli occhi lucidi. Riuscivo a capire come poteva sentirsi. Superare la perdita di qualcuno non era facile. Aladdin le fu subito accanto.
« Perché non ti riposi un po' prima di ripartire? Sarai stanca, ed è inutile partire di notte. » mi consigliò lei, e inspiegabilmente la sua proposta mi sembrò quasi un sogno. Ero convinta che dormire non fosse fondamentale, ma in quel momento mi resi conto di averne un gran bisogno.
« Vi ringrazio tanto. Ma avrei bisogno di chiedervi un favore, prima. » dissi, guardandomi il braccio meccanico. « Avrei bisogno di rifornimenti. ».
Jasmine sorrise in modo complice. « Tranquilla, ci pensiamo noi. ».

 













Nb. Scrivere questa storia per me è molto importante, sto inserendo personaggi che hanno fatto parte della mia infanza e spero che modificandoli in questo modo possa rendergli giustizia! Spero che la storia vi piaccia, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, se ne avete voglia, lasciando una piccola recensione!
Un abbraccio,

L.



  
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