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Autore: FinnAndTera    23/09/2013    0 recensioni
[Finn Jones/Gethin Anthony].
Quella era la notte in cui Geth era rimasto.
Senza scuse, senza giustificazioni, senza i “ti dispiace se…”, era rimasto e basta. Finn ne aveva preso coscienza solo in quel preciso momento, svegliandosi così all’improvviso durante la notte, e davvero riteneva la situazione incredibile.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Finn Jones, Gethin Anthony
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autrice: io l'ho detto che sono stata contagiata da una strana malattia chiamata simil-fluff, e di questi tempi la gente che dorme mi fa aaaweggiare come non mai. Questa robetta è stata ispirata dalla foto twittata da Finn Jones Amore Mio Bello (THIS) che Med mi ha gentilmente fatto presente. 
Adoro tutti e tutto, passo e chiudo.

 
La notte in cui Geth era rimasto.


Quella era la notte in cui Geth era rimasto.
Senza scuse, senza giustificazioni, senza i “ti dispiace se…”, era rimasto e basta. Finn ne aveva preso coscienza solo in quel preciso momento, svegliandosi così all’improvviso durante la notte, e davvero riteneva la situazione incredibile. Aveva i ricordi un po’ annebbiati per colpa del vino, ma lo sbadiglio trattenuto di Geth e la sua successiva manovra per cercare di stendersi meglio sul divano – senza dire nulla! – di sicuro erano vere. Ricorda che si era fatto tardi e che entrambi l’indomani – o era già oggi? – avrebbero dovuto sbrigare delle faccende di cui si sarebbero lamentati fra un sorso di caffè e l’altro a colazione, e Finn pensò che era proprio bello il pensiero di fare colazione insieme. Si alzò spostando malamente le coperte, un po’ scosso da quella rivelazione.
Chissà, forse anche la permanenza spontanea di Gethin sul suo divano era colpa del vino bevuto la sera prima.
Era iniziato tutto dall’appuntamento che lui gli aveva dato a casa sua. Era da un po’ che non si vedevano e quella faccia barbuta gli mancava in silenzio; Gethin era quel tipo di ragazzo riservato ma divertentissimo, quello che risolve i tuoi problemi senza perdere la pazienza ma che non riesce in nessun modo a risolvere i suoi, quello che occupa un posto speciale nel tuo cuore senza gridarlo al mondo, ed è proprio per questo che anche la sua mancanza era silenziosa. C’è, esiste, bussa piano alla tua porta interiore, e Finn vorrebbe sempre aprirgli e farlo partecipare alla festa che si tiene perennemente in tutto se stesso, ma per farlo ha bisogno di vederlo. Gethin non dice mai di no e si presenta sempre alle otto in punto, preciso e puntuale, con il suo cappellino con la visiera che quella sera era nero.
Finn, a piedi scalzi, si diresse in cucina perché aveva bisogno di bere e, per farlo, attraversò il salotto dove Gethin stava dormendo. Russava piano Gethin, e aveva la bocca aperta e i piedi che uscivano fuori dal divano. Finn non poté fare a meno di pensare che era buffo vederlo in quello stato, con quell’espressione serena sembrava addirittura più piccolo di lui.
Spostò allora gli occhi sul tavolino di fronte e vide che le forbici erano ancora lì, fra i due bicchieri vuoti e il telecomando. Non ricordava esattamente perché ci fossero un paio di forbici fra i bicchieri vuoti e il telecomando, ma probabilmente non c’era esattamente un motivo. Dopotutto c’erano tante cose nella sua vita che non avevano un senso, a partire dai suoi capelli, o dalle sue camicie a fiori, o dall’aranciata nel contenitore del latte, fino ad arrivare a Gethin steso sul suo divano.
Allora fece spallucce, sorrise e bevve l’aranciata. Sapeva un po’ di latte, e infatti era disgustosa, ma alla fine si arrese e bevve tutto di un sorso: o quello o il vino, e di vino ne aveva già bevuto abbastanza. Nel frattempo i suoi occhi divennero un po’ più svegli e il suo cervello cominciò a carburare qualche immagine, soprattutto quando si accorse che accanto al lavandino c’era un enorme piatto pieno di briciole.
Qualche ora prima avevano mangiato pane e formaggio, ricorda, semplicemente perché lui aveva voglia di formaggio. Gli piaceva sia la pietanza che la parola, forse era la sua preferita perché era quella che si pronunciava prima di sorridere nel farsi scattare una foto, la parola magica dell’allegria.
«Cheese» disse perciò ad alta voce, stiracchiandosi e grattandosi la pancia. Si sedette scompostamente sul mobile dove erano poggiati il piatto e i coltelli e li spostò leggermente più a sinistra. Lì, con la luce del frigo ancora accesa e il rumore delle molle del divano dove Geth si era appena girato in sottofondo, pensò a qualcosa che riguardava la possibilità di diventare un delfino, poi gli venne tutto ad un tratto una gran fame. Prese il formaggio rimasto, il coltello lì vicino e una fetta di pane, creando così un sandwich notturno coi fiocchi. Ritornò in camera addentando il sandwich con soddisfazione, ma quando passò per il salotto, sentendo il sapore del formaggio inondargli la bocca, ricordò una cosa ancora più incredibile di Geth che si addormentava sul suo divano senza vergognarsi di niente.
A Gethin il formaggio non piaceva affatto.
Eppure, quella notte, Gethin era rimasto.


 
   
 
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