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Autore: FinnAndTera    29/09/2013    2 recensioni
[Death!Fic NagiRei]
Nagisa ha perso il sorriso e non sa proprio come ritrovarlo; non che non sappia dove andare a cercare – ricorda perfettamente dove l’ha perduto -, ma non ha né la voglia né il coraggio di provare a riprenderlo.
Eppure deve farlo lo stesso.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autrice: prima fanfiction scritta per la Notte Bianca indetta da free_perlatrama, prompt Death!Fic. In questi giorni pubblicherò tutto ciò che è uscito da questo immenso e divertentissimo delirio - non molto, ma comunque è uscito. Parto con l'angst, così ce lo leviamo di torno, che mi sono sentita proprio una brutta persona a scrivere questa fanfiction e orobabilmente non finirò mai di prendermi a ciabattate in testa.


Nagisa ha perso il sorriso

Nagisa ha perso il sorriso e non sa proprio come ritrovarlo; non che non sappia dove andare a cercare – ricorda perfettamente dove l’ha perduto -, ma non ha né la voglia né il coraggio di provare a riprenderlo.
Eppure deve farlo lo stesso.
È un obbligo che gli impongono gli occhi increduli, lo stomaco contratto, i denti affondati nelle labbra e le mani chiuse a pugno, con le unghie conficcate nella pelle. È un obbligo dettato dal suo intero corpo e che deve eseguire “per andare avanti”, anche se avanti c’è solamente un burrone. I cimiteri non gli sono mai piaciuti, rappresentano tutto ciò che lui cerca di evitare e di far evitare. Sono spogli, tristi e desolati, con quel silenzio martellante che sembra voler sbattere in faccia alle persone la futilità della vita, la felicità sotterrata e ormai irraggiungibile, l’impossibilità di rimediare o di chiedere perdono a qualcuno. Nei casi peggiori, poi, fa scendere a patti con la mutilazione del proprio cuore di cui ci si rende pienamente conto solo quando non c’è più nessuno accanto a noi e la propria voce non è abbastanza alta da coprire quel silenzio. Nagisa odia i cimiteri, ma ama Rei. Lo ama così tanto da recarsi persino in un cimitero spoglio, triste e desolato, ma non silenzioso. Nagisa parla sempre quando si siede accanto alla tomba di Rei – in realtà parla sempre in qualsiasi occasione, ma in quei momenti la sua voce è anche più alta e stridula del solito -, e non bada alla vecchietta lì vicino che gli fa segno di star zitto per “rispettare la memoria dei morti”, perché non ci trova nessun rispetto nello stare zitti e trattare i morti come se non esistessero più. Così Nagisa parla, strappando ciuffetti d’erba verde che il custode pigro lascia crescere incolti sulle tombe.
«Hai visto, Rei? La tua tomba è la più bella di tutte. Quando ti hanno messo qui non era così bella, anzi, era abbastanza brutta, e allora ho pensato che non ti si addiceva per nulla».
Nagisa parla e accarezza la lapide bianca, pulendola un po’ con molto affetto. Osserva quei numeri troppo vicini fra loro, diciassette anni sono troppo pochi per morire.
«Ti ho portato i fiori di tutti i colori, una volta mi dicesti qualcosa sui colori e sulla psicologia. Lo ammetto, non ero molto attento» dice ad occhi chiusi. «Ero troppo impegnato a guardarti in costume-arcobaleno».
I fiori sono rossi, gialli, bianchi, blu, alcuni veri presi dal giardino di Makoto, alcuni finti comprati con i soldi della merenda al negozio affianco al cimitero. Sono veramente belli, di quella bellezza che stona con tutto ciò che gli sta attorno e che proprio per questo è bella e viene notata, amata. Proprio come la bellezza di Rei, così perfetto nel suo corpo, ma con un’anima stonata col resto del mondo e per questo bellissima. Non sa perché, ma Nagisa ha iniziato a parlare del fidanzamento di sua sorella e di quanto odi quel ragazzo che lo guarda sempre con insofferenza quando raddrizza la foto di Rei sul comodino all’ingresso. Dovrebbe essere lui a guardarlo con insofferenza, visto che è sempre il ragazzo di sua sorella – si rifiuta anche di pronunciare il suo nome – a colpire la cornice con il gomito e a farla spostare. E poi gli parla dei ragazzi, raccontando le giornate all’Iwatobi in ogni minimo dettaglio, come per ricordargli chi sono e che non deve mai dimenticarli. Lo fa anche un po’ per se stesso, perché parlare di loro riempie quel buco che Rei non può riempire completamente, perché Rei non può rispondergli, non può guardarlo, non può toccarlo e non può fare riflessioni sulla bellezza e la psicologia dei colori.
«L’altro giorno Makoto ha cucinato una cosa buonissima coi calamari, ricordi che ne mangiavamo sempre tantissimi? Mi sei mancato, quando li ho mangiati. Però va bene, eh. Mi manchi sempre, Rei, e no, in realtà non va bene» e per la prima volta Nagisa resta in silenzio e scende a patti con la mutilazione del suo cuore. Ogni secondo è letale e le lacrime cominciano ad affacciarsi dagli occhi tanto grandi e non ci vede più molto bene. I numeri sulla lapide sono sfocati e sembrano ancora più vicini, i fiori perdono forma e diventano solo tante brutte chiazze di colore. Il mondo è brutto senza Rei, è cambiato, è senza armonia. Nagisa non vuole vedere un mondo così triste, allora prova ad indossare gli occhiali di Rei, Rei che osservava e riusciva a trovare sempre la bellezza, in ogni luogo, in ogni momento. Il problema è che gli occhiali sono rotti, le lenti spaccate e la montatura rossa storta a causa dell’impatto con quella maledetta macchina e Nagisa non sa come ritornare a vedere, come ritrovare il sorriso. Nagisa piange e si rende conto che il mondo è davvero orrendo, perché gli ha portato via il suo Rei-chan.
Nagisa ha perso il sorriso e ormai non sa neanche più dove andare a cercarlo.

 
   
 
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