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Autore: Yamato_    01/10/2013    1 recensioni
Con quei pensieri confusionari in mente e con un velo di nostalgia e malinconia negli occhi, Yamato rimase seduto sul suo letto, quasi rannicchiato, a fissare il triste paesaggio fuori dalla finestra alla sua destra.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Yamato Ishida/Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autore: Tengo davvero tanto a questa fanfiction e spero tanto che piacerà anche a coloro che la leggeranno fino all'ultimo rigo. 
Spero di essere entrata bene nel personaggio di Yamato che, tra l'altro, adoro e spero di aver saputo esprimere per bene i suoi pensieri ed i suoi sentimenti! Detto questo, attendo pazientemente i vostri commenti e i vostri pareri sinceri. Sono aperta a critiche e ad eventuali complimenti. 
Grazie in anticipo a chi lascerà un segno del proprio passaggio


Il passato non ritorna



Ci ripensò, nonostante tutti i suoi sforzi.
Nonostante il suo dolore, Yamato ripensò a tutto quello che fino a quel momento era stata la sua vita.
Percepì, ancora una volta, il peso dei ricordi abbattersi duramente su di lui e bruciare ardentemente dentro il suo petto.
Poté avvertire il passato tornare a tormentarlo e le sue ferite riaprirsi nuovamente.
Quante volte avrebbe voluto soltanto dimenticare.
Quante volte aveva provato a curare quelle grandi ferite che si teneva dentro, ad anestetizzare quei dolori laceranti, e quante volte invece aveva fallito miseramente.
Con quei pensieri confusionari in mente e con un velo di nostalgia e malinconia negli occhi, Yamato rimase seduto sul suo letto, quasi rannicchiato, a fissare il triste paesaggio fuori dalla finestra alla sua destra.
Il cielo era grigio e cupo, e sembrava essere pronto a scoppiare in qualsiasi momento senza il benché minimo preavviso, proprio come i suoi occhi minacciavano di lasciar cadere acqua trasparente da un momento all'altro.
I suoi occhi quasi sempre freddi e penetranti, come succedeva di rado, lasciarono trasparire tutti i suoi sentimenti, in essi non era più visibile solo un semplice distacco.
Yamato cercò, quindi, di non esplodere in un pianto che sarebbe stato liberatorio quanto doloroso e prese ad osservare distrattamente la sua stanza.
Non poter vedere ciò che desiderava ardentemente era dura per lui, significava che tutto era realmente cambiato e lui non voleva proprio accettarlo.
Rivoleva la sua infanzia e voleva poter rivivere quei pochi momenti felici con entrambi i genitori e il suo fratellino.
Desiderava abitare ancora in quella casa felice ad Hikarigaoka insieme alla sua famiglia, avere un'infanzia allegra e non piena di dolori e sofferenze come invece era stato per lui e suo fratello.
Ma ormai era cresciuto e aveva diciannove anni, aveva una sua certa autonomia e, per quanto ci sperasse ancora profondamente, sapeva benissimo che nulla del suo passato sarebbe ritornato se non il dolore e la soffocante nostalgia.
Non lo accettava, non voleva proprio accettarlo.
Per questo si sentì impotente: non avrebbe potuto fare nulla per sé stesso e per il suo dolore, non avrebbe potuto fare granché neppure per alleggerirlo, non avrebbe potuto fare niente per la sua famiglia.
Non avrebbe potuto fare niente contro la malinconia che lo torturava, niente affinché tutto tornasse esattamente come ai vecchi tempi.
Non sarebbe potuto ritornare nemmeno a Digiworld con i suoi migliori amici e non avrebbe più avuto il fedele e dolce Gabumon al suo fianco, non avrebbe mai più riavuto la sua infanzia perché tutto era completamente finito.
La sua tristezza rimbombava come un eco rumoroso in quella stanza tanto silenziosa nella quale il ragazzo ricordava in solitudine, la stessa solitudine che fin da bambino gli aveva sempre fatto compagnia.
Sì sentì schiacciato dai suoi stessi pensieri, soffocato ed imprigionato da quei suoi ricordi.
Tutto era così maledettamente doloroso.
Ma perché era stato costretto a crescere e a diventare un adulto?
Yamato continuava a pensare al suo passato e a tutte le cose che lo avevano caratterizzato, così si guardò intorno nuovamente per cercare qualcosa che da tempo aveva abbandonato. 
Scrutò per bene la stanza e con lo sguardo trovò ciò che stava cercando sulla mensola di un mobile proprio di fronte al suo letto.
Si alzò per prenderla e la strinse forte tra le mani, chiuse gli occhi per un momento, come per scacciare via tutte le immagini che gli tornavano alla mente, e abbozzò un amaro sorriso intanto che qualche lacrima cadde inevitabilmente rigandogli il viso pallido.
La sua armonica.
La sua 'compagna di vita', così l'aveva sempre definita.
Da bambino la portava sempre con sé e prima che i suoi genitori si separassero lui amava suonarla al suo dolce Takeru.
Passava ore intere a suonarla, l'adorava quasi quanto adorava suo fratello.
Un giorno erano anche state insieme a Digiworld.
La sua armonica, infatti, era l'unica che avesse mai visto realmente, prima di Gabumon, Yamato e tutto quello che il ragazzo aveva dovuto sopportare da sempre. 
Era stata la sola, prima di Gabumon, a conoscere realmente il fragile carattere di Yamato e a scoprire la sua vera essenza, era stata l'unica a capire che lui fosse in grado di provare sentimenti autentici e che fosse anche molto sensibile.
Proprio così: lo Yamato dagli occhi azzurri tanto gelidi e malinconici, definito da tutti un ragazzo freddo ed insensibile, era capace a soffrire ed era capace ad amare ed il suo sguardo sofferente lasciava trasparire tutto questo.
Lo stesso Yamato che se ne stava per conto suo e che quasi mai rivolgeva la parola a qualcuno, lo Yamato che a Digiworld era riuscito a fare amicizia e si era fortificato, che era tanto maturato si sentì cadere in mille piccoli pezzi che neppure lui stesso sapeva come mettere insieme.
Solo il suo cuore sapeva quanto tutto quello che sentiva gli provocasse ancora un dolore immenso ed acuto, che tentava di respingere ogni volta senza successo.
Appoggiò le labbra pallide sullo strumento e cominciò a soffiarvici lievemente.
Non aveva dimenticato come si facesse nonostante il tempo trascorso, ricordava ancora anche le note della musica che era solito suonare.
Sorrise leggermente mentre continuava a suonare, un sorriso spento e nostalgico.
Quel suono era così impresso nel suo cuore, non lo avrebbe mai dimenticato, come non avrebbe mai dimenticato tutti i suoi ricordi.
Soffriva ancora così tanto per la separazione dei suoi genitori: aveva visto la sua famiglia sgretolarsi come sabbia, aveva dovuto dire addio non solo a sua madre, ma anche al suo piccolo Takeru.
Non ebbe neppure il tempo di pensare a questo che smise di suonare.
Poggiò l'armonica sul letto e sbriciò ancora una volta fuori dalla finestra.
Notò che faceva freddo e cominciava a fare buio.
Scattò in piedi ed infilò alla svelta un giubbotto e le solite scarpe.
Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso il tabacchino sotto casa.
Non poté resistere alla tentazione.
In casi come questi, infatti, sentiva quasi la necessità di prendere una sigaretta fra le labbra e di inspirare tutto il male di cui la stessa era fatta.
Era solito fumare una o anche più sigarette quando si sentiva imprigionato dai suoi stessi pensieri e lo faceva per sentirsi più leggero, libero e per mandare via il dolore, per dimenticarlo almeno per qualche minuto.
D'altronde era proprio per questo che aveva cominciato.








  
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