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Autore: Cheche    10/10/2013    2 recensioni
L’ostilità nei confronti di Rosso era il suo prelibato elisir di lunga vita. Blu credeva che non avrebbe mai potuto rinunciarvi.
[Gameverse] [Shota!Red&Green + Samuel Oak] [A Cre, tantissimi auguri di buon compleanno]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Green, Prof Oak, Red
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Premessa: Vorrei dire due parole, prima di togliere il disturbo. Non sono del tutto soddisfatta di quanto scritto, ma era una modesta idea che mi ronzava in testa da molto e... l'importante è che piaccia a Greta, insomma. Questo scritto è stato composto pensando a lei, al suo compleanno e alla gioia che ricava nel vedere l'affetto delle persone care. Ormai possiamo dire di conoscerci da più di un anno e sono felice di averti trovata, Cre, di conoscerti. YVB amika. O magari, in questo caso, è più efficace dire ti voglio tanto bene. Perché questo per te è un giorno importante e sarei contenta se questa storia e il mio affetto ti aprissero un largo sorriso. Questa storia è molto semplice e forse Cre ricorda pure questa idea. Spero che sia contenta, ora, di vederla in versione fanfiction. Ringrazio tutti coloro che leggeranno (e recensiranno, le recensioni non fanno mai male). Pace e amore. (?)





Le mani innocenti che soffocarono un ricordo

 
 
Era bello correre giù dai crinali dolci di Biancavilla, brandendo come un’arma il proprio giocattolo preferito, strusciando i piedi ancora piccoli sull’erba, senza immaginare che quel suono avrebbe riecheggiato nelle sue memorie nostalgiche.
A Blu piaceva la solitudine, perché non sembrava tale se aveva la compagnia dei suoi pochi e amatissimi oggetti – in quell’epoca lontana, li preferiva addirittura ai Pokémon. Quando si ritrovava al chiuso della propria cameretta, li riordinava, li sistemava in file in ordine di dimensione, prometteva loro che non li avrebbe mai lasciati toccare a qualcuno che non fosse lui. Addirittura, mentre li osservava compiaciuto, si ritrovava a ripassare mentalmente la classifica di preferenza.
Il giocattolo sulla cima del podio era indiscutibilmente quello che ora stringeva tra le dita in una morsa possessiva. A vederlo, sembrava un pupazzetto dalla forma di Squirtle.
Correva giù dall’ultimo crinale fino a raggiungere la piccola spiaggia e, intanto, le ciocche dei capelli ribelli sfioravano il suo viso tondeggiante e acerbo. Blu pareva vivace e spensierato come solo i bambini sanno esserlo. Era capace anche di comportarsi con malizia, ma in assenza di piccoli rivali assomigliava a un angelo sincero, con gli occhi trasognati e ricolmi di meraviglia. Un fanciullo come tanti, del tutto simile a quelli che evocano virtualmente gli amanti dei bimbi, quando li immaginano come creature pure e graziose, degne della protezione degli adulti.
Giunse in vista della spiaggia e, recuperando un po’ di fiato, decise di fermarsi lì. Magari al suo piccolo amico meccanico sarebbe piaciuto guardare le onde, essendo un Pokémon d’acqua. Blu però sapeva che il pupazzo avrebbe riportato gravi danni se si fosse immerso, forse si sarebbe anche rotto e non si sarebbe più mosso come faceva di solito, guidato dalla sua scatolina coi pulsanti a forma di freccette e l’antenna telescopica sottilissima che sporgeva davanti.
Posò il giocattolo a terra e scrutò l’orizzonte. Il cielo si amalgamava col mare dove questo sembrava finire e le Isole lontane giocavano a nascondino nella foschia. In un moto di fantasia ingenua, Blu sperò che si stessero divertendo. Il fruscio della brezza tra le fronde degli alberi gli parve una risata cristallina, che interpretò come la risposta che cercava.
Con un senso di pace nel cuore, schiacciò i pulsanti del radiocomando e la bambolina mosse le zampette meccaniche. La osservò, meravigliato del prodigio come se fosse stata la prima volta che lo ammirava. Poteva fargli fare tutto quello che voleva, guidare ogni suo più minuscolo movimento e ciò gli sembrava davvero incredibile.
Notò solo allora un pulsante azzurro sul lato del radiocomando. Mentre il cuore rotolava rimbalzando nel petto, premette timorosamente la sua nuova scoperta e rimase a guardare.
La delizia s’impresse nel suo sguardo, quando dalla bocca del piccolo pupazzo uscì una sfilza di bolle di sapone dai riflessi iridescenti.
Era il suo giocattolo più bello ed era solo suo. Non era soltanto un oggetto eccezionale, ma anche l’unico e preziosissimo regalo del nonno. Avrebbe voluto giurare che sarebbe rimasto con lui fino alla fine, lo avrebbe fissato sorridendo quando sarebbe diventato vecchio decrepito, ma mai ceduto a figli e nipoti, se mai ci sarebbero stati.
Era stato il primo e unico pensiero gentile da parte del nonno Samuel Oak, un vero e proprio mito per tutti gli Allenatori e per il nipote stesso. Ricordava ancora come l’anziano professore gliel’aveva consegnato una settimana prima: il suo sguardo burbero si era raddolcito e, scompigliandogli i capelli con delicatezza, aveva posato la bambola magica tra le sue manine aperte.
Da quel giorno, Blu non aveva più smesso di sorridere.
 
“Io sono Blu Oak, il nipote del professore!” dichiarava fieramente Blu, al fine di ridimensionare l’arroganza di quei bambini più grandi di lui.
Automaticamente i gradassi lo invitavano a giocare con loro, temendo forse di essere scartati per la selezione degli Allenatori. Non potevano immaginare che, se anche avessero pestato il fanciullo, quel suo nonno troppo importante non ci avrebbe fatto troppo caso.
Certamente Blu non gliel’avrebbe rivelato, non essendo mai stato uno sconsiderato. Eppure dentro di lui sfrigolava, insidioso, il senso di colpa che collideva col dubbio, l’impressione di stare approfittando di un fatto che forse non era neanche vero.
Poteva realmente essere suo nonno un uomo che neppure si degnava di guardarlo e che lo chiamava col nome di suo padre o della sorellina maggiore?
 
Ora lo sapeva. Aveva tra le mani quello che gli serviva per diluire piacevolmente i suoi dubbi. Le piccole ansie sembravano fragili e lontane, fluttuavano via per poi scoppiare in silenzio come luminose bolle di sapone.
Compiaciuto, le rimirava mentre erano coinvolte in danze aeree. Si posavano leggere sul suo naso ed esplodevano, bagnandolo leggermente. Rise, solo e beato con le proprie consapevolezze.
Dei piccoli passi strisciarono sull’erba alle sue spalle, su quello stesso sentiero delimitato in precedenza da Blu. Non si voltò, non ora che le bolle avevano formato un anello dal quale non riusciva a distogliere lo sguardo.
Una mano si posò sulla sua spalla e lui dovette trasalire, sorpreso.
“Ciao, Blu.” Salutò Rosso, con un sorriso che gli riverberava sulle labbra e negli occhi nocciola.
Il piccolo interlocutore, costretto a cessare le sue idilliache attività, si voltò immusonito.
“Ciao.” Articolò fiaccamente.
Non gli era mai piaciuto Rosso. Lo riteneva mediocre, non poteva vantare parentele illustri e non era neppure più anziano di lui. Era solo un bambino assillante e Blu era sicuro che volesse affiancarglisi esclusivamente per entrare nelle grazie del nonno.
In quel momento, però, ad attirarlo non era stato il riconoscimento da parte del professore. Ciò che osservava con vivo interesse era quell’oggetto che Blu stringeva in mano e che serviva a indirizzare impulsi elettronici allo Squirtle meccanico. Esso, seppur piccolo, non incespicava mai nell’erba. Si muoveva fieramente e sembrava abbastanza lento e facile da direzionare. Rosso era sicuro che sarebbe stato più divertente farlo muovere a maggiore velocità, vedendolo affrettarsi sul terriccio morbido come un vero Squirtle.
“Me lo fai provare?” Azzardò sfacciatamente il piccolo intruso.
“No.” La risposta di Blu fu pronta. “Vai a giocare con le tue cose. Questo è il mio gioco.”
Rosso aveva intenzione di insistere, tanta era la sua infantile curiosità. Ma non dovette faticare così tanto come nelle sue previsioni.
La fortuna l’aveva seguito fino alla spiaggia, recando con sé l’intenzione di minare la serenità del legittimo proprietario del giocattolo.
“Blu, sii gentile!” Tuonò improvvisamente una voce adulta. “Se avessi saputo che eri così geloso delle tue cose, non te l’avrei mai regalato!”
Il ragazzino si riscosse notevolmente. Quella voce era in grado di farlo sobbalzare, influenzarlo e metterlo a nudo. Si sentì avvampare dall’imbarazzo per quello che era, disprezzato dal nonno che ora lo redarguiva per la sua poca generosità.
Mordicchiandosi il labbro inferiore, passò il radiocomando al bambino al suo fianco, notando nervosamente il guizzo soddisfatto nei suoi occhi. Sentì fin da subito che non avrebbe dovuto cedere, che avrebbe dovuto piuttosto ribellarsi al nonno e inalberarsi sui suoi ben più cauti capricci egoistici. Farsi comandare dagli altri portava a schiantarsi contro muri e Blu era, già da allora, un ragazzino che confidava soltanto in se stesso.
Almeno si sarebbe aspettato un apprezzamento da parte del nonno, giacché si era sacrificato in maniera tanto imprudente soltanto per compiacerlo. Si voltò, ma tutto ciò che vide fu il crinale deserto. Dove il professore era apparso, ora c’erano solo pochi fili d’erba sradicati.
Quel vuoto era troppo vuoto. Era come se qualcosa avesse abbandonato la sua coscienza, lasciandola assetata e ribollente d’impeto.
Posò entrambe le mani sulle spalle di Rosso, sorprendendolo con un sorriso stupefatto sul viso. Aveva appena scoperto la funzione che consentiva al pupazzo di sparare bolle e non smetteva più di usarla.
Il piccolo proprietario del giocattolo digrignò ruvidamente i denti. Quel ragazzino stava sprecando tutto il suo sapone, creava imperterrito spettacoli che non aveva diritto neanche di ammirare.
“Smettila! Restituiscimelo subito!” Strepitò Blu. Le sue mani spingevano, graffiavano, colpivano con leggera foga, raggiungevano il radiocomando che Rosso sembrava intenzionato a tenere con sé ancora per altro tempo.
Rosso alzò le braccia piccole e continuò a premere il pulsante azzurro, ridendo divertito mentre una coltre di bolle colorate avvolgeva la buffa colluttazione.
Almeno, credeva di schiacciare solo quel tasto. Lo credeva davvero. In fondo, le bollicine ancora roteavano attorno alle loro presenze e ne poteva annusare anche il profumo lieve e un po’ acre.
Ciaff. Ciaff.
Le risatine di Rosso e i ringhi irosi di Blu coprirono i primi suoni acquatici.
Splash.
L’ultimo suono, tuttavia, lo udirono entrambi. Si bloccarono all’istante e Blu, colto da un presentimento, esplorò la riva con occhi saettanti di tensione. Non c’era più. Il pupazzo era caduto in acqua e non rispondeva più a nessun impulso. Una leggera corrente lo depositò a riva, alla quale si ancorò affondando una zampetta meccanica nella poca sabbia.
Blu lasciò stare Rosso per correre a prenderlo. Per le sue limitate esperienze, quella dello Squirtle giocattolo era una vera e propria morte, capace di lasciargli una sorta di vuoto. Era solo un bambino, che considerava quella un’esperienza abbastanza forte da riempirgli gli occhi di lacrime brucianti.
Rosso aveva smarrito tutta la propria baldanza, accorgendosi di ciò che era successo. Anche le bolle avevano smesso di fuoriuscire dalla bocca della bambola; premendo il pulsante azzurro, neanche una minuscola scia di schiuma sgorgava più.
Alcune delle vecchie bollicine danzavano ancora intorno ai loro capi chini, tanto rallentate da sembrare meste, quasi fossero intristite dalla morte del padre che aveva fatto conoscere loro l’aria in cui volteggiavano e la luce che riflettevano.
Il silenzio che gravava immalinconì ulteriormente l’atmosfera. Rosso, oppresso dall’improvviso senso di colpa, sentì di dover porre fine a quella quiete troppo greve.
“Sei sempre da solo.” Azzardò, con un tono improvvisamente timido. Quella voce appena udibile era, per le orecchie di Blu, più stridente di mille gessi su altrettante lavagne.
“E allora?” Ribatté l’altro, cercando di risultare secco e gelido, ma ottenendo solo un verso incrinato dal risentimento e dal pianto.
“Perché non diventiamo amici? Puoi giocare con me, se ti va…” Tentò Rosso, vincolando coraggiosamente il proprio sguardo a quello del coetaneo.
Gli occhi che scorse lo scoraggiarono. Erano appena dischiusi, intenzionati a reprimere caparbiamente lacrime imprigionate tra le palpebre e sospese sulle ciglia. Alcune riuscivano a scivolare via, rigando le guance tondeggianti, prontamente cancellate dai piccoli pugni chiusi e dolorosamente stretti di Blu.
Rosso credette di non aver bisogno di una risposta alla domanda. Si poteva estrapolare dalla reazione dell’altro bambino e sicuramente non avrebbe coinciso con un assenso. Tuttavia un segno, mormorato tra i denti, arrivò lo stesso. O forse sarebbe stato più corretto definirlo un dardo diretto al petto.
L’ultima bolla di sapone rimasta esplose proprio in quel momento, ponendo fine a ogni minuscola traccia rimasta del precedente idillio.
“Non mi interessa diventare amico di un insulso come te.” Blu glielo disse, finalmente, raccogliendo tutta la cattiveria che riusciva a rintracciare in ogni centimetro cubo delle proprie viscere.
Era quello che pensava davvero, almeno in quel momento.
In poco tempo dovette diventare consapevole del fatto che Rosso non l’avrebbe più cercato. Lo Squirtle meccanico non si muoveva più e lo guardava da una mensola con occhi che mai, come allora, gli erano parsi tanto malinconici.
Ancora tre anni di solitudine prima della partenza. Tre anni di silenzio e rimpianti, tre anni senza il coraggio di chiedere scusa. Avrebbe, invece, tenuto fede alla sua politica, costituita sull’ignorarlo. E, nel caso le loro strade si fossero incrociate di nuovo, Blu non avrebbe ritrattato niente.
Aveva intenzione di soffocare Rosso come un moscerino. Perché era più semplice dimostrare la veridicità di quelle parole empie piuttosto che ammettere di aver avuto torto, piuttosto che ringraziare il rivale per la gentilezza che, in quel momento, gli aveva dimostrato.
Era un modo, per Blu, per non sentirsi irrimediabilmente stupido. Solo una maniera per continuare a disporre della propria autostima, senza la quale sarebbe stato lui quello veramente, veramente insulso.
L’ostilità nei confronti di Rosso era il suo prelibato elisir di lunga vita. Blu credeva che non avrebbe mai potuto rinunciarvi. 

 
  
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