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Autore: Fuuma    07/04/2008    2 recensioni
Dieci anni nel futuro, i membri della Famiglia Vongola, una giornata come tante altre.
[YamamotoxTsunayoshi]
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Ten years plus. Nothing's really changed.
Serie: Katekyou Hitman Reborn!

Rating: PG-13
Pairing: YamamotoxTsunayoshi, HibarixTsunayoshi & GokuderaxTsunayoshi (one sided)
Note: Ritorno dopo quasi un secolo d'assenza ed alla fine sono cascata anche nella malefica trappola di KHR. Altro manga che si aggiunge alla lunga lista di quelli a cui dedicherò le mie fic*__*! Come se già non ne avessi abbastanza, soprattutto tra quelle che dovrei terminare¬_¬... Ma vabbeh, il mio amore per Yamamoto è grande e la mia mente malata ha già deciso quale sia la mia coppia yaoi preferita: la 80x27 e ovviamente... TuttixTsuna*_*! Mwahahah, sì, sì, ormai è chiaro, nella mia fantasia TUTTI vogliono farsi Tsuna il buono a nulla X3! A questo proposito l'Hibari di questa fic è geloso di lui almeno quanto Gokudera-kun XD!

Non sarei dovuta partire da una narrazione che si basa sul loro futuro, ma non sono riuscita a trattenermi, soprattutto all'idea di tutti quei fighi a 25 anni e tutti in abiti neri =ç=! *ed il mare di bava ricoprì ogni cosa*

Disclaimers: KHR appartiene a Akira Amano così come i suoi personaggi, tranne i soliti cinque o sei che ho deciso di rapire e di istruire per portare lo yaoi anche in quel manga XD.

Sono ovviamente contro l'esistenza e le azioni della Mafia, la fanfiction tuttavia si basa unicamente sul manga e sul mondo mafioso lì descritto.

Warning SPOILER: Essendo ambientata nel futuro (pur non tenendo conto di certi fondamentali avvenimenti del manga) sono presenti un po' di SPOILER. Vi avviso altresì che, avendo letto soltanto i primi due numeri del manga e avendo visto le puntate dell'anime soltanto fino alla 25, è possibile che ci siano dei piiiccoli errori per quanto riguarda i chara (e qualcosa mi dice che Yama non ha più la mazza da baseball superfiQua), boh, spero solamente di non essere andata troppo OOC.

Buona Lettura.


+†+Ten years plus. Nothing's really changed+†+

Non aveva mai sopportato troppo le cravatte.
Il completo nero, quello elegante rigorosamente fabbricato in Italia, non gli dava noia più di tanto: camicia bianca di cui i primi due bottoni erano eternamente slacciati dalle asole mostrando la pelle del collo e parte delle scapole a cui una catenina dorata si poggiava in un doppio giro, pantaloni neri che terminavano su un paio di costose America's Cup dal taglio sportivo reso più ricercato grazie all'uso di pelle lucida mesciata al nylon e la giacca chiusa con un bottone solo all'altezza del torace, facendo ricadere le due estremità lungo le gambe scattanti. Il tutto firmato Prada.
Alzò le braccia verso l'alto per poi riabbassarle in un movimento circolare e gettar fuori l'aria dai polmoni, così per almeno tre o quattro volte finché un sorriso soddisfatto non incurvò le labbra. Soltanto allora iridi di un colore ambrato vennero irradiate dalla luce del sole e ricamate da sfumature dorate che allegre danzarono nello sguardo posato all'orologio.
"Oh-oh."
Già.
Oh-oh.
Non disse altro, si lasciò sfuggire soltanto una risata prima di chinare il busto in avanti, piegare le gambe e scattare in una corsa veloce, lasciandosi alle spalle i portoni chiusi di un doujo e la via che portava a casa sua, quindi dritto divorando la strada, con la mano destra stretta intorno all'impugnatura di una mazza da baseball che pendeva sul fianco, agganciata alla cintura come se si fosse trattato di una spada. Nulla di più vicino alla realtà.
Sorrise quando un gruppetto di bambini sollevarono la loro testolina dal campo e dalle basi conquistate su cui stavano giocando per alzare le braccia e salutarlo a gran voce: "Take-chan! La prossima volta devi giocare con noi!!!"
Sorrise quando una coppia di anziani occupata in una partita a mahjong sui tavoli esterni di un bar chinarono il capo al suo passaggio.
Sorrise quando la folla che da sempre si formava davanti all'emporio nei giorni di saldi si diradò per lasciarlo passare, sistemandosi in due file ai fianchi della strada, mostrandogli profondi inchini e salutandolo con rispetto.
E sorrise anche quando la solita vecchietta che da anni vendeva la frutta e non aveva alcuna intenzione di andarsene in pensione gli regalò, come ogni giorno da che ricordasse, le sue mille raccomandazioni: "Mi raccomando, figliolo, state attenti e non fatevi male. Soprattutto quello sbadatone, anche se ora è diventato importante non vuol dire che debba trascurare la sua salute, no, niente affatto. Anzi, ecco, mio caro, porta con te questi, li ho appena raccolti dal mio orto, non saranno come quelli siciliani ma vi faranno bene ugualmente."
Anziana o no aveva sempre un sacchetto di mandarini da regalare ai ragazzi e quando lo lanciò in aria con le sue deboli, lui rallentò soltanto di poco la sua corsa, stendendo il braccio sinistro di lato, aprendo la mano ed afferrando al volo il sacchetto.
"Ahahah, thank you, obaasan!"
E quindi via, verso la casabase, più veloce di una saetta.

"Quell'idiota! In ritardo come sempre, ma come diavolo osa?"
Andava avanti e indietro da due minuti e mezzo eppure era come se lo facesse da un'abbondante ora.
Sbuffava in continuazione, a dire il vero non aveva smesso di farlo da che era arrivato, quella mattina all'alba, presentandosi in largo anticipo davanti alle porte della base e ringhiando come suo solito contro il postino che -chissà come- riusciva sempre a batterlo sul tempo e giungere prima di lui.
"Dannato, lo so che quello in realtà è una spia dei Cavallone! Vuole scoprire il modo per eludere la nostra sorveglianza e rapire il nostro boss! Ma non glielo permetterò, io, Hayato Gokudera, braccio destro di Judaime, giuro sul mio onore che non permetterò a quel bastardo di portarmelo via!!!"
Una delle sue solite frasi, ormai nessuno vi faceva caso più di tanto, persino il postino, dapprima terrorizzato dallo sguardo del giovane in cui la furia ribolliva scintillando in smeraldi gemelli, aveva capito che bastava lasciar la posta in un ordinato mucchietto sul marciapiedi e poi scappar via cercando rifugio nel quartiere seguente.
Quindi si ricominciava da capo. Hayato sbuffava, con le braccia incrociate al petto e gli altri cercavan di trattenersi dall'impulso di ridacchiare divertiti e scuoter la testa.
Si fermò di colpo, sbattendo con forza il tacco di eleganti scarpe sull'asfalto.
Giorgio Armani.
Così come il resto degli abiti: giacca scura totalmente sbottonata, pantaloni scuri, cintura dalla fibbia d'argento, cravatta nera ed ovviamente una camicia di un colore bordeaux che dava risalto alla sua pelle chiara e a capelli che ricadevano indisciplinati fino alle spalle, in tanti piccoli aghi di seta argentata. Da sempre gli avevano dato un aspetto ribelle, con quel suo sguardo da teppista, la sigaretta sempre in bocca e le frasi che non conoscevano mezzi termini o buone maniere se non erano rivolte ad una persona soltanto.
Il boss.
Proprio di lui ricominciò a parlare, perchè non aveva altro argomento e perchè lo sapevano tutti nella Famiglia che lui era il più devoto e l'unico adatto ad essere il suo braccio destro. Blablabla. Era questo che solitamente seguiva tale tiritera ripetuta fino alla noia ed ormai conosciuta a memoria da ogni membro dei Vongola.
"Povero Judaime, costretto ad aspettare un tizio così idiota che non sa neppure degnarsi di essere puntuale una volta tanto! Ohoo, il nostro Judaime non si merità un inetto del genere! Ci penserò io a punirlo come si deve!"
"Non stai parlando di me, vero?"
Giungeva sempre nello stesso momento: quando Hayato aveva iniziato una serie più o meno lunga di minacce contro la sua persona e poi eccola, quella voce squillante, quel sorriso allegro e quegli occhi vivaci.
Il tipico bravo ragazzo che mandava sui nervi il tipico teppistello.
Se solo ancora avessero dovuto frequentare il liceo e se solo avessero avuto dieci anni di meno.
Tutto il contrario invece, erano esattamente passati dieci anni da quei giorni in cui, tra i banchi di scuola o meno, litigavano per diventare subordinati della famiglia. Avevano smesso da un pezzo di "giocare" al mafioso e sulle dita di entrambi brillava l'anello dei Vongola.
"Ohayou gozaimasu, Yamamoto-sama!" lo salutarono gli uomini disposti davanti all'entrata della tenuta.
"Ohayou, minna-san." pronunciò con tono sempiternamente cordiale, mostrando un sorriso che ingentiliva il suo volto ormai non più di ragazzino. Lineamenti più marcati dell'ovale del viso, rovinati appena da una cicatrice al mento che, nonostante tutto, non lo privava della sua bellezza gioviale.
Takeshi Yamamoto. Sebbene non fosse il più attraente degli uomini, -ruolo che meglio si addiceva ad uno come Kyoya Hibari- possedeva comunque un fascino magnetico e carismatico che ancora si portava dietro dai tempi delle medie, quando orde di ragazzine adoranti si ammassavano davanti alla classe per ammirarlo o ai lati del campo da baseball per osannare il loro eroe.
"Teme! Come osi presentarti qui con quella faccia da schiaffi?!?"
"Hayato, non dovresti sprecare tutta questa energia sgridandomi di prima mattina." commentò lui, con una calma che rasentava l'ultraterreno. Mai una volta che si arrabbiasse, mai una volta che perdesse le staffe. Alle volte risultava così irritante che Hayato non riusciva proprio a capacitarsi di non avergli ancora infilato una bomba nel letto.
"Ma se sono le due passate!!! E comunque quante volte ti ho detto di non chiamarmi Hatyato?! Tu devi chiamarmi Signor Gokuera!" gracchiò ad alta voce, calcando sull'esatta pronuncia italiana di "signor", ricercandola tra i ricordi della lingua imparata nel suo soggiorno in Italia.
"Le due?" volutamente ignorò il dire dell'altro riguardo il nome, alzò gli occhi al cielo, come se il cielo stesso potesse rispondere a quella sua domanda retorica, quindi fece spallucce "Oh beh, vorrà dire che questi mandarini li mangeremo come merenda."
Infilò una mano nel sacchetto e li lanciò agli uomini di guardia.
"Non ti salverà questo dal tuo ritardo."
"Tranquillo Hayato, ce n'è anche per te, tieni."
"E smettila di chiamarmi per nome!"
"E perchè no? In fondo io ti ho dato il permesso di chiamarmi Takeshi."
"E chi se ne frega, non è la stessa cosa!"
Quella discussione era andata avanti anche fin troppo, la suola di gomma delle America's cup si mosse per entrare nel cortile che precedeva il quartiergenerale dei Vongola, superando di un passo i cancelli sempre tenuti sotto controllo.
"Ehy, dove credi di andare?!"
"L'hai detto tu, sono le due, vuol dire che il boss mi aspetta."
"Allora vengo anche io!"
La mano di Hayato si posò pesantemente alla spalla di lui, fermando il suo lento intercedere.
Piano il capo di Takeshi si volto di quasi novanta gradi, permettendo agli occhi dell'altro di specchiarsi in iridi rese più sottili ora che le palpebre erano calate in parte a coprirle e la fronte si era aggrottata.
Hayato deglutì.
Takeshi non disse nulla, si limitò a quello sguardo colorato d'oro fuso che ora appariva minaccioso come se avesse puntato alla gola la lama della sua katana.
Con una straordinaria calma il sorriso spuntò di nuovo sulle sue labbra e piano si smossero anche per lasciarlo parlare con una voce che insieme risultò carezzevole e calda, come una gentile brezza primaverile soffiata sulla faccia del compagno: "Come desideri."
Tornò a guardar davanti e riprese il suo cammino, la mano destra sempre poggiata all'impugnatura della mazza da baseball e la sinistra che invece reggeva un sacchetto di plastica ormai mezzo vuoto.
"Ce... certo che è come desidero..." borbottò invece Hayato, seguendolo con passi pesanti ed il broncio stampato sul volto. Non era cambiato molto, in effetti non era cambiato affatto.

Era silenzioso l'interno.
I pochi uomini che vi stazionavano erano disposti davanti ad ogni porta chiusa a due a due, soltanto quando raggiunsero il salone ne trovarono quattro, ognuno agli angoli dell'ampia tavolata che troneggiava al centro, apparecchiata per dieci, sebbene nessuno vi si fosse ancora seduto.
"A quanto pare anche il boss sta facendo tardi." pronunciò Takeshi, superando anche il salone per raggiungere le scale e portarsi al secondo piano.
"Tsk, lui è un uomo occupato, cosa credi?"
"E' così diverso da te, Hayato."
Fu seducente il modo in cui venne pronunciato il suo nome, per questo ebbe la certezza matematica che non poteva essere stata la voce di Takeshi a parlare, soprattutto per quella tonalità femminile che conosceva come le sue tasche.
Sapeva che non si sarebbe dovuto voltare, che era uno sbaglio, ma la testa si era mossa ancor prima che il cervello le ordinasse di non farlo e lo sguardo incontrò la figura elegante e slanciata di una donna dai lunghi capelli profumati, la bocca rossa come il colore di una mela avvelenata e gli occhi suadenti. Sua sorella Bianchi.
Non ci volle molto perchè l'effetto di quella vista si facesse sentire, entrambe le mani vennero portate allo stomaco.
"Dannata... sorella..." e ricadde sulle gambe, agonizzante.
Fuori uno.
"Sei ancora un bambino, Hayato."
"Se non vi dispiace, io proseguo. A dopo." annunciò Takeshi, rasentando forse l'insensibilità nei confronti del giovane, ma non ci si poteva fare niente, era questo il destino di Gokuera quando incontrava la sorella e lei, sicuramente, provava uno smisurato piacere a ridurlo in quelle condizioni.
Pazienza.
Meglio andare oltre.
Al secondo piano, imboccando un corridoio che portava ad una stanza soltanto sul fondo e proprio da questa provenivano rumori strani; finchè un "Kyaaa!" non lo spinse a correre preoccupato verso la porta. "Tsuna!"
Abbandonò il sacchetto con i mandarini, impugnando la mazza da baseball, concentrandosi su di essa per far sì che velocemente la sua forma mutasse, rimischiando le particelle che la costituivano per dar vita ad una katana.
La mano libera corse per afferrare la rientranza della porta scorrevole e poterla aprire, ma dall'interno furono più veloci.
"Ah..."
Si fermò di colpo, la katana già in posizione, le gambe divaricate, una leggermente spostata più in avanti dell'altra, per mantenere l'equilibrio, e gli occhi spalancati sul volto dell'uomo che gli apparve innanzi.
Occhi affilati dal taglio tipicamente orientale, così stretti da somigliare più a schegge d'ambra pronte a dannare l'anima di qualsiasi essere umano avesse osato guardarle.
"Hi... Hibari."
Proprio lui.
"Che vuoi?"
La sua voce lo colpì come un pugnale di ghiaccio.
"Ah... no... pensavo che Tsuna fosse..."
"Tsuna?" indagò Kyoya Hibari, con una smorfia sul volto che nonostante tutto riuscì comunque a renderlo più piacevole alla vista.
"Ah! No, cioè, il Boss!" si corresse al volto Takeshi, portando la mano sinistra alla nuca.
"Tsk. comunque adesso puoi anche andartene."
"Eh?"
"Non hai sentito?"
Se c'era una cosa che lo aveva sempre infastidito, a parte i deboli, a parte i gruppetti in cui i deboli si rifugiavano, a parte esser svegliato mentre dormiva... ecco, si trattava di ripeter cose già dette. Non solo era stancante ma significava anche che non era stato ascoltato e questo, beh, questo era imperdonabile!
"Se non ti levi subito..." iniziò, in un sibilo minaccioso, mentre portava i propri tonfa ad aderire con l'avambraccio, pronti all'attacco, ma una voce giunse ad interromperlo, proprio dietro di lui.
"Kyaaaah!"
Un urlo.
Inconfondibile.
"Tsuna!"
Gli bastò rivolger uno sguardo a Kyoya perchè per un attimo la sicurezza di questi vacillasse.
Aveva un volto gentile Takeshi, un bel sorriso ed una voce rassicurante, ma quando nelle vene scorreva la determinazione lo sguardo diventava quello di una tigre e nulla pareva in grado di sconfiggerlo, soprattutto se si parlava di proteggere Tsunayoshi.
Di riflesso Kyoya si mosse di lato e questo gli bastò per poter evitare di cozzare contro il corpo della figura che si mosse di corsa verso l'uscio, proprio mentre Takeshi entrava.
Lo scontro tra i due fu inevitabile. Il giovane finì con la schiena a terra e la spada che rotolava verso il corridoio, lontano dalla sua mano, mentre, sdraiato sopra di lui, qualcuno che aveva affondato il capo contro il suo petto.
"Nh, ahio..." si lamentò, grattandosi la nuca per alzar lo sguardo ed incontrare castani capelli scompigliati e occhi grandi e nocciola.
"Ah! Tsu... cioè, boss!"
"Che maleee..." blaterò lamentoso Tsunayoshi, alzando soltanto dopo la testa per scoprire di esser finito comodamente sul suo subordinato. Arrossì, lanciandosi in mille spiegazioni pronunciate tutte d'un fiato di cui l'altro capì a malapena parole come "Allenamento. Dino. Combattevamo. Enzo."
"Ahaa, ti stavi allenando con Dino, ecco perchè ti ho sentito urlare!"
Levò un sospirò di sollievo portando le mani ai fianchi di Tsunayoshi, mentre questi cercava di mettersi almeno seduto, non che fosse facile con le mani di Takeshi addosso, anzi, aveva la sensazione che l'altro lo stesse obbligando a tenere quella posizione e proprio a questo pensierò il viso avvampò.
"Sì!" esclamò di botto "Cioè, era così finchè Enzo..."
"Roar!!!"
"Oh no, Enzo, calmati!"
"Ma che diavolo... Tu! Perchè non impari a controllare il tuo animale?"
Giunse per primo il ruggito della tartaruga ormai cresciuta di svariati chili, poi l'ordine inascoltato del suo padrone ed infine la frase indignata di Hibari che non aveva ancora perdonato il Boss della famiglia Cavallone di averlo disturbato mentre si dedicava ad allenarsi con Tsunayoshi.
"Enzo è cresciuto?" domandò quindi Takeshi. Sperava di ricevere una risposta negativa poverino, ci sperava davvero, così da godersi ancora un po' quella posizione ed il corpo del Decimo successore dei Vongola tra le braccia.
"Sì..." pigolò il giovane boss.
"Che sfortuna..." sospirò, rialzandosi ed aiutando Tsunayoshi a fare lo stesso "Allora è meglio..."
"Fuggire!" terminò la frase Dino mentre si gettava fuori dalla stanza. Peccato per la propria inettutidine che si manifestava ogni qualvolta i suoi subordinati non gli erano accanto: inciampò sui propri piedi, cercando di aggrapparsi alla cravatta nera di Kyoya, trascinandolo miseramente con sè mentre finiva contro il Capo dei Vongola ed il suo subordinato, rotolando così per qualche metro finchè non incontrarono le scale.
"Roar!"
Soltanto il ruggito di Enzo servì a coprire il boato che i quattro corpi fecero ruzzolando giù, gradino dopo gradino, atterrando doloranti ai piedi della scalinata dove uno stupito Hayato sbatteva le palpebre fissandoli attonito.
"Judaime!" esclamò correndo da loro, ma inciampando a sua volta quando la sorella ebbe la magnifica idea di seguire il suo esempio e raggiungere il gruppo per prima, così da poter alzare il viso in sua direzione.
"Agh..."
Di nuovo fuori gioco.
E, come se non bastasse, alla fine quell'ammasso di corpi si era riversato proprio sul più piccolo tra loro, la testolina di Tsunayoshi infatti sbucava da sotti i tre, cianotica, mentre la mano cercava di farsi strada per strisciar fuori.
"Ops, mi dispiace."
"Togliti di torno se ti dispiace così tanto, Stallone." gli ringhiò in faccia Hibari.
"Ah, è vero, scusate."
Si rialzò seguito da Hibari mentre Takeshi si sollevava sui gomiti osservando il volto del loro boss ad un soffio di distanza, il suo respiro infatti si mischiava con il proprio e sentiva sulla propria pelle il calore di quella di lui che divampava dal viso.
Semplicemente adorabile.
Venticinque anni, eppure un viso che era ancora quello di un ragazzino, dall'espressione timida ed impacciata che nascondeva invece la freddezza e lo charme di un leader.
Ci si perse ad osservare i lineamenti di quel viso, avvicinando sempre un po' di più il proprio a quello di lui.
"Ah... Yama... Yamamoto..." sussurrò timidamente Tsunayoshi, le guance che ormai erano diventate di un rosso fuoco più intenso della fiamma del Proiettile del Coraggio di Morire.
"Tranquillo." soffiò dolcemente il subordinato, portando le proprie labbra a contatto con quelle di lui, in un tocco che mano a mano si fece più audace.
"Roar!"
Dalla cima delle scale fece capolino Enzo ed il suo ruggito.
"Attenti!"
La frusta si srotolò tra le mani di Dino.
"Judaime! E tu, non approfittare di quest'occasione per fare i tuoi porci comodi, bastardo!"
Una luce rossastra attraversò la superficie dell'anello della Tempesta di Hayato e, attraversato da una breve ma intensa scarica elettrica, si trasformò in un piccolo cannone metallico collegato al suo avambraccio che terminava con un piccolo teschio alla sua imboccatura.
"Bestia fastidiosa." fu invece il commento di Kyoya mentre recuperava i suoi tonfa scoccando seccato la lingua contro il palato dopo aver rifilato un'occhiata malevola in direzione di Yamamoto.
"Roar!"
Un altro passo di Enzo fece tremare le fondamenta e soltanto allora Takeshi circondò con la destra la vita sottile di Tsunayoshi, senza sciogliere il bacio, tutt'altro, stringendolo a sè mentre sollevava il busto, prendeva slancio puntellandosi con le gambe e ruotava su sè stesso trascinando con sè il giovane boss, in una ruota all'indietro in cui allungò la mano sinistra verso il pavimento, afferrando così l'impugnatura della propria katana ed atterrando poi sul pavimento, con le ginocchia piegate per attutire l'impatto.
Le dita di Tsunayoshi si erano strette alla stoffa della sua camicia ed il respiro era stato trattenuto, non tanto per la capriola in cui era stato coinvolto, ma per la lingua dell'amico e subordinato che sfilava leziosa tra le sue labbra, mischiando la saliva con la propria e scaldando velocemente il suo corpo.
A malincuore quel bacio venne sciolto, proprio da Takeshi che trattenne la fronte contro quella del Decimo.
"Lascia fare a noi, boss."
Sollevò la lama argentata della katana superando il giovane boss e si aggiunse agli altri, fingendo di non sentire i rimproveri di Smokin' Bomb Hayato e di non vedere le occhiate truci di Kyoya Hibari, l'eterno presidente del Comitato disciplinare della scuola media Naminori.
"Forza, divertiamoci!"

"Uff, meno male che nessuno si è fatto male, eh?"
"Hai distrutto mezza casa, deficiente! Sei più vecchio di noi eppure non fai altro che disastri!"
"Quando parli così sembri un vero uomo, Hayato."
"Argh! Bianchi.... Ugh... Il... il mio stomaco..."
"Ma rimarrai sempre un bambino."
"Dannata..."
Non c'erano dubbi sul finale di questa disputa.
Dino si stava dedicando a ventilare la sua tartaruga con un fon, asciugandola degli ultimi residui d'acqua che il suo corpo aveva assorbito.
Hayato, dolorante, malediva la solita Bianchi comparsa come per magia, giusto in tempo per torturarlo prima di congedarsi e dedicarsi al nuovo incarico che le era stato affidato.
E Kyoya, seduto comodamente ad una delle poltrone in pelle del salone -una delle poche rimaste in piedi dopo l'atto distruttivo di Enzo- meditava, per il futuro, di picchiare a sangue la tartaruga del boss della famiglia alleata già dal primo momento in cui avrebbe messo piede nella loro dimora, perchè prevenire è meglio che curare e riempire di botte qualcuno era comunque un buon passatempo.
"Mhm? A proposito, dov'è finito il fratellino?" domandò Dino, guardandosi intorno con aria curiosa.
"Quel bastardo ne ha approfittato per portarlo via." rispose Kyoya con una smorfia irritata, stendendo il braccio quando Hibird fece la sua entrata, sbattendo pigramente le ali ed atterrando con le zampette sulle sue dita affusolate, chiocciando allegramente il suo nome.

"Fiu, meno male che alla fine Enzo si è calmato."
"Te l'avevo detto, no, che ci avremmo pensato noi."
"M-mh..."
Tsunayoshi annuì, arrossendo quando le dita di Takeshi scivolarono al contorno del suo viso, in una carezza gentile che lo portò a raccoglier il suo mento tra l'indice ed il pollice per sollevarlo.
Era sempre stato piccolo di statura Tsuna, ed anche ora, che non era più un ragazzino, non era poi cresciuto molto, a differenza degli altri che superavano tutti abbondantemente il metro e ottanta.
"Boss?" lo chiamò l'altro.
"Sì?" deglutì lui.
"Credi che se ti rapissi per un paio di ore gli altri se la prenderebbero tanto?"
La buttò giù così, con fare pensieroso, riflettendo seriamente sul fatto di rapire o meno il Decimo boss della Famiglia Vongola e tenerlo tutto per sé per un paio di ore o più.
Sicuramente al loro ritorno Gokudera e Hibari lo avrebbero ucciso.
"Ma ti pare una cosa da chiedere?!" sbottò agitato Tsunayoshi, sempre più rosso.
"Mhm, hai ragione!"
Gli afferrò un polso e soddisfatto fece per dirigersi fuori dalla base dei Vongola, diretti probabilmente a casa sua, dove gli altri avrebbero evitato per un po' di disturbarli e dove un letto comodo e caldo aspettava soltanto loro.
"Ehm... Yamamoto..."
"Yes, boss?"
"Che cosa stai facendo?"
"Ti sto rapendo, no? Mi hai detto che non devo neppure chiedertelo, così lo faccio e basta!"
Ovviamente non era questo quello che il giovane boss intendeva, proprio per niente. Ma quando vide il sorriso contaggioso di Takeshi in cui entrambe le arcate venivano messe in mostra, il cuore perse un battito e la forza di volontà per resistergli venne meno.
"Uff, va bene, però poi torniamo subito qui!"
"Yatta!"
Ed iniziò a correre trascinandolo fuori, giusto in tempo per il ritorno di Ryohei Sasagawa ed il suo urlo sovrumano che stese gli uomini a difesa della tenuta.
"Ryouhei Sasagawa, ventisette anni, che ha combattutto anche contro i leoni, è tornato dall'estero più estremo di prima! Il mio motto è: Fino al limite estremo!!!" Una pausa mentre puntava l'indice al cielo e poi "Ah, boss!"
Se voleva salutarlo non fece in tempo, Tsunayoshi tentò un sorriso sforzato in sua direzione, mentre cercava di non pensare a quanto fosse stramba e fuori luogo la sua solita presentazione, mentre Takeshi lo salutò con la mano libera portando via il boss.
"Eh? Ma dove andate?"
"Rapisco il boss per i miei loschi piani, ovviamente. Bye-bye!"
"Yamamoto! Sta... sta scherzando, non mi sta rapendo."
"Ma allora..."
"Oni-san, hai capito, vero? Non mi sta rapendo."
"Allora... Yamamoto sta cercando di superare il limite estremo!!!"
No. Ovviamente non aveva capito e ovviamente tutto andò come doveva andare: con il "rapimento" del Decimo Vongola e la movimentazione di tutti i suoi subordinati che ricevettero l'ordine da Hayato e Kyoya di trovare e uccidere il "bastardo" che aveva osato tanto.
"Ahahah, sarà divertente!"
Venticinque anni dalla sua nascita e Takeshi Yamamoto restava sempre il ragazzo naive divertito dai giochi dei mafiosi.


+†+THE END+†+

-phrasebook-
Obaasan = Grandma
Judaime = Tenth
Ohayou gozaimasu, Yamamoto-sama = Good morning, mister Yamamoto
Ohayou, minna-san = 'Morning, people
Teme = Bastard

   
 
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