Titolo: Ten years plus. Nothing's really changed.
Serie: Katekyou Hitman Reborn!
Rating: PG-13
Pairing: YamamotoxTsunayoshi, HibarixTsunayoshi & GokuderaxTsunayoshi (one
sided)
Note: Ritorno dopo quasi un secolo d'assenza ed alla fine sono cascata
anche nella malefica trappola di KHR. Altro manga che si aggiunge alla lunga
lista di quelli a cui dedicherò le mie fic*__*! Come se già non ne avessi
abbastanza, soprattutto tra quelle che dovrei terminare¬_¬... Ma vabbeh, il mio
amore per Yamamoto è grande e la mia mente malata ha già deciso quale sia la mia
coppia yaoi preferita: la 80x27 e ovviamente... TuttixTsuna*_*! Mwahahah, sì,
sì, ormai è chiaro, nella mia fantasia TUTTI vogliono farsi Tsuna il buono a
nulla X3! A questo proposito l'Hibari di questa fic è geloso di lui almeno
quanto Gokudera-kun XD!
Non sarei dovuta partire da una narrazione che si basa sul loro futuro, ma non sono riuscita a trattenermi, soprattutto all'idea di tutti quei fighi a 25 anni e tutti in abiti neri =ç=! *ed il mare di bava ricoprì ogni cosa*
Disclaimers: KHR appartiene a Akira Amano così come i suoi personaggi, tranne i soliti cinque o sei che ho deciso di rapire e di istruire per portare lo yaoi anche in quel manga XD.
Sono ovviamente contro l'esistenza e le azioni della Mafia, la fanfiction tuttavia si basa unicamente sul manga e sul mondo mafioso lì descritto.
Warning SPOILER: Essendo ambientata nel futuro (pur non tenendo conto di certi fondamentali avvenimenti del manga) sono presenti un po' di SPOILER. Vi avviso altresì che, avendo letto soltanto i primi due numeri del manga e avendo visto le puntate dell'anime soltanto fino alla 25, è possibile che ci siano dei piiiccoli errori per quanto riguarda i chara (e qualcosa mi dice che Yama non ha più la mazza da baseball superfiQua), boh, spero solamente di non essere andata troppo OOC.
Buona Lettura.
+†+Ten years plus. Nothing's really changed+†+
Non
aveva mai sopportato troppo le cravatte.
Il completo nero, quello elegante rigorosamente fabbricato in Italia, non gli
dava noia più di tanto: camicia bianca di cui i primi due bottoni erano
eternamente slacciati dalle asole mostrando la pelle del collo e parte delle
scapole a cui una catenina dorata si poggiava in un doppio giro, pantaloni neri
che terminavano su un paio di costose America's Cup dal taglio sportivo reso più
ricercato grazie all'uso di pelle lucida mesciata al nylon e la giacca chiusa
con un bottone solo all'altezza del torace, facendo ricadere le due estremità
lungo le gambe scattanti. Il tutto firmato Prada.
Alzò le braccia verso l'alto per poi riabbassarle in un movimento circolare e
gettar fuori l'aria dai polmoni, così per almeno tre o quattro volte finché un
sorriso soddisfatto non incurvò le labbra. Soltanto allora iridi di un colore
ambrato vennero irradiate dalla luce del sole e ricamate da sfumature dorate che
allegre danzarono nello sguardo posato all'orologio.
"Oh-oh."
Già.
Oh-oh.
Non disse altro, si lasciò sfuggire soltanto una risata prima di chinare il
busto in avanti, piegare le gambe e scattare in una corsa veloce, lasciandosi
alle spalle i portoni chiusi di un doujo e la via che portava a casa sua, quindi
dritto divorando la strada, con la mano destra stretta intorno all'impugnatura
di una mazza da baseball che pendeva sul fianco, agganciata alla cintura come se
si fosse trattato di una spada. Nulla di più vicino alla realtà.
Sorrise quando un gruppetto di bambini sollevarono la loro testolina dal campo e
dalle basi conquistate su cui stavano giocando per alzare le braccia e salutarlo
a gran voce: "Take-chan! La prossima volta devi giocare con noi!!!"
Sorrise quando una coppia di anziani occupata in una partita a mahjong sui
tavoli esterni di un bar chinarono il capo al suo passaggio.
Sorrise quando la folla che da sempre si formava davanti all'emporio nei giorni
di saldi si diradò per lasciarlo passare, sistemandosi in due file ai fianchi
della strada, mostrandogli profondi inchini e salutandolo con rispetto.
E sorrise anche quando la solita vecchietta che da anni vendeva la frutta e non
aveva alcuna intenzione di andarsene in pensione gli regalò, come ogni giorno da
che ricordasse, le sue mille raccomandazioni: "Mi raccomando, figliolo, state
attenti e non fatevi male. Soprattutto quello sbadatone, anche se ora è
diventato importante non vuol dire che debba trascurare la sua salute, no,
niente affatto. Anzi, ecco, mio caro, porta con te questi, li ho appena raccolti
dal mio orto, non saranno come quelli siciliani ma vi faranno bene ugualmente."
Anziana o no aveva sempre un sacchetto di mandarini da regalare ai ragazzi
e quando lo lanciò in aria con le sue deboli, lui rallentò soltanto di poco la
sua corsa, stendendo il braccio sinistro di lato, aprendo la mano ed afferrando
al volo il sacchetto.
"Ahahah, thank you, obaasan!"
E quindi via, verso la casabase, più veloce di una saetta.
"Quell'idiota! In ritardo come sempre, ma come diavolo osa?"
Andava avanti e indietro da due minuti e mezzo eppure era come se lo facesse da
un'abbondante ora.
Sbuffava in continuazione, a dire il vero non aveva smesso di farlo da che era
arrivato, quella mattina all'alba, presentandosi in largo anticipo davanti alle
porte della base e ringhiando come suo solito contro il postino che -chissà
come- riusciva sempre a batterlo sul tempo e giungere prima di lui.
"Dannato, lo so che quello in realtà è una spia dei Cavallone! Vuole scoprire il
modo per eludere la nostra sorveglianza e rapire il nostro boss! Ma non glielo
permetterò, io, Hayato Gokudera, braccio destro di Judaime, giuro sul mio onore
che non permetterò a quel bastardo di portarmelo via!!!"
Una delle sue solite frasi, ormai nessuno vi faceva caso più di tanto, persino
il postino, dapprima terrorizzato dallo sguardo del giovane in cui la furia
ribolliva scintillando in smeraldi gemelli, aveva capito che bastava lasciar la
posta in un ordinato mucchietto sul marciapiedi e poi scappar via cercando
rifugio nel quartiere seguente.
Quindi si ricominciava da capo. Hayato sbuffava, con le braccia incrociate al
petto e gli altri cercavan di trattenersi dall'impulso di ridacchiare divertiti
e scuoter la testa.
Si fermò di colpo, sbattendo con forza il tacco di eleganti scarpe sull'asfalto.
Giorgio Armani.
Così come il resto degli abiti: giacca scura totalmente sbottonata, pantaloni
scuri, cintura dalla fibbia d'argento, cravatta nera ed ovviamente una camicia
di un colore bordeaux che dava risalto alla sua pelle chiara e a capelli che
ricadevano indisciplinati fino alle spalle, in tanti piccoli aghi di seta
argentata. Da sempre gli avevano dato un aspetto ribelle, con quel suo sguardo
da teppista, la sigaretta sempre in bocca e le frasi che non conoscevano mezzi
termini o buone maniere se non erano rivolte ad una persona soltanto.
Il boss.
Proprio di lui ricominciò a parlare, perchè non aveva altro argomento e perchè
lo sapevano tutti nella Famiglia che lui era il più devoto e l'unico adatto ad
essere il suo braccio destro. Blablabla. Era questo che solitamente seguiva tale
tiritera ripetuta fino alla noia ed ormai conosciuta a memoria da ogni membro
dei Vongola.
"Povero Judaime, costretto ad aspettare un tizio così idiota che non sa neppure
degnarsi di essere puntuale una volta tanto! Ohoo, il nostro Judaime non si
merità un inetto del genere! Ci penserò io a punirlo come si deve!"
"Non stai parlando di me, vero?"
Giungeva sempre nello stesso momento: quando Hayato aveva iniziato una serie più
o meno lunga di minacce contro la sua persona e poi eccola, quella voce
squillante, quel sorriso allegro e quegli occhi vivaci.
Il tipico bravo ragazzo che mandava sui nervi il tipico teppistello.
Se solo ancora avessero dovuto frequentare il liceo e se solo avessero avuto
dieci anni di meno.
Tutto il contrario invece, erano esattamente passati dieci anni da quei giorni
in cui, tra i banchi di scuola o meno, litigavano per diventare subordinati
della famiglia. Avevano smesso da un pezzo di "giocare" al mafioso e sulle dita
di entrambi brillava l'anello dei Vongola.
"Ohayou gozaimasu, Yamamoto-sama!" lo salutarono gli uomini disposti davanti
all'entrata della tenuta.
"Ohayou, minna-san." pronunciò con tono sempiternamente cordiale, mostrando un
sorriso che ingentiliva il suo volto ormai non più di ragazzino. Lineamenti più
marcati dell'ovale del viso, rovinati appena da una cicatrice al mento che,
nonostante tutto, non lo privava della sua bellezza gioviale.
Takeshi Yamamoto. Sebbene non fosse il più attraente degli uomini, -ruolo che
meglio si addiceva ad uno come Kyoya Hibari- possedeva comunque un fascino
magnetico e carismatico che ancora si portava dietro dai tempi delle medie,
quando orde di ragazzine adoranti si ammassavano davanti alla classe per
ammirarlo o ai lati del campo da baseball per osannare il loro eroe.
"Teme! Come osi presentarti qui con quella faccia da schiaffi?!?"
"Hayato, non dovresti sprecare tutta questa energia sgridandomi di prima
mattina." commentò lui, con una calma che rasentava l'ultraterreno. Mai una
volta che si arrabbiasse, mai una volta che perdesse le staffe. Alle volte
risultava così irritante che Hayato non riusciva proprio a capacitarsi di non
avergli ancora infilato una bomba nel letto.
"Ma se sono le due passate!!! E comunque quante volte ti ho detto di non
chiamarmi Hatyato?! Tu devi chiamarmi Signor Gokuera!" gracchiò ad alta
voce, calcando sull'esatta pronuncia italiana di "signor", ricercandola tra i
ricordi della lingua imparata nel suo soggiorno in Italia.
"Le due?" volutamente ignorò il dire dell'altro riguardo il nome, alzò gli occhi
al cielo, come se il cielo stesso potesse rispondere a quella sua domanda
retorica, quindi fece spallucce "Oh beh, vorrà dire che questi mandarini li
mangeremo come merenda."
Infilò una mano nel sacchetto e li lanciò agli uomini di guardia.
"Non ti salverà questo dal tuo ritardo."
"Tranquillo Hayato, ce n'è anche per te, tieni."
"E smettila di chiamarmi per nome!"
"E perchè no? In fondo io ti ho dato il permesso di chiamarmi Takeshi."
"E chi se ne frega, non è la stessa cosa!"
Quella discussione era andata avanti anche fin troppo, la suola di gomma delle
America's cup si mosse per entrare nel cortile che precedeva il quartiergenerale
dei Vongola, superando di un passo i cancelli sempre tenuti sotto controllo.
"Ehy, dove credi di andare?!"
"L'hai detto tu, sono le due, vuol dire che il boss mi aspetta."
"Allora vengo anche io!"
La mano di Hayato si posò pesantemente alla spalla di lui, fermando il suo lento
intercedere.
Piano il capo di Takeshi si volto di quasi novanta gradi, permettendo agli occhi
dell'altro di specchiarsi in iridi rese più sottili ora che le palpebre erano
calate in parte a coprirle e la fronte si era aggrottata.
Hayato deglutì.
Takeshi non disse nulla, si limitò a quello sguardo colorato d'oro fuso che ora
appariva minaccioso come se avesse puntato alla gola la lama della sua katana.
Con una straordinaria calma il sorriso spuntò di nuovo sulle sue labbra e piano
si smossero anche per lasciarlo parlare con una voce che insieme risultò
carezzevole e calda, come una gentile brezza primaverile soffiata sulla faccia
del compagno: "Come desideri."
Tornò a guardar davanti e riprese il suo cammino, la mano destra sempre poggiata
all'impugnatura della mazza da baseball e la sinistra che invece reggeva un
sacchetto di plastica ormai mezzo vuoto.
"Ce... certo che è come desidero..." borbottò invece Hayato, seguendolo con
passi pesanti ed il broncio stampato sul volto. Non era cambiato molto, in
effetti non era cambiato affatto.
Era silenzioso l'interno.
I pochi uomini che vi stazionavano erano disposti davanti ad ogni porta chiusa a
due a due, soltanto quando raggiunsero il salone ne trovarono quattro, ognuno
agli angoli dell'ampia tavolata che troneggiava al centro, apparecchiata per
dieci, sebbene nessuno vi si fosse ancora seduto.
"A quanto pare anche il boss sta facendo tardi." pronunciò Takeshi, superando
anche il salone per raggiungere le scale e portarsi al secondo piano.
"Tsk, lui è un uomo occupato, cosa credi?"
"E' così diverso da te, Hayato."
Fu seducente il modo in cui venne pronunciato il suo nome, per questo ebbe la
certezza matematica che non poteva essere stata la voce di Takeshi a parlare,
soprattutto per quella tonalità femminile che conosceva come le sue tasche.
Sapeva che non si sarebbe dovuto voltare, che era uno sbaglio, ma la testa si
era mossa ancor prima che il cervello le ordinasse di non farlo e lo sguardo
incontrò la figura elegante e slanciata di una donna dai lunghi capelli
profumati, la bocca rossa come il colore di una mela avvelenata e gli occhi
suadenti. Sua sorella Bianchi.
Non ci volle molto perchè l'effetto di quella vista si facesse sentire, entrambe
le mani vennero portate allo stomaco.
"Dannata... sorella..." e ricadde sulle gambe, agonizzante.
Fuori uno.
"Sei ancora un bambino, Hayato."
"Se non vi dispiace, io proseguo. A dopo." annunciò Takeshi, rasentando forse
l'insensibilità nei confronti del giovane, ma non ci si poteva fare niente, era
questo il destino di Gokuera quando incontrava la sorella e lei, sicuramente,
provava uno smisurato piacere a ridurlo in quelle condizioni.
Pazienza.
Meglio andare oltre.
Al secondo piano, imboccando un corridoio che portava ad una stanza soltanto sul
fondo e proprio da questa provenivano rumori strani; finchè un "Kyaaa!" non lo
spinse a correre preoccupato verso la porta. "Tsuna!"
Abbandonò il sacchetto con i mandarini, impugnando la mazza da baseball,
concentrandosi su di essa per far sì che velocemente la sua forma mutasse,
rimischiando le particelle che la costituivano per dar vita ad una katana.
La mano libera corse per afferrare la rientranza della porta scorrevole e
poterla aprire, ma dall'interno furono più veloci.
"Ah..."
Si fermò di colpo, la katana già in posizione, le gambe divaricate, una
leggermente spostata più in avanti dell'altra, per mantenere l'equilibrio, e gli
occhi spalancati sul volto dell'uomo che gli apparve innanzi.
Occhi affilati dal taglio tipicamente orientale, così stretti da somigliare più
a schegge d'ambra pronte a dannare l'anima di qualsiasi essere umano avesse
osato guardarle.
"Hi... Hibari."
Proprio lui.
"Che vuoi?"
La sua voce lo colpì come un pugnale di ghiaccio.
"Ah... no... pensavo che Tsuna fosse..."
"Tsuna?" indagò Kyoya Hibari, con una smorfia sul volto che nonostante tutto
riuscì comunque a renderlo più piacevole alla vista.
"Ah! No, cioè, il Boss!" si corresse al volto Takeshi, portando la mano sinistra
alla nuca.
"Tsk. comunque adesso puoi anche andartene."
"Eh?"
"Non hai sentito?"
Se c'era una cosa che lo aveva sempre infastidito, a parte i deboli, a parte i
gruppetti in cui i deboli si rifugiavano, a parte esser svegliato mentre
dormiva... ecco, si trattava di ripeter cose già dette. Non solo era stancante
ma significava anche che non era stato ascoltato e questo, beh, questo era
imperdonabile!
"Se non ti levi subito..." iniziò, in un sibilo minaccioso, mentre portava i
propri tonfa ad aderire con l'avambraccio, pronti all'attacco, ma una voce
giunse ad interromperlo, proprio dietro di lui.
"Kyaaaah!"
Un urlo.
Inconfondibile.
"Tsuna!"
Gli bastò rivolger uno sguardo a Kyoya perchè per un attimo la sicurezza di
questi vacillasse.
Aveva un volto gentile Takeshi, un bel sorriso ed una voce rassicurante, ma
quando nelle vene scorreva la determinazione lo sguardo diventava quello di una
tigre e nulla pareva in grado di sconfiggerlo, soprattutto se si parlava di
proteggere Tsunayoshi.
Di riflesso Kyoya si mosse di lato e questo gli bastò per poter evitare di
cozzare contro il corpo della figura che si mosse di corsa verso l'uscio,
proprio mentre Takeshi entrava.
Lo scontro tra i due fu inevitabile. Il giovane finì con la schiena a terra e la
spada che rotolava verso il corridoio, lontano dalla sua mano, mentre, sdraiato
sopra di lui, qualcuno che aveva affondato il capo contro il suo petto.
"Nh, ahio..." si lamentò, grattandosi la nuca per alzar lo sguardo ed incontrare
castani capelli scompigliati e occhi grandi e nocciola.
"Ah! Tsu... cioè, boss!"
"Che maleee..." blaterò lamentoso Tsunayoshi, alzando soltanto dopo la testa per
scoprire di esser finito comodamente sul suo subordinato. Arrossì, lanciandosi
in mille spiegazioni pronunciate tutte d'un fiato di cui l'altro capì a malapena
parole come "Allenamento. Dino. Combattevamo. Enzo."
"Ahaa, ti stavi allenando con Dino, ecco perchè ti ho sentito urlare!"
Levò un sospirò di sollievo portando le mani ai fianchi di Tsunayoshi, mentre
questi cercava di mettersi almeno seduto, non che fosse facile con le mani di
Takeshi addosso, anzi, aveva la sensazione che l'altro lo stesse obbligando a
tenere quella posizione e proprio a questo pensierò il viso avvampò.
"Sì!" esclamò di botto "Cioè, era così finchè Enzo..."
"Roar!!!"
"Oh no, Enzo, calmati!"
"Ma che diavolo... Tu! Perchè non impari a controllare il tuo animale?"
Giunse per primo il ruggito della tartaruga ormai cresciuta di svariati chili,
poi l'ordine inascoltato del suo padrone ed infine la frase indignata di Hibari
che non aveva ancora perdonato il Boss della famiglia Cavallone di averlo
disturbato mentre si dedicava ad allenarsi con Tsunayoshi.
"Enzo è cresciuto?" domandò quindi Takeshi. Sperava di ricevere una risposta
negativa poverino, ci sperava davvero, così da godersi ancora un po' quella
posizione ed il corpo del Decimo successore dei Vongola tra le braccia.
"Sì..." pigolò il giovane boss.
"Che sfortuna..." sospirò, rialzandosi ed aiutando Tsunayoshi a fare lo stesso
"Allora è meglio..."
"Fuggire!" terminò la frase Dino mentre si gettava fuori dalla stanza. Peccato
per la propria inettutidine che si manifestava ogni qualvolta i suoi subordinati
non gli erano accanto: inciampò sui propri piedi, cercando di aggrapparsi alla
cravatta nera di Kyoya, trascinandolo miseramente con sè mentre finiva contro il
Capo dei Vongola ed il suo subordinato, rotolando così per qualche metro finchè
non incontrarono le scale.
"Roar!"
Soltanto il ruggito di Enzo servì a coprire il boato che i quattro corpi fecero
ruzzolando giù, gradino dopo gradino, atterrando doloranti ai piedi della
scalinata dove uno stupito Hayato sbatteva le palpebre fissandoli attonito.
"Judaime!" esclamò correndo da loro, ma inciampando a sua volta quando la
sorella ebbe la magnifica idea di seguire il suo esempio e raggiungere il gruppo
per prima, così da poter alzare il viso in sua direzione.
"Agh..."
Di nuovo fuori gioco.
E, come se non bastasse, alla fine quell'ammasso di corpi si era riversato
proprio sul più piccolo tra loro, la testolina di Tsunayoshi infatti sbucava da
sotti i tre, cianotica, mentre la mano cercava di farsi strada per strisciar
fuori.
"Ops, mi dispiace."
"Togliti di torno se ti dispiace così tanto, Stallone." gli ringhiò in faccia
Hibari.
"Ah, è vero, scusate."
Si rialzò seguito da Hibari mentre Takeshi si sollevava sui gomiti osservando il
volto del loro boss ad un soffio di distanza, il suo respiro infatti si
mischiava con il proprio e sentiva sulla propria pelle il calore di quella di
lui che divampava dal viso.
Semplicemente adorabile.
Venticinque anni, eppure un viso che era ancora quello di un ragazzino,
dall'espressione timida ed impacciata che nascondeva invece la freddezza e lo
charme di un leader.
Ci si perse ad osservare i lineamenti di quel viso, avvicinando sempre un po' di
più il proprio a quello di lui.
"Ah... Yama... Yamamoto..." sussurrò timidamente Tsunayoshi, le guance che ormai
erano diventate di un rosso fuoco più intenso della fiamma del Proiettile del
Coraggio di Morire.
"Tranquillo." soffiò dolcemente il subordinato, portando le proprie labbra a
contatto con quelle di lui, in un tocco che mano a mano si fece più audace.
"Roar!"
Dalla cima delle scale fece capolino Enzo ed il suo ruggito.
"Attenti!"
La frusta si srotolò tra le mani di Dino.
"Judaime! E tu, non approfittare di quest'occasione per fare i tuoi porci
comodi, bastardo!"
Una luce rossastra attraversò la superficie dell'anello della Tempesta di Hayato
e, attraversato da una breve ma intensa scarica elettrica, si trasformò in un
piccolo cannone metallico collegato al suo avambraccio che terminava con un
piccolo teschio alla sua imboccatura.
"Bestia fastidiosa." fu invece il commento di Kyoya mentre recuperava i suoi
tonfa scoccando seccato la lingua contro il palato dopo aver rifilato
un'occhiata malevola in direzione di Yamamoto.
"Roar!"
Un altro passo di Enzo fece tremare le fondamenta e soltanto allora Takeshi
circondò con la destra la vita sottile di Tsunayoshi, senza sciogliere il bacio,
tutt'altro, stringendolo a sè mentre sollevava il busto, prendeva slancio
puntellandosi con le gambe e ruotava su sè stesso trascinando con sè il giovane
boss, in una ruota all'indietro in cui allungò la mano sinistra verso il
pavimento, afferrando così l'impugnatura della propria katana ed atterrando poi
sul pavimento, con le ginocchia piegate per attutire l'impatto.
Le dita di Tsunayoshi si erano strette alla stoffa della sua camicia ed il
respiro era stato trattenuto, non tanto per la capriola in cui era stato
coinvolto, ma per la lingua dell'amico e subordinato che sfilava leziosa tra le
sue labbra, mischiando la saliva con la propria e scaldando velocemente il suo
corpo.
A malincuore quel bacio venne sciolto, proprio da Takeshi che trattenne la
fronte contro quella del Decimo.
"Lascia fare a noi, boss."
Sollevò la lama argentata della katana superando il giovane boss e si aggiunse
agli altri, fingendo di non sentire i rimproveri di Smokin' Bomb Hayato e di non
vedere le occhiate truci di Kyoya Hibari, l'eterno presidente del Comitato
disciplinare della scuola media Naminori.
"Forza, divertiamoci!"
"Uff, meno male che nessuno si è fatto male, eh?"
"Hai distrutto mezza casa, deficiente! Sei più vecchio di noi eppure non fai
altro che disastri!"
"Quando parli così sembri un vero uomo, Hayato."
"Argh! Bianchi.... Ugh... Il... il mio stomaco..."
"Ma rimarrai sempre un bambino."
"Dannata..."
Non c'erano dubbi sul finale di questa disputa.
Dino si stava dedicando a ventilare la sua tartaruga con un fon, asciugandola
degli ultimi residui d'acqua che il suo corpo aveva assorbito.
Hayato, dolorante, malediva la solita Bianchi comparsa come per magia, giusto in
tempo per torturarlo prima di congedarsi e dedicarsi al nuovo incarico che le
era stato affidato.
E Kyoya, seduto comodamente ad una delle poltrone in pelle del salone -una delle
poche rimaste in piedi dopo l'atto distruttivo di Enzo- meditava, per il futuro,
di picchiare a sangue la tartaruga del boss della famiglia alleata già dal primo
momento in cui avrebbe messo piede nella loro dimora, perchè prevenire è meglio
che curare e riempire di botte qualcuno era comunque un buon passatempo.
"Mhm? A proposito, dov'è finito il fratellino?" domandò Dino, guardandosi
intorno con aria curiosa.
"Quel bastardo ne ha approfittato per portarlo via." rispose Kyoya con una
smorfia irritata, stendendo il braccio quando Hibird fece la sua entrata,
sbattendo pigramente le ali ed atterrando con le zampette sulle sue dita
affusolate, chiocciando allegramente il suo nome.
"Fiu, meno male che alla fine Enzo si è calmato."
"Te l'avevo detto, no, che ci avremmo pensato noi."
"M-mh..."
Tsunayoshi annuì, arrossendo quando le dita di Takeshi scivolarono al contorno
del suo viso, in una carezza gentile che lo portò a raccoglier il suo mento tra
l'indice ed il pollice per sollevarlo.
Era sempre stato piccolo di statura Tsuna, ed anche ora, che non era più un
ragazzino, non era poi cresciuto molto, a differenza degli altri che superavano
tutti abbondantemente il metro e ottanta.
"Boss?" lo chiamò l'altro.
"Sì?" deglutì lui.
"Credi che se ti rapissi per un paio di ore gli altri se la prenderebbero
tanto?"
La buttò giù così, con fare pensieroso, riflettendo seriamente sul fatto di
rapire o meno il Decimo boss della Famiglia Vongola e tenerlo tutto per sé per
un paio di ore o più.
Sicuramente al loro ritorno Gokudera e Hibari lo avrebbero ucciso.
"Ma ti pare una cosa da chiedere?!" sbottò agitato Tsunayoshi, sempre più rosso.
"Mhm, hai ragione!"
Gli afferrò un polso e soddisfatto fece per dirigersi fuori dalla base dei
Vongola, diretti probabilmente a casa sua, dove gli altri avrebbero evitato per
un po' di disturbarli e dove un letto comodo e caldo aspettava soltanto loro.
"Ehm... Yamamoto..."
"Yes, boss?"
"Che cosa stai facendo?"
"Ti sto rapendo, no? Mi hai detto che non devo neppure chiedertelo, così lo
faccio e basta!"
Ovviamente non era questo quello che il giovane boss intendeva, proprio per
niente. Ma quando vide il sorriso contaggioso di Takeshi in cui entrambe le
arcate venivano messe in mostra, il cuore perse un battito e la forza di volontà
per resistergli venne meno.
"Uff, va bene, però poi torniamo subito qui!"
"Yatta!"
Ed iniziò a correre trascinandolo fuori, giusto in tempo per il ritorno di
Ryohei Sasagawa ed il suo urlo sovrumano che stese gli uomini a difesa della
tenuta.
"Ryouhei Sasagawa, ventisette anni, che ha combattutto anche contro i leoni, è
tornato dall'estero più estremo di prima! Il mio motto è: Fino al limite
estremo!!!" Una pausa mentre puntava l'indice al cielo e poi "Ah, boss!"
Se voleva salutarlo non fece in tempo, Tsunayoshi tentò un sorriso sforzato in
sua direzione, mentre cercava di non pensare a quanto fosse stramba e fuori
luogo la sua solita presentazione, mentre Takeshi lo salutò con la mano libera
portando via il boss.
"Eh? Ma dove andate?"
"Rapisco il boss per i miei loschi piani, ovviamente. Bye-bye!"
"Yamamoto! Sta... sta scherzando, non mi sta rapendo."
"Ma allora..."
"Oni-san, hai capito, vero? Non mi sta rapendo."
"Allora... Yamamoto sta cercando di superare il limite estremo!!!"
No. Ovviamente non aveva capito e ovviamente tutto andò come doveva andare: con
il "rapimento" del Decimo Vongola e la movimentazione di tutti i suoi
subordinati che ricevettero l'ordine da Hayato e Kyoya di trovare e uccidere il
"bastardo" che aveva osato tanto.
"Ahahah, sarà divertente!"
Venticinque anni dalla sua nascita e Takeshi Yamamoto restava sempre il ragazzo
naive divertito dai giochi dei mafiosi.
+†+THE END+†+
-phrasebook-
Obaasan = Grandma
Judaime = Tenth
Ohayou gozaimasu, Yamamoto-sama = Good morning, mister Yamamoto
Ohayou, minna-san = 'Morning, people
Teme = Bastard