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Autore: _Trixie_    20/10/2013    4 recensioni
[Swan Queen - Prompt 158. Temi ciò che non puoi conoscere (capitolo 2) e 159. Temi ciò di cui non puoi parlare (capitolo 1) proposti dalla 500themes_ita challenge.]
Dicono che il vero amore ti colpisca una sola volta nella vita. Nessuno dice mai che il vero amore può anche morire, spegnendosi con la stessa rapidità con cui si accende. Una scintilla nel buio, che ti acceca, ti abbaglia e ti confonde la vista per poi sprofondare di nuovo nell’oscurità, un alone opaco a ricordarti per sempre il vero amore che ti è sfuggito tra mani, senza che tu potessi fare nulla per fermarlo.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Storia strutturata secondo brevi sezioni, dove ho usato il prompt 158. Temi ciò che non puoi conoscere (capitolo 2) e il prompt 159. Temi ciò di cui non puoi parlare (capitolo 1) proposti dalla 500themes_ita challenge. Il PoV è alterno: Regina (1, 3, 5) e Emma (2, 4, 6); narratore esterno (7 e 8). 
Buona lettura :D 

 


A K., che mi asseconda sempre
nelle mie ossessioni.
 
 

Temi ciò che rivela chi sei
 
 
1. Temi ciò di cui non puoi parlare
 
Dicono che il vero amore ti colpisca una sola volta nella vita. Nessuno dice mai che il vero amore può anche morire, spegnendosi con la stessa rapidità con cui si accende. Una scintilla nel buio, che ti acceca, ti abbaglia e ti confonde la vista per poi sprofondare di nuovo nell’oscurità, un alone opaco a ricordarti per sempre il vero amore che ti è sfuggito tra mani, senza che tu potessi fare nulla per fermarlo.
Il mio vero nome si chiamava Daniel e la sua fiamma fece appena in tempo a scaldarmi il cuore, prima che mia madre la estinguesse. Di lui mi rimase un corpo freddo e senza anima. Di lui mi rimase il ricordo e di lui rimase il segreto, perché quell’amore, che tanto profondamente mi aveva segnata, sarebbe stato il più grande segreto. L’amore è debolezza e la Regina Cattiva non dovrebbe avere debolezze.
Parlare di Daniel era doloroso, ma la realtà era che avevo paura di parlare di lui. Temevo che qualcuno avrebbe potuto approfittare della sua memoria per piegare la mia volontà, umiliarmi e calpestarmi. Nonostante fosse scomparso, sapevo di dover nascondere al mondo ciò che di Daniel rimaneva, sapevo di dover serbare il suo nome, nascosto da tutto ciò che per me era la vita, se vita si poteva chiamare: il re, la corte, Biancaneve, perché nessuno potesse fargli del male, mai più.
«Daniel» sussurravo a volte, nel buio della mia stanza, quando nessuno era in ascolto. Ma nessuno rispondeva.
Allora io iniziavo a piangere, allora gemevo, mi disperavo, ma sempre in silenzio, escludendo il resto del mondo dal mio dolore, dal nostro amore.
 
Una sera, nel mio ufficio a Storybrooke, lo chiamai ancora. Era l’anniversario della sua morte, ma questo non avrebbe fatto alcuna differenza, perché lui era morto da molto tempo ormai.
«Daniel» dissi.
«Regina» mi rispose una voce, una voce che credevo di odiare e che non mi sarei mai aspettata di udire lì, nel mio ufficio, in quel momento.
«Signorina Swan» sillabai, mentre dal mio volto spariva ogni traccia di dolore, ogni segno di sofferenza. Attesi ancora qualche secondo prima di voltarmi verso di lei: non avrei mai mostrato a quella donna la mia debolezza.
«Regina».
«Signor sindaco, prego. Ora siete sceriffo, ma la vostra posizione non vi permette certe libertà».
«Graham poteva prendersi libertà ben maggiori».
Scossi la testa, nascondendo un sorriso divertito: la sua impertinenza riusciva sempre a mettermi di buon umore. Non poteva scalfirmi in alcun modo, era simile a una carezza sulla mia pelle.
«Cosa siete venuta a fare nel mio ufficio, signorina Swan? Non mi risulta abbiate un appuntamento» le feci notare.
«Vi ho portato il resoconto scritto della settimana, signor sindaco, come avete chiesto» rispose, lanciando sulla mia scrivania una cartellina di fogli. I miei documenti svolazzarono appena.
«Un gesto cortese, da parte vostra. Ora potete andare».
«A presto, signor sindaco, spero che il Daniel con il quale mi avete scambiata arrivi presto al vostro appuntamento» disse, voltandosi.
«Daniel non verrà al nostro appuntamento, signorina Swan. Ma lei non provi più a pronunciare il suo nome. Dicono che io sappia essere molto cattiva, le consiglierei di non mettere alla prova queste voci».
Lei mi guardò, confusa, senza comprendere la ragione del mio falso sorriso.
Quel nome sulle sue labbra: quella donna poteva considerarsi fortunata ad essere ancora viva.
 
2. Temi ciò che non puoi conoscere
 
«Non sai nulla di un certo Daniel?» domandai a Ruby, mentre sorseggiavo il caffè quella mattina.
«Daniel? No, credo di non conoscere nessuno con quel nome» rispose lei, fissando un punto indistinto sopra la mia testa.
«Ok, grazie, Ruby» le sorrisi, riprendendo la mia colazione.
Quel nome mi tartassava la mente dalla sera precedente.
Daniel. Un nome che il sindaco aveva pronunciato come se il solo ricordo potesse ferirla. Dovevo essermi sicuramente sbagliata: nulla avrebbe mai potuto ferire Regina, tantomeno un nome.
Eppure, una parte di me sapeva benissimo che non avrei mai potuto sbagliarmi, perché conoscevo perfettamente quel tono, il tono che Regina aveva usato nel chiamare Daniel. C’era dolore e c’era disperazione, c’era rimpianto per un passato che non sarebbe mai più potuto tornare.
E il passato di Regina a quanto pare mi era precluso. Questo mi infastidiva terribilmente, dal momento che lei conosceva ogni avvenimento della mia vita, ogni sbaglio che avevo commesso, ogni respiro che avevo trattenuto, ogni sogno in cui avevo sperato.
Per Regina ero un libro aperto, lei per me non era altro che mistero, una donna senza passato se non un nome sfuggito leggero dalle labbra: Daniel.
Se si fosse trattato di una qualsiasi altra persona sarebbe stato chiaro il ruolo di un uomo in grado di lacerare in modo tanto profondo il cuore di una donna: un amore passato rimasto senza lieto fine.
Ma si trattava pur sempre di Regina, questo dovevo tenerlo bene a mente.
Daniel. Daniel. Daniel.
Quel nome mi ossessionava.
Daniel. Daniel. Daniel.
Mi infastidiva e mi affascinava al tempo stesso. Un pezzo del passato di Regina, che volevo conoscere, ma che temevo.
Daniel poteva anche essere suo marito, che l’aveva abbandonata o che, forse, era morto. O poteva essere suo figlio, un figlio naturale più grande di Henry, anch’egli morto.
A chiunque appartenesse quel nome non aveva importanza: quell’uomo, quel ragazzo o quel bambino che fosse, era stato in grado di segnare a fondo il cuore di Regina.
E sapere che anche lei ne aveva uno, che anche lei aveva amato, che anche lei provava dolore, mi avrebbe addolcita nei suoi confronti, mi avrebbe presentato quella donna sotto una luce migliore, che di certo non meritava.
Dopotutto, forse era meglio non conoscere il passato di Regina, perché poteva nascondere scheletri assai più pericolosi di quelli che avrei mai potuto immaginare.
 
3. Temi ciò da cui non puoi scappare
 
Il passato è una catena e alcune catene sono più strette di altre. La mia mi aveva sempre impedito perfino di muovere un passo verso il futuro e ogni suo anello aveva un nome.
Il primo si chiamava Cora ed era mia madre, la donna che ho spinto attraverso uno specchio, relegandola in un altro mondo. Il secondo si chiamava Tremotino ed era la causa di ogni anello forgiato a comporre quella catena. Seguivano le persone cui avevo sottratto il cuore, quelle che avevo ucciso, quelle che avevo fatto soffrire, fino a raggiungere il mio polso, dove un luminoso bracciale d’oro, con il nome Daniel scritto tutt’attorno, mi stringeva la carne.
Ogni azione della mia vita era stata compiuta a causa e per merito suo fino al giorno in cui non divenni la madre di Henry.
In quel momento non fui più solo Regina Mill, sindaco di Storybrooke, in quel momento divenni prima di tutto Regina Mills, la madre di Henry. Ma nemmeno lui, quel bambino che camminava incerto sulle sue gambine paffute nella mia camera da letto e che aveva più futuro davanti che passato alle spalle, nemmeno Henry aveva la chiave che mi avrebbe liberata della mia catena.
Avevo combattuto troppo duramente per diventare ciò che ero e c’era stato troppo sangue lungo la mia strada per avere la possibilità di vivere il presente e sperare in un futuro che non venissero continuamente influenzati dal mio passato.
Io ero Regina Mills, la figlia di Cora, la gioia di mio padre, l’amore di Daniel, l’allieva di Tremotino, la moglie del Re, la matrigna di Biancaneve, la Regina Cattiva, il sindaco di Storybrooke, la madre di Henry, la donna odiata da Emma Swan.
E non sarei mai potuta fuggire da tutto questo, non potevo fuggire a me stessa, nemmeno grazie alla magia.
Soprattutto, non potevo scappare da Emma Swan.
 
4. Temi ciò che ti può catturare
 
Quella fu probabilmente una delle più grandi pazzie della mia vita. Indagare riguardo al passato di Regina si sarebbe rivelato la mia condanna a morte, ma ritenevo quanto meno importante conoscere il mio nemico, così da scoprirne e sfruttarne gli eventuali punti deboli. Per lei si era rivelata una strategia vincente, perché non avrebbe dovuto esserlo anche per me?
Fu così che Regina divenne un’ossessione.
Setacciai ogni angolo degli uffici comunali di Storybrooke, alla ricerca di dati anagrafici e documenti che contenessero informazioni su di lei, ma stando alla burocrazia di Stato, lei non esisteva: nessun certificato di nascita, nessuna scuola frequentata, nessun diploma o laurea, nessuna multa, nessun richiamo o denuncia. Nulla.
La cosa non mi stupì affatto, al contrario, sarebbe stata una vera e propria sorpresa trovare qualcosa che la riguardasse nella sua città, dove la sua figura rimaneva avvolta nel mistero e nella corruzione, oltre che nel disprezzo malcelato della metà dei concittadini e nell’adulazione spietata della parte restante.
Così iniziai a porre domande indiscrete e noncuranti in giro, con il tono di chi ha voglia di fare solo un paio di chiacchiere.
«Regina è sindaco da molti anni?»
«Sai se è nata qui?»
«Ha qualche interesse?»
«Cosa ha studiato?»
«Si è mai sposata?»
«Ci sono mai stati uomini importanti nella sua vita?»
«Che genere di donna era sua madre?»
«Nessuno viene mai a trovarla?»
Domande semplici, dal tono leggero, ma bramavo con tutta me stessa una risposta, anche piccola, ai miei dubbi. Ma nessuno, purtroppo, riusciva a ricordare nulla.
Non sapevo niente di Regina ed era proprio questo a catturarmi e a legarmi a lei.
 
5. Temi ciò che ti può ferire
 
«Lo amava molto, non è vero?»
Il mio sangue gelò, arrestando i battiti del mio cuore.
«Come fai a sapere di lui?» dissi, alzandomi dalla sedia dietro la mia scrivania di scatto e afferrandone il bordo con forza.
Emma aprì la bocca, fece un breve passo indietro, guardandomi stupita.
«Io non- Io non lo sapevo. Ho solo… ho solo tirato a indovinare» rispose, confusa.
Strinsi gli occhi, minacciosa, mentre il petto ricominciava lentamente a muoversi, su e giù, facendo entrare aria nei polmoni. Stupida ragazzina, aveva deciso di giocare con il fuoco.
«Io non so nulla del tuo passato, Regina. Ma tu sai tutto del mio. Vorrei giocare ad armi pari» disse, avvicinandosi alla scrivania e facendo cadere una cartellina di fogli sottili davanti a me.
«Abbiamo accantonato del tutto le formalità, Emma?» domandai, alzando un sopracciglio nella sua direzione. «Questo è il resoconto della settimana?»
«Sì» rispose, appoggiandosi a una sedia senza distogliere lo sguardo da me. «Chi è Daniel, Regina?»
«Ti ho già detto di non parlare di lui».
«Ha fatto parte della vita di Henry? Perché se è così, devo saperlo, d’accordo? Si trattava del padre adottivo? Il nonno? Un fratello più grande?» iniziò a chiedere a raffica,
«Lo trovo del tutto inopportuno. Vattene!» scattai, alzandomi di nuovo. La sedia cadde a terra con un tonfo sordo a causa della violenza della mia reazione.
«Dimmi solo questo, Regina. Ha fatto parte della vita di mio figlio?».
«No, non ha fatto parte della vita di mio figlio» sibilai, guardandola con astio.
Lei annuì e si voltò per andarsene, quando mise la mano sulla maniglia della porta la chiamai.
«Emma!»
Lei si voltò, veloce.
Sarebbe stato così semplice dirle tutto, dirle chi era Daniel, dirle che Henry era tutto ciò che mi rimaneva, che nessun altro avrebbe mai potuto amarmi, che mi stava portando via l’unica cosa che avesse davvero importanza per me.
«Non è più necessario che tu faccia rapporto ogni settimana» dissi solo.
Quella ragazzina aveva più potere su di me di quanto immaginasse. Le bastava un nome per ferirmi, il mio passato doveva rimanerle precluso, ad ogni costo.
Emma lasciò la stanza.
 
5. Temi ciò che ti può uccidere
 
«Ho sentito mia madre alzare la voce con te, Emma. Cosa hai fatto ancora?» mi domandò allegramente Henry quella mattina, mentre addentava con forza un ciambella, sporcandosi tutto il naso di zucchero. Mi guardai attorno, nella tavola calda di Granny, per assicurarmi che nessuno fosse in ascolto.
«Credo di aver insistito troppo riguardo un argomento delicato, tesoro» gli dissi, allungando la mano per pulirgli il viso.
«Argomento delicato? Stavate parlando di me?»
«No, ragazzino» sorrisi. Il suo naso era di nuovo sporco di zucchero.
«E allora di cosa?» chiese confuso.
«Oh, ho sentito un nome legato al suo passato, nulla più» scossi la testa, facendo segno a Ruby perché mi portasse il conto.
«Stai scherzando?!» esclamò sgranando gli occhi. «Cosa hai scoperto? Ogni dettaglio sulla Regina Cattiva può tornare utile nell’Operazione Cobra!»
«Si chiama Regina e basta, ragazzino. E non è importante, davvero. Grazie, Ruby» aggiunsi poi, pagando il conto alla ragazza, che scompigliò i capelli di Henry.
«E se non è importante allora dimmelo, no?» insistette lui, abbassando la voce con tono cospiratorio.
«Prendi lo zaino o farai tardi a scuola, forza» lo incitai, alzandomi.
«Non ho intenzione di andare a scuola finché non mi rivelerai la verità. Tu conosci qualcosa del suo passato, non capisci? Ora sei diventata più che una minaccia, per lei! Devi stare ancora più attenta perché sei ancora più pericolosa per lei: potresti aver scoperto il suo più grande punto debole! Ogni cattivo ne ha uno, lo sanno tutti!» si infiammò Henry, che si alzò iniziando a gesticolare energicamente.
Io lo fissai qualche secondo quando ebbe finito il suo appassionato discorso, poi inclinai la testa e sorrisi.
«Allora non te lo dirò, così non sarai in pericolo e potrai proseguire l’Operazione Cobra nel caso dovesse succedermi qualcosa. La mia è solo prudenza, ragazzino».
«Hai vinto la battaglia, ma non la guerra. Ragazzina» disse lui, facendomi il verso e strappandomi un sorriso.
Lo accompagnai fino allo scuolabus, che riuscì a prendere per un soffio, e aspettai che si allontanasse prima di dirigermi all’ufficio dello Sceriffo.
Svoltai l’angolo e diedi un’occhiata veloce a destra e a sinistra prima di attraversare la strada quando la macchina di Regina sbucò dal nulla.
Il suono del clacson mi raggiunse prima dello stridio dei freni, ma bastò a farmi spostare velocemente di lato, dove rotolai sulla schiena.
Un paio di stivali neri comparvero nel mio campo visivo.
«Signorina Swan, dovrebbe fare maggiore attenzione quando attraversa la strada. Avrei potuto ucciderla».
 
7. Temi ciò che ti può controllare
 
Regina era seduta nel locale di Granny e aspettava suo figlio Henry. Perché avesse insistito tanto per vederla lì era per lei un mistero, un mistero che divenne ancora più oscuro quando vide entrare Henry in compagnia di Emma. Li osservò avvicinarsi al tavolo dove era seduta, rendendosi conto, dall’espressione della donna, che anche Emma era stata incastrata.
«Signorina Swan».
«Signor Sindaco».
«Mamme».
Entrambe le donne guardarono Henry scetticamente, stupite di poter essere chiamate con un medesimo titolo, che rispecchiava per entrambe la realtà.
«Siediti, mamma Emma, per favore» disse Henry, indicando il posto di fronte a Regina. Lo sceriffo esitò solo un secondo, ma poi fece come le aveva chiesto il ragazzo.
«Bene. Ho deciso che questa sera voi due cenerete insieme, in un luogo pubblico, dove dovrete conservare almeno un briciolo di civiltà l’una verso l’altra» spiegò, spostando lo sguardo dall’una all’altra, entrambe sedute nella medesima posizione: corpo reclinato all’indietro, braccia conserte, sguardo puntato su Henry.
«Non ho intenzione di farlo».
«Per una volta siamo d’accordo, signorina Swan» concordò Regina.
Entrambe accennarono ad andarsene.
«Sedute» intimò loro Henry, estraendo due oggetti dalle proprie tasche: due collane, una con un cigno d’argento su sfondo nero, l’altra con una corona bianca su sfondo nero.
Regina e Emma si guardarono il petto, prima di tornare a guardare Henry.
«Sì, sono le vostre collane. Ora io ho una seduta con il dottor Hopper. Vi chiedo solo un’ora, d’accordo? Perché non ce la faccio più a fare doppia colazione ogni mattina a casa con te» disse Henry, indicando Regina, «e poi da Granny con te» aggiunse, indicando Emma, «adoro mangiare e non so dire di no alle ciambelle, ma non riesco più ad abbottonare le camice e ho una nausea insopportabile per tutto il giorno. Perciò ora dividetevi le colazioni, per favore. E anche i pranzi» precisò, dopo un momento di riflessione.
«Ho le vostre collane e se quando tornerò dalla seduta con il dottor Hopper voi non sarete qui e non avrete concordato qualcosa, non le riavrete mai più. Buona cena, mamma» augurò Henry a Regina con un sorriso nella sua direzione, «e anche a te, mamma» concluse guardando Emma.
Henry rimise al sicuro le collane e uscì da Granny, camminando tronfio in direzione dello studio del dottor Hopper.
Quel dannato ragazzino le aveva manipolate.
 
8. Temi ciò che rivela chi sei
 
«Non ho intenzione di farlo» precisò immediatamente Regina.
«Nemmeno io, accidenti!» esclamò Emma, alzandosi per andarsene.
«Ci troviamo tra un’ora qui fuori, così riavrò la mia collana» disse il sindaco, mentre il campanello della porta del locale tintinnava alle loro spalle. Il freddo pungente di Storybrooke colorò di rosso le guance di Emma, che annuì in risposta.
Entrambe si avviarono nella stessa direzione.
«Che c’è? Casa mia è da questa parte!» esclamò Emma, in risposta allo sguardo interrogativo di Regina.
«Già, anche la mia. E Henry lo sa».
«Lei potrebbe andare sull’altro lato della strada» suggerì Emma.
«Ci vada lei! Questa è la mia città!»
«Neanche per idea!»
Le due donne continuarono a camminare l’una di fianco all’altra senza rivolgersi la parola, mentre il vento freddo d’autunno diveniva sempre più insistente.
«Adoro l’autunno» sospirò Emma, nel tentennante tentativo di fare conversazione.
Regina le lanciò un lungo sguardo, confusa.
«Anche a me piace» ammise, infastidita per essersi lasciata sfuggire un commento personale con la signorina Swan. Eppure quell’insistente desiderio di aprirsi, di rivelarle tutto e affidarle ogni segreto del proprio cuore, dal più oscuro al più puro, continuava a farsi sentire e a premere dall’interno del suo petto, impaziente di liberarsi. Naturalmente, questo non sarebbe mai successo.
«Allora abbiamo qualcosa in comune, Regina, oltre ad Henry».
«Nessuno in questa città mi chiama per nome, Emma» replicò il sindaco contrariata.
«Perché hanno tutti paura di te e lo sai benissimo. E lo capisco, sai? Ci sono passata anche io. Odiare le persone, tenerle a distanza perché non ci possano ferire, morderle, prima che loro possano mordere te» disse Emma, guardando un punto indefinito davanti a se. «Lo so come funziona, Regina. Prima che tu possa accorgertene ti troverai a festeggiare il compleanno da sola».
«Mi stai dicendo che non sei pura e candida come Henry ti ritiene?»
«Infatti. Credo che noi… ma lasciamo perdere, immagino che tu le ritenga tutte quante sciocchezze».
«Finisci la frase, Emma» la incoraggiò Regina. «Forza, sediamoci su questa panchina e facciamo quello che ci chiede Henry: parliamo. Potresti rimanere sconvolta da quello che ho da dirti, potresti finalmente capire che non sono io la cattiva della storia».
Emma si fermò davanti a Regina, che già si era seduta sulla fredda panchina di legno e sorrideva in direzione dell’altra, in attesa che lei la imitasse. Emma acconsentì e si sedette accanto a Regina, sospirando.
«Siamo più simili di quando possa sembrare» disse Emma, prima di rimanere un istante in silenzio. «E forse tu sei la cattiva di qualche storia, tutti sono i cattivi di una storia. Ma nella storia di Henry dovrei essere io la cattiva: la madre che lo ha abbandonato dopo aver partorito in prigione».
«Non te lo sei mai perdonato, non è vero?»
«No, infatti» ammise Emma.
«Daniel è un uomo del mio passato, in un certo senso lavorava per la mia famiglia, ma lui per me era quello che nelle favole chiamano il vero amore. Mia madre non poteva tollerare la nostra storia, riteneva Daniel alla stregua di un… arrampicatore sociale. Così le tenni nascosto il nostro progetto di fuga, ma confidai il mio segreto a una persona, una persona che mi stava molto a cuore e che mi doveva molto. Questa persona mi tradì, raccontò tutto a mia madre. Non rividi mai più Daniel» raccontò Regina, senza mai guardare Emma negli occhi. «Ora sai chi è Daniel. Ma gradirei che rimanesse tra noi».
«Sembra che sia tu l’eroina in cerca di un lieto fine» commentò Emma.
«Sembra che sia tu la strega cattiva in grado di fare del male a un bambino innocente» replicò Regina, sarcasticamente. «Hai ragione, comunque, siamo più simili di quanto possa sembrare, Emma».
Le due donne tacquero e non si scambiarono mai uno sguardo, ma entrambe pensavano all’altra, alla donna che Henry chiamava mamma.
E per Regina fu facile capire come Emma fosse in grado di scavare nel suo cuore portando alla luce quel poco bene che rimaneva in lei. Capiva anche di essere in grado di scovare nel cuore della giovane le ombre più oscure e nascoste, quei segreti così gelosamente custoditi da essere quasi dimenticati.
Regina ora sapeva che Emma andava annientata, prima che fosse Emma stessa a farle del male spingendola ad amare ancora.  
   
 
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