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Autore: h o r o    20/10/2013    3 recensioni
Sono passati molti anni da quando Rosso ha lasciato Kanto...
Ripensò a tutti gli amici che l'avevano accompagnato, a tutti i pokémon con cui aveva combattuto... Era un bambino e in mano teneva una scatolina rossa, in spalla il suo Pikachu.
Genere: Avventura, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Prof Oak, Red
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Quando la sirena della nave annunciò il suo arrivo al porto di Aranciopoli, Rosso pensò che l'aria profumava di casa. L'odore salmastro dell'oceano gli riempiva i polmoni da un po' e distinguere finalmente una linea di terra all'orizzonte gli riempì il cuore di gioia ma anche di una strana malinconia. 
 I primi passi che fece sul pontile furono lenti e misurati. Il vecchio marinaio lo salutò con una pacca sulla spalla. Erano anni che non si vedevano.
 Mentre avanzava, Rosso avvertì un vago moto di nostalgia nel vedere come Kanto appariva cambiata: il terreno, un tempo dura terra che sapeva di erba appena tagliata, di colpo era stato sostituito da una strada, la Palestra di Aranciopoli, sfida per giovani allenatori che desideravano mettersi alla prova, era ancora lì con tutti i suoi ricordi, ma era stata ricostruita e ingrandita; il Centro-Medico pure. Il tempo aveva cambiato tutto. 
 Rosso tirò fuori da una tasca una pokéball e ne fece uscire un grande drago rosso dalla lunga coda fiammeggiante. Charizard ruggì il suo bentornato a quel cielo familiare, mentre portava il padrone a casa. Dall'alto le città erano solo luci e Rosso ricordò come si era sentito quando le aveva viste per la prima volta.
 L'aria era fredda e lo colpiva al volto e alle mani, ma lui non se ne curava. Il suo fiato si condensò in una nuvoletta bianca quando chiese a Charizard di portarlo a Biancavilla. 

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Persino sua madre era invecchiata: i suoi capelli si erano ingrigiti e i suoi movimenti si erano fatti più lenti.
 “Rosso!” esclamò in un filo di voce quasi non credendo ai suoi occhi quando aprì la porta. Rosso rise.
 “Sorpresa” sussurrò e lei subito gli gettò le braccia al collo in un abbraccio. 
 “Avresti dovuto avvisare” lo rimproverò, ma sorrideva “Avrei potuto preparare una festa di bentornato, muoiono tutti dalla voglia di vederti!”
 “Non ce n'è bisogno, mamma, non mi fermerò a lungo”
 La donna si staccò dall'abbraccio e un po' delusa annuì. “Capisco... E, dimmi, i tuoi pokémon come stanno? Continuano a vincere?”
 “Certo,” rispose lui “proprio ieri abbiamo partecipato ad un torneo ad Unima e siamo arrivati primi” 
 Parlare con sua madre lo fece sentire di colpo meglio. Ripensò alla sua infanzia, quando attraversava di corsa i prati del percorso che portava alla città vicina con il sogno di diventare un campione. Ripensò a tutti gli amici che l'avevano accompagnato, a tutti i pokémon con cui aveva combattuto...
 Era un bambino e in mano teneva una scatolina rossa, in spalla il suo Pikachu.
 “Il professore come sta?” domandò dopo un po'. La donna si fece di colpo seria, la sua espressione calma si intaccò e parve attraversata da un'ombra. 
 “Non bene, purtroppo” 
Rosso, di colpo di nuovo triste, distolse lo sguardo e lo posò sul vetro della finestra. 

Non aveva mai messo piede nella stanza di Oak, né si era mai posto il problema su dove potesse vivere. Era semplicemente un professore e questo non comportava che dovesse avere una vita al di fuori del suo laboratorio. Né Rosso aveva mai pensato all'importanza che quell'uomo aveva per lui: lo conosceva da sempre, era il nonno di Blu, e aveva sempre avuto una buona parola anche per lui, che i nonni non li aveva più. Oak era un grand'uomo. 
 Il suo volto era pallido e smunto, le guance incavate e gli occhi cerchiati di blu. Le labbra screpolate tremavano appena, ma il professore sembrava addormentato. Rosso si sentì male vedendolo in quello stato. Sarebbe dovuto andare a trovarlo prima che le sue condizioni lo costringessero a letto. Quasi come se fosse stata colpa sua, sentì l'impulso di fuggire, correre lontano, e mettere tra sé e quell'uomo più chilometri possibile, anche se i suoi occhi si rifiutavano di lasciare il suo viso.
 Senza quasi che se ne accorgesse, Oak aveva socchiuso gli occhi e lo spiava da sotto le ciglia.
 “Rosso... Mio caro ragazzo” mormorò subito, le labbra ora increspate da un sorriso. Una sottile ragnatela di rughe si dipanò sulla sua fronte e attorno ai suoi occhi. “Come stai?”
 “Bene, professore. E lei?” 
 “Mai stato meglio, benché tutti questi dottori insistano per avvicinare l'ora della mia dipartita con tutte le loro congetture infelici.” Oak sospirò, nonostante quell'unico soffio sembrasse costargli più fatica di quanto non volesse ammettere. “Sono vecchio, ma sono ancora vivo e di certo non sono stupido. Mi trattano già come se dormissi in una cassa di mogano!” 
 “Professore, non è cambiato affatto” osservò Rosso con un sorriso. 
 “Sono il prof. Pokémon, Rosso. Non si sbarazzeranno così in fretta di m–” un violento attacco di tosse non gli permise di continuare. Il petto di Oak sotto alle coperte si alzava e si abbassava irregolare e l'uomo chinava la testa all'indietro ad ogni colpo. 
 A disagio, Rosso scattò il piedi e tentò di aiutarlo ad alzarsi. Quando il vecchio si fu seduto, finalmente gli attacchi sfumarono, lasciandolo però senza fiato. 
 “Dammi un po' d'acqua, Rosso, ti prego”  disse, portandosi una mano alla bocca. Poi aggiunse: “Mettici tre gocce di quella boccetta sulla destra, per favore”
Rosso obbedì. Recuperò il bicchiere dal comodino e lo riempì d'acqua, poi con il contagocce somministrò la quantità di medicina richiesta. Non aveva idea di quale sarebbe stato l'effetto di quelle gocce sul corpo dell'uomo, ma pregò solo che lo aiutassero. 
 “Allora, come va con il pokedex?”
Rosso non capì. Aveva completato il pokedex tanti anni fa, Oak lo sapeva. 
 “Sai, alcuni pokemon possono cambiare forma tramite l'evoluzione”
 “Ehm, professore, lo so...”
 Oak parve sorpreso. “Davvero? E come sta il mio Pikachu?”
Rosso avvertì qualcosa rompersi dentro di sé. Oak stava... Oak non... 
 “Sta bene, professore. Proprio ieri abbiamo battuto Brock, il primo capopalestra” sorrise ricordando come era stato vincere la sua prima medaglia insieme a Pikachu. 
 Malinconia, una vecchia amica che incontrava ogni volta che ripensava al passato.
 Il vecchio annuì soddisfatto. “Eccellente! Il prossimo passo ora è la medaglia di Celestopoli. Ricordo ancora quando ero giovane! Adesso forse non si direbbe, ma un tempo ero un allenatore capace”
 Rosso parlò, la voce calma e gentile: “Temo di dover andare ora, professore. La terrò informata sul completamento del pokedex”
 Oak annuì serio. “Fallo, ragazzo mio. Non dimenticare di cercare pokémon nell'erba alta”
 “Lo farò, signore”  e uscì. Le sue scarpe da corsa pestavano l'erba mentre si allontanava dalla casa del professore. Correva, sentendosi inspiegabilmente vuoto come se gli avessero strappato via un pezzettino di cuore. Salì su Charizard e si diresse in volo in un'altra città, lì dove poteva incontrare colui per il quale era tornato nel Kanto. 
Volava tranquillo, sentendo le preoccupazioni scivolare via con l'ululato del vento. Quando arrivò richiamò il pokémon compagno di molte battaglie e proseguì a piedi. 
 La Torre Pokémon era alta e imponente, avvolta da un'aura di muto e solenne rispetto. Passo dopo passo, Rosso salì le scale fino all'ultimo piano, lì dove molti anni prima aveva sconfitto il Team Rocket per salvare mr. Fuji. 
 Lì era stata aggiunta una scala che portava sul tetto. Vi si arrampicò sopra e si fermò: davanti a lui c'era una grossa stele di pietra, una lapide di marmo bianco, con un'incisione. 
 “Pikachu, sono tornato” sussurrò piano, avvicinandosi alla tomba. Le lettere incise brillavano alla luce delle stelle che ormai erano comparse in cielo. Dicevano così: A Pikachu, mio compagno di avventure, mio amico di sempre, mio cuore d'oro e mia anima d'argento.
 “Sono felice di vederti, Pikachu” disse Rosso, gli occhi lucidi e un sorriso sincero sul viso. “Ho un sacco di cose da raccontarti”
 Anche se non poteva vedere il piccolo topo giallo che danzava nel vento della sera attorno a lui, il suo cuore sembrava sapere che c'era. 
  
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