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Autore: EvgeniaPsyche Rox    29/10/2013    8 recensioni
[Una piccola raccolta horror che spero possa farvi compagnia durante il periodo di Halloween e oltre.
Insomma, se non sapete quali storie raccontare ai vostri amici, beh... Ci sono io!]

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Attenzione: il primo e l'ultimo capitolo della storia non sono esattamente ciò che si definisce horror , anzi, potrebbero addirittura strappare un sorriso e risultare dolci. Ho deciso di aprire e concludere la raccolta in questo modo perché... Perché sì, mi andava
Al contrario, i capitoli centrali potranno essere più inquietanti e giungere addirittura a qualcosa di più ''forte''.
Capitolo 1: Le caramelle rubate.
Capitolo 2: Altrove.
Capitolo 3: Dietro la tenda.
Genere: Generale, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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2.Altrove


Aprii lentamente le palpebre, infastidito dall'assordante rumore del silenzio.
Si mise a sedere e si accorse di essere su un terreno pietroso; dunque si guardò attorno e provò il nulla più totale.
Solo un senso opprimente di smarrimento.
Nessun calore, né familiarità.
Alzò gli occhi verso il cielo grigio, di un grigio quasi innaturale, il quale contribuì a soffocarlo ulteriormente. Non vi era alcuna nuvola, soltanto il cielo dipinto di quel grigio così tetro che pareva il soffitto di una cantina.
Si issò sulle braccia e si alzò una volta per tutte, lanciando uno sguardo più attento al luogo circostante: solo pietre, grigio, e qualche albero spoglio qua e là.
Era tutto immobile, maledettamente immobile. Non c'era un filo d'aria e lui pareva essere davvero l'unica forma vivente di quel lugubre deserto grigio.
«Roxas!»
Roxas?
«ROXAS!»
Che cos'era?
Un suono.
Delle sillabe.
Una parola.
Un nome.
Il suo.
Dopo aver ritrovato la propria identità si voltò e vide una figura correre verso la sua direzione.
Sembrava essere davvero di fretta perché muoveva le gambe così velocemente che pareva sul punto di spiccare il volo da un momento all'altro.
E gridava, non smetteva di gridare, di chiamarlo.
«ROXAS!»
«ROXAS!»
Ma Roxas rimase lì, come pietrificato, senza sapere che cosa dire, come parlare, chi chiamare. La voce era familiare, gli martellava il cervello, soprattutto quando notò che l'individuo, una volta più vicino, aveva dei folti capelli rossi come il fuoco più scoppiettante.
«Roxas, eccoti!». Ormai era quasi di fronte a lui e aveva gli occhi bagnati.
Quel dettaglio in particolare provocò una morsa dolorosa al petto di Roxas che d'istinto indietreggiò.
Volle pregarlo di allontanarsi, ma non sapeva proprio come parlare, come emettere un suono comprensibile.
«Roxas, ma che hai? Mi sei mancato, non immagini neanche quanto!». La rossa figura si avvicinò, e Roxas invece indietreggiò ulteriormente.
«Perché non mi parli? Roxas, che cos'hai?!»
Giusto, perché non gli parlava? Perché non gli rispondeva?
Lo conosceva, ora ne era più che sicuro.
Un uomo dai capelli rossi e la voce forte, potente. Pareva quasi rimbombare in quel luogo in cui perfino il silenzio stesso sembrava essere stato sotterrato da qualche parte.
«ROXAS, NO!!!»
A quell'urlo così straziante Roxas si voltò e sbarrò gli occhi, inorridito.
Un'automobile che correva, correva veloce, più veloce della figura rossa, proprio di fronte a lui, pronta a calpestarlo, investirlo, schiacciarlo.
Sapeva che doveva fuggire. Doveva spostarsi. Pochi metri sarebbero bastati. Uno scatto e via.
E allora perché non riusciva a muoversi?
Roxas schiuse le labbra e fece per gridare, tirando fuori in una volta tutta la voce che aveva rinchiuso dentro sé, quando si ritrovò improvvisamente a terra, distrutto.
Un essere umano distrutto.
Una bambina particolarmente sadica che si divertiva a staccare gli arti delle proprie bambole.
Roxas si sentiva così.
Si sentiva proprio così, annegando nella pozza del suo stesso sangue, con le narici piene di quell'odore così pungente e metallico.
Poi chiuse gli occhi, morì, probabilmente, pensò di morire e morì.






Qualcosa gli stuzzicò l'orecchio e lo costrinse ad aprire le palpebre.
Con gli occhi ancora stanchi voltò faticosamente la testa e si accorse di essere sulla sabbia bagnata, a pochissima distanza dall'acqua salata.
Un altro schizzò gli pizzicò le gote e questa volta Roxas decise di alzarsi, barcollando un po'.
«Ehi, Roxas, guarda qui! Ti piace?». Il diretto interessato si voltò di scatto e notò la presenza di un uomo dagli occhi verdi come lo smeraldo più lucente.
Un verde familiare, luccicante.
Roxas appoggiò una mano sulla testa, attontito e spaesato.
Gli parve di vedere dei brevi flash, la voce di quell'uomo che gli rimbombava in testa, un letto, delle immagini sfocate, le coperte, poi la strada, l'aria notturna.
«Roxas? Tutto bene?»
Roxas tremò un poco e abbassò le iridi, notando che l'altro stava reggendo in mano una conchiglia bianca dalle sfumature rosee. «Hai visto che ho trovato? E' particolare, no?»
«Sì», rispose dopo una manciata di secondi Roxas, e la sua voce risuonò nell'aria in maniera strana; parve quasi galleggiare, svanire, come se fosse stata lasciata a metà.
Poi, improvvisamente, una forza.
Roxas fece involontariamente un passo indietro, e poi un altro, un altro ancora.
«Dove stai andando?»
Roxas non parlò, non ne fu in grado. Delle mani invisibili gli afferrarono la voce e la soffocarono tra le corde vocali, insieme alla sua volontà.
«Aspetta, ti prego!»
Ti prego.
Sentì un dolore lancinante al petto. Desiderò con tutto se stesso fermarsi, parlare, ritornare con i piedi sulla sabbia asciutta, ma continuò a camminare all'indietro, passo dopo passo, e in pochi attimi si accorse di avere già i pantaloni completamente fradici.

«ROXAS!»
Roxas sussultò, e parve risvegliarsi da un lungo sonno. Schiuse le labbra, questa volta sembrò ricordare qualcosa, un nome con cui chiamare quell'uomo dagli smeraldi al posto degli occhi, e volle urlare ciò che era riemerso dalla sua mente, ma qualcosa lo trascinò in basso, con forza, con una violenza inaudita, tanto che sbatté la gamba contro la sabbia.
Annaspò, spalancò la bocca per lo stupore, si dimenò, cercò di allargare le braccia nella speranza di ricevere un aiuto dalla vita, ma nulla.
Il martello dell'acqua gli calpestò con forza i polmoni e lui si ritrovò di nuovo a morire, con un nome che non gli era bastato per salvarsi.






«Hai sonno, Roxas?»
Il ragazzo tremò un poco, come in preda ad un brivido, e alzò le iridi sopra di sé, incrociando gli occhi smeraldini di una figura dai folti capelli rossi.
Axel.
«Io... Sì, sono un po' stanco.»

«Si vede». Axel accennò un lieve sorriso, mentre l'altro si mise lentamente a sedere, accorgendsi solo in quel momento di trovarsi proprio sotto ad un salice. Sbatté ripetutamente le palpebre e sbadigliò, quando si sentì avvolgere da un paio di braccia.
Profumo familiare, sapeva di castagne calde.
Axel.
Sapeva che era Axel.
Roxas si strinse maggiormente al corpo dell'uomo e si lasciò sfuggire un flebile sospiro tinto di malinconia e tranquillità.
Ma come si era ritrovato in quel luogo? Quando erano usciti? Da dove erano arrivati? Da casa, forse?
Casa.
Roxas si ripeté mentalmente quella parola e s'accorse tristemente che essa non era collegata a nulla, niente di niente. Era vuota, una definizione strappata dal suo vocabolario.

«Più tardi ci prenderemo un gelato, d'accordo?»
Roxas annuì istintivamente perché sapeva che era una cosa giusta da fare. Improvvisamente capì che prendere il gelato faceva parte della sua quotidianità; della sua quotidianità insieme ad Axel.
Eppure perché c'era qualcosa di lacerato nella sua mente, come se qualche animale feroce gli avesse sbranato con violenza parte del cervello.
Vedeva soltanto dei flash, dei lampi apparire e svanire di tanto in tanto come luci di una discoteca. Vorticavano nella sua testa, lui le tastava un po' con la lingua, poi svanivano, lasciando una scia invisibile.
C'era qualcosa prima. Qualcosa legato al gelato, a lui, ad Axel, alla casa, alla scuola. Qualcosa di continuo, con un senso.
Qualcosa che ora si era improvvisamente spezzato.
Quella non era la realtà.
Si trovava altrove, in un altro luogo, in un'altra dimensione.
«Ma che cosa sta succedendo?». Roxas allora abbassò lo sguardo e si allontanò di scatto da Axel, notando che il terreno sotto di sé stava tremando violentemente.
Un presagio si espanse nel petto del ragazzo che sussultò, abbagliato da un altro flash.
Di nuovo.
Stava per accadere di nuovo.
Sarebbe morto in quel luogo. Altrove.
Era già successo.

Non voleva morire.
«ROXAS!»
Quell'urlo lo aveva già udito, straziato, distrutto.
E allora perché non poteva muoversi? Perché i suoi piedi erano incatenati al terreno, lo stesso terreno che si stava spaccando a metà sotto di lui, trascinandolo nelle viscere?
Roxas fece appena in tempo a realizzare ciò che stava per accadere, quando si ritrovò in un attimo sospeso nel vuoto prima di precipitare rovinosamente verso il basso, sotto gli occhi sbarrati di Axel.
Durò pochi attimi.
Forse svenne, forse no.
Ma si poteva svenire in quel luogo?
Sentì un rumore agghiacciante rimbombare nelle orecchie e solo dopo capì che era la sua colonna vertebrale che, molto probabilmente, si era spezzata in due, spaccata, proprio come il terreno.
Non riuscì ad urlare, e il dolore rimase dentro, una tempesta in un bicchiere, a soffocarlo, ad opprimerlo, e questa volta Roxas sperò di morire, lo sperò con tutto se stesso, una volta che si ritrovò lì, disteso sulla propria schiena a pezzi, con lo sguardo rivolto verso l'alto.
Ma non accadde.
«Aspettami, Roxas, aspettami! Vado a cercare aiuto!»
Non accadde.
Vide Axel correre via e lui rimase lì, immerso nel proprio sangue, con le braccia sporche, i capelli infangati appiccicati alla terra.
Non seppe calcolare con esattezza quanto tempo trascorse. E nemmeno a grandi linee, a dir la verità.
Axel non tornò più.
Nulla si mosse. Né il vento, né gli alberi, né alcuna voce umana.
Né tanto meno lui.
E mentre rimase lì, ad ammirare la morte, capì di trovarsi in un incubo.
Capì di aver vissuto numerosi incubi, uno più atroce dell'altro.
E Axel?
Era sera, una macchina, delle urla, poi del sangue sull'asfalto.
Un lampione in mezzo alla strada.
Ci mise troppo tempo a morire.






Questa volta si svegliò nel bel mezzo dell'inverno, non molto distante da un piccolo lago.
Sapeva che faceva freddo. Lo vedeva dall'ambiente circostante, dai primi fiocchi di neve, dagli alberi spogli.
Vedeva il freddo, eppure non lo sentiva nemmeno un po'.
Si avvicinò allo specchio d'acqua, venendo invaso, ad ogni passo, da una folata di flashback riguardanti principalmente Axel.
Era morto.
Axel era morto in un incidente qualche giorno prima e ora lui stava vivendo in un ammasso di incubi senza capo né coda.
Probabilmente nella realtà si trovava in ospedale, magari in stato di shock. Con la febbre alta o chissà altro.
«Sono un po' in ritardo». Roxas sussultò e si voltò di scatto, notando la presenza di una fanciulla dai lunghi capelli dorati e gli occhi azzurri.
«Chi sei?», domandò istintivamente il ragazzo, e si sentì stupido, molto stupido, poiché era normale sognare anche persone sconosciute. Morfeo a quanto pare si divertiva a giocare strambi scherzi.
Lei sorrise un po', come se trovasse la domanda particolarmente divertente. Si chinò verso il lago e si degnò finalmente di rispondere: «Nessuno, devo soltanto spiegarti ciò che forse avrai già intuito da solo.»
In un primo momento Roxas rimase in silenzio e si accorse che quello era sicuramente l'incubo in cui stava riuscendo ad avere più controllo e lucidità.
Che doveva fare? Rispondere ad una sconosciuta che sembrava dire cose apparentemente senza alcun senso?
In fondo nel caso fosse stata pericolosa si sarebbe svegliato dalla paura.
«Non ti seguo.»
La ragazza continuò a sorridere. «Sai dove ti trovi adesso?»
«In... In un sogno?»
«Esatto.», la fanciulla raccolse una manciata d'acqua tra le mani e guardò per la prima volta dritto negli occhi di Roxas. «Ti prego, segui i miei gesti.»
«C-Cosa?»
«Seguimi.»
Roxas sollevò un soppraciglio, perplesso. Poi si ricordò di trovarsi nel suo stesso sogno e sospirò pesantemente, inginocchiandosi accanto alla ragazza. Dunque prese anch'egli uno spicchio d'acqua tra le mani e attese la prossima mossa di lei che infatti non tardò ad arrivare; la fanciulla si lanciò l'acqua sul volto e chiuse istintivamente le palpebre.
L'altro presente continuò a mantenere un'espressione stranita; nonostante ciò decise di imitarla, sentendo il gelido tocco dell'acqua sulle proprie gote.
Ciò lo rasserenò un poco.
Non sentiva il freddo, ma almeno la sua pelle continuava a tastare l'acqua.
«Hai visto?», chiese lei, questa volta senza sorridere.
«Visto cosa?»
«Sei ancora qui.»
«E allora?»
La ragazza mosse leggermente le labbra in un'espressione indecifrabile; socchiuse nuovamente le palpebre e parve essere improvvisamente triste e assorta nei propri pensieri. «Sei in un sogno, te lo sei dimenticato?»
«No», rispose immediatamente Roxas, senza riuscire a seguire il filo del discorso. «Non me lo sono dimenticato.», ribadì poco dopo, osservando le proprie dita bagnate.
Acqua.
Acqua gelida.

Perché non si era svegliato a quel brusco contatto?
Roxas si voltò verso la ragazza, allarmato, e proprio in quel momento lei riprese a parlare: «Questo è il Destino del dopo, Roxas. Almeno per un po'. Non so per quanto, non so se per sempre. Sono venuta solo per dirti questo, in caso non l'avessi capito. Essere destinati a morire ancora, ancora e ancora.»
Roxas la guardò con aria sconvolta, con la voce bloccata in gola, incapace di emettere qualsiasi suono.
Era tutto così assurdo, surreale, apparentemente privo di senso.
Apparentemente.
«Questa è stata solo una piccola pausa per te. Poi tornerai a morire, Roxas. Nei suoi incubi. Per condividere il dolore con la persona che più ti ama, o forse come punizione, non lo so. Non lo sa nessuno.»
Roxas non rispose.
Pensò ad Axel e si voltò verso il lago di fronte a sé. Poi abbassò gli occhi e non vide altro che l'acqua perfettamente piatta.
Una morsa lo colpì al petto e, un attimo prima di perdere i sensi, Roxas capì una cosa.
Era lui ad essere morto.






Gli accarezzò il voltò con delicatezza e sorrise prima di lasciargli un soffice bacio sulle labbra. «Domani hai qualche verifica?»
Roxas scosse lentamente la testa e mantenne lo sguardo dritto di fronte a sé, verso una piccola piazza che gli sembrava non aver mai visto.
Probabilmente era frutto dei ricordi di Axel.
In fondo si trovava nel suo sogno.
O meglio, nel suo incubo.
«Allora più tardi posso portarti a fare un giro in macchina. Ti va?»
«Sì».
«Perché sei così distaccato?». A quella domanda Roxas si voltò verso l'uomo accanto a sé, incrociando le sue iridi smeraldine improvvisamente severe e preoccupate.
Allora Roxas rabbrividì e divenne più sciolto, gentile, come se fosse stato costretto da una forza superiore.
E purtroppo sapeva bene da chi proveniva quella forza.
«Sono solo un po' stanco.»
«Dovresti riposare di più.», lo rimproverò il più grande, alzandosi. «E devi prenderti più cura di te stesso.»
«Lo farò.»
Axel sorrise e spostò le iridi in alto, verso il cielo grigio. «Credo stia per piovere.»
«Allora pioverà di sicuro.»
Giusto un attimo dopo le prime gocce iniziarono a scendere dal cielo, come macchie colanti da un dipinto ancora fresco su cui un bambino particolarmente vivace vi aveva appoggiato l'indice.
«Merda, non ho l'ombrello». Di fronte a quell'osservazione Roxas tastò quel presagio ormai familiare espandersi nel petto, il quale poi si trasformò in vero e proprio terrore non appena la prima goccia si adagiò sul suo braccio.
Fu a quel punto che Roxas si sentì veramente un quadro ancora fresco appeso in malo modo in qualche museo di poco conto.
Un quadro appeso ad un'altezza facilmente raggiungibile, dato che quei bambini particolarmente vivaci stavano giocando con lui in ogni maniera.
Questo perché Roxas si vide sciogliere.
Letteralmente.
La pioggia aumentò di colpo e, tra le urla di Axel, il rumore dell'acqua, e i primi tuoni in lontanza, Roxas si sentì morire, pezzo dopo pezzo, ad ogni goccia.
Sentì migliaia di frammenti incandescenti piazzarsi su ogni centimetro della sua pelle, la quale si stava sciogliendo, lasciando posto ai primi squarci rossi di carne.
Roxas tremò, poi fu sul punto di piangere, volle gridare, ma niente di tutto ciò gli fu permesso.
Si guardò i palmi e s'accorse che in quel punto la pelle lo aveva completamente abbandonato.
Le dita malefiche di quei bambini successivamente iniziarono a divorargli anche la carne, e poi probabilmente anche le ossa.
Probabilmente.
Roxas non seppe se morì prima o dopo.
Probabilmente prima. Axel doveva essersi certamente svegliato prima.
Poco gli interessava.
In mezzo alla pioggia, mentre decadeva su se stesso, Roxas guardò con odio quella che un tempo era stata la persona più importante della sua esistenza.
La guardò con odio, con tutto l'odio possibile, poi Axel aprì gli occhi e lui morì.






«Soulmates never die, never die... Soulmates never die.»
Roxas scosse leggermente la nuca e sentì un improvviso contatto gelido sulla propria guancia destra; aprì con estrema lentezza le palpebre e vide l'asfalto correre di fronte a sé.
«Amo questa canzone, lo sai.»
Sì, lo sapeva. Eccome se lo sapeva.
Era la canzone che avevano mandato alla radio poco prima della sua morte.
Never die.
Stronzate. Un ammasso di stronzate.

«Ehi, sei bellissimo», Roxas non rispose e si limitò a scostarsi bruscamente una volta che Axel aveva allungato la mano verso di lui per pizzicargli la pelle.
«Che hai, Roxas?»
«Sta' attento alla strada.»
«Rispondimi, cazzo. Che ti prende?»
«Sta' attento a questa fottutissima strada.»
«Tu dimmi perché cazzo ti comporti così.»
«AXEL, STA' ATTENTO ALLA STRADA!», strillò d'un tratto il ragazzo, chiudendo di scatto gli occhi non appena la canzone si concluse, lasciando posto alla voce del condutture.

''E ora passiamo la parola a Billy! Allora, che ci racconti? Com'è andato il concerto?''
''Oh, bene Joe, ti ringrazio. Era praticamente tutto pieno e sono soddisfatto del-

 

Roxas riaprì lentamente le palpebre, stupito di trovarsi ancora nell'automobile di Axel.
Era così sicuro di morire. O meglio, era sicuro che Axel stesse sognando ciò che era accaduto quella notte.
E invece...
Si voltò alla propria sinistra e notò che l'uomo aveva appena accostato, spegnendo il motore prima di dedicarsi esclusivamente a lui. «Ma che hai, la febbre? O ti sei fumato qualcosa?»
Roxas rimase con la bocca semiaperta per qualche secondo, sorpreso. Successivamente si riscosse e spalancò la portiera, ritrovandosi così nel bel mezzo della brezza notturna.
«Dove stai andando?»
«Vaffanculo Axel, stammi lontano». A quella risposta l'altro si adirò immediatamente; Axel spalancò a sua volta la portiera e, dopo essere uscito con furia, la richiuse con altrettanta violenza. Buttò per terra un vecchio accendino che chissà come gli era rimasto in tasca e si affrettò a seguire l'altro tra le tenebre.
«Mi vuoi spiegare o no che cazzo ti prende?»
«Ti ho detto di starmi lontano.»
«Ma perché?!»
«Axel, cazzo, non lo so!». Roxas alzò nuovamente la voce e si voltò verso l'altro, riuscendo a scorgere i suoi lineamenti nonostante fosse notte inoltrata; poi serrò le labbra e rimase lì, in piedi, immerso tra i propri pensieri.
Delle luci che gli abbagliavano di nuovo la mente.
Dei flash. La sua vita passata? No, non lo era.
Altri flash.
Altri momenti.
Ricordò una pioggia, una tremenda pioggia che gli aveva corroso la pelle.
Ridusse gli occhi a due fessure, si concentrò, e ricordò anche una spaccatura nel terreno e lui morente in un buco.
Era morto, morto, morto.
Ancora, ancora, ancora.
Sarebbe morto di nuovo, presto o tardi.
Di nuovo quel dolore lancinante per tutto il corpo. Di nuovo il sapore metallico del sangue, la carne, le ossa triturate.
Roxas impallidì, tremò ed indietreggiò. «Non ti avvicinare. Non ti avvicinare, stammi lontano, non muoverti.»
«Roxas, ma cosa sta-»
«NON TI AVVICINARE! E' COLPA TUA!». Axel sussultò appena e si strinse le spalle, facendo l'opposto di ciò che gli aveva ordinato il suo fidanzato; mosse qualche passo in avanti e corrugò la fronte. «Roxas, ma di che stai parlando?»
«Parlo di... Di...», il ragazzo sgranò le iridi e allungò le mani verso la propria gola. Si schiarì la voce e si sforzò di urlare: «Questo è...!»
Niente.
Gli impedivano di dire la verità.
Gli impedivano di svegliare Axel.
«Ti prego, calmati. Respira e vedrai che andrà tutto bene. Sono qui, tranquillo.», l'uomo dai folti capelli rossi fece un altro passo in avanti, anche se lentamente; Roxas dunque si chinò di scatto e afferrò una pietra di medie dimensioni, assalito da forti brividi. «Stai indietro, Axel, stai indietro porca puttana, non capisci, non capisci niente.»
Axel non badò al gesto dell'altro; sia perché era buio, sia perché si concentrò esclusivamente sulle sue parole.
Altri due passi. Veloci. «Non allontanarti, lì è perico-»
Roxas avvertì un presagio al petto e scagliò istintivamente la pietra di fronte a sé, ricordandosi della puzza del proprio sangue mescolato al terreno sporco e alla pioggia. «VATTENE VIA!»
Sentì un rumore tremendo, orribile: qualcosa che si spezzava. Roxas comunque non guardò; si voltò indietro e tremò violentemente, accorgendosi solo dopo del proprio gesto.
Poi udì l'urlo lancinante di Axel seguita da numerose imprecazioni. «LA BOCCA, CAZZO, CHE CAZZO TI E' SALTATO IN MENTE, DIO IL LABBRO...»
Era finita.
Forse questa volta si sarebbe salvato.
Roxas mosse un poco la nuca e osservò dietro di sé con la coda dell'occhio ; spalancò le iridi non appena si accorse che Axel era ancora lì, con la schiena chinata in avanti, intento a sputare sangue e a cercare di fermare il fiume scarlatto.
Non si era svegliato.
Perché era ancora lì?
Fece spostare nuovamente lo sguardo di fronte a sé, quando notò di essere bloccato, come pietrificato.
Aveva perso completamente il controllo di sé.
Non era il suo mondo, quello.
Era lui l'intruso.
Tremò violentemente, ancora più di prima, se possibile, e dopo pochi secondi udì la voce di Axel espandersi nell'aria: «Questa me la paghi, Roxas. Questo non dovevi farlo.»
Il ragazzo sentì pungere gli occhi ed ebbe il frenetico istinto di piangere, fuggire o gridare, ma non riuscì a far nulla di tutto ciò.
Provò allora a parlare, a spiegarsi, a dire ad Axel che non era stata colpa sua, che voleva solo salvarsi, salvare entrambi, perché quella non era la realtà, era solo un incubo, un suo fottutissimo incubo che lo uccideva di volta in volta.
Nulla. La voce bloccata in gola, i muscoli tesi, irrigiditi.
Soulmates never die.
Lo vide avvicinarsi, passo dopo passo. Sentì i suoi stivali sul terreno, guardò i suoi occhi verdi sprigionare furia, rabbia.

Tentò di pensare che quello era solo uno schifosissimo incubo, l'incubo del suo fidanzato sconvolto dalla sua morte, ma poi si ricordò che per lui non faceva alcuna differenza.
Axel si sarebbe svegliato, lui no.
Lui sarebbe morto, poi sarebbe riapparso in un altro incubo e sarebbe morto ancora.
All'infinito, forse.
«Non dovevi farlo. Questo no.»
Un passo. Un altro.
Roxas tentò in un ultimo gesto, il più disperato; cercò di voltare la testa con tutto se stesso nella speranza di non essere costretto a vedere la persona che più amava, la morte, in faccia.
Gli parve addirittura di sentire i tendini tirare e le ossa scricchiolare, ma poco gli importò; riuscì a muovere un poco la nuca e ciò gli bastò.
Ci riuscì, poi sentì qualcosa di pesante sbattere ripetutamente contro la propria testa.
Allora era quello il destino che lo attendeva?
Si era dunque costruito una vita morendo?
Roxas poi chiuse gli occhi e, un attimo prima di morire, ebbe nuovamente l'irrefrenabile impulso di piangere perché si ricordò di lui, di Axel, di ciò che gli aveva detto quella notte quando lo aveva fatto entrare nella sua macchina:
«Te lo giuro, Roxas, non ti dimenticherò mai. Qualsiasi cosa succeda, non ti dimenticherò mai. Sarai sempre nei miei pensieri.»

______________________________________________________________

 

*Note di Ev'*
Oh, wow, ho pubblicato dopo una settimana esatta. Lo zampino di Gesù?
No, vabbeh, ehm, non sono sicura di riuscire ad aggiornare questa storia con altrettanta regolarità durante i prossimi capitoli; il fatto è che comunque ci tenevo ad aggiornarla almeno di un altro capitolo prima di Halloween, uh.

Ma passiamo all'analisi del capitolo in questione, poiché, questa volta, è già più complicato.



I primi due frammenti scorrono in maniera abbastanza confusionaria, poiché tutto ciò che vediamo è un Roxas che finisce nei luoghi più strambi (Prima un deserto grigio, poi davanti al mare) e che, puntualmente, muore, in maniera altrettanta strana e poco comprensibile.
E in tutte le parti, ovviamente, compare anche Axel.
Nella terza parte, invece, si inizia a comprendere qualcosa nelle ultime righe; Roxas ha diversi flashback sulla realtà e intuisce che tutto ciò che sta vivendo è un incubo, un tremendo incubo che, molto probabilmente, è scaturito dal suo shock dopo la morte di Axel a causa di un incidente.
Ipotesi che crolla immediatamente nella parte successiva, ovvero quella dove compare Naminè; questo sogno, se così si può chiamare, è differente dagli altri. C'è soltanto Roxas e questa strana ragazza, e, fortunatamente, non muore in maniera atroce.
Questa infatti è soltanto una ''piccola pausa''; il corso della sua non-vita di merda viene interrotta da Naminè che fa da messaggera e gli spiega la situazione. Le persone, a quanto pare, non si sa se tutti, non si sa se alcuni, sono costrette a ''vivere'' soltanto negli incubi della persona che più le amava. Gran bella merda.
Ed è per questo che Roxas quando si lancia l'acqua in faccia non si sveglia. E' morto, punto. Si sveglia in un altro incubo di Axel, muore quando quest'ultimo si sveglia e buona notte (?).

Non per nulla Roxas non sempre ha il controllo di sé; non può fuggire alla sua morte, non può dire determinate cose perché il sogno, essenzialmente, è di Axel, dunque è il rosso a tenere in mano le rendini, a decidere, anche se inconsciamente, dove andare, com è il tempo, ecc...
Nella quinta parte Roxas realizza di provare una forte rabbia, che forse sfocia addirittura in odio, nei confronti di Axel; in fondo è a causa sua se egli non fa altro che morire, morire e morire.
In parte, ovvio.
Axel non è uno schizzato, né un bipolare, psicopatico o chi più ne ha più ne metta. E' soltanto vittima di un immenso dolore provocato dalla morte del suo fidanzato, il quale occupa ancora i suoi sogni/incubi.
In breve, Axel è una vittima perché soffre, sì, ma contemporaneamente è il carnefice di Roxas. Ma che cazzo sto dicendo?
Dunque abbiamo l'ultima parte, nella quale Roxas si stupisce di non essere morto nell'incidente. Infatti l'incubo si conclude con la sua morte causata da Axel stesso. Già, non era proprio uno schizzato.
E la storia termina con il povero Roxas immerso nella disperazione più totale al pensiero che Axel non lo dimenticherà mai.

Morale: non innamoratevi MAI.



Quest'idea mi è venuta in mente, uh... Giovedì o Venerdì, mi pare. Ero molto indecisa sul secondo capitolo, ma non appena ho pensato a tutto ciò ho deciso di trascriverlo immediatamente.

Parlando di cazzate, bbbuh... Sono abbastanza (?) disperata. Mia madre è partita per due settimane e sento la casa molto più vuota, ohw. Oltre al fatto che impiego una vita a lavare i piatti, pulire e 'fanculo tutto.
A scuola mi sto già rompendo le palle e passo le giornate a domandarmi perché diavolo ho deciso di frequentare il Liceo Scientifico. :C

L'unica cosa che mi impedisce di suicidarmi o scappare via dalle interrogazioni e dalle verifiche è il fatto che Giovedì è Halloween, e poi ci saranno tre giorni di pace. Più o meno.
E nulla, vi auguro di passare un felice Halloween e di spendere bene questo fine-settimana.

Oh, e, come sempre, vi invito caldamente a commentare il capitolo in caso l'abbiate letto, poiché per me il confronto delle opinioni altrui è essenziale.
Vado a parlare con qualche fantasmino-carino-carino.
Alla prossima!
E.P.R.

 

   
 
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