Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: LilithJow    30/10/2013    4 recensioni
Io avevo sempre odiato la morte, così come le persone che le andavano incontro; quelle che rinunciavano alla propria vita, sperando in un'esistenza migliore, che però non c'era e io lo sapevo bene. Non capii perché nella mia mente si materializzò l'idea di permettere a Sebastian di uccidermi e non era qualcosa di simile a ciò che era successo in precedenza.
Avevo deciso di sacrificarmi per permettere a Simon di vivere e ritenevo che fosse una buona motivazione. Ma allora, una ragione non c'era, eppure lo desideravo comunque. - SEGUITO DI "LULLABIES"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 11
"This anger is gonna consume you"



Per un attimo, mi auto-convinsi di aver immaginato quell'urlo, che il mio inconscio mi avesse ingannato in modo da prevenire qualcosa che mi avrebbe ostacolato in ciò che tentavo di ricostruire con Simon.
Purtroppo per me, non era così. Era tutto terribilmente vero e l'espressione di ansia e panico che proprio Simon assunse, me ne diede conferma.
Non seppi che fare. Non ero a conoscenza della ragione per cui Thomàs stesse urlando. Se qualcuno ci avesse trovati e lo stesse attaccando, io, in quelle condizioni, avrei potuto fare davvero poco per aiutarlo, nonostante i miei allenamenti.
Una parte di me mi suggeriva di fuggire da quella casa, lontano dall'eventuale pericolo che si trovava al piano inferiore, ma un'altra parte nella mia testa non era d'accordo.
“E' saltato da venti metri, rischiando di rompersi l'osso del collo per te, razza di idiota” mi rimproverava tale parte. Strizzai gli occhi e, in quel momento, all'urlo di Thomàs si aggiunse un'altra voce, ancor più riconoscibile: Martha gridava, implorava qualcuno di fermarsi, di smetterla.

Abbandonare entrambi non era nemmeno un'opzione.

«Non muoverti da qui» dissi, prendendo tra le mani il viso di Simon, che intanto era spaventato e perso, come un bambino. «Qualsiasi cosa succeda, resta qui, finché non torno. Intesi?».

«Hazel...» biascicò.

«Intesi?» ripetei. Lui annuì e basta. Mi distaccai lentamente e tenni gli occhi fissi sul suo volto finché non fui fuori dalla stanza e dovetti chiudere la porta.

Percepivo il mio cuore battere più forte di quanto avesse mai fatto. Avevo ben presente la sensazione avvertita in caso di terrore: tremavo tutta, avevo freddo e non avevo la benché minima idea di ciò che avrei fatto. Le urla, incessanti, amplificavano ogni cosa.
Scesi lentamente le scale. Avrei voluto essere più veloce, ma le gambe mi pesavano, come se qualcuno si fosse aggrappato a me, impedendomi di proseguire.

Quando, alla fine, riuscii a giungere nel grande salone, ciò che mi si presentò davanti fu addirittura peggio di quello che, fino ad allora, avevo solo lontanamente immaginato.
Nessuno ci aveva trovato, nessuno ci aveva attaccato, ma Martha era accovacciata a terra, in un angolo della stanza, indifesa e impaurita, come mai l'avevo vista. E dall'altra parte, poco distante da lei... Poco distante da lei, c'era Thomàs, che urlava e ringhiava, con un'espressione irriconoscibile stampata in volto, i denti digrignati e gli occhi azzurri, color ghiaccio, che scintillavano; gli stessi occhi che avevo visto chiaramente quel giorno, a confronto con Tamara.
Avevo ancora paura. Ero terrorizzata, perché sarebbe forse stato più facile affrontare un Divoratore che Thomàs in quelle condizioni. Quali condizioni, poi? Non sapevo cose gli fosse preso e non sapevo perché Martha non si stesse difendendo. Di sicuro avrebbe avuto più possibilità di fermarlo, che io.
Mi precipitai da lei, rischiando di inciampare nei miei stessi piedi, facendolo, ma non ebbi il tempo di esserle effettivamente accanto che Thomàs mi afferrò per un braccio e, con forza, mi spinse a ridosso della parete opposta. Mi provocò un dolore lancinante alla schiena, che mi smorzò il respiro, mentre ricadevo violentemente sul pavimento.
Cercai di rimettermi subito in piedi, però, per ovvie ragioni, lui fu molto più veloce e, prima che io potessi anche solo muovere un muscolo, aveva già stretto le dita intorno al collo di Martha, tirandola su di peso.
Lei, ancora, non si difese, a parte qualche strattone che non la portò affatto a liberarsi. In fondo sapevo che, per quanto le avesse fatto del male, non l'avrebbe uccisa ed era qualcosa che anche lei sapeva bene. Il punto, tuttavia, era proprio quello: io non sopportavo l'idea che le venisse fatto del male ed ero piuttosto certa che la parte razionale di Thomàs, sebbene in quel momento sembrava esser dissolta, fosse della stessa idea. Da lucido, non si sarebbe mai perdonato qualcosa del genere.
Così mi alzai e corsi verso di loro. Tentai di allontanare Thomàs da Martha, strattonandolo per un braccio, ma fu un tentativo vano. Fisicamente, non lo avrei mai battuto, non con la sua coscienza chissà dove.

«Ti prego, smettila». Mi ritrovai a sussurrare, a supplicare, con le lacrime agli occhi, ancora tirando il suo braccio, stringendo le dita attorno ad esso. «Smettila» ripetei, la mia voce si incrinò, ma lui non si smosse. Restò saldo, deciso, ringhiò, come se ogni sua parte buona si fosse volatilizzata, come se mi trovassi davanti ad un perfetto sconosciuto.

E ancora suppliche, e ancora preghiere, finché i lamenti, da soli, acquisirono forza e allora urlai.

«THOMAS!».

Ebbi la sensazione che quella voce in realtà non mi appartenesse. Fu forte, stridula, penetrante.
Percepii i muscoli del braccio di Thomàs rilassarsi sotto le mie dita. Si voltò verso di me: i suoi occhi rimasero color ghiaccio per un solo istante, poi, in un battito di ciglia, tornarono ad essere nocciola. Socchiuse le labbra e lasciò andare Martha, che ricadde in ginocchio sul pavimento, tossendo.
Io avevo il fiatone, quasi come avessi corso per chilometri, senza mai fermarmi, e lo stesso lui, che mi fissò con sguardo perso e non consapevole di ciò che era appena accaduto.
Avrei voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, per spezzare quel silenzio che si era fatto assordante, ma nessun muscolo del mio corpo ne volle sapere di muoversi.
Ad un tratto, tuttavia, Thomàs cedette. Sembrava essere tornato quello di sempre, solo un po' più fragile. Si buttò tra le mie braccia, nascondendo il viso tra i miei capelli e io non potei fare a meno che stringerlo e tentare di rassicurarlo, per quanto effettivamente fossi in grado di farlo. Il mio sguardo si incrociò, solo per un attimo, con quello di Martha, ancora a terra, confusa e a corto di fiato. La vidi scuotere leggermente la testa, ma anche lei non trovò una parola utile da dire in quel momento.

E così rimanemmo tutti e tre in silenzio, in quella stanza messa a soqquadro.
 

***



Mezzanotte era passata. Avevo sentito il grande orologio del salotto scandire dodici rintocchi, puntuali e precisi, pochi minuti prima. Avrei dovuto dormire già da parecchio, considerato tutto ciò che era successo durante quella giornata, ma, come sempre, non riuscii a prendere sonno. Era impossibile per me farlo, finché la mia mente continuava a tempestarmi di domande e a non fornirmi plausibili risposte.
Mi rigirai nel letto più e più volte. Davanti ai miei occhi tornava sempre l'immagine di Thomàs, inghiottito da qualcosa di oscuro e pericoloso e poi, in successione, l'espressione piatta di Martha e lo sguardo smarrito di Simon quando ero tornata in camera, da lui, e avevo dovuto inventarmi storie per nascondergli ciò che era appena accaduto. A volte, il fatto che sapesse così poco del mondo tutto intorno, tornava utile.
Decisi di alzarmi, tanto stare lì non serviva a nulla. 
La casa era immersa nel silenzio, come sempre, durante la notte. Sebbene Martha fosse perennemente sveglia, non produceva il benché minimo rumore.
Ero sul punto di scendere le scale e trovare qualcosa da mangiare. Avevo scoperto che il cibo, oltre a servire al sostentamento del corpo, era anche un ottimo mezzo per eliminare la tristezza o stati d'animo troppo pesanti. Era consolatorio, ecco. Tuttavia, prima che scendessi un solo gradino, la figura di Thomàs seduto sul davanzale di marmo di una delle finestre del corridoio, catturò la mia attenzione.
Accantonai, allora, per un momento la mia idea di consolazione e lo raggiunsi a passo lento.

«Ehi» sussurrai. Lui si voltò per un solo secondo, lanciandomi un'occhiata distaccata e veloce. Dopo, tornò a fissare fuori dal vetro, quasi io fossi già scomparsa.

Aggrottai le sopracciglia, perplessa. «Hai intenzione di non parlarmi più?» esclamai e, ancora, non ottenni risposta. «Andiamo, è ridicolo non rivolgermi la parola, soprattutto perché non credo di aver fatto qualcosa per meritarmi un trattamento del genere».

A quel punto, Thomàs sbuffò e si girò verso di me, serio, come se un briciolo di quell'oscurità che lo aveva soffocato quel giorno, fosse rimasta.

«Che pretendi?» sbottò. «Vuoi che ti chieda scusa?».

«Beh, sarebbe un punto di partenza, dato che mi hai scaraventato contro un muro e la schiena mi fa ancora male».

Abbozzò una risata, ironica. «Okay, scusa» disse, con fare sarcastico.
Io roteai gli occhi. Dava l'impressione di essere un bambino capriccioso in quel preciso istante. «Tutto qui?» replicai. «Non hai intenzione di spiegarmi cosa ti è successo oggi?».

«Non c'è nulla da spiegare».

«Per me sì». Feci una breve pausa, incrociando le braccia. «Ti ho visto, Thomàs. Era come se fossi più tu e i tuoi occhi erano diversi. Erano azzurri, scintillanti, come quella volta con Tamara e...».

«Non hai niente di meglio da fare che sottopormi ad un interrogatorio?». Mi interruppe bruscamente e, per un secondo, mi sembrò di parlare con Sebastian. L'atteggiamento era lo stesso.

«No» dissi «sto solo cercando di capire e vorrei davvero evitare che ciò che è successo oggi si ripeta».

«Non si ripeterà».

«Oh, davvero? Come fai a dirlo?».

«Lo so e basta». Il suo tono di voce si alzò bruscamente nell'ultima frase. Lui scese dal davanzale e mi scansò con poca delicatezza, colpendomi la spalla con la sua.

Mi innervosii ed ebbi seriamente voglia di picchiarlo, anche se voleva dire rimediare un ulteriore grande livido sulla mia pelle. «Smettila di fare così» urlai e riuscii a fermarlo prima che raggiungesse la sua camera da letto. Si fermò, in piedi, a qualche metro da me, che ancora mi reggevo la spalla già dolorante. «Se c'è qualcosa che non va» continuai «puoi dirmelo. Posso aiutarti, io...».

«Quante persone vuoi aiutare, Hazel?». Troncò la mia frase di netto. «Forse fin troppe e, forse, prima ne eri in grado. Adesso... Beh, adesso puoi a stento salvare te stessa».

Thomàs che fino a quel momento mi aveva spinto e aiutata a vivere da umana, distrusse ogni cosa con poche e taglienti parole. Mi riteneva inutile, come, del resto, io avevo sempre pensato.

«Sei un... Grandissimo stronzo» mormorai. Lui accennò un sorriso. «Sì, lo so» esclamò. «Torna dal tuo ragazzino, prima che venga ucciso di nuovo».

Si congedò in quel modo, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Io rimasi lì, immobile, in piedi, finché le ginocchia non mi cedettero, e allora, scivolai lentamente sul pavimento, addossandomi al muro. Avrei voluto piangere, per sfogo, per rabbia, ma nessuna lacrima uscì fuori. Quando ne avevo bisogno, il pianto volava lontano.

Flessi le gambe al petto, stringendole a me, come se in quel modo riuscissi a risultare più piccola di tutto il resto. Fissai il vuoto, davanti a me, nel buio che avvolgeva quel corridoio, nel silenzio che ormai mi era entrato anche dentro, fino a quando qualcuno riuscì a spezzarlo, sussurrando il mio nome.

«Hazel?».

Sollevai lo sguardo e vidi Simon, a piedi scalzi, con addosso una maglietta bianca e dei pantaloni di tuta troppo lunghi per lui.

«Ehi» biascicai, passandomi una mano sul viso, anche se non c'erano lacrime da asciugare.

«Ti ho sentito gridare e allora io...» balbettò. «Non ho proprio sentito cosa hai detto, ma mi sei sembrata... Arrabbiata, credo. Quindi mi sono alzato e... Tutto okay?».

No, ovviamente non era tutto okay. «Va tutto bene» mi ostinai a dire, perché non volevo che lui portasse alcun peso scomodo.
Simon sospirò e, senza aggiungere nulla, si sedette al mio fianco, distendendo le gambe. «Quello che stavamo per fare prima» disse «cioè, quello che penso stavamo per fare prima... L'ho visto fare anche in quella scatola magica che c'è di sotto».

«Scatola magica?» domandai, perplessa. Poi capii: «Oh, la tv».

«Sì, la... Tv». Annuì alle proprie parole e io non potei fare a meno di sorridere, perché il suo non sapere le cose lo rendeva ancora più ingenuo e quindi adorabile. «Lì ho visto due persone che...» continuò e iniziò a gesticolare, come se in quel modo potesse spiegarsi meglio. «Insomma, le loro bocche si toccavano e accarezzavano e... E loro sembravano davvero... Felici».

«Quello si chiama 'bacio'» spiegai, per quanto potesse essere ridicolo farlo.

«Bacio» ripeté, con enfasi. «Prima noi stavamo per... Sai...».

«Sì, stavamo per». Ridacchiai, osservando i tratti del suo viso. Anche se con poca luce, sapevo che era arrossito.

«Mi sarebbe piaciuto se nessuno ci avesse interrotti».

“Sì, sarebbe piaciuto anche me” pensai, ma non lo dissi ad alta voce. Ciò che mi uscì dalla bocca fu: «Perché?».

«Perché ti avrei vista felice».

Sorrisi e non seppi se con entusiasmo o meno. Probabilmente, un suo bacio avrebbe davvero fatto scomparire l'angoscia che mi portavo dentro da forse fin troppo tempo e, probabilmente... Sì, mi avrebbe davvero reso felice. Non per sempre, ma almeno per un po'.

«E' importante per te che io lo sia?» chiesi, a bassa voce. Simon scosse appena la testa. «Credo di sì» rispose. «Non lo so, io ti ho vista sorridere, più volte, ma non mi è mai sembrato... Vero... Come se sorridessi per far piacere a qualcuno... Per far piacere a... Me».
Mi pizzicai piano il labbro inferiore con i denti. «Ci sono tante cose che impediscono ad una persona di essere felice» sussurrai.
«Lo so. Cioè, credo di saperlo. A parte le cose che ho visto alla tv, non sono a conoscenza di molte altre cose, però questo credo di saperlo».

«Dovresti anche sapere che delle volte si sorride per rassicurare una persona alla quale si vuole bene. Nella maggior parte dei casi, anche se sforzato, un sorriso aiuta molto».

«Serve a fare felice qualcun altro, allora?».

«Qualcosa del genere».

Distolse lo sguardo da me per un attimo, fissandosi le mani chiuse in due pugni che fino a quel momento aveva sfregato l'uno contro l'altro. Io ero sul punto di aggiungere qualcosa o magari cambiare del tutto discorso, ma lui mi sorprese, letteralmente. Si sporse nella mia direzione e poggiò le labbra sulle mie. Non mosse un altro muscolo del corpo e, sebbene volessi accarezzarlo, non riuscii a far nulla nemmeno io. Rimasi ferma, a percepire il suo respiro che si mescolava col mio.
Quando si staccò, rimase vicino al mio volto. Chiusi e riaprii lentamente gli occhi, come per accettarmi che non stessi immaginando ogni cosa, perché con lui ogni cosa bella sembrava solo un sogno.

«Sei felice, adesso?» biascicò.

Quello era il suo semplice modo di fare le cose: lui che non conosceva il mondo esterno e che pensava che bastasse così poco per risolvere ogni problema.
Avrei dovuto contraddirlo, dirgli che per essere davvero felice, mi mancava tenerlo con me per sempre, mi mancava che mi amasse sul serio e non per costrizione, mi mancavano un sacco di altre cose. Però non me la sentii di spezzare le sue convinzioni, poiché quei momenti di sua dolcezza erano tutto ciò che, per quel momento, potevo avere. Così annuii solamente, osando muovermi solo allora: una mia mano andò a posarsi sul suo braccio e mi aggrappai ad esso per essergli ulteriormente vicino.

«Grazie» mormorai.

Sorrise, in risposta, e nessuno dei due aggiunse nient'altro. Rimanemmo, semplicemente, immersi nel silenzio e nel buio della notte, fino a quando entrambi ci addormentammo, appoggiati l'uno all'altro.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: LilithJow