Libri > Il diario del vampiro
Ricorda la storia  |       
Autore: _Arya    04/11/2013    2 recensioni
[Per poter leggere Lost in the Darkness, bisogna essere a conoscenza degli eventi avvenuti in Ricordi di Sangue]
Non avevo la più pallida idea se la vita avesse continuato il suo corso, se il tempo avesse continuato a scandire quei minuti che, costretti dalla legge universale, si sarebbero trasformati in ore. Non ero in grado di percepire il trascorrere del tempo. Non da quella notte. Non più.
In quel frangente non avevo realizzato appieno quello che era successo. In quei minuti era stata l’adrenalina a dettare le mie azioni, i miei pensieri, le mie parole.
“Sarai per sempre giovane e bella nella tua tomba”.
Un suono velato di morte mi era stato sussurrato con una sottile inquietudine alle orecchie.
E poi…poi quelle parole che mi pungono nel vivo del mio cuore tremante…
“Dimenticherai tutto ciò che hai conosciuto questa sera. Non ricorderai niente, né di me né dell'esistenza dei vampiri. Addio mio piccolo uccellino.”
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore, Quasi tutti, Stefan Salvatore | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un Legame fatto di Ricordi'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Everything has changed

 
 
Capitolo 1
 
 


 
“I can’t feel my senses
I just feel the cold

Frozen...

But what can I do?”


(Frozen – Within Temptation )



 
 
 
   Era un nuovo mondo quello che i miei occhi, avidi esploratori, osservavano incantati e affascinati.
Dal più piccolo granello di sabbia alle immense chiome rigogliose degli alberi, tutto di quel luogo, ad un tratto, si era tramutato in un incallito seduttore. Sembrava fosse stato investito del preciso compito di farmi notare anche solo la più sottile delle bellezze che gli angoli più nascosti potevano celare. Ma se il mio sguardo era ammaliato da ciò che mi circondava, io, nel profondo di me stessa, sentivo la perenne inquietudine e paura bloccare quel senso di eccitazione che avrei dovuto provare o sentire in quell’istante. La frenesia che accompagna di solito ogni novità, era nascosta dal turbamento che ad ogni passo, ad ogni mio spostamento, sentivo crescere con costanza.
Dovevo vederla, anche se faceva male, dovevo continuare a tenere stretto a me quel poco di coraggio che sentivo traballare paurosamente tra panico e senso di perdita.
Erano passati quasi due giorni da quella sera, forse quattro, non più di sei.
La confusione, una delle tante sensazioni che regnavano sovrane e contrastanti nella mia mente, rendeva ancora più difficile decifrare quelle continue immagini che, come un lampo, mi invadevano la testa. Da quando mi ero risvegliata, dopo l’orrore e il rifiuto per quella assurda verità che Stefan e Damon mi avevano raccontato, questa non faceva altro che pulsarmi. Era continuamente accecata da quei continui lampi di luce che portavano con loro ricordi e parole, promesse e progetti per il futuro che, in un frangente componente qualche minuto, avevo visto ridotti in polvere. Senza un reale perché.
Ovunque volgessi il mio sguardo, piccoli barlumi di luce trepidavano nell’oscurità. L’aria era pervasa dall’odore di cera consumata e in essa aleggiava una fragranza nuova, mai sentita prima. Era dolce, quasi ti volesse cullare e farti sentire al sicuro in un posto freddo e a te ostile. Era come se in essa si fossero concentrati le essenze di ogni genere di fiore provenienti da ogni parte del mondo. Era fresca, come se l’inventore di quella fragranza fosse riuscito a rubare il profumo alla primavera.
Se non fosse stato per il senso della vista, se questa mi fosse tuttora negata, probabilmente definirei quel luogo come uno scenario appartenente a posti fatati ed incantati, ma non ero stata catapultata in uno di questi da qualche trucchetto magico. Ciò che coglievo ad ogni battito di ciglia, aiutava i miei pensieri a non cedere a questo pensiero di illusione.
I miei occhi color nocciola si spostarono distrattamente su una figura con la testa china e le braccia a circondarla: un angelo di marmo bianco, con le ali ripiegate sulla schiena, era inginocchiato su un altare in roccia bianca. Su un lato di questo, di fronte a me, era incastonata una fotografia di una donna di giovane età. Sotto questa vi erano incisi in oro due date e un nome. La data di nascita e quella di morte separata da un semplice trattino.
Era stato quel piccolo tratto a rattristarmi ancora di più, gettando su quell’agitazione un nuovo sentimento come lo era l’inquietudine.
Il volto sorridente, gli occhi chiari e luminosi, i capelli lunghi e neri della fotografia, la vita vissuta da quella donna era stata descritta da una semplice riga che separava una data, dove persone avevano sorriso e gioito per una nascita, ed un’altra, dove altre avevano pianto per una morte. Le gioie e i dolori di un’anima, di una vita intera, minimizzata da una stupida linea di uno stupidissimo color oro, quasi a voler dire: “Non ha vissuto così intensamente o avuto chissà quali emozioni per ricordarsene.”
In quel momento, a quel pensiero, dentro di me sentì una rabbia sconosciuta invadermi, scavalcando e sostituendo così quello strano senso di paura.
Strinsi i pugni e feci un respiro profondo prima di riaprire gli occhi e incontrare lo sguardo raggelante di un altro angelo. Freddo e vitreo, aveva le ali spiegate e si presentava con tutta la magnificenza di un angelo vendicatore. Era posto su un tavolo di pietra e in mano teneva una corona di fiori. Il volto, visibile solo per metà, era nascosto da un lembo di un mantello che finiva ripiegato sulla superficie rocciosa. Ai rispettivi lati, due cipressi gettavano sull’asfalto le loro ombre scure e alte.  
Retrocedendo di un passo, sentivo la strada sotto le ballerine tremare, ma da sciocca quale ero, con ogni probabilità ero io. Percepivo sottili fili di erba solleticarmi le caviglie, mentre procedevo nell’oscurità. Guardandomi intorno con circospezione, mi sembrava che ogni mio passo fosse osservato e controllato da quei custodi inanimati. Ai miei occhi balzavano nomi e frasi, dediche e date, volti e monumenti. Non un rumore ostacolava la quiete in quelle vie di ciottoli e pietra.
Una schiera di cappelle cupe di diversa altezza, illuminate dal riflesso bianco e pallido della luna alta nel cielo, a volte celata da alcune nuvole di passaggio, segnavano il confine del cimitero di Fell’s Church.
Ignorai la stretta allo stomaco, nata inaspettatamente e cogliendomi di sorpresa, nell’attimo in cui una via discendeva alla mia sinistra e si perdeva nell’oscurità. Deglutì quando, gettando un’occhiata in quella direzione, vidi lapidi e croci levarsi da una coltre sottile di nebbia. Suscitando il mio stupore, riuscivo a cogliere su alcune statue dall’aria solenne e passata, scure, piccole macchie comparse con il tempo ed esposte alle sue intemperie.
Quando intercettai con gli occhi una tomba in particolare, con ai lati i ricami floreali scolpiti in pietra, antiche immagini di due ragazze bionde e con gli occhi azzurri fecero capolino nella mia mente. Era lì che una Katherine, assetata di vendetta e ira, aveva torturato Elena, Stefan e Damon. Era lì che Elena aveva affrontato Katherine. Era lì che entrambe erano morte, esposte alla luce del sole. Era lì che Elena, prima di morire, aveva fatto promettere a Stefan, ma soprattutto a Damon, di prendersi cura l’uno dell’altro.
L’ansia e l’agitazione che mi colse, l’esigenza di allontanarmi da quella parte del cimitero, spinse le mie gambe a proseguire.
Se qualcuno avesse raccontato a voce alta quello che stavo facendo, sarebbe scoppiato a ridere, domandandosi, nel frattempo, se si trattasse della stessa Bonnie.
Ero sola in un cimitero. Di notte.
Scesi svelta lungo una vecchia scalinata che conduceva ad un piazzale, adornato ai lati con cespugli verdi e profumati, dal quale si disperdevano viali alberati in una moltitudine di direzioni. Per ciascun lato di questi, ai intervalli regolari e distanziati in ugual misura, vi erano statue e sculture funebri, illuminati dalla luce tenue tremolante delle fiammelle.
Al centro del piazzale sterrato, circondato da pesanti catene arrugginite, c’era una copia quasi perfetta della “Pietà Vaticana” di Michelangelo. Girandole intorno e avvicinandomi con circospezione, feci scivolare il mio sguardo sull’immagine della Vergine, seduta su una roccia con in braccio il Cristo. Concentrandomi su quel volto, su quella madre che aveva perso il suo unico figlio e, dove gli occhi sembravano essere velati dal vero dolore, pensai quasi che non volesse credere a quello che aveva visto e che vedeva davanti a sé. Era come se con gli occhi, persi e tristi, vagasse nel passato e nei ricordi.
Stringendomi le mani intorno alla vita, come a volermi riparare dal freddo che non sentivo, mi allontanai, inoltrandomi in uno dei viali.
Sul momento, colori e profumi mi disorientarono, travolgendomi con intensità e aggredendo il mio olfatto. Facendo scivolare i miei occhi sugli ormai monumenti sepolcrali ricorrenti e ripetuti, alle spalle di una croce di marmo scuro, dove ai piedi di questa una donna con un lungo abito l’abbracciava e piangeva, scorsi i lineamenti di una chiesa. Le porte erano aperte. I bagliori delle candele e dei ceri, che la illuminavano quel poco che bastava per darle un aspetto tetro e lugubre, mi lasciarono scorgere una fila di panche al suo interno che si perdeva nell’oscurità.
Il pensiero che, nonostante quei tenui lampeggi nel buio della notte, niente rendeva rassicurante l’edificio sacro, mi fece aumentare il passo.
All’istante, quando capì che ero arrivata, anche il più piccolo ed inesistente rumore si fermò, ritraendosi su se stesso per non disturbare quell’incontro.
Deglutendo e compiendo un passo incerto, la vidi.
Vidi la ragione di quella mia incursione in quel luogo di morte e al contempo di resurrezione. Sentì i brividi comparire e in una scia, estendersi lungo tutto il mio corpo. Le mani poste all’altezza del cuore e intrecciate tra loro, così forte da credere che volessero darsi forza e impedire alla gemella di tremare. Il respiro regolare cessò insieme al flusso di pensieri.
Con passi sempre più titubanti, mi avvicinai, mentre il anche il silenzio divenne assoluto, acquietando i suoi sussurri.
Avvertì una lacrima cadere lungo la mia guancia per poi bagnare le mie mani fredde in una goccia salata.
Una lapide solitaria e bianca si innalzava dalla terra da poco spostata.
Quando mi accorsi che una mano tremante si stava avvicinando alla lastra, come spinta da una forza invisibile, come se seguisse un richiamo naturale, la ritirai spaventata, troppo attaccata a quella minima speranza che tutto questo fosse solo un semplice incubo dal quale mi sarei risvegliata sudata e impaurita.
Le continue parole che la mia mente continuava a ripetersi, senza che prestassi loro reale attenzione, presero un senso. Quella piccola luce di speranza si dissolse, lasciandomi sola, circondata da un buio fitto e freddo, quando ascoltai la mia voce ripetere quel nome e quelle date in una mantra di continui sussurri.
 
Bonnie Isabelle McCullough
18 Dicembre 1974   –  05 Settembre 1994

In un flebile mormorio le mie labbra assaporarono quelle lettere, quelle parole amare, cariche di un triste fardello.
La ragazza nella foto era sorridente, perfino bella, ma totalmente lontana dalla Bonnie che in quel momento la guardava.
Ricordo un pensiero che mi aveva attraversato veloce la mente e in ugual modo era svanito: non potevo essere io. Per me, quella ragazza, era una perfetta sconosciuta, nonostante mi somigliasse tremendamente.
Era radiosa. Il suo sorriso estendeva la sua luce agli occhi color nocciola, facendoli apparire luminosi. Una cascata di folti boccoli di un colore rosso fragola e ben definiti le ricadevano sulle spalle, accarezzandole.
Provai un’ondata di rabbia osservando quella immagine, in corsa contro quel senso di nostalgia che cercava di prevalere, imponendomi un vuoto costante all’altezza dello stomaco.
Perché la Bonnie di quella foto era felice, così bambina ed ingenua con giusto qualche anno di meno da quella che ero io in quel preciso momento? Perché faticavo a credere che quella ragazza fossi io?
E tra le lacrime alle porte degli occhi e il tumulto di emozioni che mi stava investendo,  scorsi, abbandonata sul dosso di terra tra i fiori colorati, un mazzo di rose rosse legate tra loro con un semplice nastro nero, dove spiccava una scritta dorata.
 
“Mamma e Papà”
 

 
Crollai.
Non ce la facevo. Non ce la potevo fare.
In quel momento mille flash passarono a raffica nella mia mente.
Tutti quei ricordi che faticavo nei giorni successivi alla trasformazione in una vampira a riportare alla mente, adesso erano lì. Bastava che prestassi ad uno di loro, anche solo per una frazione di secondo, la mia attenzione e risate, litigate, sorrisi della mia famiglia si visualizzavano uno dietro l’altro. Tutti pronti a parlarmi di loro e a farmi rivivere quei momenti che avevo dimenticato o, con molta più facilità, non mi ero mai soffermata a riviverli.
Non gli avrei più rivisti.
Mamma e papà non avrebbero visto crescere il loro folletto dai capelli rossi, non l’avrebbero guidata saggiamente in quel percorso che era la vita. Non l’avrebbero protetta e ammonita.
Io, io potevo limitarmi solo ad osservarli da lontano.
Questo maledetto e stupido, dannato e ingiusto privilegio che avevo solo io, mi arrecava maggiore dolore, lasciando che quel buco allo stomaco estendesse la sua superficie con la minaccia reale di risucchiare anche me nelle sue cupe oscurità. Perenne, il mio dolore aveva scavato, marchiato, segnato una ferita indelebile, aprendomi in contemporanea le porte della vita eterna.
Da sola, con un lieve vento ad accarezzarmi, avrei dato qualsiasi cosa per sentire la ninnananna e il profumo dolce della mamma, un abbraccio e la forza del mio papà, le urlate e le minacce isteriche di Mary dalla sua stanza.
Sapevo cosa mia madre in quelle ore, in quei giorni si ripeteva a se stessa: un giorno mi avrebbe riabbracciata, perché mi avrebbe raggiunto.
No! Non era così!
Stupida, stupida, stupida.
Non mi avrebbe più rivista. Nessuno di loro.
Io ero bloccata su questo sputo di Terra, in questa vita che richiedeva altre vite per sopravvivere. Per sempre.
Non mi avrebbe raggiunto e colto l’occasione per sgridarmi per essere volata via troppo presto.
“Sarai giovane e bella nella tua tomba.”
La nonna aveva avuto ragione, l’aveva sempre avuta.
Quando sentì per la prima volta quella frase, che allora non sapevo essere una profezia veritiera, mi parse una cosa romantica. Quando venni a conoscenza dei miei poteri e di quel mondo di oscurità e creature bramose di sangue, una vocina nei meandri della mia mente, non faceva altro che sussurrarmi quelle parole con maggiore cadenza e preoccupazione.
Ad ogni lacrima che fuggiva ai miei occhi brucianti, conservavo la quieta speranza che si prendesse un pezzetto di quel dolore e lo portasse via con se, lasciandolo scivolare lontano da me. Compagne e testimoni silenziose, esse, con il loro scorrere incessante, incarnavano quel cuore fermo e morto, quei suoi battiti veloci e lenti che si erano spenti per sempre. Come la vita richiedeva al cuore di essere il suo motore principale, le lacrime erano quello di una realtà eterna. Fermale non era possibile.
Avvolta dall’oscurità, da colei alla quale ormai appartenevo, mi sentivo sola, impotente e tremendamente in colpa. Sentivo come ogni più piccolo pezzo del mio cuore, frantumato e fermo, sentisse la nostalgia e il dolore di quella vita umana, di quelle persone che amavo e delle piccole cose che ero stata costretta ad abbandonare. ?
Non volevo seconde possibilità.
La Bonnie che tutti conoscevano, quella piccola ragazzina che si era vista stravolgere la vita, che aveva bisogno sempre di sentirsi protetta e sostenuta, incoraggiata e ascoltata, che aveva paura del buio e urlava perfino per il suono di una porta chiusa dalla corrente, non ce la poteva fare.
Fino ad allora avevo affrontato la vita affidandomi agli altri.
Mi sembrava una tale assurdità pensare di riuscire a sopravvivere in quel modo, in quel nuovo mondo plasmato da oscurità e solitudine.
L’immortalità si ampliava davanti a me.
C’erano città, luoghi e cose mai viste che adesso avevo la libertà di vedere, esplorare e loro non aspettavano altro che mostrarmi le loro bellezze nascoste con l’obiettivo di far innamorare il mio cuore. Questo, questo non mi allettava, non più. Non se non mi era concesso avere accanto chi amavo.
Che senso aveva essere immortali, se ti era imposto di attraversare secoli, millenni in solitudine?
In quella notte, dove mi sentivo così sola, così persa nell’oscurità, c’era un’unica cosa da fare.
I miei occhi catturarono un ramo abbandonato ai piedi di una panchina di marmo, scalfita in alcuni punti. Lo raccolsi e lo accarezzai con le mani. Una scheggia si infilò nel mio dito, graffiandolo. All’istante si formò una piccola linea rossa, quasi impercettibile. Da questa si affacciò una goccia di un liquido rosso e conosciuto.
Sangue.
Sete.
Fame.
Ecco cosa mi avrebbe tenuto compagnia: la voglia di sangue, la continua sete, quella lacerante, così famelica da farti credere di essere sempre sul baratro della morte. Questa, però, per ampliare il tuo dolore e per farsi adulare ancor di più, non arrivava mai. Ai vampiri non era concesso. Loro avevano l’immortalità dalla loro parte. Avevano sconfitto la morte con del sangue e per beffa un Dio si era vendicato condannandoli a nutrirsi di questo. Per l’eternità e l’eternità non prevedeva nessuna misura di tempo.
Quando tolsi la piccola scheggia con un gesto deciso e veloce, vidi come questa si rimarginò. Non c’era più traccia del sangue, del taglio, come se non ci fosse mai stata alcuna ferita.
I miei sensi di vampiro avvertirono un nuovo cambiamento nell’aria.
Stava per succedere qualcosa. Era strano, ma lo sentivo. Era come se tutta la natura ad un tratto fosse sbocciata e fosse entrata a far parte integrante della vita quotidiana. Avvertivo sulla pelle tutti gli spostamenti d’aria e sentivo i profumi mutare e scambiarsi con essa. I colori erano più calcati, come se un pittore si fosse stancato solo delle sfumature e avesse preso tutte le sue tempere e con un grande pennello avesse intensificato le ombre e gli effetti di un dipinto.
Lo spostamento d’aria e il rumore prodotto al suo passaggio tra le foglie degli alberi, fecero risaltare quell’imminente mutamento.
I miei nuovi istinti cercarono nell’aria la risposta.
La trovai.
Si levava l’alba.
 
 
 
 
 
L’angolo di Lilydh

 
Buonasera Girls!
Chi si ricorda di me?
Chimasi nostalgia o almeno qualche strana forma di questa, è da parecchio tempo che non pubblico in questa sezione, che non scrivo di Damon e Bonnie, quindi rieccomi qui a torturarvi con i miei scritti.
Come annunciato su Twitter e sulla mia pagina Facebook, ecco il primo capitolo di “Lost in the Darkness”.
Dato che la mia primissima FanFiction è stata “Ricordi di Sangue”, il primo incontro tra Damon e Bonnie visto da me, ho deciso di tornare, raccontandovi quel momento dove i nostri protagonisti dovranno affrontare ciò che il vampiro dagli occhi neri è stato costretto a fare in questa mia prima storia.
Nello specifico, in Everything has changed,  troviamo Bonnie in stato confusionale e alla ricerca di una conferma di ciò che la mente le suggerisce.
Ci addentriamo subito nella storia, leggendo i pensieri di Bonnie e vedendo attraverso i suoi occhi il “nuovo” mondo a cui appartiene, provando le sue paure e le sue fragilità.
Capitolo molto descrittivo, triste e malinconico, Bonnie vede e affronta il mondo che la circonda gli occhi di un vampiro.
Naturalmente, a tempo debito, scopriremo come e quando Bonnie si è ritrovata ad essere una creatura della notte.
Tuttavia, i problemi saranno ben altri, perché si sa che, una volta che un umano viene trasformato in un vampiro e nella sua vita da mortale è stato soggiogato da una creatura immortale, piano piano, pezzo dopo pezzo tutti i momenti sottratti e indotti a dimenticare, ritorneranno alla mente (almeno per quanto riguarda il mondo de “Il diario del vampiro” e “The Vampire Diaries”).
 
Gli avvenimenti che seguiranno a questo capitolo, ruoteranno tutti intorno a questo tema centrale che è il ricordare di Bonnie quel primo e vero incontro con Damon, senza dimenticare la consapevolezza di quest’ultimo.
Faranno da sfondo altri temi e piccoli avvenimenti. In questi frangenti troveremo Bonnie davanti a situazioni senza precedenti, dove considerazioni e paure, verità e ciò che essere vampiro comporta, la influenzeranno in gesti e azioni.
 
È chiaro che Damon in questa storia – mi sento di dire più delle altre mie precedenti – sia coinvolto in prima persona. Damon sarà per Bonnie un grande punto di domanda, non solo per ciò che la sua mente le propone, ma anche per come deve affrontare questa verità con lui.
Una parte di me sarebbe davvero curiosa di analizzare il suo personaggio per questa storia, ma Bonnie non è da meno.
Per certi versi è una cosa nuova anche per me. Non ho mai provato ad esplorare le emozioni di un neo-vampiro, per quanto io scriva dei personaggi di questa saga e dello show della CW. Cercherò di descrivere ogni passaggio e cambiamento di umore, cercherò di esprimere al meglio i pensieri e le battaglie interiori di Bonnie, nella speranza di non creare qualcosa di brutto o noioso.
 
Non vedremo Bonnie solo alle prese con Damon e ciò che li riguarda, ma anche con altri personaggi a lei vicini, come Matt e Stefan.
 
 
Nella mia pagina profilo troverete il mio contatto Twitter e il collegamento alla mia pagina e profilo facebook, da poco aperti.
 
Sono contenta di essere tornata a “casa”, nella sezione dove ho mosso i miei primi passi di autrice su EFP.
Come sempre, troverete tutte le altre mie storie, comprese quelle su Damon e Bonnie fino adesso pubblicate, nella mia pagina autrice, oltre ai diversi contatti Twitter e Facebook.
Spero che questo primo capitolo di ritorno vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito almeno un po’. ^^
 
 
Al prossimo capitolo!
Un bacio,
Lilydh
 
 
 
P.S.   Ribadisco che “Lost in the Darkness” è basata su “Ricordi di Sangue”, quindi ciò che affronterà Bonnie nei seguenti capitoli e i momenti che ricorderà, saranno presi da questa e non dal primo incontro scritto dalla Smith e che potete trovare in lingua inglese sul suo sito ufficiale.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il diario del vampiro / Vai alla pagina dell'autore: _Arya