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Autore: Francine    07/11/2013    9 recensioni
C'è un problema a casa Cullen. Renesmee. Che ha letto un po' troppi libri.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Renesmee Cullen | Coppie: Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, Jacob/Renesmee
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Chagrine


 
 


Il suo nome era Renesmee, ma le piaceva farsi chiamare Chagrine.
Era il nome dell'eroina di alcuni romanzi che aveva letto da piccola, vale a dire pochi mesi avanti, una creatura in cui riusciva ad immedesimarsi come se si fosse affacciata su uno specchio: capelli oro rosso, occhi grigi e labbra come due bacche mature, Chagrine le sembrava la sorella gemella da cui era stata separata alla nascita e al cui mondo, in un modo o nell'altro, si sarebbe presto ricongiunta, non importa quante difficoltà avrebbe incontrato.
Renesmee sapeva che la strada che aveva davanti a sé era lunga, tortuosa e costellata di ostacoli difficilmente superabili. Renesmee non era ingenua, nonostante tutti a casa Cullen pensassero l'esatto contrario. Non lo era mai stata nemmeno quando, a soli sei mesi di vita, si era arrampicata sulle spalle di sua madre pronta a fronteggiare i Volturi come solo una vampira dentro al corpo di una bambina di sei anni può fare, vale a dire piangendo e scalciando. Sarebbe stata una finta. Renesmee sapeva che nessuno le avrebbe torto un capello quel giorno, né i suoi, né quella bizzarra compagine che era accorsa a sostenerli, né tantomeno i Volturi, che l'avrebbero portata con sé e l'avrebbero cresciuta a Volterra, lontano da tutte quelle follie vegane.
Eppure il destino si era frapposto fra lei e quei tre distinti signori, Caius, Marius e Aro, nomi che aveva assaporato crescendo come le più dolci delle melodie, ed aveva visto le loro ampie schiene allontanarsi all'orizzonte mentre i loro mantelli danzavano nell'aria fredda del pomeriggio piovoso.
Sì, lungo la sua strada c'erano un po' troppi massi caduti, ma Renesmee non era una signorina fragile e delicata e li avrebbe rimossi con le sue stesse mani. Uno ad uno. A cominciare dall'anello più debole della catena.


Jacob Black si alzò.
«Non... non posso, Nessie», mormorò guardandosi i piedi. Lei lo fissava dal letto, adagiata contro i cuscini di seta nera e un'espressione seccata e delusa che le incurvava le labbra.
«Jake...»
«Non posso, lo capisci? Non adesso, almeno...»
Renesmee sbuffò. «Jack, adesso ho questo corpo. Adesso. Non fra dieci anni. Potrei essere una vecchia incartapecorita. Lo sai. Adesso vieni qui e...»
«Nessie, hai solo quattro anni. Quattro!», protestò lui, i muscoli guizzanti e i jeans che gli aderivano al corpo come una seconda pelle. E un desiderio bruciante tenuto sotto controllo con molta, molta difficoltà.
«Sì, ma con la testa e il fisico di una venticinquenne», replicò lei seccata. Stava per perdere la pazienza, e Jacob sapeva quanto lei odiasse perdere la pazienza. Forse l'aveva dimenticato. Poco male, gliel'avrebbe ricordato a suon di scudisciate. «Allora, Jacob Black? Per quanto tempo ancora dovrò aspettare?»
Jacob si voltò. Renesmee era bella da spezzare il cuore. Le gambe che spuntavano del babydoll in pizzo nero assomigliavano ad un'autostrada su cui correre a folle velocità, mentre i suoi occhi... i suoi occhi erano per lui un richiamo irresistibile da quando i loro sguardi si erano incrociati.
«Jake...», mormorò languida Renesmee posando distrattamente la mano inguainata nel raso nero sulla curva rotonda dei fianchi. «Vieni qui, cucciolone», lo chiamò e lui non seppe resistere.
«Tuo padre mi ammazzerà», mormorò inciampando mentre si liberava in fretta dei jeans.
«Ti ammazzerò prima io se non vieni qui e spegni la mia sete. Ora», mormorò lei a bassa voce, scivolando sinuosa sulla seta nera delle lenzuola.
Jacob balzò sul letto, balzò su di lei, ma si ritrovò al tappeto con un abile colpo di reni. «Cosa stai...», le chiese, osservandola seduta a cavalcioni sul suo stomaco mentre tirava fuori da sotto al cuscino una catena lucida.
«Ssshhh... T'insegno un giochino nuovo, Jacob Black», mormorò la ragazza assicurandogli i polsi alla testiera del letto.
Jacob la lasciò fare. Renesmee poteva tutto su di lui. Quante volte, quand'era più piccola, gli aveva chiesto di trasformarsi da uomo in lupo e viceversa? Lui non l'aveva sempre accontentata? E l'avrebbe fatto anche adesso, anche se Jacob Black aveva tutt'altro in mente per la sua prima volta con Renesmee. Un letto, candele sul comodino, un camino che arde, magari anche una bella pelle d'orso bruno sul pavimento. E poi i fulmini. Una bella tempesta di quelle in cui il cielo sembra volerti cadere in testa col maggior rumore possibile, dove ti senti anche autorizzato a tirare fuori il lato animalesco che dorme assopito dentro di te. A questo Jacob pensava mentre Renesmee - anzi Chagrine - gli legava ben stretti i polsi e le caviglie al letto, gli bendava gli occhi e gli sussurrava parole d'amore all'orecchio.
«Jake», lo chiamò lei.
«Sì, Nessie?»
Renesmee piegò la bocca in una smorfia. «Chiama il mio nome. Quello che piace a me.»
Jacob sospirò. La sua Nessie aveva sì un nome antiquato che riuniva quelli delle sue nonne anche se, detta francamente, il risultato era un ridicolo guazzabuglio che pochi, in paese, riuscivano a pronunciare correttamente; eppure a lui piaceva chiamarla Nessie, sussurrare quelle sei lettere come se fossero il suono dell'Universo che nasce.
«Chagrine», mormorò, invece e fu l'ultima cosa che disse prima che Renesmee gli facesse scivolare in bocca il bavaglio. Poi si spense la luce, sentì lei chinarsi sul suo collo e mordere. Per non staccarsi più.


«Hai visto?»
Zio Emmett rideva. Felice come un bambino messo di fronte ad una montagna di pacchi, pacchetti e pacchettini tutti per lui. L'orso giaceva a terra, con l'osso del collo spezzato, mentre tre o quattro betulle se ne stavano adagiate al suolo senza avere ancora chiaro in mente cosa fosse loro successo.
«Quello vale dieci punti!», ghignò prima di scendere e accostarsi al collo della bestia per bere.
Sì, Emmett Cullen assomigliava al gigante buono delle favole, e poco importava che per tutti lui fosse il cugino di suo padre, e fra qualche decennio, chissà, sarebbe stato suo fratello maggiore. Emmett Cullen non avrebbe visto un altro tramonto. Con buona pace di zia Rosalie.
«Tu non bevi?», le domandò alzando la bocca sporca di sangue dal cadavere delle preda. «Dai, ché se si raffredda non è più buono…»
«Ho altri gusti, lo sai…», si giustificò Chagrine stringendosi nelle spalle magre.
«Non è stagione per i puma, questa», replicò Emmett pulendosi le labbra sulla manica della camicia a scacchi. «Credevo che…»
«Volessi un orso? No, grazie. Prenderò un cervo, non appena avrai finito.»
Emmett la guardò perplesso, poi commentò: «Adolescenti», con un tono così accondiscendente che per poco lei non gli saltò al collo.
Chagrine si premette le unghie contro i palmi delle mani, sino a sanguinare e s'impose di restare calma. Emmett non era un tipo facile da eliminare. Affatto. Era stupido come un'iguana ma dotato di una forza capace di spezzarle il collo in due con una manata. Mai cercare uno scontro diretto con lui. Mai. Il veleno che aveva creato, e testato su Jacob poche ore prima, avrebbe fatto il lavoro al posto suo. Lei doveva solo sedersi e attendere. E così fece. Guadagnò il primo tronco di betulla che le capitò a tiro e si accomodò, accavallando le gambe. Mancava poco. Molto poco, ormai, e avrebbe vestito come una vera signora, con quelle belle cappe rosse, quelle gonne ampie e svolazzanti e i guantini di pizzo nero. Sarebbe stata libera. E bella. E ricca.
 Schifosamente ricca, pensò facendo un rapido conto di quanto denaro fosse accumulato sia sul suo libretto di risparmio, che su quello dei genitori, che su quello della famiglia intera.
Un rantolo basso le fece alzare di scatto la testa.
«Renesmee… aiutami… sono stato…», mormorava Emmett, una mano protesa verso di lei, come se lei avesse potuto fare qualcosa per salvarlo.
«Avvelenato», concluse per lui. Incrociando le braccia davanti a sé. Il lampo di consapevolezza e paura e tristezza e ira, un'ira cieca e furiosa, che attraversò lo sguardo di Emmett fu per lei la più dolce delle ricompense.
«Tu… Sei.. stata tu!»
Emmett si alzò all'impiedi, sovrastandola con la propria mole. Chagrine indietreggiò di un paio di passi e, per maggior sicurezza, spiccò un balzo sul primo albero che trovò, pronta ad allontanarsi da Emmett il più velocemente possibile. Lo zio avanzava, mulinando le braccia davanti a sé, forse già accecato dal veleno che gli stava paralizzando i centri nervosi.
«Renesmee! Renesmee!», gridava scavalcando l'orso e rivelando la freccia che la ragazza aveva sparato all'animale prima che la caccia avesse inizio. Poi Emmett, il forte Emmett, la montagna umana, s'immobilizzò, schiumando una bava verde dalla bocca e cadde con un tonfo secco a terra. Chagrine sospirò sollevata e balzò a terra.
E adesso?, pensò osservando il cadavere dello zio riverso al suolo. Spostarlo era fuori discussione. Poteva solo sperare che a nessuno venisse in mente di andarlo a cercare, ma Chagrine sapeva che se non l'avessero visto rientrare assieme a lei, sarebbero partite le squadre di ricerca. Doveva approfittare delle quattro, cinque ore al massimo che aveva di vantaggio su di loro. E magari ripetere lo show. Radunò delle foglie secche attorno al corpo, spezzò alcuni rami di betulle e diede loro fuoco.
«Our hope and expectations/ Black Holes and Revelations», canticchiò lavorando alacremente con le mani. Sì, avrebbe dato fuoco a zio Emmett. E staccato la testa a zia Rosalie. E avrebbe aperto in due nonna Esmee e quel ridicolo di nonno Cullen. E poi, avrebbe pensato ai suoi amatissimi genitori. La domanda era: chi dei due avrebbe lasciato per dessert? Il fuoco guizzò alto verso il cielo, avvolgendo il cadavere di Emmett senza risponderle.


Passeggiare con zia Rosalie era divertente. Il suo senso estetico non aveva rivali ed era impagabile quell'espressione schifata e altezzosa che tirava fuori quando doveva, ahilei, avere a che fare con il noioso popolo degli esseri umani. E dov'era, adesso, il suo sdegno, la sua alterigia e la sua perfetta superbia, dov'erano ora che quel paletto di frassino, affilato nella sua stanza con pazienza al chiar di luna, le stava sfondando il petto per fare capolino dall'altra parte? Rosalie ebbe solo il tempo di voltarsi e dissolversi come la sabbia, una domanda muta cui nessuno avrebbe più dato voce. Il paletto cadde sul sedile. Chagrine lo raccolse, vi soffiò sopra e se lo rimise sotto al cappotto. Si guardò intorno. Nessuno aveva visto nulla. Scese dall'auto e rimontò dal lato del guidatore, spazzò via con la mano i resti di zia Rosalie, mise in moto e tornò a casa. Alla tv sembrava più facile, pensò.


Chagrine scoprì che in effetti diventava più facile, mano a mano che si esercitava. Era la pratica la chiave per ottenere un'impalatura come si deve. Nonna Esmee era andata giù come una pera matura, ma lei era stata fragile e delicata anche da viva. E da non-morta. Trapassarla da parte a parte con la punta di un paletto di frassino - cosparso d'acqua benedetta, ché non si sa mai - era stato facile come tagliare il burro con un coltello caldo. Con nonno Cullen, invece, aveva dovuto usare l'astuzia della volpe e la pazienza del ragno per coglierlo letteralmente alla sprovvista, di spalle, mentre cercava la sua Esmee per tutta casa, terrorizzato.
«Le è successo qualcosa, Renesmee. Lo so. L'ho sentito. E anche ad Emmett, e a Rosalie. Ma dov'è tua nonna? Dove sono tutti?», le aveva chiesto prima di voltarsi senza attendere la sua risposta, ed affrontare la prima rampa di scale. Ed era stato allora che lei era scattata, e l'aveva trapassato con un paletto. Punta d'argento. Carlisle aveva lanciato un urlo che avrebbe ghiacciato all'istante il sangue nelle vene del più impavido ed intraprendente ammazza vampiri del mondo, roba che persino Buffy Summers avrebbe lasciato andare il paletto, ma lei no. Lei no. Lei aveva spinto ancora di più, con tutta la forza che aveva in corpo, e il capo famiglia, colui che aveva dato inizio a tutta questa danza folle di vampiri che scimmiottavano gli esseri umani, s'era dissolto davanti a lei.
 È durato troppo poco, pensò raccogliendo il paletto. Delusa.
La pendola batté le sei e mezzo, come nel migliore thriller che si rispetti. Presto i suoi genitori sarebbero tornati a casa. Insieme. Se non fosse stata più che perfetta, più che convincente, sarebbe stata lei a non vedere più un'altra alba.


«Non c'è più nessuno. Sono…  sono venuti qui… Io…»
Non era Chagrine a piangere. Chagrine non piangeva mai. Mai. Era Renesmee che recitava la sua parte, e lo doveva fare bene se non voleva essere giustiziata all'istante. Accoccolata e terrorizzata contro il petto del padre, stava raccontando ai suoi genitori cosa fosse successo in casa durante quella manciata di ore, meno di quarantotto, in cui erano stati assenti.
Qualcuno era entrato. Qualcuno che ce l'aveva a morte con i vampiri. Avevano gridato di chiamarsi Gli amici del Sole, o una cosa del genere, ed era stato un massacro.
Emmett era andato a caccia. Rosalie era fuori per delle commissioni. Carlisle aveva fatto in tempo a rinchiuderla in un armadio ed era andato ad affrontarli assieme ad Esmee. Era stato un miracolo che non l'avessero trovata. Un vero miracolo.
«È tutto finito», le mormorò dolcemente Edward. Poi la staccò da sé e la fissò negli occhi grigi. «Dov'era Jacob?», le chiese.
Chagrine scosse il capo, intimando a Renesmee di tacere. «Non lo so. Non lo vedo da… da un paio di giorni.»
«Un paio di giorni?» Edward alzò lo sguardo ad incontrare quello di sua moglie.
«Sì», rispose la ragazza. «Papà, non crederai che…»
«Deve essere successo qualcosa. Vado alla Riserva a vedere se loro ne sanno niente», fu la risposta di Edward. Era furioso. E Chagrine calò la sua mano servita.
«Vengo con te, papà!»
«No!»
«Cara, è meglio per noi restare qui», ribatté Isabella abbracciando sua figlia, mentre Edward cercava le chiavi della Jaguar nella tasca della giacca. «Tuo padre tornerà presto, vero Edward?»
«Contaci, anima mia.» Scoccò un bacio leggero sulla fronte della moglie e uno su quello della figlia ed uscì.
Bella strinse a sé Renesmee.
«Vieni, tesoro. Sediamoci sul divano», le disse accarezzandole i capelli.


Quando Edward rincasò ruggì il nome di sua figlia spalancando la porta d'ingresso. Lanciò le chiavi alla sua sinistra e con un solo balzò guadagnò la cima delle scale. Altri due balzi ed entrò in quello che era stato lo studio di Carlisle. Renesmee era lì, seduta alla sua scrivania, a lavorare al computer.
«Dov'è tua madre?», le chiese digrignando i denti. Poi si bloccò.
Lei l'osservò da dietro le lunghe ciglia nere curvate all’insù. Da quando in qua mia figlia si trucca in quel modo?, pensò in un angolo della propria mente.
«La mamma? Dove non può più fare danni. Ma stai tranquillo, la raggiungerai presto.»
«Che le hai fatto?!», ruggì Edward, mandando in frantumi la vetrata .
«Paletto. Cuore. Puff…», disse Chagrine mimando la polvere che si disperde nell'aria. «Non ha sofferto. Cioè, no, ha sofferto da cani, ma mi sembrava carino non dirtelo. Anche se poi l'ho fatto. Pazienza.»
Edward scattò, ma i suoi piedi non si mossero.
«Aconito», disse lei indicando delle foglie sparse sul piano della scrivania. «Blocca i vampiri. Non lo sapevi, paparino?»
«E tu?»
«Io sono un vampiro, ma sono nata già morta. Per me è un po' diverso…»
«Perché?», chiese Edward. Chagrine aprì la sua mente e lui vi lesse quello che era avvenuto a Bella. Ruggì tutto il suo dolore, disperato, desolato, affranto. Chagrine sperò che impazzisse, rendendole più facile il compito. Buffy diceva sempre che un vampiro pazzo è forte, sì, ma compie azioni molto prevedibili. E molto stupide. Come mettersi a piangere dal dolore. Ma Edward non era fatto della stessa pasta di tutti i vampiri della tv. Fissò la figlia dritto negli occhi e urlò, ancora un volta: «Perché?!»
«Perché no?», ribatté lei. Come se stesse progettando una gita in montagna o un weekend di shopping a Parigi durante i saldi. «Pensaci. Avrò i vostri soldi. Tutti. Sarò libera di andarmene ovunque mi vada e quando mi pare. E potrò azzannare tutti i neonati che voglio…»
«Tu…»
«Forse avevano ragione i Volturi quando dicevano che ero pericolosa. Forse non avreste dovuto lasciarmi vedere Buffy l'ammazzavampiri, sai, paparino? Poi è normale che uno voglia staccare la testa al primo vampiro che incontra. Sarebbe stato sciocco, da parte mia, non fare pratica su di voi…»
«Pratica? In nome di Dio, di che diamine…»
«Li ho ammazzati io. Uno per uno. Jacob. Poi zio Emmett, zia Rosalie, nonna e nonno e mammina. E adesso tocca a te. Non preoccuparti, penserò a zia Alice e a zio Jasper quando torneranno dal loro viaggio in Amazzonia. Se torneranno... Sono diventata un’Ammazzavampiri, papà. Che a te piaccia o no. Ho ricevuto la tessera proprio stamattina, per posta.»
Chagrine prese la tessera plastificata dal proprio portafogli e la mostrò al padre.
«Sta scritto qui, vedi? Ammazzavampiro numero 436278047356796
«Un fan club? Hai ammazzato tutti noi per un fan club?!»
«Avresti preferito che l'avessi fatto per un culto satanico?», domandò lei.
«Renesmee!»
«CHAGRINE!», ruggì lei lasciando cadere il portafogli. «Il mio nome è Chagrine. Tienilo bene a mente.»
La ragazza si ricompose. Si sistemò i capelli e si schiarì la voce con un colpo di tosse. L’aconito non avrebbe fermato suo padre in eterno, e il dolore avrebbe anche potuto concedergli la forza per spezzare il vincolo e saltarle al collo. Si stava facendo tardi.
«E va bene. Va bene. Va. Bene. Sapevo che non mi avresti creduto, ma ho provato a farti fare una risata. Pazienza. Vuoi la verità? Mi annoiavo. Sì, ecco. L'ho detto! Contento? Mi annoiavo a recitare la parte della vampira vegetariana, papà. Voglio essere ciò che sono. Voglio prendermi il mondo e metterlo in tasca. Voglio scendere a caccia per le strade, senza tutte queste idiozie sul rispetto degli umani. Voglio essere un vampiro vero. È stato bello. Ma adesso basta.»
Poi incoccò la balestra e fece fuoco. Il paletto passò da parte a parte Edward Cullen e di lui non rimase che polvere e un grido che riecheggiò nelle orecchie di Chagrine. Lei si avvicinò alla finestra, la spalancò e fece cambiare l'aria. Fuori, la luna piena illuminava la sera ammantata dalla nebbia, impalpabile come una trina preziosa.
«Arrivo, Volterra», disse, prima di mutare forma e aprire le sue ali nere verso la pallida luna.




Prima di commentare questa storia, vi pregherei di leggere queste quattro righe di spiegazione. Amesso e non concesso che siate arrivate fino in fondo, s'intende.
Mi sono permessa qualche libertà, non me ne vogliano le fan della saga. È una storia ironica, forse un pochino cinica, che parte dal seguente "What If?": e se a Renesmee non andasse a genio l'idea di essere come i suoi genitori? Grosso come una casa come "e se?", me ne rendo conto, ma voi abbiate pazienza, ok?
Il carattere di Renesmee che abbozza descrive la Meyer è quello di una bambina. Che può, in potenza, diventare qualsiasi cosa, una volta cresicuta. Anche i pazzi omicidi sono stati bambini.
Mi sono presa delle libertà anche sui poteri di Pixie, ehm, Renesmee, non rammentando se Gambit, ehm, Edward riesca a leggere la sua mente, oppure no. Chiudete un occhio, d'accordo?
Sì, il terzo dei Volturi si chiama Marcus e non Marius. Quel nome esce dai ricordi di Renesmee, che l'ha messo in rima con quello di Caius.
Un ultima cosa: Chagrine non è farina del mio sacco, ma è un prototipo che appartiene a JeanGenie, che l'ha generosamente offerta alla causa.
   
 
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