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Autore: MelethielMinastauriel    08/11/2013    2 recensioni
Shaun aveva ragione: lui non era affatto solo e non c’era assolutamente bisogno che si comportasse da agnello sacrificale. Per quanto la sua vita potesse essere stata sconvolta in maniera repentina, ora non c’era più tempo per i tentennamenti e le indecisioni: Desmond ce l’avrebbe messa tutta per uscirne vivo da quell’assurda avventura.
Non sarebbe più andato fuori rotta, non avrebbe più perso la strada, non si sarebbe sentito più smarrito, perché c’era Shaun a fargli da faro, traendolo in salvo dalle onde del mare e trascinandolo verso la luce, oppure indicandogli la via nelle notti più buie, brillando nel cielo limpido proprio come la Stella Polare.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Desmond Miles, Shaun Hastings
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Desmond pensò che l’aver trovato rifugio a Monteriggioni non fosse poi tanto male e, se solo non ci fosse stato il fattore Templare, tutta la squadra avrebbe potuto sicuramente apprezzare appieno il soggiorno nella città Italiana, traboccante di antichità e mistero.
E invece, ovunque andassero, non potevano che sentire il fiato dell’Abstergo sul collo, pesante come un macigno. Nella loro attuale situazione, sembrava quasi stessero giocando al gatto e al topo, continuamente di corsa da una parte e dall’altra dell’Italia, con la costante sensazione di essere braccati. Un gioco mortale dove anche il più insignificante errore avrebbe decretato la morte.
Il clima che si respirava nella squadra non era più quello delle settimane prima, nel rifugio in cui tutti e quattro si erano finalmente riuniti, dove Lucy aveva rincontrato per la prima volta dopo sette, lunghissimi anni, la sua amica Rebecca e dove Desmond era stato introdotto al resto del team. Dopo qualche giorno di assestamento, divenne impossibile nascondere l’affiatamento tra i quattro e il modo in cui riuscissero tutti a lavorare in perfetta sincronia, ognuno prevedendo l’azione dell’altro e fornendo supporto ancora prima che si richiedesse aiuto.

Così, Shaun aveva completato la voce nel database di un monumento ancor prima che Desmond potesse voltare lo sguardo ed ammirarlo in tutta la sua magnificenza; Rebecca lo distoglieva dall’idea di entrare in conflitto aperto con una pattuglia di soldati di guardia alle pagine del Codex in Firenze nel caso in cui i valori e tassi di sincronia non si sarebbero rivelati favorevoli; Lucy, invece, controllava la presenza di frammenti di Memoria più rilevanti rispetto ad altri, così da risparmiare tempo prezioso ed accelerare la ricerca del Frutto dell’Eden.

Una volta a Monteriggioni, però, non bastavano più neppure i giorni di riposo o gli scherzosi battibecchi via e-mail per risollevare l’umore. Tutti si sentivano fiacchi e spossati, chiedendosi, a volte, se valesse davvero la pena affannarsi così tanto per una corsa contro il tempo che sembrava persa in partenza.
Certo, ognuno di loro doveva sopportare un peso enorme: Rebecca desiderava tanto tornare a casa e riabbracciare il suo amato cane, Shaun aveva una terribile nostalgia del suo paese e Lucy sperava con tutta sé stessa che quella guerra finisse il prima possibile. Ma quello a cui toccava sopportare il peso maggiore era proprio Desmond, seppure non lo desse a vedere: i suoi sorrisi e risate nascondevano un animo turbato.

C’erano soprattutto delle sere, in cui la malinconia prendeva il sopravvento, togliendogli quasi il respiro. Reprimere il desiderio impellente di darsi alla fuga da tutto e da tutti richiedeva un grande sforzo, ma aveva giurato a sé stesso che non sarebbe più scappato. Desmond aveva tanti rimorsi, ma quello che lo rattristava di più era l’essere fuggito dalla Fattoria. Nonostante il rapporto che aveva con i suoi non fosse uno dei migliori, Desmond avrebbe dato l’anima per poterli incontrare di nuovo, anche solo per un attimo. A volte sentiva la mancanza delle carezze della madre e della dura voce di suo padre. Come se non bastasse, la vita monotona che conduceva era stata mandata letteralmente in frantumi dall’arrivo dei Templari e degli Assassini, che ora lo reclamavano come fosse un loro premio, sballottandolo ora da una parte, ora dall’altra. A tutto questo si aggiungevano gli effetti collaterali delle lunghe sessioni dell’Animus, ovvero le sporadiche visioni di epoche lontane e gli incubi notturni.
E non bastavano le attenzioni Shaun per calmarlo o confortarlo, per quanto l’Inglese si sforzasse di aiutarlo con parole di conforto, semplici baci o condividendo, di tanto in tanto, lo stesso giaciglio.
Infatti, se ai primi Desmond ci aveva ormai fatto il callo, le notti insonni, invece, erano quelle che lo fiaccavano di più. Dopo ore di incessante lavoro, Desmond sperava di trovare una pace momentanea almeno durante le ore notturne: speranza che veniva, puntualmente, infranta. Ai normali sogni, spesso si accavallavano ricordi degli antenati o veri e propri incubi che scuotevano il suo subconscio, facendolo agitare nel sonno. A volte gli capitava di svegliarsi completamente sudato, oppure di gridare mentre ancora privo di sensi. Solo di rado gli capitava di non avere sogni.

Quando Desmond urlava o si agitava, spesso gli altri andavano in suo aiuto, per cercare di rassicurarlo e placare le sue paure. Una volta sveglio, l’Americano poteva leggere l’angoscia negli occhi incorniciati di nero per la mancanza di riposo dei suoi compagni, sentendosi terribilmente in colpa per aver privato loro dell’unico momento di relax che avessero a disposizione.
Desmond, allora, decise di farsi carico di un altro peso: sopportare tutto questo in silenzio con la convinzione che presto sarebbe tutto finito. Cominciò a saltare il riposo per evitare di disturbare gli altri, nonostante Lucy glielo avesse proibito e, siccome erano stati decisi dei turni per ogni notte, pensò bene di concedersi delle scappatelle solo quando non fosse di guardia la bionda.
Ovviamente, sia Shaun che Rebecca erano a conoscenza del piccolo segreto, ma chiusero sempre un occhio a riguardo perché, se c’era una cosa di cui erano assolutamente certi, era proprio dello spirito libero di Desmond e la sua testardaggine.

L’Americano era felice di aver trovato un modo che gli permettesse di liberare la mente e prendere un po’ d’aria. Adorava salire sui tetti dei palazzi antichi, mettendo alla prova le abilità apprese da Ezio durante le numerose sessioni. Certo, non si poteva dire che non fosse impacciato all’inizio, e spesso gli capitò di scivolare senza farsi troppo male, per fortuna. Col passare dei giorni, aveva imparato come scalare la maggior parte degli edifici della città nel minor tempo. Oltre a una maggiore prestanza fisica, Desmond ebbe modo anche di acuire la vista, trovando con rapidità sempre maggiore gli appigli più adatti, come edere, balconi sporgenti o anche un semplice mattone fuori posto. Una volta in cima, Desmond prendeva degli ampi respiri, godendosi la quiete notturna alternata dal canto dei grilli e l’aria che lassù sembrava così pura. Poi, alzava gli occhi al cielo, ammirando l’immensa volta celeste. Tuttavia, non sempre il cielo era limpido ed offriva la possibilità di godere quello spettacolo, ma questo non impediva al novizio di godere comunque del momento, sotto nuvole grigie, respirando a pieni polmoni l’aria umida, vate della pioggia imminente.
Ma se c’era un palazzo in particolare che a Desmond piaceva scalare, era proprio la Villa Auditore, di cui anche il più piccolo frammento avrebbe potuto raccontare la storia della sua grandezza e di epoche passate, in un susseguirsi di racconti che neppure un grande libro avrebbe potuto contenere.


Una notte, quando Shaun era di turno e le ragazze stavano dormivano beate nel Santuario, Desmond sgusciò furtivo verso l’esterno della villa, pregustando già da allora la passeggiata e domandandosi quale cielo avrebbe ammirato quella notte. Poco fuori la villa incontrò Shaun, che non era affatto sorpreso di vedere il più giovane. Semplicemente, lo ammonì di ritornare dentro e di concedersi un po’ di riposo, prima che la situazione fosse peggiorata. A poco servirono i baci che l’Inglese gli diede lungo il mento e sul collo, cercando di distoglierlo dal suo intento.
Ma il cielo era bellissimo, straripante di punti luminosi ovunque e Desmond era convinto che dal tetto della villa, la vista sarebbe stata ancora più suggestiva. Non volendo far preoccupare lo storico e anzi, volendo trascorrere un po’ di tempo con lui, lo invitò a salire lassù.
Shaun la considerò una follia e avrebbe continuato a rifiutare se solo Desmond non gli avesse dimostrato così tanta sicurezza in quello che diceva.
“Coraggio, Shaun,” gli sussurrava piano, quasi per paura che le ragazze potessero scoprirli, “ho scavalcato molte volte le mura di questa villa, conosco alla perfezione i punti dove ci si può arrampicare senza difficoltà.”, aggiunse infine, tendendogli la mano.
Shaun, dal canto suo, era ancora indeciso. Aveva avuto modo di spiegargli innumerevoli volte di come fosse poco pratico all’azione e capace di dare gli meglio di sé soltanto attraverso strumenti e macchinari piuttosto che fisicamente, per questo l’idea gli sembrava impossibile.
Alla fine, si trovò costretto ad accontentarlo, seguendolo sul retro e mostrandogli la parete che avrebbero scalato. Desmond gli mostrò quali mattoni avrebbero usato e le zone più salde dove si sarebbero potuti appigliare. L’Americano pensò che forse sarebbe stato meglio se Shaun fosse salito per primo, in modo da potergli dare una mano se necessario e lui non poté che essere d’accordo.
Sapeva benissimo di stare per fare una sciocchezza, ma Desmond gli era sembrato così entusiasta che non avrebbe voluto deluderlo, spegnendogli quel sorriso così genuino che ultimamente gli capitava di vedere solo di rado.
Dopo qualche minuto, lo storico fu un cima e ringraziò il cielo, mentre sentiva le braccia doloranti e un po’ d’affanno. Poi, si voltò per allungare una mano all’altro, ma questi era già arrivato e ora gli era praticamente affianco. Desmond gli diede un rapido bacio sull’angolo delle labbra e poi disse:
“Vieni da questa parte, si sta più comodi!”, dando un leggero strattone al maglione dell’altro.
Desmond aveva raggiunto il posto che aveva scelto in poche e rapide falcate, a dimostrazione che non era affatto una delle prime volte che si trovava lassù, invece Shaun aveva dei tuffi al cuore ogni qual volta sentiva le tegole muoversi sotto il suo peso. Tirò un sospiro di sollievo quando riuscì finalmente a sedersi vicino all’Americano, entrambi appoggiati al muretto in mattoni situato al centro del tetto della villa.

La prima cosa che aveva notato Shaun era che lassù faceva decisamente più fresco, ma il calore del corpo accanto al suo e la consapevolezza di trascorrere quell’attimo di pace solamente con lui, era la sola cosa di cui avesse davvero bisogno. Anche Desmond si sentì veramente rilassato per la prima volta dopo mesi, ed appoggiò la testa sulla spalla dell’Inglese.
Ultimamente, non avevano avuto modo di passare neppure dieci minuti assieme, tranne quando era il momento di mettere qualcosa nello stomaco. Altre volte, invece, non riuscivano a parlarsi per giorni, pur lavorando nella stessa stanza. Erano venuti meno anche quegli attimi più intimi o il semplice scambio di carezze, che nell’altro rifugio erano diventati una costante, prima di andare a letto.
Desmond era conscio di tutto ciò, oh, eccome se lo era, e si struggeva dal desiderio impellente di avere l’Inglese vicino, respirare il suo odore, toccarlo e guardarlo negli occhi, e invece in quelle ultime settimane aveva finito per doversi accontentare solo della sua voce o del suo calore, come quello che stavano condividendo in quell’attimo, stando finalmente vicini.
Il novizio apprezzava soprattutto il modo in cui Shaun non gli facesse affatto pesare la mancanza di affetto e anzi, sembrava compatirlo, aiutandolo, condividendo il peso del fardello di cui si era fatto carico. Per quanto potesse essere bastardo e cinico, l’Inglese non gli rinfacciò mai con battutine sarcastiche un bacio negato o un abbraccio non ricambiato.
Stando lì in silenzio, Shaun non poté che essere grato all’Americano per averlo portato lassù. Era come se bastassero solo pochi metri dal suolo per cancellare tutti i problemi che li assillavano da giorni, logorandoli, dilaniandoli dall’interno in maniera subdola e consumando le loro anime.
Invece nel vuoto della notte, nulla aveva più importanza, nulla li riguardava più. Assassini, Templari, Frutti dell’Eden, Abstergo… nel loro piccolo mondo non c’era spazio per tutto questo. Oh, quanto avrebbero voluto spiccare il volo verso il cielo e lasciarsi tutto alle spalle.

Il cielo era stato benevolo con loro quella sera, regalandogli una mirabile visione: nell’oscurità dello spazio vi era un’esplosione di stelle.
“Guarda,” disse Shaun, puntando il dito verso quella più brillante, “lì c’è la Stella Polare! E si vedono anche il Piccolo e il Grande Carro!”
“Fa vedere!”, rispose l’Americano, buttandosi letteralmente addosso al rosso per vedere meglio dove stesse indicando.
Shaun non poté non sorridere per la reazione dell’altro: era davvero curioso di conoscere le stelle o era una semplice scusa per stuzzicarlo? Non seppe dirlo con certezza, ma se da una parte gli piaceva questo lato del carattere di Desmond, a volte un po’ immaturo, dall’altra non poteva di certo tirarsi indietro nel dimostrare quanto le sue conoscenze non fossero limitate al sol campo del Rinascimento Italiano o della storia in genere.
“Sono proprio davanti a te, hanno la forma di un aratro. Sai, il Grande Carro in latino veniva chiamato Septemtrio, che significa sette buoi, cioè le stelle da cui è formato. Nel Piccolo Carro, invece, la stella all’estremità è proprio la Stella Polare. Sai, osservandolo, si può capire quanto sia terso il cielo. Per farlo, ti basterà accertarti se tutte le stelle della costellazione sono visibili o meno.”
Desmond fece un’esclamazione di stupore. Alla Fattoria non gli avevano mai insegnato cose del genere. Quando Shaun condivideva con lui fatti e curiosità, Desmond avrebbe potuto ascoltarlo per ore perché tutto ciò che gli diceva sembrava imbevuto di un nonsoché di magico e Shaun non si accorse mai di come riuscisse ad incantare il più giovane con facilità, proprio come le Sirene solevano fare con i marinai sventurati.
“E quelle lì, invece”, continuò, spostando il dito verso un’altra parte, “se non sbaglio, dovrebbero essere le Pleiadi. Ogni popolo ha dato loro un nome diverso: nella mitologia greca erano sette sorelle, ninfe delle montagne, invece per i Vichinghi erano le galline di Freyja, la dea dell’amore e della seduzione, per questo l’ammasso viene anche chiamato Chioccetta. Le Pleiadi vennero riconosciute anche dai Celti, dai nativi Americani e in Oriente e se ne parlò molto soprattutto in poesia o nell’esoterismo. C’è anche un altro mito, quello della Pleiade Perduta.”
“Raccontamelo”, lo pregò Desmond affascinato e stringendosi ancora di più all’inglese.
Shaun sorrise, poi tornò a guardare le stelle in cielo, spingendo in su gli occhiali che nel frattempo gli erano scivolati sulla punta del naso. L’Americano ridacchiò perché Shaun era solito fare quel gesto quando era in imbarazzo e non lo voleva dare a vedere.
“Come ti ho detto, secondo i greci le Pleiadi erano sette sorelle, figlie del titano Atlante e della ninfa Pleione. Per proteggerle dal cacciatore Orione, che le inseguiva senza mai raggiungerle, Zeus le portò in cielo. Una delle sorelle, però, si perse: così sorse il mito della pleiade perduta. ”


“E’ incredibile.”, disse il novizio, interrompendo il silenzio.
“Cosa?”
“Come tu faccia a sapere tante cose. Ti invidio molto, Shaun. Insomma, io sono un ragazzo senza arte né parte. Ho speso parte della mia vita a fuggire e rinnegare il passato, cercando di colmare quella voragine insaziabile che mi porto dentro con un’esistenza misera, credendo che fosse la cosa giusta per me. Forse non era il massimo, eppure mi bastava. Mi va bene così, mi ripetevo, fare il barista non era così male, dopotutto. E invece la verità è che ero più che consapevole di non avere alcuna ambizione. Sapevo benissimo di condurre una vita senza senso e insignificante. Però quando calava la sera, preparare cocktails e servire drink diveniva l’unica cosa che avesse davvero importanza. Cercavo di convincermi che fosse quella davvero la mia strada. Ma alla fine, quello che ritenevo importante si è rivelato effimero ed ora, guardandomi le mani, non posso che notare come siano vuote. E poi ci sei tu. L’esatto mio opposto. Hai una conoscenza senza confini, proprio come il cielo sopra di noi, e poi ti applichi con zelo in quello che fai, ci metti tutto te stesso. Credi nel tuo lavoro e lo fai con passione e tutto ciò è fantastico. Anche quando mi parli, quando mi racconti storie… ecco, io riesco ad avvertire la passione che ti brucia dentro e ti inebria a tal punto che tutto il resto scompare. Siamo completamente diversi, ed io senza speranze. Non capisco davvero come tu abbia fatto ad innamorarti di uno scapestrato come me.”

L’Inglese dai capelli rossi tossì e Desmond poté sentire il suo battito cardiaco accelerare di colpo. Shaun non era abituato a semplici complimenti, né poteva aspettarsi una dichiarazione come quella dal ragazzo. Desmond non gli aveva mai parlato così, dedicandogli parole dolci ed esaltando la sua figura a quella maniera e, nonostante Shaun non facesse altro che lavorare duro per ricevere l’altrui approvazione, oltre che per soddisfazione personale, nessuno lo aveva mai elogiato in modo così manifesto e sincero.
Una delle qualità più apprezzabili di Desmond era proprio la sincerità.
Il novizio non era solito aprirsi molto e anzi, dato il difficile passato, con tutto quello che aveva dovuto sopportare, era come se negli anni avesse costruito uno scudo per preservarsi dai pericoli del mondo esterno, per questo le prime volte i due giovani non facevano che litigare e creare inutili polemiche. In seguito, entrambi avevano cominciato a fidarsi l’uno dell’altro e ad aprirsi di più. Così Shaun aveva imparato che Desmond era sì di indole taciturna, ma schietto quando si trattava di esprimere pareri.
E forse, a pensarci bene, era stato proprio questo lato del suo carattere a far innamorare l’Inglese.

“B-Beh”, balbettò Shaun preso dall’imbarazzo, “probabilmente è proprio perché lo sei, ed io sentivo il bisogno di darti una mano. Dopotutto, se non ci fossi io a indicarti la strada, chi lo farebbe? Sai, non ti sono accanto solo per darti il mio affetto e amorevoli coccole.”, concluse guardando altrove ed evitando il suo sguardo.
Ed eccolo di nuovo usare il sarcasmo per nascondere l’agitazione. Peccato che Desmond ormai lo conoscesse bene, avendolo osservato a lungo e avendo memorizzato le sue abitudini, che variavano a seconda dell’umore.
Metterlo alle strette per poi vederlo annaspare nell’agitazione era il massimo: Desmond doveva riconoscere che aveva sviluppato una certa abilità in questo. Inoltre, vederlo in quello stato gli faceva una tenerezza incredibile. La considerava una piccola rivincita personale per tutte le volte che l’Inglese gli rinfacciava la sua bastardaggine gratuita.
Ma no, Desmond non avrebbe rovinato quel momento idilliaco con una battutina e facendo il suo gioco, non in quel momento.
Al contrario, continuò a parlargli proprio come prima.
“Allora devo ritenermi fortunato, perché sei la mia Stella Polare. Con te accanto non mi devo preoccupare di finire fuori rotta, no?”
“Esatto, proprio così.”, rispose Shaun, lasciandosi cadere sul più piccolo, “Se ti dovessi sentire smarrito, ti basterà guardare lassù. Oppure me, senza dover cercare troppo in alto.”
Desmond ridacchiò e gli sembrò davvero strano sentirsi dire quelle parole dall’Inglese, che di solito preferiva esprimere i suoi sentimenti in modi più concreti.
“Quella fascia chiara, invece, è la Via Lattea. Gli antichi Egizi credevano che si trattasse della versione divina del Nilo.”


“Sai, Shaun, vorrei tanto far parte di una di quelle stelle. Sono sicuro che essere un puntino luminoso nel cielo sarebbe la cosa migliore. Lì non ci sono tutte le preoccupazioni di cui siamo soliti affannarci. Lassù nulla ha un senso. Il loro unico scopo è soltanto quello di illuminare i cieli e guidare i marinai. Ed io vorrei tanto trovarmi fra di loro, lontano da tutto e da tutti. Sono così stufo di tutto questo.”, disse il novizio tutto d’un fiato, sentendosi togliere un peso di dosso.

La malinconia stava prendendo di nuovo il sopravvento, Desmond poteva avvertirla, ma non aveva le forze per respingerla e sopprimerla. Tutto d’un tratto, gli sembrò di essere così stanco, stremato e se in quel preciso momento si fosse trovato in un fiume in piena, si sarebbe lasciato spazzare via dalla corrente senza neppure provare ad opporsi.
“Ehi, non dire queste cose,” gli mormorò Shaun visibilmente preoccupato di quel repentino cambio di umore. Non stava forse andando tutto alla perfezione?
“Se tu non fossi qui, ora non saresti ad ammirare quei puntini luminosi che tu dici ed io non avrei motivo di trascorrere la notte sul tetto di una vecchia villa, il cui soffitto è sul procinto di crollare, a gelarmi le chiappe. Nel caso non ti avessi convinto, prova a pensare che non potresti neppure stare accanto al tuo storico preferito, mentre questi ti racconta aneddoti di ogni tipo, col rischio di prendersi un’influenza.”
Desmond non poté che ridere all’ultima affermazione.
“Non ci sarebbero Lucy e i suoi yogurt, e nemmeno Rebecca e la sua fissa per Baby.”, continuò lo storico, “Non ci sarebbero i canti dei grilli che tu senti ora, né le luci pallide che illuminano Monteriggioni di notte. Non ci sarebbe questa antica villa e l’odore delle edere che ora la ricoprono. Non ci sarebbe l’affetto delle persone che ti sono accanto e che ti stanno accompagnando in questa avventura. Non ci sarei io a farti questa ramanzina o frecciatine di alcun tipo, diamine. A dir la verità, lassù non c’è assolutamente niente e credo che sia davvero triste non poter conoscere le cose belle o brutte di questo mondo. Io, piuttosto che essere una stella, preferirei non esistere affatto.”
“S-scusami,” rispose il novizio, visibilmente sorpreso, “Non volevo farti arrabbiare. L’ho detto senza pensarci, e…”
“No, va bene.”, lo rassicurò Shaun scuotendo debolmente il capo, “Quello che voglio dirti Desmond è che… non hai motivo di sentirti solo. Ci sono io, Lucy, Rebecca. So che non ti saresti mai aspettato di essere catapultato in questa avventura, ma sappi che noi stiamo lottando affinché le cose cambino. Non sei costretto a farti carico di tutto, perché ci siamo noi che possiamo darti una mano. Abbiamo scelto di affrontare questa missione tutti assieme, perciò permettici di aiutarti e di condividere il peso che ti ostini a sopportare da solo.”
Desmond annuì, sentendosi terribilmente in colpa.
“Pft, ma sentimi. Non avrei mai pensato di dire cose simili. Miles, smettila di autocommiserarti, mi sento maledettamente in imbarazzo a fare questi discorsi da idiota!”, concluse, massaggiandosi il naso dalla stanchezza.

“Grazie” mormorò Desmond, prima di sporgersi quanto bastava per appoggiare le sue labbra su quelle dell’altro, unendole in un casto bacio. Quando il novizio le separò, Shaun fece scivolare una mano dietro la sua nuca, lasciando che i riccioli neri si infilassero tra le dita, prima di guidarlo nuovamente verso la sua bocca. Le labbra dell’Americano erano così morbide ed invitanti, che Shaun dovette trattenersi dal morderle, come spesso gli capitava di fare involontariamente. Oltretutto, la cicatrice sulla parte sinistra lo attirava come una calamita, anche perché Desmond si rifiutò sempre di raccontargli come se la fosse procurata. Continuarono a baciarsi, intrecciando di tanto in tanto le loro lingue e separandosi il giusto necessario per riprendere piccole quantità d’aria sufficienti per i prossimi baci.
L’ossigeno venne a mancare ancor prima che Shaun potesse discendere al mento per poi tormentare il collo dell’altro, alternando succhiotti e morsi ed entrambi i ragazzi avvertivano un leggero giramento di testa. Quello non era sicuramente il luogo adatto per certe cose.
“Nh- Shaun, credo che dovremmo tornare dentro” bofonchiò appena, avvicinandosi all’altro con le pupille visibilmente dilatate dall’eccitazione e dall’oscurità che li circondava.
“Hai ragione. Comincia a fare davvero freddo qui.” Rispose allontanando il novizio e negandogli l’ultimo bacio. Provò piacere nel vedere l’espressione sofferente dell’altro per tale gesto.
Quindi, tornarono nel punto in cui erano saliti e procedettero a ritroso. Stavolta fu Desmond a scendere per primo così da assicurarsi che Shaun non cadesse.
Nel momento in cui l’Inglese toccò terra, Desmond si avvicinò rapido e gli rubò un altro bacio furtivo, prendendolo per mano e conducendolo all’entrata del Santuario.
Shaun sorrise maliziosamente stando al suo gioco e procedendo con cautela per far spazientire l’altro che oramai non riusciva più a nascondere l’eccitazione ed aveva cominciato a strattonarlo piano.
Scesero le scale in silenzio, per evitare di svegliare le ragazze.

Una volta nel Santuario, dovettero procedere con cautela per evitare di calpestare i fili dell’Animus o di inciampare in qualcosa lungo la via e fare un fracasso assurdo.
“Nel mio sacco a pelo. Così saremo più lontani da Lucy e Becca.” Ordinò Shaun staccando per un attimo le sua labbra da quelle dell’altro, per poi riunirle in un caldo bacio. Nel frattempo, le loro mani non potevano più stare ferme ed avevano preso a vagare, ora cingendo i fianchi, ora infilandosi sotto la maglia, ora cercando di slacciare la cintura, mentre i due si dirigevano silenziosamente al giaciglio dell’Inglese.
Una volta che furono sdraiati sul tessuto morbido, si liberarono in fretta dei loro vestiti come non mai, prima di infilarsi nel sacco a pelo e cercare di farsi spazio.
Quella notte fecero l’amore dopo tanto tempo, e sentire i gemiti trattenuti appena del più giovane era musica per le orecchie di Shaun. Entrambi cercavano di fare il minor rumore possibile, per cui spesso erano costretti a soffocare i versi di piacere baciandosi a lungo; altre volte, Shaun trascinava dei baci a fior di pelle dal collo fino al petto, eccitandosi ancora di più nel vedere Desmond avere dei sussulti ogni qual volta le labbra lo sfioravano. Desmond, da parte sua, non stava di certo immobile: con le mani tracciava il contorno dei pettorali dello storico, oppure si aggrappava alle spalle, ma la cosa che gli veniva più naturale era graffiare la sua schiena, lasciandogli dei solchi rossi sulla sua pelle chiara che sarebbero durati fino al giorno successivo.
Quando i due ragazzi sentirono il climax avvicinarsi, si abbracciarono godendo delle ultime spinte, muovendosi in ritmo, e della frizione dei loro corpi avvinghiati e imperlati di sudore.
In seguito, giacquero privi di forze l’uno accanto all’altro, cercando di recuperare fiato.

Shaun si addormentò per primo, proprio come accadeva ogni volta, per questo era sempre Desmond a vegliare su di lui i minuti successivi. Era in questi momenti che Desmond scopriva nuovi dettagli sulla pelle diafana dell’altro, e non potendo resistere all’idea di sfiorarli delicatamente con un dito, era solito ricoprirlo di carezze quando l’altro non poteva accorgersene.
L’Inglese aveva lentiggini sparse di qua e di là, ed anche piccoli nei che gli decoravano il petto: Desmond li aveva già contati tutti. Poi gli sfiorò il mento, trattenendosi dal riempirlo di baci, col rischio di svegliarlo dal suo meritato sonno. Ad un certo punto, Shaun si voltò, dandogli le spalle e Desmond poté ammirare la schiena chiara come poche volte, grazie alla fioca luce di una lampada lasciata accesa più in là che illuminava quanto bastava per intravedere una miriade di puntini scuri, alternati ai graffi rossi di poco prima.
All’Americano gli parve di rivedere il cielo stellato che avevano ammirato per tutta la notte e, trascinando il dito sulla pelle, disegnò il Piccolo e il Grande Carro. Altri nei, invece, gli ricordavano le Pleiadi, e le contò una ad una, cercando di immaginare quale fosse la sorella perduta a cui si riferiva Shaun. Era quella più  in alto, o forse quella in basso che sembrava la più lontana da tutte?
I segni rossi che gli aveva procurato lui stesso, invece, gli sembravano un’approssimazione di quella che sarebbe dovuta essere una Via Lattea, solo di colore diverso.
Infine, il novizio lo avvolse in un abbraccio, stringendosi a lui e facendo aderire il torso alla schiena pallida dell’Inglese, godendosi quel dolce calduccio che lo stava coccolando pian piano verso un sonno profondo.

Shaun aveva ragione: lui non era affatto solo e non c’era assolutamente bisogno che si comportasse da agnello sacrificale. Ripensando alle parole confortanti dell’Inglese, si sentì felice e più sollevato nel sapere che, dopo tanti anni, c’era qualcuno al suo fianco di cui poteva fidarsi. Per quanto la sua vita potesse essere stata sconvolta in maniera repentina, ora non c’era più tempo per i tentennamenti e le indecisioni: Desmond ce l’avrebbe messa tutta per uscirne vivo da quell’assurda avventura.
Non sarebbe più andato fuori rotta, non avrebbe più perso la strada, non si sarebbe sentito più smarrito, perché c’era Shaun a fargli da faro, traendolo in salvo dalle onde del mare e trascinandolo verso la luce, oppure indicandogli la via nelle notti più buie, brillando nel cielo limpido proprio come la Stella Polare.

Diversamente da quanto si sarebbe aspettato, Desmond sognò, quella notte. Non lo tormentarono né gli incubi, né le visioni di epoche ormai lontane; tutt’al più immaginò di vagare a lungo senza meta e, nel momento in cui stava per cedere e l’oscurità prendere il sopravvento, qualcosa gli toccò la spalla, per attirare la sua attenzione. Voltandosi, Desmond vide i tre ragazzi, Shaun, Lucy e Rebecca che gli tendevano la mano, e le loro figure risplendere di una luce aurea che rischiaravano il buio.
A quella vista, Desmond di sentì rincuorato, avvertendo un calore espandersi in petto. Quella sensazione era dolce ed invitante e il giovane non esitò ad allungare il braccio, per raggiungerli e sentirsi finalmente salvo.
E quando sfiorò il palmo dello storico e le ragazze gli vennero incontro, abbracciandolo sorridenti, Desmond capì di essere come la Pleiade Perduta, ritrovata infine dalle sue sorelle, per ritornare nell’infinita armonia dello spazio.





*°*°*°*
A/N: Questa fanfiction è nata da un'immagine che mi venne una sera, prima di andare a dormire, in cui Desmond accarezza i nei sulla schiena di Shaun pensando che siano stelle. Poi ho cominciato a pensarci su, a sviluppare la storia. Come avrei potuto fare per arrivare alla descrizione di quel momento?, mi chiedevo. La risposta fu quasi ovvia: ambientare la storia durante gli avvenimenti del Brotherhood. Ricordo ancora che, tra una sequenza e l'altra, mi divertivo a scorrazzare per Monteriggioni nei panni di Desmond e una delle cose che mi lasciò senza fiato fu proprio il cielo stellato e il panorama visibile dal tetto della Villa Auditore. Insomma, ed è così che è nata questa one-shot. All'inizio non avrei creduto di raggiungere le 8 pagine di Word. Continuavo a ripetermi che 4 sarebbero state più che sufficienti e invece, come al solito, mi sono fatta prendere la mano, le parole scorrevano e il numero di pagine aumentava.
Infine, sono voluta arrivare fino in fondo non solo per celebrare la mia OTP in assoluto (che la Ubisoft ha mandato in frantumi col finale di ACIII, well done!), ma anche per dare un po' più di spessore a un personaggio che, nonostante fosse stato il main character fin dal primo titolo della saga, non ha mai ricevuto l'importanza che meritava, confinandolo nell'angolo dei "personaggi dimenticati e di cui a nessuno importa nulla".

Detto questo, spero che la storia sia stata di vostro gradimento e se vi va, lasciate pure un commentino :-)
Ringrazio Riza che mi ha fatto da betareader :-*
Melethiel Minastauriel
   
 
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