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Autore: wari    09/11/2013    5 recensioni
Quattro chiacchiere nell'abitacolo di un'autovettura e una promessa non mantenuta.
[Missing moment. Ma se ne faceva anche a meno, scommetto]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Siamo appena dopo il primo romantico (?) rendez-vous con quel bonaccione (?!) di Scar.
Per fortuna sono solo quattro pagine *sviene*



Una definizione di eroe


La pioggia si è fermata ma non è sparita, ne resta traccia nell'umidità, l'aria è come un velo appiccicoso sulla pelle e l'odore di ozono si avverte intenso anche al coperto della stazione di East City.
Il braccio destro – quel che ne resta – fa un male cane, ma comunque meno della faccia: i pugni di Alphonse equivalgono a... Beh, ai pugni metallici di un'armatura di due metri, niente di più e niente di meno.
«Che palle...» bofonchia, tastandosi distratto lo zigomo con l'indice.
«Signore... il suo resto».
Edward solleva lo sguardo e vaga un po' perso sul viso rotondo della donna dietro il vetro. Apre la bocca una volta, prima di individuare il mucchio sparuto di monete che lei gli sta porgendo dalla fessura sul bancone con un'espressione a metà tra dubbio e preoccupazione.
«Ah, sicuro. Grazie» conclude, trovando qualche difficoltà a raccoglierle tutte in un colpo solo assieme ai biglietti. Difatti, cinquecento cens non raggiungono la tasca e rotolano sul pavimento: Ed si ferma a guardarli non senza un certo distacco rassegnato, finché la suola di uno scarpone non cala per bloccarne la corsa con un secco suono metallico, appena prima che una mano scenda a raccoglierli.
«Ti serve un portamonete!» esclama il proprietario di quella mano, gioviale, tirando subito fuori una sorta di calzino informe e rosa che si intuisce ricolmo di spiccioli. «Io ho questo qui! L'ha fatto la mia dolce Eliciaaa... E la sua splendida, splendida mamma ci ha ricamato sopra il mio nome, vedi?» prosegue, praticamente sbattendoglielo in faccia, tanto che del presunto ricamo Ed intravede solo una serie di segnacci che potrebbero tranquillamente essere i punti applicati su un cadavere dopo l'autopsia. «È un capolavoro, sono due artiste!»
«Tenente colonnello Hughes, mi stava mica seguendo?» ribatte, strappandogli di mano i suoi cinquecento cens e contemporaneamente allontanandosi di almeno un paio di passi dalla mole trotterellante e amorevole dell'uomo.
Lui, ancora completamente rapito dall'elogio del suo portamonete brutto-ma-meritevole-d'affezione, si interrompe esibendo un'espressione dubbiosa che dimette non appena il calzino bitorzoluto è tornato al sicuro nella tasca.
«Per niente, ho solo comprato i biglietti del treno. Sistemo le ultime cose col tribunale militare e domani sera torno a Central. Sai...» e assume un tono cospiratorio, abbassandosi per raggiungere l'orecchio di Edward. «Sabato è il compleanno di mia suocera. So che dovrei amarla per aver dato alla luce una persona eccezionale come Glacier, ma... Beh, in ogni caso non posso mancare!» e giù a ridere nel mezzo della stazione, tanto forte da sovrastare l'annuncio del treno in arrivo da New Optain.
Edward lo scruta per un lungo momento, ancora sospettoso, poi scrolla le spalle – e subito dopo soffoca un'imprecazione perché scrollare la destra è una brutta idea. Sbuffa e allunga il passo senza stupirsi quando gli stivali di Hughes lo seguono di gran carriera: gli ci vogliono solo due falcate, per raggiungerlo.
«Sei venuto a piedi?»
«E come, altrimenti?»
«Beh, Scar è ancora in circolazione. Dovresti essere cauto, specie...» e Edward sa che sta ammiccando alla manica vuota e sventolante del suo cappotto rosso. Rotea gli occhi.
«Sì, lo so, senza un braccio sono utile quanto Mustang sotto la pioggia, l'avete già detto!» grugnisce. «Non penso che il pazzo mi attaccherà dopo neanche mezza giornata!»
«Ma potevi chiedere a qualcuno di prendere il biglietto per te. Potevi ordinarlo a qualcuno, a dire il vero».
Edward solleva bellicoso il capo finendo poi a voltarsi di scatto nella direzione opposta, per distogliere in fretta lo sguardo dal mezzo sorriso del Tenente colonnello e fissarlo piuttosto sulla massa informe di pendolari impegnati a filar via dalla stazione in ranghi compatti.
«Volevo... Volevo camminare».
«Capisco. Visto che hai camminato per venire, che ne dici se al ritorno ti do un passaggio? Non vorrai far aspettare troppo Al».
Ed ha il rifiuto già pronto sulla lingua, ma al nome di Alphonse la protesta gli muore in gola ed è tutto quello che serve a Hughes per rapirlo: un minuto prima sono sotto il tetto della stazione, circondati da passanti e brusio, quello successivo il sedere dell'alchimista è collocato sul sedile di una delle auto d'ordinanza e il polso quasi duole lì dove quel mitomane del Tenente colonnello l'ha afferrato per trascinarselo dietro, tra l'altro senza smettere per un momento di elogiare a voce alta la sorprendente abilità manuale con cui la piccola Elicia ha imparato ad avvolgere gli spaghetti da sola alla precoce età di due anni e undici mesi – e che non gli si chieda come diamine sia riuscito ad introdurre l'argomento.
«Schizza salsa ovunque, ma è così adorabile! Dovrei avere anche una foto... Vuoi vederla?» persiste, quando ormai è già al volante.
«Avrebbe senso dirle di no?»
«Eccola, guarda, non è deliziosa? Tutta sporca di sugo, me la mangerei!»
È una risposta adeguata e anche l'unica che si aspettava, così Ed si limita a gridargli di fare attenzione alla strada, giacché con tutto quel frugare nelle tasche stava per perdere il controllo e mettere sotto un'innocua nonnina.
La frenata brusca serve almeno a zittirlo e, quando la vettura riparte, per qualche minuto nell'abitacolo c'è silenzio. Il sole fa ancora fatica a filtrare nella nuvolaglia grigiastra e le ruote schizzano slittando in ogni pozzanghera.
«Sai...» riprende Hughes, il tono più basso e troppo cauto perché quello possa essere l'inizio di un'altra intenerita digressione sulle qualità strabilianti della propria figlia. «Roy mi ha raccontato».
Non serve essere dei geni per capire a cosa si riferisca e, anche se l'idea di fingersi stupido è allettante, Edward rinuncia ancora prima di iniziare.
«Quel bastardo di un Colonnello non si fa mai gli affari suoi, nh?»
Hughes ingrana la terza, tranquillo.
«Per quanto ci capisca poco di alchimia, ammetto di non essere completamente sorpreso. Ho sempre pensato fossi un po' eroico, dietro quella boccaccia piena di parolacce» sorride, poi la voce acquista una sfumatura pericolosa. «Ma non azzardarti mai a dire parolacce davanti ad Elicia. Non voglio pensare a cosa potrebbe succedere se venisse su come una teppista... Non che possa accadere, certo, è troppo...»
«Eroico...?»
Il Tenente colonnello quasi sussulta e l'auto sbanda un po'. Edward non se ne accorge, le orecchie sature di una bolla gonfia che si rifiuta di definire in alcun modo; preme anche contro la gola, quando parla di nuovo.
«Eroico per cosa, di preciso?» ne espelle qualche frammento, contando di suonare più arrabbiato che disperato. «Per aver fatto la cosa più stupida del mondo trascinandomi dietro mio fratello? O per aver rimediato con la oh, brillante! idea di ficcare a forza la sua anima dentro la brutta copia di un corpo vero? Perché se questo è eroismo allora bene, il mondo è un posto più raccapricciante di quanto...»
«Perché ti impegni tanto per riparare» la voce di Hughes si intromette nel monologo furioso con un tono che sembra ancora più pacato per contrasto.
Edward solleva lo sguardo, incredulo, ma l'altro tiene gli occhi sulla strada, impegnato nell'attraversamento di un incrocio. Aspetta che aggiunga qualcosa e, quando non lo fa, è lui ad interrompere di nuovo il silenzio con un mugghio di acuta frustrazione.
«Ah, sicuro. Per quello. Mi daranno una medaglia al tentativo».
«Ce la metti tutta, non è una cosa da poco».
«Sì, invece! Lei, e anche il maggiore Armstrong... Parlate senza sapere di cosa state parlando, come se fosse una gran cosa, quando tutto quello che faccio non è altro che...» il tumulto si placa di colpo, la bolla cede e si sgonfia, depositandosi pesante sul diaframma. «Sono un codardo. Al non c'era più e io... Un braccio? Avrei dato tutto, tutto, per non restare solo. E anche adesso vorrei soltanto... Non c'è niente di eroico in questo, in me» conclude, e a conferma di quella tanto radicata codardia, non ha il coraggio di alzare gli occhi più su del livello del cruscotto. L'imbarazzo per aver detto tanto a qualcuno che c'entra così poco, poi, gli rimesta lo stomaco di bile torbida.
«Hai avuto paura» commenta la voce pacatissima di Hughes, e per un attimo acquista il confortante sapore di una giusta sentenza dall'alto. È spaventoso, ma anche vagamente espiatorio. «Tutti la hanno, è umano».
«Umano, dice?» lo stomaco si oppone fieramente al resto del corpo, torcendosi. «Grandioso. Io sarò pure umano, ma resta che mio fratello è un'armatura. Non può dormire, mangiare, non può toccare e... Non è disumano, la parola giusta per questo?».
L'automobile si ferma al lato della strada; più in là, sul marciapiede, lo stemma dell'esercito all'ingresso di un palazzone annuncia che hanno raggiunto la caserma, ma Edward non accenna a muoversi né Hughes lo invita a farlo.
Sorprendentemente – o forse non troppo, considerato che si tratta di Hughes –, sorride.
«Te l'ho detto, io di alchimia non capisco niente. A parte la religione che mi hanno fatto mangiare in età prescolare, l'anima non so proprio... È una cosa che non riesco neanche a immaginare» scuote un po' il capo, come a scacciare una mosca. «Eppure, non riesco a pensare a tuo fratello come a qualcosa di diverso da “umano”, persino dopo aver aiutato a mettere la sua armatura vuota in uno scatolone!» strabuzza un po' gli occhi dietro le lenti e china il capo per guardare in viso l'interlocutore. «E lo sai perché, Ed?» domanda, aspettando con calma che lui gli mostri almeno una porzione di sopracciglia. «Perché neanche per un secondo ti ho visto trattarlo in altro modo. Per quanto fosse, beh, bizzarro e chiaramente strampalato che tu presentassi un'armatura alta due metri come il tuo fratellino di undici anni, qualsiasi dubbio sulla verità di quella storia passava dopo soli cinque minuti di conoscenza. Sembrava strano, sì, ma vero».
«Quello... Credo sia merito di Al».
Hughes scoppia a ridere e gli batte fiducioso una mano sulla spalla.
«Beh, sì, Al è veramente straordinario! Siete tipi strani, voi due fratelli. E, Ed... In fondo cos'è un eroe se non uno che ce la mette tutta? Qualcuno che si impegna nel fare cose che gli altri non riuscirebbero neanche a pensare di fare?»
Stavolta Edward lo guarda, l'espressione allibita, e il Tenente colonnello gli ghigna dritto in faccia, dislocandogli i poveri resti della spalla monca col suo entusiasmo.
«Anzi, saresti proprio un buon eroe da romanzo... No, okay, considerato il tuo caratteraccio, i vestiti assurdi e la tua statura...»
«Che cos'avrebbe che non va la mia statu...!»
«Un eroe dei fumetti, ecco! Io lo leggerei. E se censurassero le parolacce lo farei leggere anche ad Elicia!»
Edward vorrebbe replicare, dire qualcosa, davvero. Apre la bocca, poi la richiude e scuote la testa. Le dita sono già sulla maniglia, ma la portiera è ancora chiusa: la apre per lasciar entrare lo sprazzo di sole che comincia a screziare la strada scivolando tra i rigagnoli lasciati dalla pioggia.
«E lei cosa sarebbe in questo fumetto, Tenente colonnello?» domanda, cercando di liberare anche i polmoni dall'aria pesante con uno sbuffo divertito. «La spalla comica? O il solito personaggio superbuono fissato con giustizia e verità?»
Non è una sorpresa, quando la faccia dell'ufficiale si fa pensosa, come stesse seriamente ponderando la questione.
«Me ne guardo bene! Quel genere di personaggi fanno sempre una brutta fine» lo congeda sventolando una mano tra le risa nonostante il sopracciglio sollevato di Ed. «Non preoccuparti, fagiolino! Roy me lo diceva sempre, quando ricevevo lettere di Glacier al fronte: in guerra, quelli che hanno una ragazza da cui tornare muoiono sempre... Eppure mi pare d'essere ancora qua, no?»
«Ma sì. Dopotutto, se le sparassero, avrebbe sette metri di fotografie a farle da giubbotto antiproiettile» concorda lui, limitandosi solo ad un muggito offeso per quell'incauto “fagiolino”. Sospira e scende dall'auto; l'assenza del braccio lo sbilancia un po', ma a parte un piede dritto in una pozzanghera non ci sono conseguenze. Resta per un momento con la mano sulla portiera, indeciso, prima di schiarirsi la voce. «Grazie» conclude, facendo per chiudere.
«Figurati, ero di strada».
«Sì... Anche per il passaggio».
Il Tenente colonnello sgrana gli occhi, ma subito dopo annuisce e ricambia quel saluto un po' impacciato e asimmetrico fatto con la sinistra. Il motore è stato riacceso e la treccia di Ed ha già fatto mezzo giro, quando l'auto si ferma di nuovo e la testa di Hughes sporge dal finestrino.
«Ehi, Ed!» chiama, la voce sempre troppo alta. Aspetta che lui si volti, perplesso, poi sorride. «Vorrei vedere una foto di Al, una volta. Scommetto che ti somiglia».
La mascella di Edward scivola giù, semiaperta, ma la reazione seguente è solo di accettazione: è Hughes, non c'è niente di strano in uno Hughes fissato con le foto. C'è poco che sia altrettanto confortante, in un certo senso.
Lo stivale sinistro affonda ancora in una pozzanghera, svuotandola con uno schizzo secco.
«Faccio di meglio, glielo porto tutto intero non appena avrà riavuto il suo vecchio corpo!»
Lui annuisce con solennità, come si conviene ad una promessa tra veri uomini, poi la testa sparisce nell'abitacolo, sostituita da una mano levata.
Edward si prende qualche momento per guardare la vettura filare via, il tettuccio umido una macchia di sole sotto raggi sempre più luminosi. Quando volta le spalle, ci vuole il doppio dell'energia per tirare su il piede zuppo: la strada davanti a lui è una distesa di fanghiglia, le pozze d'acqua sono lucenti  chiazze di mercurio tra argini mollicci.
Un passo dopo l'altro, la percorre senza voltarsi indietro.




Nda
Sono di umore umido, mi escono cose umide. E un po' flaccide, anche. Bleah.
Orbene, quello che chiamiamo “odore di pioggia” è in realtà ozono (O3): si forma durante i temporali a partire dall'ossigeno (O2), i cui legami si spezzano a causa dell'elettricità. Ovviamente è una riduzione semplicistica (c'entrano anche azoto, geosmina e altre cento cose che non so) e un chimico mi tirerebbe un becco Bunsen nell'occhio, ma l'idea di fondo dovrebbe essere più o meno questa.
Invece non so quante marce avessero le auto intorno al 1915... Ho cercato ma non ho trovato. Insomma, hanno arti meccanici futuristici, ce l'avranno una dannata terza, dovrebbero avere anche quinta e sesta! (E non parlo delle tettone di Lust, benché certa che siano un ottimo argomento ùù)


Personaggi e luoghi appartengono ad Hiromu Arakawa, di mio solo l'umidità *etchù!*


  
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