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Autore: cerconicknamesugoogle    18/11/2013    1 recensioni
Dal testo (perché da sola non riuscirò mai a fare un'introduzione accettabile):
Sfoglia il fascicolo svogliatamente, inghiottendo il mare di dati stampati sopra. La carta bianca scivola fra le sue dita, lui, l'uomo, deve lottare per girare pagina. Non sa perchè, quando gli viene commissionato un lavoro, i suoi clienti credano di dovergli certe informazioni inutili. Rallentano solo il processo. Non che importi. Finchè si ricordano di pagare profumatamente, lui può bersi qualsiasi stronzata. Sospira, alzandosi in piedi. Sui fogli c'è scritto che Barnes sarà a New York per un meeting con le altre aziende fino alla fine della settimana. Deve trovare un volo che da Las Vegas lo porti dall'altro capo dell'America, entro stanotte.
ATTENZIONE: il testo presenta scene crude, cruenti , non è consigliabile per gli stomaci deboli.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Pillole blu
Se si ha paura di qualcuno, lo si odia, ma non si può fare a meno di pensarci. Ci si persuade che non c'è niente da temere e poi quando lo si rivede... È come l'asma, che non lascia respirare. Ti dirò una cosa: ti odia anche te
Il signore delle mosche.


Di cognome fa Barnes, è un riccone da multinazionale americana.
Ha trentacinque anni di vita. Venti di crescita, quindici di merda travestita da smoking. Ha una moglie incinta di sette mesi ed un cane, un labrador retriver, che si chiama Donald. Primo della classe alle medie, sette fisso alle superiori e di nuovo primo della classe all'università. Parteggiava per Romney alle scorse elezioni.
Oh, toh, è uno schifoso repubblicano.
Sfoglia il fascicolo svogliatamente, inghiottendo il mare di dati stampati sopra. La carta bianca scivola fra le sue dita, lui, l'uomo, deve lottare per girare pagina. Non sa perchè, quando gli viene commissionato un lavoro, i suoi clienti credano di dovergli certe informazioni inutili. Rallentano solo il processo. Non che importi. Finchè si ricordano di pagare profumatamente, lui può bersi qualsiasi stronzata. Sospira, alzandosi in piedi. Sui fogli c'è scritto che Barnes sarà a New York per un meeting con le altre aziende fino alla fine della settimana. Deve trovare un volo che da Las Vegas lo porti dall'altro capo dell'America, entro stanotte.
 
L'aereo atterra con cinque minuti d'anticipo.
I passeggeri si alzano immediatamente, lottando cortesemente fra loro per essere fra i primi a scendere. È una guerriglia fine, fatta di spinte impercettibili e sguardi duri. Sorrisi finti e movimenti spazientiti.
Lui, ancora seduto, li guarda e vede altro. Vede la signora grassa sollevare una delle sue borsette firmate. La vede brandire il nuovo modello di D&G contro la mamma del bambino piccolo, quella peste. Le vede cominciare a lottare, coinvolgere i rispettivi mariti.
Si stanno picchiando, adesso, per decidere chi scenderà per primo. Chi prevarrà sull’altro. Anche gli altri passeggeri lottano. Uno contro l'altro, in una piccola grande orgia d’addio. C'è sangue, il rumore di ossa rotte, le urla di rabbia. Ecco, il galantuomo sta stuprando la gnocca con cui ha flirtato per tutto il viaggio. Ecco, i due signori in giacca e cravatta stanno picchiando la bambina di dieci anni che ha passato il tempo a piangere.
Ecco, c'è un morto.
Ecco, ce ne è un altro.
Un battito di ciglia, non v’è più nulla di tutto questo. Ci sono solo i falsi sorrisi e gli sguardi duri.
Oh, c’è anche una borsa di D&G stretta possessivamente da grasse mani.
Si, è proprio atterrato a New York.
 
Prenota una stanza in un hotel di Manhattan. Abbastanza grande da far si che, per il personale ed i clienti, il suo sia uno dei tanti volti. Abbastanza piccolo da non catturare l’attenzione. La ragazza alle reception sorride, mettendo in mostra una schiera di denti gialli, marci, mentre gli consegna le chiavi. S'è truccata decisamente troppo ma, con tutto quel mascara, sembra una diva. Peccato per i denti, elementi stonanti di un quadro perfetto. La ringrazia e Non guardarle le tette s’ammonisce. Non serve a niente, perché in un battito di ciglia le iridi si sono spostate velocemente sulla sua quarta di seno. Corrono di nuovo ai denti marci, veloci, per non essere scoperti. Forse è tardi, comunque, perché lei sembra improvvisamente infastidita.
Lui porta personalmente il suo zaino fino alla camera, lasciando all'inserviente messicano la borsa a mano. Il suo nome è Tom, così l’ha chiamato un suo collega. Magari, prima di andarsene da lì, potrebbe farci due chiacchiere. Magari sa qualcosa dei confini, magari ha qualche esperienza di immigrazione clandestina. Magari ha qualcosa da raccontare. All’uomo è sempre interessata, la situazione col Messico. Uno di quei problemi terribilmente difficili da risolvere.
C’è stato un tempo in cui, nella cucina perfetta di una casa perfetta, ne discuteva con un’anima candida.
Sale le scale velocemente, di gran passo s'avvia alla porta numero centoventisette. È una stanza piccola, con bagno annesso. Pareti spoglie da quadri, completamente bianche. Così anonima da far venire il voltastomaco. Lascia il suo zaino in fondo all'armadio a parete, di fronte al letto. Sta per chiudere le ante, si accorge che lo zaino non è d'accordo. Lo zaino non vuole rimanere al chiuso. Si fissano. Per sicurezza, l’uomo chiude a chiave anche l'armadio.
 
Barnes alloggia in un Hotel a cinque stelle, uno di quelli coi cessi d’oro, assieme agli altri partecipanti del meeting. Gli è stata riservata una suite al quinto piano, dotata di un proprio sistema di sicurezza. Tutto, in quella struttura, trasuda sistemi di sicurezza.
Poco male pensa lui, passeggiando disinvolto Vorrà dire che dovrò usarne più del solito.
 
Passano due giorni. Barnes esce raramente, probabilmente è immerso nei suoi doveri di rappresentate. Non che importi: non contava certo di finire il lavoro all'aria aperta. Lascia passare un buon lasso di tempo, abbastanza da essere sicuro su ciò che andrà a fare.
Decide di agire, la terza notte.
Alle dieci di sera si stende nella sua stanza. La schiena appoggiata alla testiera del letto, le spalle dritte. Socchiude gli occhi, sospirando profondamente.
Ehi Uomo, hai paura?
Eh, Uomo? Eh?
Hai paura, hai paura?
Adesso deve cominciare.
Gira lo sguardo alla sua destra, sapendo perfettamente cosa troverà. La porta dell’inferno. Un' anonima scatoletta di metallo ricambia il suo sguardo, beffarda, sfidandolo a chiedere come sia arrivata proprio lì, in quella stanza, su quel comodino.
Povero stupido. Sembra dire. Forse dice. È sempre difficile capirlo.
Non lo sai? Continua, facendosi beffe dell'Uomo. Non lo sai che io tornerò sempre?
Lui non risponde, si limita a sollevarla dal comodino ed a portarsela sulle ginocchia. Rabbrividisce, è gelida. Sente i polpastrelli delle mani ghiacciati. Tutto il suo corpo, ora, è ad una temperatura sgradevolmente bassa. È freddo come un cadavere.
Solleva il coperchio della scatola, cercando inutilmente d'ignorare queste sensazioni.
Sotto il suo sguardo, una dozzina di aborti blu ridono.
Vuoi giocare con noi? Sono feti morti, cadaveri in putrefazione. Dai, gioca con noi. Sono giocolieri beffardi, infidi piromani di vite. Gioca con noi. Sono bambini pazzi, bambini urlanti, bambini piangenti. Gioca, ti prego. Corpi adulti accatastati fra loro, massa indistinta di carne, prede dell'orgasmo del peccato. Oh si, dai, gioca. Sono le sue colpe, sono i suoi incubi. Tornano a visitarlo, sempre, prima che le sue mani si sporchino. Piccole pillole blu, commissionate per lui direttamente dall'Inferno.
Ne prende una, la inghiotte, chiude gli occhi. Bravo, bravo! Gioca, gioca!
Prima di accorgersene, dorme.

Una presenza, fili di aria fredda, spazio nero.
- Quanto?- Una voce, una voce cattiva.
- Almeno due ore- è lui, l'uomo sta parlando.
Una risata, una risata cattiva.
- Attento Uomo, così esageri.
Poi il nulla, un nulla cattivo.
 
Dio, se ci sei, ti prego, ti supplico. Aiutami.
 
Due giorni dopo.
Ha incassato la somma del lavoro due ore fa, ora cammina con la busta dei contanti stretta in tasca. Non è una cosa furba, girare per New York con cento dollari nella giacca, ma lui sa bene di essere più sveglio di un qualsiasi ipotetico ladro. Non li perderà.
O forse sai che, nella posizione in cui sei, nessuno può pensare di torcerti un capello.
In realtà, la cifra per il suo lavoro era di seicento dollari. Tutti quanti sono stati consegnati puntualmente dal cliente, un altro tifoso di Romney, in una zona di Brooklyn. Subito dopo, però, l'uomo ha spedito parte del suo guadagno ad un indirizzo in Messico, tramite operazioni bancarie opportunamente sicure.
Arrivato all'Hotel, saluta con un cenno la ragazza della reception che sta scopando col il tipo delle pulizie. Lui le penetra seccamente le cosce e lei, nell’atto di gemere, spalanca la bocca mostrando i denti gialli. È ripugnante, così tanto da sapere di erroneo. L’uomo guarda meglio. No, no, i due stanno solo conversando. Si gira dall’altra parte, tranquillizzato. Va in stanza. Sono le dieci di sera, vuole dormire.
Appena chiude gli occhi, disteso nudo sul letto, è costretto a riaprirli.
Mi ero dimenticato, di quello che succede dopo un lavoro.
C'è sangue, sotto le sue palpebre.
C'è un urlo strozzato, di preda vinta.
C'è una testa staccata dal corpo, un braccio a penzoloni sopra al frigorifero. Un occhio nel portacenere sopra al tavolino di vetro, una lingua nel forno aperto.
C'è una gamba, sporca di sangue, bianca, schifosa. È nel portaombrelli all'ingresso.
E ci sono le interiora, sparse sul tappeto bianco davanti alla tv. L'intestino crasso siede sul divano e guarda un reality show scadente. Conversa amichevolmente con il fegato, sulla poltrona, perchè entrambi tifano per la stessa persona nel programma. I polmoni amoreggiano con il cuore, nascosti sotto ad una coperta di pelle scuoiata.
Ci sono le grida. C'è un urlo silenzioso, una richiesta d'aiuto che aleggia fra le stanze di quella suite.
Evidentemente, Dio non l'ha sentita.
L'Uomo lascia che, ad occhi chiusi, queste immagini invadano la sua mente.
Passerà si dice, nel momento stesso in cui, girandosi su un fianco, vomita sul pavimento. Passerà, come sempre. Si ripete. È l’unico mantra che lo tenga ancora saldo nei suoi doveri.
Si sistema più comodamente sul letto, lasciando al materasso il compito di cullare il suo corpo stanco. Chiude gli occhi, non vi è più nulla sotto alle palpebre.

Un sottile filo d’aria, ore dopo, lo riscuote dal sonno. Apre gli occhi, nel mezzo della notte. Guarda la stanza. C’è qualcosa che non va, lo sente. Accende la luce, in un pietoso impeto di paura.
No
Spalanca le labbra, dà aria ai polmoni. Vorrebbe urlare, ma scopre di non aver più voce per farlo.
No
Davanti a lui, fiero, torreggia un cadavere scuoiato, mutilato.
No
Barnes lo guarda con l'unico occhio rimastogli. Un sorriso gli si dipinge lì, sulle labbra. Non ha la lingua, ma parla lo stesso.
-Umano, è arrivato anche il tuo momento.-
Non è la voce di Barnes. Non è nemmeno umana. È la voce di lui. Del demone.
- è troppo presto! -
Grida, l'uomo. La voce gli è tornata.
- Ti prego, è troppo presto! Dammi ancora un po' di tempo. Ancora un po'!-
Barnes, il Demone, ride. Ride davanti alla parte che, di tutte le scene di quel circo degli orrori, preferisce. Un tonfo sordo si fa sentire, alle sue spalle. Il corpo si sposta, lascia che lui, l’uomo, possa vedere cosa stia succedendo.
No
Lo zaino, dev'essere lo zaino.
Si, è lui che sta cercando di sfondare, dall'interno, le ante dell'armadio. È lui che si abbatte prepotentemente su di esse. È lui che, a momenti, ne uscirà vittorioso.
L'uomo salta in piedi. Non importa se è nudo, non ci pensa. Si fionda verso la porta della camera, cerca di forzare la maniglia. Le sue mani scivolano sudate sul metallo freddo, perdendo la presa. Inutile, la porta è chiusa.  
SBAM
Lo zaino, lo zaino è uscito. Lo zaino è aperto, da lui fanno capolino gli oggetti rubati alle persone che l'uomo ha ucciso. Ci sono fotografie, collane, portachiavi. Inutili pezzi di vite spente, andate. Sparsi sul pavimento, un attimo dopo, non sono più fotografie-collane-portachiavi.
All'improvviso, sono carne. Carne umana, viva, pulsante. Sono un ammasso indistinto di ossa e sangue, unito da articolazioni, muscoli. Sono un animale a quattro zampe. Sono Donald, il cane di Barnes. No, il corpo è di Donald, la testa è della moglie. La moglie incinta di Barnes.
Lui indietreggia contro al muro, verso il comodino. Ha freddo, ha paura. Vuole urlare, non ha più voce per farlo. Può solo pregare, supplicare.
- Ti prego- Singhiozza - Ti prego-
Cane-moglie non ascolta. Avanza, si ferma, è scosso. Apre le gambe, grida, spinge. Sta partorendo. Fa nascere un figlio. Un figlio morto, un aborto blu.
È grande come una pillola e piange e ride e vuoi giocare con me?
Lui indietreggia ancora, sbatte contro il comodino e, alla cieca, cerca su di esso qualcosa, qualunque cosa, che possa proteggerlo. Trema, quando fra le sue mani compare la scatola di metallo.
No
Si gira, guarda la scatola sul comodino.
No
Questa si spalanca. Gli aborti blu lo stanno deridendo, gli uni sugli altri, come si ride di un clown al circo. L’uomo fa un passo indietro, è troppo tardi, l'hanno afferrato. Vieni a giocare dicono, trascinandolo giù, verso di loro. Verso la scatola. Lui apre la bocca, urla, non ha voce.
Dalle labbra di Barnes esce la prima risata, e lui ha le braccia nella scatola.
Il cane-madre ride, e lui ha il busto nella scatola.
No

Un attimo dopo non v'è più nulla, nella stanza. Il cane-madre muore a terra e la scatola di metallo si richiude. Ora v’è silenzio. Lo spettacolo s’è concluso. Il sipario è calato. Barnes, a passi lenti, s'avvicina al comodino. Apre la scatola e guarda le pillole blu, innocue come dovrebbero essere. Ce ne è una in più, lo sa. Solo, ormai è uguale alle altre.
Non può più essere distinta.
Umano, ricordi? Hai accettato che io prendessi il tuo corpo ed uccidessi al posto tuo. Brutti sono i giorni in cui uomini buoni vengono a patti con me. Ora, però, devi pagare. Come mi hai promesso.
 
 
Caro Bill.
Come stai, amore mio? Non riceviamo tue notizie da settimane, cominciamo a preoccuparci. L’ultima tua e-mail risale agli inizi di ottobre, ti rendi conto? Fatti sentire, per l’amor del cielo. Qui va tutto bene.
I soldi che ci mandi regolarmente arrivano. Giusto ieri sono giunti i cinquecento dollari. Ne mancano millecento, perché Lisa cominci la cura. Chiede sempre di te, sai? L’altro giorno ti ha fatto un ritratto e lo ha appeso al muro. Con i pastelli a cera l’ha intitolato: “il mio papà”. Non fa altro che chiedermi dove tu sia. Tutti me lo chiedono.
Bob passa di qui spesso. Sei il suo migliore amico, scrivi anche a lui ogni tanto, va bene? Oh, e chiama tua madre e tuo padre. Sai che non li sopporto, ma vederli così preoccupati è comunque una brutta cosa.
Dove sei? Sai che non dubito di te, sai che ti amo. Ma con questa crisi, dove li ottieni questi soldi? Spero che tu non ti sia calato in qualche brutto affare. Lo spero davvero, per noi. Dio, sono tua moglie e non so dove tu sia. Questa situazione comincia a preoccuparmi seriamente.
Ma lo so, lo so che lo fai solo per nostra figlia. Non potrò mai ringraziarti abbastanza, per questo.
Sei il migliore dei padri.
Ti amo, aspetto con ansia il tuo ritorno a casa.
Tua moglie, Anita.
 
Angolo Wani:
Io non sono sadica. Non amo lo splatter, Final Destination sarà sempre un film orribile colmo di scene per le quali mi nascondo dietro ad un cuscino urlando “nonvedononsentononsonulladiquellochesuccede”. Quindi, se un lettore a caso, passato per sbaglio di qui, si stia chiedendo da quale mente psicotica sia uscita questa cosa… Non guardate me. Cioè, si, l’ho scritta io. Ma è stato un buttare su un foglio una sequenza di scene, per poi tentare invano di trovarvi un significato. Il messaggio alla “aha! Vi ho fregato, questa storia ha una morale” c’è. Ma non so quanto possa essere intuibile e, se non lo è, vuol dire semplicemente che ho fatto un pessimo lavoro. Perdonatemi, non sono un’ esperta di originali. Detto questo, qualcuno, anima sperduta a caso, mi dica qualcosa di ciò che ho scritto. Qualsiasi cosa. Insultatemi, tiratemi i pomodori, sfondate il pc ma, per favore, qualcuno mi faccia capire cosa diamine ho scritto. Ha senso? Si, no..? Aiuto!
Grazie a chiunque l’abbia anche solo retta. Perché si, TU, proprio TU, lettore del giorno, hai avuto un coraggio degno di un qualsiasi eroe fantastico di qualsiasi librofilmmanga ( si, insomma, s’è capito ) ad arrivare fino a qui!
Ora ho filosofia da studiare ed un padre che pressa alle costole perché “se domani prendi un brutto voto non ti faccio andare al concerto” e roba così. Quindi, ringraziando TE, si, proprio TE, direi che posso ritirarmi.
Wani

 

 
  
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