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Autore: Mikayla    28/04/2008    2 recensioni
Gli angeli ti cambiano la vita.
Scendono dal cielo, planando con le delicate ali e ti scombussolano la vita.
Da loro non sai mai cosa aspettarti; ma qualunque cosa sia sarà straordinaria. ***
Terza classificata ex equo al contesto Anima&Arte indetto da Rowina e Zia Esmy.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Endless, Marble Love.

Un uomo sui trent’anni sedeva al bancone del bar affollato. Teneva il collo incassato nelle spalle, la testa abbandonata tra le mani malferme, lo sguardo fisso sul bicchiere di liquore ambrato che gli sostava davanti. Era ubriaco.
Lo vuotò in un sorso e s’alzò, traballando leggermente. « Merda » imprecò a voce bassa rendendosi conto che le gambe non lo volevano reggere.
« Ehi, vedi di tornare a casa vivo, amico! » gli gridò dietro il barista, mentre lui usciva dal bar appestato dal fumo. Aveva mal di testa ed era irritato: la sete non era passata, non aveva annegato completamente la mente. Odiava reggere l’alcool dato che dopo era comunque in grado di ragionare; voleva semplicemente spegnere il cervello.
Una volta per tutte.
Si voltò quando sentì il cigolio della porta dietro sé e la musica punk tornare a rimbombargli nelle orecchie. Incontrò un paio d’occhi celesti.
Quel tizio lo stava squadrando.
Lo ignorò e caracollò per il viottolo fino a sbucare sull’argine del canale. Guardò l’acqua verdastra che rifletteva il suo viso deformato dalla sinistra luce aranciata del lampione. Infine si girò nuovamente, rischiando di farsi un bagno per la repentinità del movimento. « Non ho quei gusti » esordì strascicando ogni parola, cosicché l’altro non capì l’affermazione.
Aggrottò le sopracciglia e le sue labbra finissime si piegarono all’ingiù « Scusa, non ho capito ». Fece un passo avanti, vedendo l’ubriaco sbilanciato indietro. Sarebbe caduto in acqua nel giro di pochi secondi, e difficilmente ne sarebbe riemerso.
Quello però recuperò l’equilibrio. Scrollò il capo e puntò il dito verso l’inseguitore. L’aveva già notato, nel bar, perché a prima vista l’aveva scambiato per una donna. Aveva dei capelli biondissimi, quasi bianchi, legati in una treccia che teneva poggiata sulla spalla destra, gli occhi celesti sembravano frammenti di cielo, la pelle era d’alabastro. Era minuto e vestito con jeans blu e una camicetta verde smeraldo con i primi bottoni slacciati; ed era glabro, completamente.
L’aveva visto fissarlo a lungo quella sera, ma dopo il terzo bicchiere di whisky non ci aveva più fatto caso. Fino ad allora.
« Io sono Jioiel » si presentò l’inseguitore, capito che l’altro non intendeva ripetersi. « Tu sei William - Will - Harckens? »
Aveva una voce molto dolce, quasi infantile, oltre ad avere uno strano nome. Ma come diavolo faceva a sapere come si chiamava lui? L’aveva forse detto a voce alta in bar?
« Non ho quelle tendenze, Jioiel » rispose burbero William, cercando di scandire meglio le parole. Il ragazzo - cazzo, doveva avere sì e no diciotto anni! - o non lo sentì o era proprio duro di comprendonio.
« Io non– » cominciò quello, venendo però interrotto da un gesto della mano di William. Si stava irritando a starsene lì, malfermo sulle gambe, a parlare con una checca che faceva la gnorri. Non aveva tempo da sprecare, lui.
William grugnì quello che sarebbe dovuto sembrare un commiato e riprese il proprio cammino. Un attimo dopo mise il piede in fallo e la mano di Jioiel, tiepida e morbida come quella di un bambino, lo afferrò per il braccio impedendogli la caduta.
L’uomo, shockato, si trovò col volto premuto sul petto rilassato di Jioiel. Un intenso profumo di forsythia gli inebriò i sensi, ottenebrandogli la mente. Quella semplice essenza riuscì dove l’amico alcool aveva fallito.

« Ehi, va un po’ meglio? Prendi questo ».
William si guardò attorno, attonito. La vista era offuscata e ci mise un poco per capire che era a casa sua. Non si chiese come avessero fatto ad arrivarci, né perché fosse in pigiama, disteso a letto. Sorbì l’amarognola bevanda che Jioiel gli aveva rifilato con gentile irruenza.
La riuscì a finire tutta prima d’accorgersi che l’amaro che sentiva non era dovuto all’intruglio ma al sapore di vomito che aveva ancora in gola. William non ricordava cosa diamine era successo, era solo cosciente del fatto che lo stomaco protestava vivacemente e minacciava di cambiare sede.
Prese una boccata d’aria e poi si chinò d’un lato per rigettare la bevanda appena datagli.
« È la quinta volta che pulisco » lo rimproverò Jioiel con un tono più gioviale che contrito « Vuoi smetterla di rimettere sul tappeto?! »
Il padrone di casa si pulì la bocca sulla manica e ficcò gli occhi in quelli dell’ospite. Fece l’espressione più scorbutica, seccata, odiosa che riuscì e attese che parlasse. Quello però si limitò a prendere un fazzolettino e a pulirgli un baffo sulla guancia destra. Sostenne lo sguardo tranquillamente, quasi avesse davanti un dolce gattino e non una tigre inferocita.
Irritato si mise diritto col busto « Si può sapere chi sei e perché mi conosci? » domandò perentorio. Si guardò un attimo attorno « Diavolo, e come abbiamo fatto ad arrivare a casa mia? »
Jioiel alzò le spalle noncurante « Il Diavolo non c’entra, te lo garantisco » rispose con voce greve. Se solo quegli occhi non fossero stati così trasparenti da far platealmente vedere quanto fosse serio, William sarebbe scoppiato a ridergli in faccia.
Il ragazzo - ma poi, era davvero un ragazzo? William non ne era più tanto sicuro - scosse il capo facendo oscillare la lunga treccia « Sono un Angelo, posso giurarlo e dimostrarlo. E, per rispondere alle tue domande: sono Jioiel, ti conosco perché mi sei stato affidato e quindi, dovendo sapere tutto il necessario su te, conosco l’ubicazione della tua casa ».
William si posò una mano sulla fronte, chiuse ed aprì gli occhi un paio di volte. Scoppiò a ridere. « Dunque tu saresti cosa? Il mio Angelo? Credi che sia nato ieri? »
L’Angelo arricciò il naso in una buffa smorfia « Non sono il tuo Angelo, non m’offendere, eh! Sono stato inviato da Dio, compio il Suo volere! Mi chiedo cos’ho fatto di male per trovarmi a farti da balia. Comunque guarda che lo so, che non sei nato ieri! Nascesti trent’anni, sei mesi, dodici giorni e otto ore fa. No, aspetta, sette ore: dimentico sempre il fuso orario ».
L’uomo rimase senza parole. Benché annebbiato dal dolore fece un rapido conto di quando era nato e sbiancò. Jioiel sapeva. Sapeva tutto, era l’unica spiegazione.
William inghiottì a vuoto, aveva la gola irritata e secca. L’ospite lo lasciò lì, portando via il tappeto sporco. Tornò un minuto dopo con un panno bagnato e un bicchiere d’acqua. Gli porse nel silenzio più assoluto la bevanda e si mise a pulire il pavimento.
L’Angelo era più che consapevole dello shock che si provava venendo a contatto con lui. Dio doveva avere proprio grandi progetti per l’uomo che lo stava fissando insistentemente, per mandare lui a salvarlo. Di solito era Rachel ad occuparsi di quelle cose.
« Ti senti meglio? » la voce cristallina dell’Angelo raggiunse William riscuotendolo dai suoi pensieri. C’era un lieve tono di preoccupazione ad incrinare quelle limpide note.
Lui annuì piano, cercando di contenere l’emicrania. « Meglio, grazie » asserì dopo poco. Avrebbe voluto fargli - o farle? Sembrava sempre di più una donna - qualche domanda, ma temeva le risposte: lui era un agnostico convinto.
Jioiel si alzò da terra e sorrise. Il profumo di forsythia lo avvolse nuovamente, ma questa volta non perse i sensi. Ad ogni modo fu come in un sogno, che l’Angelo prese posto sul materasso, accanto a lui.
« Ti leggo nel pensiero » proclamò semplicemente. William pensò che quella fosse la soluzione al problema. « Però non mi è concesso dar voce ai tuoi dubbi: risponderò solo a domande espresse. Così è la regola ».
Fu come se l’uomo fosse stato buttato in un mare gelato. Odiava queste cose, andavano contro ogni logica.
« Non hai alternativa: se non parli agirò di conseguenza. Fingerò di non sapere ». William inspirò profondamente e decise di assecondare la situazione.
« Perché sei qui? » fu il primo quesito. Eppure non era quello che più gli premeva sapere: mentre stava parlando aveva pensato ‘Sei un uomo o una donna?’.
Il sorriso di Jioiel s’incrinò « Per impedirti il suicidio ».

Per ore William pose domande su domande, mentre Jioiel rispondeva diligentemente a tutto. Non gli nascondeva nulla: aveva svelato senza alcuna esitazione i misteri della Fede, il segreto della Vita e quello della Morte. Non aveva glissato neppure sulla descrizione di Dio e la spiegazione della nascita degli Angeli.
Erano tutti concetti inesprimibili a parole, racchiusi nel cuore stesso dell’Angelo; William non avrebbe mai potuto ripeterli per mancanza di vocaboli adatti.
Ad ogni modo arrivò l’ora di cena.
« Ponimela » lo incitò Jioiel, con tono allegro, alzandosi dal comodo giaciglio: avrebbe dovuto preparare lui da mangiare.
L’ospite lo guardò di sottocchio « Cosa? », chiese diffidente.
Il ragazzo rise. « L’ultima domanda che ti viene in mente » rispose. « O dovrei dire la prima che ti venne in mente? »
Lui arrossì. Se n’era dimenticato, o forse aveva finto di dimenticarsene. Guardò la lunga treccia bionda raccogliersi dolcemente sul grembo dell’Angelo, sedutosi nuovamente sul letto. Titubante si schiarì la voce. « Sei un uomo o una donna? »
Jioiel sorrise « Sono un Angelo » asserì tranquillo. « Né uomo né donna: gli Angeli non hanno sesso » aggiunse in risposta allo sguardo torvo che lui gli aveva lanciato.
William non riuscì a trattenersi dal pensare di essersi innamorato - e a prima vista, per giunta! - dell’essere più improbabile che gli potesse mai capitare. Se ne vergognò un istante dopo, ricordatosi che Jioiel poteva leggere nel suo pensiero, ma si rilassò altrettanto velocemente: lui avrebbe finto di non saperlo.
« Will - posso chiamarti Will, vero? - cosa pensi di riuscire a mangiare? » la voce riscosse il padrone di casa. Si portò lentamente la mano sul ventre e lo sentì gorgogliare.
Sospirò « Qualcosa di estremamente leggero: ieri mi sono ubriacato forte ». Sentì chiaro lo schiocco seccato delle labbra di Jioiel, e seppe all’istante che non avrebbe dovuto dirlo. L’Angelo tornò in camera da letto e gli porse una nuova tazza. Era un liquido ambrato che William non aveva mai visto. Lo annusò con diffidenza.
« È ambrosia, non veleno », specificò piccato l’Angelo.
William sospirò per l’ennesima volta e si domandò se quello che aveva davanti fosse chi diceva d’essere. Magari era uno scherzo ben architettato: era troppo… bambino per essere davvero un Angelo. Scosse il capo e posò la tazza sulle gambe.
« Ma tu sei un Angioletto di nuova annata? Che ne so, nato da un secolo o meno? » lo sfidò guardandolo direttamente negli occhi chiari e splendenti. Subito quelle polle d’acqua tiepida e confortevole diventarono gelide punte di diamante.
Jioiel incrociò le braccia al petto « Ho sedicimila anni, dieci me– »
« Sì, sì, non ho bisogno di minuti e secondi » lo interruppe bruscamente William. Guardò il liquido ambrato « Ma allora perché sei un Angelo? Uno così vecchio non dovrebbe aver fatto carriera? Non diventate Arcangeli, Cherubini e via dicendo? »
Le sue labbra si piegarono in una curva severa. Sembrava arrabbiato « Badando alla vostra classificazione sarei un Serafino. Ma » sottolineò la particella alzando un sopracciglio « gli ordinamenti umani sono erronei: siamo tutti Angeli, più o meno potenti. Io incarno lo spirito della Gioia - come suggerisce il mio nome - e vengo affidato alle missioni più importanti. In vece mia solitamente viene inviato mio fratello Rachel. Ed ora bevi ».
William non lo ascoltò « Ma l’ambrosia non è il cibo degli dei? »
Jioiel annuì spazientito « Sì. Però non ha effetti prodigiosi, non ti divinizza. Solo… è il cibo più leggero che conosco » spiegò, sperando che finalmente si decidesse a bere. Miracolosamente - e bisognava davvero parlare di miracolo - sorseggiò quel nettare. Era asprognolo e delicato allo stesso tempo, infuse un tiepido calore in tutto il corpo dell’uomo. Posò di nuovo il bicchiere « Quindi è importante che io non mi suicidi ».
Un’affermazione. L’Angelo finalmente si accorse del piano dell’ospite e rise ilare: lo stava mettendo alla prova.
« Sì » disse solo, sedendosi su una sedia lì accanto.
Lui assaggiò nuovamente l’ambrosia. Non era di suo gusto, ma la finì ugualmente. « E quanto tempo resterai qui? » s’informò, pulendosi le labbra sulla manica del pigiama.
L’Angelo alzò le spalle « Il tempo necessario, Will » fu la sua laconica risposta. « Ed ora, dormi » gli ordinò rubandogli di mano la tazza e rimboccandogli la coperta. Non ascoltò proteste d’alcun genere e gli posò un bacio sulla fronte « Buona notte » sussurrò.
William arrossì come un bambino « Non sei mia madre » borbottò nel vano tentativo d’affermare la propria indipendenza.

« Buongiorno! »
Il gioviale saluto di Jioiel invase la stanza come un raggio di sole.
William ignorò completamente l’Angelo, sbadigliò vistosamente, si voltò e tornò a dormire.
Jioiel non si preoccupò più di tanto; con un’alzata di spalle si mise a preparare la colazione. Quando il profumo dei pancake appena sfornati e l’aroma di caffé invasero il miniappartamento anche quel ghiro non poté trattenersi.
Due minuti dopo era vestito di tutto punto e seduto in cucina. L’Angelo ghignò « Vedo che hai imparato la buona educazione, Will » lo prese in giro.
Convivevano da due settimane, ormai. Jioiel aveva capito con chi aveva a che fare, e William aveva scoperto che non doveva sottovalutare l’Angelo: sgarrare significava subirsi prolisse e inconcludenti prediche sul senso di responsabilità oppure, come accadde una volta, restare senza colazione perché ancora in pigiama.
Il padrone di casa trangugiò la propria tazza di caffé e si rifece gli occhi osservando l’altro. Jioiel indossava un abito femminile, quel giorno: un semplice vestito di cotone, di un bel rosso, ma che addosso a lui sembrava un capo d’alta moda.
William alzò un sopracciglio e inspirò a fondo « Jioiel, posso marinare il lavoro, oggi? » azzardò, incrociando le dita sotto il tavolo.
L’interpellato gli lanciò un’occhiata penetrante « Perché? »
Lui deglutì « Edith mi ha chiesto due minuti… mia nipote, quella che hai conosciuto… » spiegò, non del tutto convinto del potere persuasivo delle proprie parole. Si dovette ricredere quando l’Angelo annuì, semplicemente: sparecchiò la tavola e s’infilò delle anonime ballerine ai piedi.
Quando si diresse alla porta e la spalancò, si voltò verso di lui « Che fai? Tu non vieni Will? »
L’uomo rise e lo seguì, consapevole che, anche vivendo con Jioiel un’intera vita umana, non sarebbe mai riuscito a capirlo.

« Edith! Qua, dolcezza! »
Due codine sbarazzine si voltarono, a quel richiamo. Con passo leggero ed aggraziato una ragazza di vent’anni s’avvicinò. « Zio Will! Non sai quanto sono felice! » squittì eccitata, gettandosi tra le sue braccia. Lo abbracciò a lungo per poi schiarirsi la voce e salutare brevemente anche l’Angelo « Felice di vederti cara Jioiel! » disse con gioia trattenuta.
« Sei euforica. Che succede? » domandò in fretta William, così da glissare sul fatto che Edith si era riferita a Jioiel come ad una donna. Se poco aveva imparato dell’Angelo almeno una cosa la sapeva: era infastidito dall’essere scambiato per un uomo o una donna. Ma ci aveva dovuto fare l’abitudine: era imprudente sostenere d’essere un Angelo. Sorrise con le lacrime agli occhi « Mi hanno presa, Will! Mi hanno presa! » gioì « Sono entrata in accademia! » gongolò incapace di stare ferma.
William la sollevò di peso facendole fare un paio di giravolte nell’aria « Complimenti! » giubilò. Solo quando lei protestò l’uomo la posò a terra e le scompigliò i capelli.
« Te lo dicevo che ci saresti riuscita, Edith » sussurrò William, posandole un bacio sulla fronte « Bravissima ».
Jioiel porse alla ragazza un piccolo ciondolo, che aveva fatto fare qualche giorno prima. Lo mise sul suo palmo aperto « Per congratularmi » disse affabile, regalandole un sorriso dolcissimo. Era un semplice cuoricino d’argento, con una E e una W incise sul retro. Nulla di speciale.
La ragazza gli strinse ambo le mani con enfasi « È splendido! Te lo aveva detto lo Zio che l’altro si era rotto? » sussurrò concitata. L’Angelo glissò, facendo notare con gentilezza a Edith che, al di là della strada, sua madre era scesa dalla macchina e la chiamava. La osservarono correre e agitare la mano in aria, finché non sparì dalla vista.
William inspirò profondamente: s’era creata un’atmosfera così dolce e rilassata, davvero piacevole. Jioiel ammiccò e respirò affondo: aveva ormai capito perché Dio aveva mandato proprio lui. Da William dipendeva anche la vita di Edith.
« Come lo sapevi? » domandò William, interrompendo i suoi pensieri.
Lui gli fece l’occhiolino, e non ci fu bisogno di parole.
« Jioiel » attirò la sua attenzione « sei il mio Angelo ».
L’interpellato scosse il capo, sorridendo accondiscendente « Te lo dissi già: sono un Angelo di Dio, non tuo ».
William annuì, senza protestare su quel punto « Non intendo in quel senso » rispose con voce pacata « Sei il Suo Angelo, certo, ma sei… il mio Angelo ».
Jioiel rise, risplendendo della sua luce. Con gentilezza gli strinse la mano nella sua « È vero ». Quella conferma gli scaldò il cuore, un tepore che non credeva di poter avere mai più. Era felice.
Erano le stesse parole, ma con una sfumatura diversa, avevano un senso completamente differente. Forse più profondo, forse solo più pazzo.
« Ti amo » sfuggì alle labbra di William.
L’Angelo lo sbirciò con la coda dell’occhio « Uh? » esclamò, preso in contropiede. Poi addolcì lo sguardo « Anch’io! »
Il cuore dell’uomo mancò un battito « Davvero? »
« Certo! », un altro battito gli sfuggì, « Io amo ogni cosa. Sono un Angelo, l’hai dimenticato? »
William scosse il capo. Le parole, con Jioiel, avevano davvero mille sfaccettature diverse, come fossero state dei diamanti esposti ai raggi di sole.

Era una splendida giornata. Il cielo decorato da mille batuffoli di cotone invitava a rilassarsi, e William propose allegramente di fare una passeggiata lungo l’argine.
« Allora, quanto tempo rimarrai, Jioiel? » chiese di punto in bianco.
L’Angelo sbuffò un poco « Qualche giorno », disse vago. Guardò di sottecchi il compagno « D’altra parte, mi sono trattenuto qui per quasi un mese ».
L’altro non fu soddisfatto della risposta « Non resti di più? Non sono più importante? » chiese a raffica. William temeva che potesse andarsene « Senza di te potrei ripensare al suicidio: devi restare con me! » affermò con calore.
Jioiel si spazientì ed obbligò l’altro a fermare quella passeggiata tranquilla e solitaria.
Erano almeno un paio di giorni che William portava il discorso su quel punto. Era ora di mettere le cose in chiaro, una volta per tutte.
« Possibile che tu non lo voglia capire?! » domandò irato, puntellando i piedi sul terreno ed alzando gli occhi fino a raggiungere il viso di William. « Non posso stare qui in nessun caso. Se ti suicidi dopo che sarò partito pagherò le conseguenze, e le minacce sono inutili perché andò via comunque: non vanificherai la mia missione ».
« Non puoi andartene senza avermi prima salvato » ghignò lui, deciso più che mai a non lasciarlo partire. Era convinto d’averlo in pugno, ma rimase stupito della reazione dell’altro.
Lui scosse semplicemente il capo, lasciando che la bionda treccia gli dondolasse dolcemente sulla schiena « Io la missione l’ho già finita: ti ho già salvato » rivelò con tono tenero e materno « Quando tu sentisti quel calore al cuore, in quel preciso momento cambiai il tuo futuro. Io sarei dovuto scomparire esattamente allora; non lo feci solo per timore… e sbagliai ».
Quegli occhi color del cielo erano tristissimi, sembravano sciogliersi in acque limpide e trasparenti, pronte ad inondare il bel viso dell’Angelo. William rimase pietrificato. « E come saresti dovuto partire? Sparendo in un lampo di luce, senza salutare? » Quell’eventualità lo fece rabbrividire, ma attese pazientemente una risposta.
Jioiel gli sorrise con delicatezza « Avrei congiunto le mani in preghiera, chinando il capo ad occhi chiusi su di loro » spiegò, e fece esattamente quegli stessi gesti. Occhi chiusi e capo chino sulle mani giunte.
« Poi avrei alzato una muta preghiera a Dio, mentre delle candide ali sarebbero sbocciate sulla mia schiena, rendendomi splendente » continuò lui.
Un paio d’ali color della neve si spalancarono sulla sua schiena. Erano splendide, ma William le odiò: loro avrebbero portato via il suo amore.
Jioiel rialzò lo sguardo su William, ma non dovette alzare il viso: si trovava alla sua altezza. « Alzando il capo avrei incontrato i tuoi occhi, proprio davanti ai miei. Poiché in quel momento mi sarei sollevato dal terreno, ed ascolterei i lamenti della terra che vede l’ennesima partenza di un Angelo della Gioia. Infine prenderei le tue mani tra le mie, un’ultima volta » narrò ancora.
William capì che Jioiel lo stava lasciando: fluttuava con grazia davanti a lui. Attorno a loro il vento cominciò a stormire, le foglie ed i rami producevano il suono del pianto. La terra stava piangendo per Jioiel - o per William?
Terrorizzato provò a stringere di più le mani che tenevano le sue, ma gli risultò impossibile. Allora attese « Ed ora? » si limitò a chiedere.
L’Angelo fece un sorriso dolcissimo « Ora mi chinerò a darti un bacio sulla fronte, poi salirò a sedere accanto al Padre di tutti noi » fu la sua risposta.
Jioiel si chinò su William, ed incontrò le sue labbra fresche e dolci. All’ultimo secondo William aveva alzato il capo verso lui, per rubargli un bacio. Un semplice e lieve sfiorarsi di labbra, che colmò d’amore umano, esclusivo il cuore dell’Angelo.
Poi Jioiel sparì.

La notizia della morte naturale di William raggiunse Jioiel anni dopo. L’aveva portato via la polmonite, alla veneranda età di novantaquattro anni - e chi se ne fregava dei secondi.
« Perché sei triste, fratello? » gli domandò premuroso Rachel, saputa la notizia.
Lui aveva scosso il capo « Sono innamorato » aveva rivelato.
Jioiel aveva il cuore spezzato; aveva peccato d’amore e doveva subirne le conseguenze. Lasciò quel regno perfetto di nuvole soffici e lattee salutando Rachel con un sorriso infranto dipinto sulle labbra.
Discese in tutto il suo splendore sulla terra; ma nessuno lo vide.
Scorse tra le lapidi quella del suo uomo e si avvicinò. Sovrastò quel semplice piedistallo con le ali ancora spalancate; gettò la propria maestosa ombra a proteggere dal sole quella tomba anonima. Sconosciuta a tutti, tranne che a lui.
Con gentilezza posò dei fiori sulla pietra, i più semplici che aveva trovato. Li guardò un secondo e una lacrima scivolò silenziosa a salargli la gota. Stupito Jioiel si portò le dita tremanti alla propria guancia, catturando la prima lacrima che avesse mai versato.
Così scoprì di non poter andare via da lì, di non poter tornare a congiungersi con il suo Dio. Jioiel doveva restare in quel luogo, a vegliare per sempre su quel semplice e debole uomo, capace di fargli battere il cuore d’un ritmo irregolare. Allontanarsi avrebbe infranto anche l’ultima cosa a cui avrebbe potuto aggrapparsi: il suo amore.
S’inginocchiò davanti al piedistallo, sovrastandolo con ambo le braccia. Non si accorse neppure d’aver fatto cadere i fiori che gli aveva portato, troppo preso da quello sconforto infinito che non era proprio degli Angeli. Jioiel posò stancamente la testa sul braccio destro, mentre l’altro penzolava impotente oltre il fronte del piedistallo. Era sfinito, desiderava solo che tutto finisse.
Perfino le sue splendide ali - le stesse che avevano stordito William, quel giorno - solitamente diritte e fiere lo coprivano con grazia, tristemente curvi. Erano chiuse sul dolore stesso dell’Angelo.
La speranza che per tanto tempo l’aveva animato era perduta. Era abbandonato al dolore, un dolore assoluto, un dolore umano.
Chiudendo gli occhi in un’ultima preghiera a Dio, Jioiel si trasformò in bianco marmo. L’Angelo era destinato ad amare per sempre William, un amore infinito scolpito in memoria nel marmo color della neve.

   
 
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