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Autore: silviabella    21/11/2013    3 recensioni
In un mondo ecologicamente devastato e dominato da un sistema dittatoriale sprezzante dei diritti umani, Gaia e Annie cercano di sopravvivere. L'amicizia che unisce le due ragazze le porterà a fare scoperte che cambieranno il loro destino e quello di molti altri.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione: In un mondo ecologicamente devastato e dominato da un sistema dittatoriale sprezzante dei diritti umani, Gaia e Annie cercano di sopravvivere. L'amicizia che unisce le due ragazze le porterà a fare scoperte che cambieranno il loro destino e quello di molti altri.
Autore forum e EFP: Elizabeth89 su ffz e silviabella su EFP.
Fandom: Originali
Titolo: Subterra
Rating: Giallo
Personaggi: Personaggi originali
Pacchetto: Chunk e Sloth (Prompt: diverso; citazione dal film Goonies: "La prossima volta che vedrai il cielo, sarà quello di un'altra città. La prossima volta che farai un esame, lo farai in un'altra scuola […]Ma qua sotto è il nostro momento. È il nostro momento qua sotto. E finirà tutto nell'istante in cui salteremo dentro questo secchio. (Mickey)").
Canzone scelta: Creep (Radiohead)
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction.
Avvertimenti e note: preslash, violenza non descrittiva.

Nda: questa storia si è classificata seconda al contest CheDuo! indetto da LadyBlack89 su ffz. Ne approfitto inoltre per ringraziare di cuore Anne London e holls - sante donne! - che hanno betato questa storia e il mio ragazzo Francesco per avermi dato il suo parere "tecnico" da appassionato del genere. Buona lettura a tutti!

 

 

SUBTERRA

 

Tutta la vita sulla terra dipende dall'esistenza di un sottile schermo di un gas velenoso, in alto nell'atmosfera: lo strato di ozono.”

(Ozone Secretariat, UNEP, “Action on Ozone”)

 

È buio qua dietro ed anche i più piccoli rumori si ingigantiscono e moltiplicano nello stretto vicolo in cui sono nascosta, facendo sembrare i passi di un vigilantes la marcia spietata di decine di squadroni. Mi nascondo meglio, maledicendo la dannata guardia.

Odio i vigilantes, li odio con tutta me stessa, e non credete: l'odio di una tredicenne può essere più bruciante di quello di un adulto. Solo l'altra settimana mi hanno generosamente regalato dieci frustate sulla schiena, come punizione per aver osato rispondere ad una loro provocazione. Fanno ancora un male cane, anche se non sanguinano ed Annie ha spalmato un olio lenitivo sulla mia pelle martoriata. Credo che i segni resteranno per sempre.

Lo so, lo so benissimo che non avrei neppure dovuto incontrare lo sguardo del vigilantes, che avrei dovuto proseguire lungo la galleria sotterranea, facendomi scivolare addosso gli insulti e le minacce. E lo stavo facendo, davvero, lo giuro; ma poi quella bestia ha cominciato a parlare di mia madre e io non ci ho visto più.

Ha detto che si meritava quello che le era successo, l'ha chiamata sudicia puttana. È stato più forte di me: sono esplosa, mi sono fiondata su di lui tirando calci e pugni contro la sua divisa, cercando di fargli più male che potevo. Che cretina sono stata. Le divise sono fatte di un materiale protettivo iper-resistente, ed il mio comportamento non è servito ad altro che a dare al vigilantes la scusa perfetta per fare quello che non vedeva l'ora di fare. Mi ha presa per il collo, stringendo con il braccio potenziato quasi fino a togliermi il respiro ed ha chiamato gli altri due vigilantes della pattuglia di ronda. Hanno imbastito un tribunale della Vera Giustizia lì in mezzo alla strada e mi hanno giudicata colpevole di violenza ed oltraggio ad un Ufficiale Subterraneo. Pena: dieci frustate da dispensare immediatamente al reo.

Le persone nella galleria, che si erano radunate in cerchio intorno a noi per assistere all'esecuzione della sentenza, non hanno battuto ciglio quando due vigilantes mi hanno immobilizzata ed il terzo, lo stronzo che aveva insultato mia madre, ha tirato fuori il flagello.

Quando lo spettacolo è finito, sono tornati tutti ai loro affari, di sicuro convinti che la Vera Giustizia fosse stata ben amministrata, lanciandomi le solite occhiate disgustate che ricevo da tutta la vita.

Vorrei poter dire di esserci abituata, ma così non è, purtroppo. Ogni volta ferisce esattamente come la prima.

La cosa buffa è che da piccola pensavo che fossero loro, le altre persone, ad essere diverse: carnagione chiarissima, occhi pallidi e capelli che variano dal biondo quasi bianco al rosso. Non ho mai visto nessun subterraneo con i capelli di tonalità più scure di così, figuriamoci neri come i miei.

Ogni volta che mi specchio in qualche superficie riflettente, sia essa la vetrina di un negozio, lo specchio del bagno dell'Istituto Gioventù Subterranea, l'acciaio di un cucchiaio, è impossibile non notarlo: la pelle scura, gli occhi castani, i capelli color del mogano risaltano alla luce artificiale e mi colpiscono come un pugno nello stomaco ogni singola volta, ricordandomi quello che sono. Diversa.

Le persone che passeggiano nelle gallerie mi guardano come se fossi qualcosa di strano e pericoloso, uno scherzo della natura, come se non appartenessi a questo posto. I vigilantes mi squadrano in cagnesco, sbattendo minacciosamente contro il palmo le loro mazze d'acciaio. Sono diversa, sono pericolosa, potrei contagiarli tutti e diffondere il virus di cui sono certamente portatrice.

Altri passi. Mi rannicchio nell'ombra del Pressurizzatore di Rifiuti, grata che la mia pelle, in quest'occasione eccezionale, mi aiuti a confondermi nel buio del vicolo. Sento i passi del vigilantes che esegue il giro di ronda notturno in questa parte della città, il rumore metallico delle placche della sua divisa che scivolano una contro l'altra. Non voglio neanche pensare a quello che mi farebbe se mi scoprisse qui, a violare il coprifuoco senza alcun valido motivo. Le dieci frustate non sarebbero niente al confronto. E oltre a questo, la pena prevista è un mese di lavori forzati nel Basso Mantello. Sono in pochi a tornare da laggiù, e chi ci riesce è reso quasi irriconoscibile dalle ustioni che sfigurano il suo corpo.

Mi schiaccio contro il muro, cercando di appiattirmi il più possibile, e prego che Annie si sbrighi ad arrivare.

Ann Marie - o come la chiamo io, semplicemente Annie - è la mia migliore amica. Beh, forse dovrei dire la mia unica amica.

Ci siamo conosciute il primo giorno di scuola, quando avevamo cinque anni, e lei è stata la sola a non sembrare spaventata dal mio aspetto. Anzi, mi ha sorriso e si è seduta accanto a me, mentre gli altri bambini mi lanciavano occhiate diffidenti, parolacce e messaggi cattivi dal loro quaderno digitale. Il meno pesante era “Tornatene all'Esterno, brutto mostro”. Annie aveva eliminato tutti i messaggi e reso chiaro che, se non avessero smesso subito, suo padre avrebbe fatto passare loro un brutto quarto d'ora. All'epoca non lo sapevo, ma Rick Bishop, il padre di Annie, fa parte del regime militare che governa Subterra, sebbene occupi soltanto il grado di tenente colonnello.

Non fosse per Annie, la mia esistenza sarebbe un inferno. E dire che viviamo già nel sottosuolo, in quello che per i Greci erano effettivamente gli Inferi. Ma se ho Annie al mio fianco, tutto questo – la mia stessa vita – sembra molto più accettabile. Ormai non conto più le volte in cui la sua semplice presenza mi ha evitato uno spiacevole scontro con un vigilantes, o in cui una sua battuta ha risollevato le sorti di una giornata che minacciava di trascinarmi nella depressione. La mia amica è tutto quello di cui ho bisogno per vivere in questo schifo di mondo sotterraneo.

Annie ha i degli adorabili ricci rossi che le scendono fino a metà schiena e gli occhi azzurro chiaro, frastagliati da minuscole pagliuzze verdi. La sua pelle quasi trasparente sembra fragile, come se potesse rompersi toccandola con impazienza o con troppa forza. Quando ci teniamo per mano – per quanto non capiti spesso – resto affascinata e un po' turbata dalle nostre differenze: le sue dita sottili e bianche si intrecciano perfettamente alle mie tozze e color cioccolata, le nostre mani si stringono ed io non posso fare a meno di pensare a quanto, in qualche strano modo, questo sembri così dolorosamente giusto. Ed allora non importa se lei è così maledettamente perfetta, più bella e più amata; non importa se lei ha dei genitori importanti e io sono un'orfana odiata da tutti, non importa se ogni settimana si prende una cotta per un ragazzo diverso, quando io venero il suolo su cui cammina.

Non importa, perché lei è Annie, la mia migliore amica, la persona a cui voglio più bene al mondo. Perciò non è così assurdo che io sia scoppiata a piangere questa mattina quando mi ha detto che sarebbe partita.

Non ridete. Non è bello ridere delle persone, anche se sono deboli e piangono. Sì, sono debole, ed è stato tragico scoprirlo in questa maniera. Ed io che mi ero sempre ritenuta una tipa tosta, una con le palle quadrate, come dicono i maschi! Ma non c'è stato niente da fare: quando Annie mi ha rivelato che i suoi hanno improvvisamente deciso di fuggire, che proprio in quel momento suo padre stava organizzando di nascosto il viaggio clandestino verso Zarmina, che sarebbe andata via per sempre... ho sentito come una fitta al petto, un dolore strano, come se mi stessero strappando d'un colpo tutta l'aria dai polmoni, e poi ho cominciato a piangere.

Anche Annie ha pianto. Mi ha abbracciata e ha pianto sulla mia spalla, tenendomi stretta, cullandomi contro di sé, sussurrando cose stupide al mio orecchio. E più mi stringeva e più mi sembrava di poter respirare di nuovo, ed era buffo perché stava stringendo davvero forte ed in realtà avrebbe dovuto farmi male, ma, mentre le sue braccia esili mi circondavano, una dolcezza mai conosciuta mi aveva invaso. Sarei rimasta così per sempre.

Poi ci siamo separate ed abbiamo riso, asciugandoci gli occhi, incapaci di guardarci in faccia, imbarazzate da tutta quella esternazione di sentimenti che non era proprio da noi, e soprattutto da me. Ma Annie è la mia migliore amica, credo di averlo già detto, no? Questo dovrebbe bastare a chiunque. Basta a me, comunque.

Quindi mi ha fatto sentire la registrazione. Sono informazioni top secret, vista la posizione che Rick Bishop occupa, ma Annie ha trovato un modo fantastico per origliare le conversazioni di suo padre e sua madre, prendendo l'idea da un vecchio e-book che ha trovato dentro scatoloni ammuffiti. Ha detto che doveva essere di una sua bisnonna o addirittura della sua trisnonna. Mi ha fatto una testa così su questo ragazzino che scopriva di essere un mago e sulla scuola che frequentava e su un pazzo che voleva conquistare il mondo. Sono stata a sentirla perché è la mia migliore amica, ed è questo che fanno le migliori amiche, no? Stare ad ascoltare quando nessun altro è disposto a farlo, condividere l'ultima incomprensibile passione per una storia decrepita e assurda. Ma la trovata delle Orecchie Oblunghe, come le chiamano in quell'e-book, è stata molto utile. Annie è riuscita a costruirne una versione moderna, con pochi ed economici pezzi elettronici trovati da un rivenditore di vecchie carabattole del ventesimo secolo, aggiungendovi inoltre un'utile funzione per la registrazione.

Perciò, la normale procedura è che lei ascolta quello che avviene nelle sfere medio-alte della nostra città sotterranea e poi viene a raccontarmelo o mi passa direttamente il file audio. Per lo più si tratta di cose noiose, questioni di amministrazione locale, come il costruire nuove gallerie o ampliare i pascoli di grano bianco intorno alla città. Altre volte capita di scoprire che un membro del gabinetto ha cercato di compiere un colpo di stato per rovesciare il Generale Supremo, ed è stato giustiziato.

Ma ieri sera Annie ha udito qualcosa di molto più interessante e di molto più spaventoso. Suo padre è tornato a casa prima del solito e si è chiuso in salotto con la moglie, agitato come Annie non l'aveva mai visto. Annie non ha perso tempo ed è corsa ad attivare il dispositivo per spiare le conversazioni, indirizzando il ricevitore verso la stanza interessata. Questo è ciò che ha registrato:

“Marta, siamo in pericolo, dobbiamo andarcene subito!”

“Ma cosa stai- perché dovremmo andarcene da qui? E dove, se posso saperlo?”

“Si è verificato un bug nel sistema delle comunicazioni provenienti dal Gabinetto del Generale Supremo. Una fuga di notizie che ha coinvolto il mio ufficio e non so quanti altri. C'erano delle informazioni di cui non sarei mai dovuto venire a conoscenza.”

“Che genere di informazioni?”

“Un complotto, Marta, ecco cosa. Siamo tutti vittime di un enorme, terribile complotto.”

“Cosa vuol dire dire? Sii più specifico, Santa Terra!”

“Io- io non posso dirtelo. Ti metterei ancora più in pericolo se lo facessi. È per la tua sicurezza. E per quella di Ann Marie.”

È seguito un lungo silenzio durante il quale i battiti del mio cuore martellante sono stati l'unica cosa che ho percepito nella stanza.

“Rick, cosa dobbiamo fare?”

“Dobbiamo scappare, e al più presto anche. La Terra non è più un luogo sicuro, né nel sottosuolo, né in superficie. Ovunque decidessimo di andare ci troverebbero. Hanno spie dappertutto.”

“Ma non pensi davvero che oserebbero –”

“Ucciderci. È questo che faranno appena saranno certi che io so. E forse non si prenderanno neppure la briga di assicurarsene. Non c'è uomo più silenzioso di un uomo morto, Marta. Dobbiamo muoverci di nascosto e in fretta. Di' ad Ann Marie di prepararsi per un viaggio, di portare con sé le cose a cui tiene di più. Ce ne andiamo.”

“Cos'hai in mente, Rick? Come faremo ad andarcene senza destare sospetti?”

“Ci imbarcheremo sulla prima astronave clandestina diretta su Zarmina e chiederemo asilo agli Zarminiani. Una volta che la navicella sarà partita, potremo solo sperare in Dio.”

Annie mi ha consegnato questa registrazione stamattina all'uscita dall'Istituto Gioventù Subterranea. Non voleva rovinare la nostra ultima mattinata insieme, ha detto. Voleva che tutto fosse normale, tutto come al solito: noi due con le nostre chiacchiere, i discorsi sul ragazzo che piace ad Annie, le prese in giro verso il professor Trueman.

Poi il mio mondo è collassato su se stesso e da quel momento mi sembra di vivere come in un sogno. Quello che sto per fare – quello che stiamo per fare – è una delle cose più pericolose che mi vengano in mente, seconda soltanto allo scendere nel Basso Mantello senza adeguate protezioni o, beh, andare in superficie senza adeguate protezioni.

Ma Annie sta per affidare la sua vita a quegli esseri senza scrupoli che sono i piloti di astronavi clandestine e questa è la nostra ultima possibilità. I trafficanti di clandestini sono persone meschine che giocano con le speranze della gente, chiedendo cifre immani per raggiungere un sogno senza dare alcuna garanzia. Potrebbero benissimo drogare i loro passeggeri nel sonno indotto ed espellerli dall'astronave facendoli fluttuare nello spazio profondo, nel vuoto, e poi tornarsene a Subterra con i soldi.

Nessuna certezza di arrivare davvero a Zarmina, né di come gli immigrati verranno accolti dagli Zarminiani. Nessuno è mai tornato a raccontarlo. Gli Zarminiani, da parte loro, non hanno mai mostrato alcun interesse nei confronti della razza umana, nessuna pietà delle condizioni in cui viviamo, né alcuna volontà di conquista del nostro mondo. Nei pochi contatti che hanno avuto con le autorità subterranee si dice che siano stati freddamente educati e schivi, indifferenti ai massimi livelli, e quando se ne sono andati non hanno fatto alcun riferimento a visite future o successivi rapporti. Mi chiedo come reagiscano allo sbarco di astronavi umane sulla superficie del loro pianeta, se mai ci arrivano. Magari schiavizzano gli umani, o li usano per fare esperimenti, o li torturano, o li uccidono.

No, no, basta. Non posso pensare a questo adesso, non con Annie che fra meno di 24 ore sarà su una navicella diretta su Zarmina.

Dopo avermi fatto sentire la registrazione, Annie ha messo a tacere le mie proteste angosciate, le mie preoccupazioni. Lei è positiva: è sicura che tutto andrà bene, che gli alieni siano un popolo civile, generoso e che tratteranno gentilmente lei e i suoi genitori. Il suo unico rimpianto sono io, ha detto, facendo un sorrisino triste. Non vedere mai più la sua amica.

Per un attimo ho temuto che ci saremmo rimesse a piangere, ma poi il momento è passato e ci siamo messe a parlare della Lista.

La Lista l'abbiamo fatta io e Annie anni fa, qualche giorno dopo che le mie ferite sulla schiena, ricordo di un doloroso scontro con un vigilantes, si erano richiuse abbastanza da permettermi di pensare ad altro che al mio odio nei confronti di quelle bestie. Abbiamo scritto l'elenco delle cose che volevamo assolutamente fare insieme prima di morire ed ovviamente non sono mancate alcune animate discussioni su cosa inserire e cosa no, e a che posto inserire questo o quello.

Ma su una cosa siamo state assolutamente d'accordo. Al primo posto abbiamo scritto:

1) Andare all'Esterno

E non è un semplice “vedere l'Esterno”. No, sarebbe troppo facile eludere un simile proposito. Ne abbiamo visti fino alla nausea di video educativi che mostravano infinite distese di sabbia, spiegando quanto le radiazioni rendano pericoloso andare all'Esterno, su come le condizioni climatiche siano intollerabili per la razza umana etc etc. No, noi volevamo proprio andare all'Esterno. Non ci siamo mai state in tutta la nostra vita, ed è quello che abbiamo sempre desiderato di più al mondo.

Peccato che sia una cosa decisamente rischiosa. Insomma, solo ad uno scemo – o a me ed Annie – verrebbe in mente di andare all'Esterno.

Tutto perché qualche cretino del tardo ventunesimo secolo ebbe la bella idea di spazzare via quello che restava dello strato di ozono che circondava la Terra, già allora niente più che una coperta sforacchiata, secondo i documenti interattivi che studiamo all'Istituto Gioventù Subterranea. Perciò – grazie tante cretino del ventunesimo secolo – la Terra si è trasformata in una specie di gigantesco microonde a cielo aperto, e la gente dell'epoca si è ritrovata nella merda fino al collo, tanto per essere fini. Annie saprebbe essere più precisa e sicuramente usare un linguaggio più appropriato, ma in sostanza più della metà della popolazione morì di cancro nei primi pochi mesi successivi all'evento. Gli altri – quelli che non diventarono ciechi e a cui le radiazioni non frissero il cervello – si nascosero sottoterra, dando inizio ad una sanguinosa guerra civile per l'accaparramento dei viveri e delle armi.

Alla fine il Movimento per l'Ordine Subterraneo prese il sopravvento ed istituì il regime militare di disciplina e rigore a cui dobbiamo la parvenza di civiltà che ci circonda. Sottoterra è l'unico luogo in cui ci è concesso vivere. Nelle nostre città nel sottosuolo, protette da chilometri di crosta terrestre che né il calore intollerabile dei raggi del Sole, né le malefiche radiazioni cancerogene possono penetrare.

In tutta la mia vita non ho mai visto altro che pareti di roccia, mura di cemento, la luce artificiale delle lampade alogene, e l'unico Sole e le uniche Stelle che ho mai contemplato sono quelli proiettati sul soffitto dell'enorme caverna alla cui base è stata costruita New Rome. Un Sole finto, una Luna e delle Stelle finte, che imitano i moti degli astri di un lontano passato, quando ancora la razza umana viveva sulla superficie del suo pianeta natio. Non nelle sue viscere.

Ed ora che Annie se ne va, non riusciremo mai a fare tutte le cose segnate sulla Lista. Non potremo mai ubriacarci di Linfa di Roccia, e neppure finire la nostra collezione di canzoni dei Radiohead – la mia preferita è sempre stata "Creep" –, figurarsi poi trovare un modo per farla pagare a quei dannati vigilantes. Ma la numero uno sì. Quella la faremo. Anzi, stiamo per farla proprio adesso. È per questo che mi trovo qui, ora, nascosta in questo vicolo puzzolente tra due Pressurizzatori di rifiuti, violando il coprifuoco notturno mentre aspetto che Annie mi raggiunga per andare insieme al Pozzo di Collegamento n. 8.

Ci è voluto un po' a convincere Annie che almeno questo dovevamo farlo. Dovevamo andare all'Esterno almeno una volta nella vita. Nella mia vita, diciamo meglio, visto che lei potrà stare all'esterno quanto vorrà una volta arrivata a Zarmina. Ma io no: questa è la mia unica occasione. Non credo che avrei il coraggio di farlo se fossi da sola, e comunque non avrebbe lo stesso significato.

“Dobbiamo farlo stanotte,” le ho detto in tono pressante. “O stanotte o mai più, lo sai, Annie.”

“Ma se ci scoprissero? Non solo verremmo punite in un modo che non voglio neppure immaginare, ma comprometteremmo il piano di fuga!”

“Annie, non ci faremo scoprire, te lo giuro.” Parole vuote: come potevo assicurarle che sarebbe andato tutto bene? Non potevo, e tuttavia non potevo neppure arrendermi, non così facilmente. “Fallo per la nostra amicizia, fallo per me,” ho detto cercando di ignorare il tremito della mia voce. Quanto potevo spingere prima di trovare il limite del suo affetto per me? “Ma non capisci, Annie? La prossima volta che vedrai il cielo, sarà quello di un'altra galassia. La prossima volta che farai un esame, lo farai su un altro pianeta. Ma là sopra è il nostro momento. È il nostro momento là sopra. E finirà tutto nell'istante in cui non salteremo dentro quel Secchio.”

Annie ha taciuto per un tempo lunghissimo, guardandomi negli occhi. Sostenere il suo sguardo, sapendo che sarebbe potuta essere l'ultima volta che mi perdevo in quelle pozze di cielo, è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Non so cosa abbia visto Annie in me, ma alla fine ha abbozzato un piccolo sorriso ed ha annuito. “Va bene. Lo faremo. Sarà la nostra ultima avventura insieme.”

Perciò ora sono qui al buio ad aspettare che arrivi Annie. È in ritardo già di venti minuti al nostro appuntamento. Il mio orologio digitale segna le 21 e 20.

Mi chiedo cosa stia combinando e spero che qualcosa non sia andato terribilmente storto. Sua madre potrebbe averla scoperta mentre cercava di uscire di casa. Oppure potrebbero aver anticipato senza preavviso il momento della fuga e Annie in questo momento potrebbe star percorrendo qualche galleria secondaria, diretta verso una postazione di lancio clandestina invece che al nostro appuntamento. O ancora, un vigilantes potrebbe averla scoperta e arrestata, frustata – no! Basta! Basta! Annie arriverà! Non le ho neppure detto addio...

Ma ora sento dei passi. Mi irrigidisco e trattengo il respiro quando il rumore attutito si avvicina e la persona entra nel vicolo.

“Gaia? Gaia, sei qui?”

Riconosco immediatamente la voce, anche se tinta di paura e angoscia, e tirando un inconscio sospiro di sollievo esco dal mio nascondiglio.

Annie è di fronte a me con l'espressione più terrorizzata che le abbia mai visto in volto. Ha gli occhi spiritati e gonfi di pianto, i capelli sono sconvolti e inspiegabilmente pieni di polvere e terra, che le è scesa sulla fronte e sulle guance creando un pasticcio con le lacrime e il muco.

La tiro dietro il Pressurizzatore e la stringo in un abbraccio, cullando il suo corpo tremante e scosso da singhiozzi silenziosi. “Dio, Annie, cosa diavolo è successo? Che ti hanno fatto quelle bestie?”

Lei scuote la testa, rannicchiandola poi nell'incavo del mio collo. Sento delle gocce tiepide scivolare giù lungo la curva e morire contro il bordo della mia maglia termoregolatrice. Aspetto ancora qualche secondo, godendomi la strana sensazione di calore che mi provoca la sua vicinanza, quindi a malincuore la allontano gentilmente da me. Con una mano le accarezzo la schiena in lenti cerchi concentrici, cercando di calmarla, mentre con l'altra le pulisco quel povero viso martoriato.

Il suo respiro si fa meno affannato e finalmente il suo sguardo arrossato si solleva ad incontrare il mio. “Gaia, io credo che li abbiano uccisi.” Gli occhi le si riempiono di lacrime prima ancora che io possa afferrare il senso della frase.

“Cosa? Chi ha ucciso chi? Ti prego, calmati Annie, se fai così ci sentiranno!” La scuoto per le spalle, sperando che questo serva a farla tornare in sé. Sembra che funzioni, almeno un po'.

“Ero-ero appena uscita di casa quando ho visto arrivare una pattuglia di castigatores,” dice con voce rauca. “Non sapevo che fare, così mi sono nascosta in una rientranza della galleria, sai, dove stanno eseguendo quei lavori di consolidamento.”

Annuisco rapidamente e lei prosegue. “Uno di loro ha puntato il suo Peacekeeper contro il portone d'ingresso e quello è saltato in aria, completamente sfondato... e-e poi ci sono state delle urla e degli spari e- oh, Gaia, quella era la voce di mia madre!”

“Cos'altro hai sentito?” chiedo, col cuore che batte a mille nonostante il tono controllato della voce. Un brivido freddo mi percorre la schiena.

“Niente. Niente! Solo silenzio, dopo. I castigatores se ne sono andati e io non ho avuto il coraggio di tornare dentro. Sono una vigliacca, lo so, ma se avessi sentito le urla... Non ce l'ho fatta ad entrare e vedere- vedere-”

“Tranquilla. Ora sei qui con me. Hai fatto bene a non rientrare. Potrebbero aver installato qualche congegno pericoloso che si attiva a contatto o-”

“Credi che vogliano uccidere anche me?” chiede Annie con occhi enormi di paura, e mi rendo conto che questo non le era ancora passato per il cervello.

“Non lo so. Non ne ho idea. Ma se quello che dici è vero, se quei castigatores hanno davvero ucciso i tuoi genitori, c'è un unico motivo per cui possono averlo fatto.”

“L'informazione di cui era venuto a conoscenza papà.”

“Bingo.” Cerco di giudicare dal suo aspetto se è pronta per quello che sto per dire. Dovrà esserlo. “E visto che vivevi con loro” - sussultiamo entrambe al mio uso del tempo passato - “è probabile che anche tu fossi un obiettivo dei castigatores.”

“Credi che mi stiano cercando, in questo momento?”

Deglutisco un groppo di angoscia, cercando di scacciare la sensazione raggelante che mi ha invasa al pensiero che possa succedere qualcosa alla mia Annie. Un conto è saperla lontana, irraggiungibile, ma al sicuro. Tutt'altra cosa è la minaccia che ora pende sulla sua testa, come una lama pronta a trafiggerci entrambe.

Mi schiarisco la voce silenziosamente. “Dobbiamo andarcene da qui. Come avevano programmato i tuoi genitori. Dobbiamo fuggire da questo posto o ci uccideranno.”

Per un attimo mi meraviglio di come, senza esitazione, mi sono offerta per essere la sua compagna nel pericolo, nella fuga e in qualunque esito questa avrà. Ma il pensiero passa veloce come l'ho formulato: Annie è così maledettamente speciale che questa sembra davvero l'unica cosa giusta da fare per me.

“Ma come?" protesta Annie. "Non ho idea di dove si trovi la stazione di lancio delle astronavi clandestine e se anche lo sapessi non avremmo il denaro per pagare il viaggio.”

Un fascio di luce ci investe all'improvviso.

“Ehi, voi due, che ci fate lì?” abbaia un vigilantes a pochi passi da noi. Talmente prese dai nostri progetti, non ci siamo accorte che si è avvicinato, ed ora è troppo tardi. Siamo in trappola, rinchiuse nello spazio tra i due Pressurizzatori, gomito a gomito con le spalle al muro.

È la fine. Questa è davvero la fine. Uccideranno Annie e mi spediranno ai lavori forzati nel Basso Mantello proprio come mia madre, che più o meno equivale ad una condanna a morte. Vorrei stringere la mano di Annie, dirle che le voglio bene, guardarla negli occhi un'ultima volta, ma l'unica cosa che riesco a fare è fissare paralizzata l'avanzata implacabile del vigilantes, mentre rivoli di sudore mi scendono lungo la schiena e lo stomaco minaccia improvvisamente di rivoltarsi.

Dalla maschera del casco riesco a distinguere la sua bocca distorta in un ghigno crudele e perverso, gocciolante di scherno.

“Guarda guarda chi abbiamo qua. Ann Marie Bishop e la sua sgradevole amichetta nera. Ti stavamo proprio cercando, sai, Bishop?”

Tira fuori la pistola laser e io chiudo gli occhi. Sento partire il colpo come al rallentatore, uno spostamento d'aria che mi fa rizzare i peli del collo e delle braccia, poi l'impatto e il rumore di un corpo che cade a terra.

Rumore di ferraglia. Riapro di scatto gli occhi, appena in tempo per afferrare Annie ed impedirle di afflosciarsi al suolo, le gambe che l'hanno improvvisamente abbandonata. In mano stringe una pistola di un tipo che non ho mai visto prima, stranamente piccola e tozza. La canna è molto più corta rispetto a quella delle comuni pistole laser e le guance del calcio sono decorate con delicati fregi in argento, ma l'elemento che spicca sopra tutto è il cilindro metallico incastrato nel mezzo.

“Era della trisnonna,” risponde alla mia espressione interrogativa con voce debolissima. Annuisco, troppo sconvolta per parlare e le tolgo di mano l'arma, temendo che si lasci scappare accidentalmente un colpo.

La faccia del vigilantes è un buco di carne viva, pezzi di ossa e brandelli di poltiglia grigiastra. La fisso per qualche istante, incapace di distogliere lo sguardo, morbosamente affascinata e un po' disgustata da quello spettacolo, mentre con un impeto di gioia assaporo per la prima volta il gusto intossicante della vendetta. È sbagliato, lo so, ma mi fa stare così bene.

D'improvviso mi riscuoto. Afferro la mano di Annie, stringendo nell'altra la pistola.

“Vieni, dobbiamo andare.”

Scavalchiamo il corpo del vigilantes e puntiamo all'imboccatura del vicolo. Mi appiattisco contro il muro e sbircio oltre l'angolo per controllare che non ne arrivi un altro, attirato dal rumore dello sparo. Ma non c'è nessuno in vista.

Scatto fuori dal vicolo, tirandomi dietro Annie che mi segue docilmente, con tutta probabilità ancora troppo scioccata da quello che ha fatto. La mia povera, dolce Annie. Il pensiero che dovrei fermarmi e accertarmi che stia bene sfreccia nel mio cervello, ma lo respingo bruscamente. Annie ha fatto quello che doveva per proteggerci entrambe, sacrificando la sua coscienza per impedire che quella bestia ci facesse del male. Ora tocca a me badare alla nostra sicurezza, e questo significa mettere da parte gli inutili sentimentalismi fino a quando saremo in salvo. Se mai lo saremo.

Corro lungo il percorso impresso a fuoco nella mia mente, diretta verso il Pozzo di Collegamento n. 8, il cuore che galoppa come impazzito all'idea della follia che stiamo per compiere. Scivoliamo di galleria in galleria, scegliendo i cunicoli secondari, quelli più stretti, quelli più oscuri. L'eco dei nostri passi ci insegue, spingendoci ad allungare la falcata e a guardarci incessantemente alle spalle, ossessionate dalla paura che una pattuglia di vigilantes possa piombarci addosso da un momento all'altro.

Finalmente arriviamo. L'ingresso al Pozzo di Collegamento è schermato da un meccanismo di mimetizzazione, con la parete della galleria che lo nasconde a chi non ne conosce l'ubicazione. Un'ulteriore difesa è costituita dalla necessità di inserire un codice di accesso di sedici cifre. Come per molto altro, è grazie all'involontaria partecipazione di Rick Bishop che io e Annie abbiamo saputo dove dirigerci e cosa fare.

“Ce l'hai?” chiedo con voce ansiosa alla mia amica, guardandomi intorno per l'ennesima volta. Lei annuisce rigidamente e tira fuori da una tasca il suo palmare. Scorre velocemente fino alla pagina desiderata, legge le istruzioni che ha trasferito dai documenti di suo padre e dopo aver valutato con un'occhiata la parete di roccia preme il palmo contro un punto preciso, più o meno a un metro da terra sulla sinistra.

La parete muta improvvisamente, perdendo il comune colore grigio scuro e rivelandosi per quello che è: brillante titanio temprato, sagomato nella forma di un portone di due metri e mezzo per due, chiuso da serrature automatizzate collegate alla placca rettangolare apparsa sulla destra e ricoperta di numeri e simboli.

Annie mi guarda e al mio cenno affermativo digita il codice con attenzione. Le tremano le dita, come se solo adesso si rendesse conto di quello che stiamo facendo.

Volevamo farlo: volevamo davvero andare all'Esterno e vedere con i nostri occhi quello che c'è là fuori. Ma questa cosa è completamente diversa. Il piano era saltare nel Secchio, andare e tornare. Il piano adesso è cambiato: tornare giù non è più un'opzione per Annie, non con i castigatores che le danno la caccia e il Generale Supremo di Subterra che vuole la sua testa.

Con uno scatto sibilante le serrature scorrono al loro posto e i battenti si aprono verso l'interno, facendo riversare fuori una luce bianchissima e asettica. Nello stesso momento sopraggiungono delle grida. Ci hanno viste! Mi giro giusto il tempo di scorgere cinque castigatores – probabilmente gli stessi che hanno fatto irruzione in casa di Annie – correre lungo la galleria verso di noi, urlando di fermarci immediatamente.

Impallidisco e spingo Annie attraverso il passaggio, sbattendo subito dopo la porta alle spalle e cercando un modo per bloccarla. Esamino freneticamente i dintorni della cornice, sperando di vedere una tastiera corrispondente a quella comparsa all'esterno, ma niente.

“Annie, cazzo, non si chiude!” urlo con voce stridula, isterica, sentendo le grida sempre più vicine. Un solo colpo di un Peacekeeper e questa porta si spalancherà verso l'interno senza opporre resistenza alcuna, scagliando me e Annie a gambe all'aria contro l'attrezzatura dietro di noi. Ed allora neanche l'intervento di Madre Terra in persona servirebbe a risparmiarci al nostro destino.

 

“Fatti più in là e leggi quello che c'è scritto.” Con un leggero colpo di reni, la mia amica mi allontana dall'apertura e mi lancia il suo palmare . Lo acchiappo al volo e comincio a dettarle le istruzioni, a me incomprensibili, che ci trovo appuntate. Annie non batte ciglio ed esegue rapidamente una serie di piccole pressioni in determinati punti della cornice, punti all'apparenza non dissimili dagli altri, di titanio perfettamente liscio e luccicante. Al tocco delle sue dita sottili, i battenti cominciano a tremare e in entrambi si aprono delle bocchette da cui escono tubi metallici che si vanno a fissare nell'altro battente, in una morsa inamovibile.

Io e Annie ci sorridiamo, soddisfatte del risultato della nostra collaborazione, e tiriamo un sospiro di sollievo: siamo in salvo.

Ma ancora per poco! Un boato assordante risuona nello spazio circolare del Pozzo di Collegamento, facendoci trasalire entrambe. I castigatores stanno usando i Peacekeeper in loro dotazione per far saltare l'ingresso del Pozzo, e i battenti di titanio già sembrano soffrire dell'attacco, gemendo e incurvandosi verso l'interno a causa della pressione esercitata dalle armi.

“E ora che cosa facciamo?” chiede Annie, distogliendo la mia attenzione dalla porta.

L'ambiente del Pozzo è costituito da due anelli concentrici, quello più interno chiuso e contenente la cabina di risalita, il Secchio. Lungo le pareti dell'anello esterno sono incassate, dentro alcove protette da una vetrata, le tute anti-radiazioni indispensabili per eseguire il viaggio all'Esterno. In un altro scomparto sono accatastate scatolette di viveri disidratati e in quello accanto fanno bella mostra di sé vari kit di pronto soccorso. Passo la mano sul vetro e uno strato di polvere alto un centimetro mi rimane attaccato al palmo, facendomi improvvisamente realizzare che queste attrezzature giacciono qui inutilizzate da vari decenni. Un fiotto di bile mi riempie la bocca e un caldo asfissiante mi soffoca mentre mi rimprovero che avrei dovuto pensarci, che avrei dovuto saperlo. Stupida, stupida Gaia!

Un'altra detonazione scuote la porta ricordandomi che le nostre opzioni sono esaurite.

“Vieni, mettiamoci queste. Dobbiamo fare in fretta.”

Io e Annie estraiamo le tute anti-radiazioni dalle loro nicchie e ce le infiliamo addosso, agevolate dalla taglia superiore rispetto alla nostra: sono fatte per adulti, quasi sicuramente uomini, non per ragazzine di tredici anni...

Indossiamo il casco, munito di filtro per l'aria e visore notturno. Accendiamo i dispositivi proprio mentre un colpo più forte dei precedenti impatta contro la porta di metallo, l'unica protezione che ci separa dalla morte per mano dei castigatores. I tubi di titanio che chiudono i battenti si sono lievemente piegati verso l'interno, segno sicuro che a breve il portone cederà, venendo sparato verso di noi.

Arraffo un kit di pronto soccorso e qualche scatoletta di cibo, ficcando il tutto nello zaino in dotazione della tuta insieme alla pistola della trisnonna, mentre Annie fa lo stesso. Quindi premo il pulsante di apertura del Secchio e la parete dell'anello interno di spalanca su una saletta circolare, con sedili lungo il bordo e al centro una postazione di comando. I pulsanti e le levette sono innumerevoli e assolutamente incomprensibili.

“Annie, hai altre indicazioni, vero?” chiedo con voce tremolante. Se dicesse di no, saremmo finite.

“Ho tutto qui, tranquilla. Tu leggile per me.” Si siede alla postazione di comando e comincia a smanettare sulla pulsantiera seguendo le istruzioni che io le detto.

Mentre l'ingresso del Secchio si chiude con un tonfo, tagliando fuori le urla dei castigatores, penso a mia madre. Mia madre Jenna che aveva la pelle chiara come quella di Annie e i capelli più pallidi del grano bianco che cresce nei campi di Subterra. Penso alla delusione che deve aver provato quando mi hanno messa, appena nata, tra le sue braccia: io, un errore della natura, un essere diverso, sgradevole, mostruoso.

Annie mi lancia uno sguardo. “Sei pronta?”

Il mio mento si abbassa di un millimetro, ma è quanto le basta. Preme il pulsante di avvio e la voce metallica del comando automatico prende ad enumerare il conto alla rovescia per la partenza.

Mi chiedo cosa penserebbe mia madre vedendomi qui in questo Secchio, a sacrificare tutto quello che ho per la mia amica. Mi chiedo se capirebbe, se approverebbe, cosa mi direbbe se non fosse scomparsa nelle profondità del Mantello senza una ragione, lasciandomi sola in questo mondo ostile.

Otto... sette...

Mi chiedo cosa ci aspetti lassù all'Esterno. Le nostre tute, se ancora funzioneranno, ci proteggeranno dalle radiazioni, permettendoci di sopravvivere per qualche tempo, certamente più di quanto ci sarebbe concesso a Subterra. Ma poi? Se lassù fosse davvero il terribile deserto di cui ci hanno sempre raccontato? Se non trovassimo né acqua, né cibo, cosa faremo una volta finite le scorte?

Sei... cinque...

Troppo tardi. Troppo fottutamente tardi, Gaia, sembra sembra dire il mio cervello prendendomi in giro.

“Mi dispiace,” sussurra Annie. Attraverso il visore del casco riesco a scorgere i suoi occhi sinceri, spaventati, forse un po' umidi.

“Non è colpa tua,” rispondo, prendendole una mano. I guanti della tuta coprono il colore della nostra pelle. “Andrà bene. Ne sono sicura,” mento.

Due... uno...

ZERO!

 

§§§§§

 

Oggi è il giorno. Oggi è il giorno della vendetta.

Pulisco la mia pistola: fra poche ore l'attacco avrà inizio ed io devo essere pronta a guidare gli Esterni contro le forze subterranee nemiche.

Quando sette anni fa io e Annie siamo sbucate in superficie, siamo state immediatamente prese prigioniere. Un gruppo di uomini dalla pelle nera, vestiti di indumenti stracciati fatti di pelli e parti vegetali ci aspettava fuori dal Pozzo, costantemente sorvegliato dalle loro guardie.

Non parlavano il subterraneo, ma siamo riuscite a far capire loro che le nostre intenzioni non erano ostili. Ci hanno portato nel loro villaggio, un agglomerato di lastre di piombo nascosto nella vegetazione rigogliosa di una valle. Ci hanno sfamate e dato un posto dove stare. Ci hanno accolte tra gli Esterni.

Era tutta un'enorme, colossale menzogna. Per tredici anni la mia vita è stata fondata sul presupposto dell'impossibilità di vivere all'Esterno. E così, in effetti è stato per circa 120 anni dopo che il cretino del ventunesimo secolo aveva fatto la sua furbata. Ma piano piano l'ozono si è riformato nell'atmosfera e la vita, sebbene mutata e di un tipo completamente diverso da come la conoscevamo, ha cominciato a rifarsi strada sulla superficie del pianeta.

Siamo vittime di un sistema che ci domina e spadroneggia nelle nostre esistenze, godendo del potere che gli abbiamo conferito quando avevamo bisogno di una guida nell'oscurità del sottosuolo. Un sistema dittatoriale, sprezzante dei diritti umani, che ci ha tenuti in suo potere con la forza della menzogna.

Ma da domani basta. Domani sarà l'alba di una nuova era, in cui le catene della schiavitù verranno spezzate e gli uomini e le donne di Subterra potranno tornare a vivere all'esterno, come è loro diritto, invece che strisciare sottoterra come topi terrorizzati.

È con questa speranza che stanotte mi addormento, scivolando nel mio giaciglio accanto ad Annie e posando una mano sul suo petto. I battiti del suo cuore sono i tamburi della guerra che ci aspetta.

 


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NOTE: 1) Zarmina, il pianeta su cui i genitori di Annie pianificano di andare prima di esser uccisi, esiste davvero ed è il pianeta più simile alla Terra mai scoperto finora. Il suo nome ufficiale è "Gliese 581 g" e si trova nella costellazione della Bilancia, che sta nella nostra galassia, la Via Lattea . Perciò quando Gaia fa il suo discorso strappalacrime (XD) per convincere Annie ad andare all'Esterno, ecco... prendetela come l'esagerazione di una bambina triste! Gliese 581 g è chiamato amichevolmente "Zarmina" in onore della moglie di uno degli scopritori del pianeta, l'astronomo statunitense Steven Vogt. Ulteriori informazioni sul pianeta e sulla stella intorno a cui ruota potete trovarle qui.

2) Il buco dell'ozono è un problema ambientale che tutti conosciamo bene. Il resto è fantasia. Se volete approfondire l'argomento trovate qualcosa qui.

  
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