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Autore: WordsEnchantress    22/11/2013    0 recensioni
A volte serve un cambiamento vibrante e improvviso per aprire i nostri occhi sull'importanza della quotidianità. Siamo sempre disposti a credere che il dolore attaccherà qualcun'altro, di essere al sicuro. Poi succede qualcosa e perdi ciò che più ti stava a cuore ma che davi per scontata.
E allora come ripari la tua vita?
Per questa storia mi sono ispirata a una delle canzoni più belle mai scritte, Fix You dei Coldplay.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When you try your best
But you don't succeed
When you get what you want
But not what you need
When you feel so tired
But you can't sleep
Stuck in reverse
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste
Could it be worse?
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
High up above or down below
When you’re too in love to let it go
But If you never try you’ll never know
Just what your worth
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I
Tears streaming down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you.
 
(Fix You – Coldplay.)
 
 
James.
 
Quando entro nell’edificio strascicando i piedi mi rendo conto di lasciarmi trascinare dalla massa di studenti che si muovono verso le aule. Sono di pessimo umore, è un periodo stressante e sono stanco. L’ultimo anno mi sta uccidendo. Ancora una volta mi trovo a pensare che se non fossi stato così svogliato ora sarei fuori da qui.
Ci sediamo al nostro posto ma la professoressa è in ritardo, che ipocrita. È sempre pronta a massacrarci al primo errore ma lei continua a fare ciò che vuole.
Guardo il cellulare e la mia ragazza non ha ancora risposto. Certo, se la sarà presa per una virgola messa nel posto sbagliato e ora mi tiene il broncio senza motivo. Tipico, riesce a peggiorare sempre la situazione.
L’insegnate entra in classe con lo sguardo perso nel vuoto, si toglie la giacca e sospira.
“Ragazzi, scusate il ritardo ma ho appreso una notizia che mi ha davvero sconvolta.”
Parecchi sbuffano, alcuni alzano gli occhi al cielo e io penso che mi sta davvero sulle palle.
“Incredibile, incredibile!” borbotta.
Fa il giro della cattedra e lascia cadere il suo culo enorme sulla sedia.
“Mi sorella è sconvolta, ma fortunatamente sua figlia sta bene.”
Cominciamo a ridacchiare, si comporta come se fossimo i suoi amiconi e la cosa ci irrita.
Il leccaculo della classe peggiora il mio umore chiedendo con voce melliflua:
“Cosa le è successo, professoressa? Sembra sconvolta.”
“No, a me no. A tutti noi, piuttosto. Incredibile. Incredibile! Un attacco terroristico, adesso, nessuno poteva aspettarselo.”
Non vorrei ma ha catturato la mia attenzione e quella dei miei compagni. Se ne accorge e continua compiaciuta.
“Poi in un posto del genere, l’università!”
C’è qualcosa che si gela nel sangue quando si ha paura, il cuore comincia a contrarsi in modo talmente prepotente da farsi sentire anche nello stomaco e in gola.
“Un bomba! In università! Chi potrebbe mai uccidere tante giovani vite?” continua lei.
Ora siamo tutti tesi, molti di noi conoscono persone che frequentano l’università. Amici, fidanzati, fratelli.
“A quest’ora del mattino, poi! I genitori di quei ragazzi staranno impazzendo, nessuno risponde al telefono, i soccorsi non sanno ancora niente…”
La mano trema mentre controllo il telefono. La mia ragazza non ha ancora risposto.
Mi alzo in piedi, sento qualcosa che striscia contro la colonna vertebrale, sembra un presentimento.
“Quale?”
“James, siediti.” risponde lei, la nostra antipatia è reciproca.
“Ho chiesto: quale?”
Tutti la guardano, tutti aspettano la risposta.
 
Lianne.
 
Fa freschino oggi. George mi guarda in tralice e dice che sono ipersensibile al freddo, poi controlla che Dana abbia risposto.
“Beh, è in ritardo, come sempre.”
Una grande maggioranza degli studenti è ancora fuori a fumare o a godersi gli ultimi istanti prima dell’inizio delle lezioni.
C’è una bella luce a illuminare il sorriso di decine e decine di studenti.
Mi piace la mia università.
Guardo le porte che si aprono e si chiudono in continuazione e muovo la tracolla per ridistribuire il peso.
“Entriamo o no?” chiede lui.
E vorrei rispondere, lo sto per fare, ma il mondo sta finendo.
L’aria si muove e ci porta via, lo vedo alzarsi da terra e contorcersi in aria come me, mentre veniamo scagliati lontano.
Il boato, il boato è la cosa peggiore. Il fuoco e il boato, e il mondo è finito.
Poi c’è il nulla.
 
James.
 
Non riesco a respirare.
“James, capisco che tu sia sconvolto dalla notizia ma non è il modo di reagire. Non dobbiamo farci scoraggiare.”
“Scoraggiare? – Ringhio fuori dai denti – la mia ragazza frequenta quella università. Oggi era lì, a quell’ora.”
Mi guarda fisso e non sa cosa rispondere.
“Ci sono molti edifici…” balbetta alla fine.
Io non l’ascolto neanche, chiamo Lianne e poi la chiamo di nuovo. Rispondi, rispondi, rispondi.
Suona a vuoto e poi scatta la segreteria.
Forse non lo sente, avranno sentito l’esplosione in un altro edificio e staranno evacuando il resto dell’università.
O forse era lì…
No, non esiste. Sono cose che capitano alle altre persone. Non a lei, non a me.
Un altro paio di miei compagni hanno degli amici che frequentano lo stesso corso di studi. Li chiamano e non rispondono.
Un nostro amico tira fuori il pc portatile che usa per prendere appunti e lo mette sulla cattedra, poi cerca un tg in internet. Tutti parlano solo di questo, hanno interrotto gli altri programmi per tenere informate le famiglie delle centinaia di studenti che si trovavano lì.
C’è un giornalista molto giovane e sembra parecchio agitato, probabilmente è il suo primo servizio così importante.
“La bomba è esplosa poco prima dell’inizio delle lezioni, questo ha fatto sì che molti studenti si trovassero appena fuori dall’edificio al momento dell’attentato. Il numero di morti rimane comunque elevato, ma non è ancora dato sapere quanti siano. I feriti sono estremamente numerosi, tutti gli ospedali della città si stanno organizzando al fine di ospitare il maggior numero possibile di traumi gravi. Le forze di primo soccorso continuano le ricerche per poter informare i famigliari delle vittime e per capire di che natura sia l’attentato.”
Non lo sto più ascoltando. Guardo alle sue spalle e vedo solo macerie e morte. Sono già tutti lì: polizia, ambulanze, artificieri e pompieri.
Ogni tanto provo a richiamare Lianne, ma lei non risponde. Per una volta prego che sia incazzata nera con me e non mi voglia parlare.
Comincio ad essere terrorizzato, gli amici dei miei compagni hanno risposto e stanno bene.
“Sembra che non fosse un’unica carica ma tanti piccoli ordigni posizionati in diversi punti dell’edificio. Non capiamo ancora quale sia il movente di questo attacco.” Spiega il capo della polizia.
Il giornalista si gira verso una ragazza. È bassina, con i capelli tagliati cortissimi, gli occhi spalancati su un terrore che le rimarrà impresso nella mente per anni. Trema in modo evidente, non serve che dica nulla. Lei ha visto.
“Mi scusi! Le spiacerebbe rispondere a qualche domanda?”
Che stronzo insensibile, penso. E lo sono anche io, perché desidero che risponda. Voglio saperne di più, magari conosce Lianne.
Nel momento in cui formulo questo pensiero mi rendo conto di averla già vista. Tra le foto di Lianne. Si chiama Dana.
“Io… Ero in ritardo e… I miei amici… Mi aspettavano qui, ma non mi hanno detto se fuori o in aula. Non riesco a trovarli. So che… Alcuni corpi sono ridotti così male da non riuscire a identificarli… Io… Devo trovarli. Sia chiamano George e Lianne.”
 
Era lì. Sento i miei compagni chiamarmi e calmarmi, dirmi che starà bene, che va tutto bene. Sento mani che mi toccano e parole di conforto. Mi fanno schifo, le loro parole di conforto.
“LEI NON è MORTA!” gli urlo contro. Stanno in silenzio, mi guardano come si guarda un bambino che fa i capricci.
Non sento altro che le parole di Dana nella testa.
Alcuni corpi sono ridotti così male da non riuscire a identificarli.
Lianne è bellissima. Credo di non averlo mai capito davvero.
Ora lo so, so quanto sia meravigliosa. Come ho fatto a essere così cieco? Lei era bella. No, no aspettate. Lei è bella. Lo è ancora.
 
“DANA!”
Il giornalista sembra non riuscire più a gestire la situazione, ma il cameraman sa fare il suo lavoro e segue la scena.
“Oh, George!”
Un ragazzo alto e sottile, con i capelli biondi arruffati, tenta di correre ma zoppica troppo. I suoi vestiti sono strappati, il suo volto è ricoperto di cenere e sangue.
Si stringono forte, ma lui si ritrae con una smorfia.
Sposta un lembo della giacca e rimaniamo tutti immobili. Ha qualcosa conficcato nel fianco. Un paramedico lo rincorre e cerca di forzarlo a sdraiarsi sulla barella, sembra molto grave.
Lui urla verso Dana.
“Lianne era con me! È stata sollevata da terra e scagliata lontano. Non la trovo. Non la trovo!! Dovete cercarla. Cercate Lianne, sto bene, cercate Lianne.”
Eccole le lacrime. Credevo di essere prosciugato ma non è così. Ora scendono e bruciano tanto quanto la paura.
Sono pesanti come il mio cuore. Per favore, sussurro con lui, cercate Lianne.
Dana guarda il paramedico.
“Come ha fatto a rimanere in piedi con quella cosa nella pancia?”
“Adrenalina, lo shock è stato tanto forte da impedirgli di sentire dolore. Signorina lei non può fare nulla per aiutare a trovare la sua amica. Venga con lui, state vicini. È ancora vivo.”
“E la mia intervista?” chiede deluso il giovane. Il capo della caserma si allontana dicendogli parole poco carine.
 
Lei dov’è? Dove sei mia piccola Lianne?
 
Lianne.
 
Qualcosa non va nelle mie orecchie. Sento tutto ovattato.
Mi alzo, o almeno ci provo. Credo si siano rotti i timpani perché non riesco a stare in equilibrio. Sono ridotta male, ma nulla di visibile che sia grave.
Mi aggrappo al muro e cerco George ma non riesco a trovarlo. È difficile camminare tra le macerie. Ho le mani scorticate e mi reggo in piedi come posso. Faccio fatica a respirare tra il fumo e la polvere nell’aria. Quanto sono rimasta svenuta? Non molto, credo. Non vedo soccorsi. Qualcuno urla e seguo quel suono distorto dalle mie orecchie ferite. Un ragazzo si tiene la gamba e mi inginocchio vicino a lui.
“Fammi vedere” gli dico gentilmente. Quando toglie le mani, però, uno schizzo di sangue zampilla verso l’alto. Malissimo. Glielo tengo premuto con tutte le forze ma lui perde velocemente colorito.
Una ragazza vaga senza meta, perde sangue da una ferita alla testa e sembra sul punto di svenire.
“Ei! Tu, scusa! Vieni qui, presto. Devi tenere premuta la sua ferita ok? Con tutte le forze che hai. Ma rimani seduta, potresti aver subito un trauma cranico. – mi giro verso il ragazzo. – dovete rimanere svegli, chiaro?  Dovete controllarvi a vicenda. Non vi lasciate andare.”
Annuiscono attoniti e mi allontano. Sento la testa girarmi e pulsarmi ma non mi fermo. Strappo la maglietta a un altro ragazzo e la uso per fermare i sangue che esce copioso dal suo braccio.
Lo lascio a guardare un suo amico svenuto e a controllare che il battito rimanga udibile.
La cravatta di un professore si rivela utile per bloccare la frattura scomposta della sua caviglia. Cerco di non vomitare quando vedo l’osso spuntare dalla carne viva di quell’uomo.
Vicino a lui lascio una ragazza che sembra in trance.
La cosa peggiore è trovare una giovane donna sotto un grosso pezzo di muro. Ha entrambe le gambe bloccate, era qui per laurearsi.
“Tranquilla – mi dice con l’imitazione di un sorriso – non fa nemmeno male.” Non posso dirle che questo accade perché è probabilmente rimasta paralizzata. Le dico di non muoversi e rimanere sveglia, credo abbia una lesione alla colonna vertebrale.
Trovo un ragazzo che sembra messo bene.
“Stai bene?”
“Credo mi sia uscita la spalla.”
“Tieni immobile il braccio, anzi, fermalo con questa felpa – dico lasciandogli la mia – e stai con lei.”
“Rimarrà paralizzata, vero?”
Sospiro.
“Sì, ma non serve che lo sappia ora.”
Mi volto e continuo ad aiutare chi posso, finché da lontano non vedo un uomo avvicinarsi.
“Siamo qui! Aiutaci!” Eccolo, un paramedico. Ci sono i soccorsi.
“Sei tu allora!”
“Cosa?”
“C’è qualcuno che sta medicando e aiutando i feriti come può da prima che arrivassimo.”
“Sono io, sì.”
Mi guarda in modo strano.
“Potresti aver salvato la vita di decine di persone.”
“Non potevo fare altrimenti.”
“Devi farti curare ora, devi andare in ospedale. Sei strafatta di adrenalina, potresti avere gravi lesioni interne. Devi farti visitare subito.”
“Sto bene! A parte i timpani, credo, ti sento come se fossi dieci metri più in la. Sto bene, ok? Fammi aiutare come posso.”
“Stai scherzando?”
“Devo aiutarli, ok? Anche loro hanno visto l’inferno!”
 
James.
 
Il computer rimane acceso sullo stesso notiziario, tutte le reti sono rimaste collegate. Tendiamo un orecchio ma non lo seguiamo più molto, danno poche informazioni perché non hanno in mano nulla. È stato un attacco molto più potente di quanto credessero.
Mi sento ovattato. Staccato dal mondo.
Sarah si avvicina e mi appoggia la mano sulla spalla.
Io e Lianne abbiamo litigato molto per lei: si è dichiarata tempo fa e la mia ragazza non sopporta che io le dia corda. Io le ho risposto che siamo amici ma non è vero. Non mi piace ma non posso negare che sia piacevole ricevere tante attenzioni.
Quando mi tocca però scrollo subito la spalla per allontanarla.
“Non sei lei. Io sono occupato, chiaro?! Devi fartene una ragione. La amo, e le cose non cambieranno presto.”
Per un momento la odio, mi infastidisce perché so che ferisce lei. Ho mentito, non ho mai detto a Lianne di amarla. Ora non riesco a ricordare perché.
Io la amo.
E ora no so se potrò mai dirglielo.
“James.”
Lucas richiama la mia attenzione e indica lo schermo.
Il giovane giornalista è estremamente emozionato.
“Sembra che ci sia una ragazza, una vera e propria eroina, che ha salvato la vita a decine di persone attivando comportamenti di primo soccorso per tenerli in vita fino all’arrivo dei medici. Ha radunato come poteva i feriti affinché si aiutassero a vicenda a rimanere coscienti mentre lei si occupava di altri.
Eccola, sta arrivando!”
 
Il mio cuore si è fermato. È lontana ma riconoscerei quella ragazza ovunque. Eccola. Lianne è viva. La mia ragazza è viva. Esultiamo tutti come se fosse la fina dei mondiali e la nostra squadra avesse segnato il goal vincente.
È sporca, ricoperta di sangue e distrutta, ma è bellissima. Bellissima.
 
Sorrido del fatto che stia litigando con il paramedico. Vuole continuare ad aiutare le persone ma deve essere visitata. La solita testarda.
Sono ancora lì a litigare quando tutto finisce.
 
C’è qualcosa di malsano nell’ironia della vita. C’è qualcosa di ingannatore nella speranza e nella felicità.
Non ho più nulla sotto i piedi. Il mondo non ha senso.
Qualcuno urla. O forse sono io.
Sì, sono io.
Sento delle mani tenermi sollevato. Mi fermano le braccia dietro la schiena. Mi tengono immobile per le spalle e la vita.
Sto ancora urlando credo.
Il suo nome.
Lianne.
Rispondi.
Riaccendete le telecamere.
Lianne.
Non morire.
Non ora.
Non morire.
Lianne.
 
La seconda esplosione ha portato via tutto. Anche me. Ha portato via anche me.
 
Lianne.
 
 
 
James.
 
Lo psicologo sospira.
Ancora un volta ho passato l’intera seduta in silenzio. Non vedo perché dovrei parlare di quello che provo con lui.
Ho smesso di piangere, di lamentarmi, di urlare. Ora preferisco stare in silenzio.
Mi piace il silenzio, non mi piacciono i rumori forti.
Sono passate solo due settimane.
Andare a scuola è la cosa peggiore. Lo sguardo di pietà dei professori, i miei compagni mi trattano come fossi di cristallo.
Mi sono iscritto in palestra e mi alleno tutti i giorni. Studio la notte.
Non dormo molto. Non ho tanta fame.
Il mondo è molto diverso da come lo ricordavo.
I telegiornali non parlano d’altro, per questo mi è difficile accendere la televisione.
Alla fine si è scoperto che un ex studente ha perso la testa e ha deciso di distruggere la sua università.
La seconda esplosione era in realtà una bomba inesplosa. Si è solo detonata dopo le altre.
Casa mia non è più casa mia.
Casa mia è questo ospedale.
Busso dolcemente.
“Chi è?”
“Indovina?”
“Oh, James! Ciao! Per un attimo temevo non venissi.”
“Ciao Lianne. Come stai oggi?”
“Sto bene, credo.”
“Mi fa piacere. Ciao Dana, ciao George.”
Mi salutano con un mezzo sorriso e poi le danno un bacio sulla fronte. Si tengono per mano quando escono dalla stanza. Certe cose uniscono.
“Come stai tu? Sembri stanco!”
“Io? Mi vedi? Sono in grandissima forma!”
“Credevo non venissi.”
“Ero a fare la spesa. – mento per lei. - E anche tu sei in gran forma. Ma starai anche meglio: guarda un po’ cosa ti ho portato!”
Le porgo delle foto e quasi si mette a piangere.
“Oh, James, sono splendide. Grazie.”
“Hai visto? Quello è il tuo coniglio.”
“Ho davvero un coniglio?”
“Certo. Si chiama Eolo, perché russa un sacco. E russa davvero.”
“I conigli russano?”
“Il tuo sì!”
“Scusa.”
“Non devi mai chiedere scusa.” Dico spostandole i capelli dietro l’orecchio.
“Mi fa tanta rabbia, vorrei ricordare, ma non riesco.”
Sta arrossendo.
“Posso chiederti una cosa?” chiede timida.
“Tutto quello che vuoi.”
“A… Avevo un ragazzo? Io… Prima, nella vita prima.”
“Beh… - e ora? Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. – No.”
Mi sento male. Vorrei urlarle che ero io e che mi amava e che ora sa a mala pena chi io sia. Non posso, niente traumi ha detto il dottore. Prima la sua felicità, io vengo dopo.
“Ah… Menomale. Cioè… Credo che tu mi piaccia. In quel senso, dico… So che non ho possibilità, nessuno mi amerebbe. Non ho la memoria. E non ho una gamba. Ho ben poco in realtà, ma…”
La bacio. E lei ride, quindi bacio anche il suo sorriso.
Non importa quanto sia dura, non importa quanto dolore ci sia stato e ci sarà.
Le nostre vite cominciano oggi.
 
And I will try to fix you.
   
 
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