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Autore: Lechatvert    25/11/2013    4 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Prologo – ricordi
(http://www.youtube.com/watch?v=sZVP9BZFKzw)



La gattaia, gattaria, erba gatta o erba gattaia (Nepeta cataria L.) è una pianta aromatica della famiglia delle Lamiacee.
È una pianta perenne, aromatica, al profumo di menta ha fusto eretto, legnoso, quadrato, tomentoso, di colore grigio; le foglie dentate e pubescenti sono da triangolari a ovali-cuoriformi. Gli spicastri sono densi e formano fiori a pannocchia bianco-rosato, con punte rosse o macchie color lavanda.
Fiorisce tra maggio e agosto.





Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.
Il primo, sepolto sotto le lacrime e le vite spezzate dall’attacco a Masyaf del 586, puzza ancora di morte e menta, di aceto e sabbia.
Il secondo possiede il medesimo, acre odore ed è accompagnato dal pianto acuto e stridulo di un bambino. Fu quando, in una giornata calda e soleggiata come quella in cui lei era comparsa, mio figlio venne alla luce.







Masyaf, 1191 (586)
La seconda spada le trafisse il ventre un istante prima che il templare le afferrasse con forza la caviglia per trascinarla giù dalla torretta sulla quale si stava arrampicando.
Con un tonfo sordo, la ragazza cadde a terra, battendo il mento sul muro duro della costruzione, e rotolò qualche passo più lontana dal suo aggressore. Si rialzò a fatica, calcolando i danni.
Due buchi nella pancia, di cui soltanto uno era abbastanza profondo da farla sanguinare abbondantemente, una freccia spezzata che le attraversava la spalla da parte a parte, un coltello nel polpaccio.
Tutto sommato, aveva passato di peggio.
Si staccò la lama dalla gamba, lasciando che il sangue sgorgasse sulla sua carne già sporca, e si gettò di lato, riprendendo la sua scalata verso la cima. Non era affatto facile, balzare da un appiglio all’altro con un braccio che stava lentamente perdendo la capacità di muoversi.
Raggiunse la sommità della torre con qualche secondo di scarto e fece giusto in tempo a recuperare la spada legata in vita che il templare le fu di nuovo addosso, armato soltanto dei suoi pugni chiusi.
Più che sufficienti, in realtà. Quando si erano scontrati, lei era stata brava a rubargli la lama, ma non rapida a sufficienza per evitare un paio di pugni sul naso.
Fine’, pensò, ghignando, mentre lo attaccava nello spazio ridotto della cima della torre.
Gli affondò la spada nel petto che lui neanche se ne accorse, spingendolo contro i merli per poi lasciarlo cadere nel vuoto.
Saltò sul cornicione, sporgendosi in avanti per scrutare il paesaggio che la circondava. Si abbassò il cappuccio grigio della cappa, arricciando il naso.
Dove diavolo era finito, il suo maestro?
Si erano separati quando i templari li avevano attaccati; come ritrovarlo in mezzo alla folla che si accalcava sulle mura del paese per scampare alla morte?
Facendosi pensierosa, buttò indietro il capo, chiedendosi se tutto quel trambusto sarebbe mai servito a qualcosa per scuoterla dall’esasperante grado di novizia che tanto bramava di scrollarsi di dosso.
Si alzò sulle ginocchia, pronta a spiccare un balzo verso il vuoto, ma un paio di mani più forti delle sue le afferrarono saldamente le spalle, facendola cadere di schiena sul tetto della torre.
Improvvisamente, realizzò di non essere sola.
Deglutì, mentre la lama di un coltello si abbassava sulla sua gola, accarezzandole la pelle con la delicatezza di un dito.
Come aveva fatto, a non accorgersi di un secondo nemico?
« Ultime parole, Assassino? »
Lei sorrise, sfregando appena la gola sul freddo metallo della lama.
Ci si vede dall’altra parte’.
Ridacchiò, premendo da sola il braccio sulla sua pelle, lacerandola con un taglio netto che le tinse la cappa grigia di sangue.
Cadde in avanti, sulle ginocchia, portandosi immediatamente una mano alla gola tagliata, ma riuscì a trascinarsi fino ai merli dove poco prima aveva visto precipitare il suo nemico.
Senza pensare, si buttò.
Con quel volo, contava davvero di morire.




__________________________

Note d'autore
...non guardatemi così.
Non ho neanche idea sul cosa stessi bevendo quando l'idea è arrivata.
So solo che un minuto prima leggevo e un minuto dopo fissavo questa cosa.♥
Se qualcuno dovesse chiederselo, non ho la più pallida idea di come procederà. Però ci penserò, lo giuro.


Per ora vi lascio con un bacio,

Lechatvert


   
 
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