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Autore: xbelicapeli    25/11/2013    3 recensioni
"Siamo stati creati per realizzare cose facili e per sopravvivere a quelle difficili."
Harry Styles e Louis Tomlinson lo sapevano bene, ma l’avrebbero presto provato sulla loro pelle.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate
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Sia Louis che Harry lo sentivano: stava per cominciare una vita nuova, i cui contorni erano incerti come quelli di un acquarello. Ma entrambi si sentivano sicuri e pronti a finire quel quadro insieme. Settembre ne prestava i colori.
Era dall’inizio di Gennaio che Louis ripeteva continuamente nella sua testa che questo sarebbe stato un anno migliore degli altri, lo faceva ogni capodanno, lo fanno tutti. Dopo pochi mesi già era a terra e iniziò ad insultare il 2013, come se avesse la colpa delle sue disgrazie, si chiedeva se fosse stato lui stesso a rovinare il suo destino o se fosse stato il destino a rovinare lui. Ma non aveva senso cercare di cambiare il passato ed ora pensava che le cose stessero cambiando, non capiva se era merito dell’autunno o di qualsiasi altra sciocchezza, ma finalmente la sua vita sembrava avere un senso.
Poi ci pensò, e il merito non era né della stagione né dell’anno, bensì di Harry: in fondo era lui che lo aveva cambiato in così poco tempo, era lui che gli aveva ridonato la speranza, era lui che lo faceva sentire di nuovo vivo.
Fino a poco tempo prima Louis aveva paura sia della morte che della vita, e non era sicuro che sarebbe stato lui a poter scegliere. Louis nel buio era un mollusco chiuso in una conchiglia, che un predatore ha sorpreso aperta ed indifesa: la carne tenera cerca di far aderire i lembi perfettamente, ma il predatore cercava di strapparla dalle sue pareti sicure, lasciarla vuota, deserta, guscio spezzato, sbattuto dalle correnti. C’erano giornate in cui si sentiva stanco, allora si sdraiava sul divano per riposarsi, ma era ancora stanco: era stanco della vita. Il vuoto onnivoro della vita aveva divorato tutta la luce di Louis. Quando dormiva aveva sempre gli incubi, ma quando si svegliava la realtà era ancora peggio.
Con Harry era tutto cambiato: Louis aveva voglia di vivere il doppio di quanto potesse, desiderava delle giornate infinite, non aveva neanche più sonno, non aveva bisogno di sognare se il suo sogno lo stava vivendo.
Louis amava scrivere, per questo appuntava ogni tipo di sentimento ovunque, non permettendo però che qualcuno leggesse. Forse aveva paura che se non avesse scritto nero su bianco quello che provava, l’avrebbe dimenticato, o semplicemente era un modo per sfogarsi, per riflettere e cercare se stesso. Era difficile riuscire a nascondere agli altri quello che aveva dentro e anche quello che aveva scritto, ma ormai aveva fatto abbastanza pratica e risultava un campione.
Harry interruppe i pensieri di Louis facendo il suo ingresso in camera ‘Buongiorno tesoro.’
‘Buondì’ rispose il più grande ancora un po’ assonnato strofinandosi gli occhi; allora si mise seduto, da sdraiato che era, e notò che come il primo giorno, Harry portava in mano un grande vassoio. ‘Ci hai preso gusto eh!’ scherzò.
‘Se non ti piace mangio io’ rispose allo scherzo per poi avvicinarsi e sedersi accanto all’altro appoggiando il vassoio sul comodino affianco.
‘Sono due settimane che stiamo insieme e ancora nessuno lo sa, per questo stiamo festeggiando?’
‘Voglio festeggiare ogni giorno con te.’ sorrise il riccio stampando un bacio sulle labbra secche appena sveglie di Louis. Poi prese il vassoio e lo portò sul letto dove entrambi consumarono la colazione parlando del più e del meno.
‘Lo porto giù mentre ti vesti.’ Si alzò Harry.
‘Certo.’ Finì di pulirsi la bocca Louis.
‘Hai bisogno d’altro?’
‘Mi puoi abbracciare?’
‘Ovviamente.’ Posò nuovamente il vassoio e si lanciò letteralmente tra le braccia aperte di Louis che lo aspettavano.
‘Grazie di essere il mio eroe’ sussurrò Louis all’orecchio dell’altro stringendo ancora di più l’abbraccio.
‘Non ho mai desiderato altro’ confessò prima di sciogliere l’abbraccio e tornare in cucina.
Dieci minuti dopo, il tempo per Louis di lavarsi e vestirsi e per Harry di lavare le stoviglie, erano entrambi di nuovo sul balcone, come ogni mattina.
‘Andiamo a fare un giro.’ Propose Harry.
‘Ma piove.’ sottolineò Louis.
‘A Londra piove sempre, ma appunto perché piove andiamo a farci un giro.’ Insistette
‘Prendo i cappotti’ si convinse il più grande dirigendosi verso l’attaccapanni sull’uscio, vestendosi del suo giubbotto blu e porgendo il lungo cappotto nero ad Harry.
Una volta usciti i due vagavano mano per la mano senza meta, come due persone che cercano il senso e la direzione della propria vita e che sanno che insieme sarà più facile trovarli. Come quando una persona tenta di trovare un oggetto: con quattro occhi ci sono più possibilità di scovarlo.
Una telefonata interruppe la loro passeggiata romantica sul nascere:
‘Cosa?’ ‘O mio Dio, non è possibile!’ ‘Come è potuto succedere?’ ‘Okay, okay, arrivo subito.’ Questo era quello che Louis aveva sentito uscire dalla bocca di Harry che con le lacrime agli occhi troncò la telefonata, diede un bacio al più grande lasciandogli l’ombrello che prima teneva per riparare entrambi dalla pioggia e disse ‘Scusa amore. Conta fino a venti e io sarò li, accanto a te.” Prima di scappare di corsa sparendo alla vista di Louis tra la nebbia e le gocce d’acqua.
 
Passò qualche settimana e di Harry non c’era nessuna traccia, sembrava passata una vita.
E ora Louis sta nella sua stanza e riflette sulle sue parole, magari funziona, pensa.
Gli manca tutto, un tutto che non ha nemmeno un passato, perché loro rifiutano di ricordare.
“Uno”
Ed ecco che comincia, la sua voce viene fuori come un semplice rumore. Ha gli occhi fissi su un qualcosa a cui non da importanza.
“Due.”
Ha la mente persa da qualche parte, ha paura. I ricordi cominciano ad arrivare, piano. Vengono chiamati e loro sono lì, sono sempre stati lì.
“Tre”
Fa pause, vuole dargli tempo, spera che stia tornando.
“Quattro.”
Sospira. Lo aspetta.
“Cinque.”
Si alza, prende nella mani dei vestiti, non guarda quali, non da importanza a questi dettagli. Ha un sospiro dentro e non vuole lasciarlo andar via.
“Sei.”
Ha le spalle grosse, pensa, e lui amava quelle spalle. Hanno qualcosa che a lui è sempre piaciuto, forse la loro delicatezza, forse la pelle, forse il fatto che si trovano sotto alla testa. Non l’ha mai saputo.
“Sette.”
I piedi di Louis escono da quella camera, da quella casa, da quel appartamento. I suoi piedi camminano per le strade. I suoi occhi vedono il buio, e per un po’ ha paura.
“Otto.”
Resta fermo lì, non si muove. Un ricordo passa velocemente la sua testa e lui cerca di mandarlo via. Erano sul letto. Stavano parlando. Stavano dicendo qualcosa su cosa fare il fine settimana e di quale film guardare.
“Nove.”
Sussurra al vuoto. I piedi si muovono e lui guarda. Guarda le macchine, la luce finta, le sue mani, l’erba, due persone che si tengono per mano. Non ha idea di cosa sta facendo e non vuole nemmeno saperlo. Ha voglia del mare e quasi lo sente in lontananza. In mente ha il suo sorriso, forse l’unica cosa che ha lasciato torturarlo per tutto questo tempo d’assenza.
“Dieci.”
Viene fuori accompagnato da un “Mi manchi.”
“Undici.”
Corre. Non guarda dietro, ha solo paura. Troppo tempo che sta da solo, chiuso in camera. Troppo tempo che non sente la sua voce. Troppo tempo da quando non sorride.
“Dodici.”
Si ferma, si sente perso. Ha voglia di piangere e scomparire per sempre.
“Tredici.”
Prende l’autobus. Si siede su una sedia di quei tanti posti vuoti. Non ha mai visto un autobus deserto.
“Quattordici.”
Prendimi il viso e dimmi che ti manco. Sono parole che pensa ma non dice, non ha il coraggio.
“Quindici”
Scende, non sa che fermata è, ma scende ugualmente.
“Sedici.”
Fa ancora quelle pause mentre conta, vuole dargli tempo per farsi bello, per essere pronto. Si avvicina ad una panchina. Ha il cuore che le va a mille. Ha la mente piena di ricordi che ormai non possono essere mandati via.
“Diciassette.”
Sente una voce. Riesce a sentire quel suono tanto familiare.
“Diciotto.”
Sente dei passi, sono pesanti.
“Diciannove.”

 “Venti.”
Lo dice mentre lo guarda. Ha i jeans che si era immaginato, il suo sorriso strano, le mani nelle tasche del cappotto nero con cui l’aveva lasciato. Ha i suoi occhi persi dentro di lui e non sa più da che parte guardare. Aveva detto venti e lui era lì, così come gli aveva detto lui una vita fa.
"Ho pensato di venirti contro, a metà strada ma .. " e si ferma perché non sa davvero quale è la loro strada. Forse non esistono strade, forse loro sono alieni che viaggiano sulle navi.
“Ti aspettavo.”
Questo è lui che parla.

 


angolo dell'autrice:
ho postato l'altro da poco ma ho voluto mettere anche questo perchè era già pronto.
ORA ASPETTO LE VOSTRE RECENSIONI PER POSTARE IL QUINTO ED ULTIMO CAPITOLO.
non deludetemi.
un abbraccio, Marta.

 
   
 
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