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Autore: y s witches    07/11/2004    7 recensioni
Lei era soltanto Quistis. Non aveva mai litigato. Non aveva mai alzato la voce. Non aveva mai…fatto niente. E questo era come la consideravano gli altri…come niente...
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alone

Finalmente mi sono decisa a inserire anche in questo interessantissimo sito anche le nostre fan fiction. Io che vi sto scrivendo sono Quistis, l’organizzatrice-responsabile-tuttofare del gruppo. Il disegno che spero riuscirò a postare qui sotto (in caso contrario lo metterò nelle fan art) è di Glen, la nostra fantastica illustratrice. La storia invece è una one-short tanto breve quanto intensa scritta da Yuna che è la scrittrice ^_^

E’ la seconda Quifer dopo che la coppia era apparsa in una fic in cui non erano protagonisti, quindi in un certo senso è la prima VERA E PROPRIA. A noi è piaciuta molto, aspettiamo i vostri commenti, positivi o negativi che siano!

 

Alone 

                        -y’s witches-

 

 

Just remember

 

Gli uomini non fanno che giudicare gli altri uomini

La vita di tutti quelli che incrociamo viene influenzata dal nostro egoismo

Tutto ciò che si è fatto

Tutti i volti familiari,

il proprio passato

le proprie scelte

vengono giudicate e cancellate in un istante.

Fare qualcosa in nome dei propri sentimenti è giusto?

 

 

 

Se solo si fosse potuto ritornare indietro nel tempo, per quanto doloroso e duro era il passato, lo avrebbe fatto senza pensarci. L’aveva desiderato tante volte, intensamente, ma non era mai comparsa una fatina in risposta alle sue preghiere ad esaudire il suo piccolo desiderio.

 

Anche oggi quello sguardo carico di indifferenza e più freddo della pioggia in inverno l’aveva sfiorata per un attimo…c’era sempre la speranza di avere qualche cosa di più da quegli occhi, ma non era mai così. Mai una sola volta, per quanti sforzi facesse, niente serviva a donare un po’ di calore a quel blu, troppo profondo, annichilente.

 

Le bastava un solo gesto, una parola gentile e l’avrebbe portata nel cuore per sempre, ma certe volte perfino sperare diventava doloroso.

 

Lei era soltanto Quistis. Non aveva mai litigato. Non aveva mai alzato la voce. Non aveva mai…fatto niente. E questo era come la consideravano gli altri…come niente.

 

Un'altra notte spesa a stringersi da sola nel letto, fra lenzuola color pesca e note tristi di qualche canzone. Come sarebbe stato bello non svegliarsi più, confondersi con il nulla, con l’aria, con il cielo, con il mare, essere tutto ed essere niente. Forse l’avrebbe guardata in modo diverso.

 

Forse la luna aveva visto un suo sorriso?

 

Se la risposta era sì…allora la luna era molto più fortunata di lei.

 

Il momento prima di addormentarsi era il momento peggiore, quando la consapevolezza di quanto fosse stata cattiva la vita con lei la circondava con tutti i suoi colori cupi e quel silenzio assordante la faceva impazzire.

 

Ecco perché non era là.

 

I piedi nudi sospesi sopra al mare, il rumore delle onde che si infrangono sulla parete di roccia del porto…l’odore dell’acqua salata. Chissà come sarebbe stato volare fino a quelle onde e abbracciarle, abbandonarsi a quel piacevole soffice affondare, lasciarsi trascinare via…finalmente un po’ di pace al suo povero cuore. Soltanto un po’ di pace…

 

“Mi perseguiti non è vero? Vai al diavolo! Sono stufa di te! Basta!!!” aveva scagliato con forza una pietra nelle onde. Perché doveva amarlo così disperatamente? Perché non Zell con i suoi occhi da bambino? O Irvine… il signore dell’amore. Chiunque. E invece…Squall.

 

“…scusa maestra ero solo a fare due passi qui attorno non volevo perseguitarti.”

 

Se non fosse stata seduta per la sorpresa sarebbe finita in mare con i pesci e allora tanti saluti a tutti davvero. Non aveva voglia di vedere nessuno, primo fra tutti Seifer Almasy. L’uomo che più di ogni altra persona l’aveva umiliata e annullata in quegli anni. Una bocca che ti poteva dire con un sorriso splendente e crudele parole come fallita, nullità, perdente…ma come lo si poteva biasimare? Era la verità.

 

“Non parlavo con te.”

 

E adesso? Perfino Seifer la compativa? Cos’era quello sguardo compassionevole? Eppure non sembrava aver voglia di tormentarla. Le si era seduto accanto fumando, gli occhi fissi lontano e un lieve odore di liquore che proveniva dal suo lungo soprabito bianco. Ecco spiegato il mistero, era ubriaco e magari in fase –giochiamo a chi è più miserabile-.

 

“Va subito al Garden. Gli studenti non possono stare in giro a quest’ora.”

 

Seifer non aveva nemmeno voltato la testa, in silenzio si era sfilato il cappotto e gliel’aveva gettato sulle gambe, la piccola luce della sigaretta che volava fra i flutti. “Non vorrai saltare he…un volo giù di qua e non ti trovano più.”

 

Si era lasciata andare ad una risata amara e aveva sondato l’espressione noncurante del ragazzo. “Tu dovresti essere l’ultimo a preoccuparti della mia vita.”

 

“Metti sulle spalle il cappotto o ti prenderai una polmonite.”

 

C’era freddo. Il vento che veniva dal mare era pungente e le muoveva appena i capelli solleticandole il collo…il cappotto di Seifer era caldo, morbido. Le ricordava tanto un abbraccio.

 

Da quanto tempo non una carezza, non un…bacio.

 

“Certe volte è molto meglio non pensare a niente maestra. Vedi…è un gioco facile, lascia fuori i pensieri dalla testa e chiudi gli occhi. Non funziona sempre ma se ti impegni ce la fai.”

 

“Grazie.”

 

Era soltanto una mano sulla spalla, una mano grande e calda che la stringeva per un attimo per poi lasciarla ma era talmente bello quel contatto da lasciarne l’eco malinconico non appena non c’era stato più.

 

Sorprendente quanto perfino la compagnia di Seifer fosse confortante quando era l’unica alternativa per spezzare la catatonia assoluta. Andava benissimo anche quel suo rilassato silenzio, per nulla imbarazzato mentre si fumava una sigaretta dietro all’altra, poteva far finta che quel silenzio appartenesse ad un altro.

 

“Stai ancora pensando maestra, fra un po’ mollerai la frusta e userai la Gunblade gridando a tutti di farsi i gli affari propri.”

 

“Non prenderlo in giro Seifer, lui…”

 

“Oh, vedo che hai capito di chi parlavo.” Il ragazzo si era alzato con incredibile velocità, andava via! non potevano di sicuro rimanere seduti su quel molo per sempre.

 

“Il tuo cappotto Seifer.” Gliel’aveva teso continuando a rimanere seduta a terra, il capo rovesciato ad un’angolazione impossibile per poterlo guardare in viso tanto era alto. Che strano non aveva i capelli impomatati di gel come al solito, prima non se n’era accorta. Aveva un espressione molto più dolce e più giovane così. E quella cicatrice, che scendeva dalla fronte fino alla guancia spiccava come una goccia di fuoco liquido…così simile e così diversa.

 

“Sembri una bambina.” Nemmeno era sicura avesse parlato lui, senza malignità, senza cinismo. Un semplice ragazzo con i capelli biondi che gli coprivano ondeggiando gli occhi turchesi. Occhi belli e…disperati???…perché disperati? Che domande…nessuno non ha problemi. …c’è chi ne ha di più, c’è chi ne ha di meno.

 

“Rimango ancora un po’.”

 

“Se ti ammazzano mentre torni va a finire che mettono in prigione me perché sono l’ultimo ad averti parlato. Non sai cosa ti fanno in prigione? Io ne ho una vaga idea.”

 

“Disgustoso come al solito.”

 

“Vorrai dire sincero come al solito.” Touchè. Tanti difetti ma Seifer non aveva peli sulla lingua e diceva molte verità. Per quello era simpatico a così poche persone.

 

“Va bene.” Una mano le era stata tesa, non ci aveva pensato su due volte prima da afferrarla lasciandosi decisamente alzare come fosse stata una piuma. Seifer sarebbe diventato un ottimo SeeD se solo avesse posseduto un briciolo di disciplina.

 

Le teneva ancora la mano. Una stretta gentile e lieve; quante doti nascoste, sotto quella maschera da sbruffone magari si nascondeva davvero un bravo ragazzo. Balamb era deserta, poche luci ad illuminare la strada ciottolosa, nell’aria risuonavano lontane l’eco di sirene di navi. E la mano di Seifer continuava a guidarla.

 

“Non ti prenderò più in giro.”

Si era bloccata nel bel mezzo della strada cementata al centro di quella pianura desolata, gli occhi sgranati per distinguere meglio l’espressione nel buio del ragazzo. La mano era scivolata via e le era ricaduta sul fianco. Seifer le aveva girato le spalle con una risata secca cercando un’altra sigaretta, dimentico del fatto che il pacchetto lo aveva già gettato via, ormai vuoto.

 

“… Perché stasera tutte queste cose? Ho per caso fatto io qualche cosa di strano o…”

 

“O.” Uno sguardo intenso tanto da perdercisi, uno di quelli sguardi che ti mostrano tutto...Seifer le stava toccando i capelli scostandogli gentilmente dietro alle spalle, sfiorandole il collo, bloccandosi a pochi millimetri dalla sua guancia. “Deve sempre esserci una spiegazione per tutto?”

 

Metterci una fine. Doveva metterci una fine subito o non sapeva dove sarebbero finiti, anzi, lo sapeva e il fatto di avere voglia che succedesse la spaventava più di ogni altra cosa. Lei non era abituata alla luce. Si dice che bisogna nascondere la luce agli uccelli notturni, poiché li acceca e diviene per essi più oscura delle più profonde tenebre. E lei era soltanto un solitario uccello notturno che alla più piccola stella di luce sarebbe rimasta accecata per sempre.

 

Labbra così stupendamente soffici accanto alle sue, labbra così amorevoli e caute…quelle non erano una piccola stella, erano un sole e la uccidevano lentamente, labbra alle quali non aveva pensato mai ma che ora desiderava avere sulle sue stesse più di ogni altra cosa.

 

Era stata lei a voltarsi o era stato Seifer? Era importante? Un bacio così morbido non lo aveva mai avuto. Un bacio che sapeva di fumo alla menta, un bacio inaspettato. Un ragazzo come Seifer che baciava in quel modo timido, senza pretendere niente di più di quel contatto caldo delle loro bocche schiacciate le une sulle altre, niente mani che cercavano qualcos’altro, assolutamente sbalorditivo.

 

Un piccolo respiro troppo veloce fra le sue labbra socchiuse e subito l’istantaneo distacco. “Non è il momento di fare certe cose qui maestra.”

 

“Hai cominciato tu.”

 

“E tu sei andata avanti.”

 

“Tu hai proseguito…”

 

“Hai mai visto la mia stanza?”

 

“No.”

 

“Vuoi vederla?”

 

“Sì.”

 

E così doveva andare a finire. Lo sapeva e da quando si era seduto accanto  a lei nella sua stessa tristezza lo aveva saputo.

 

***************

 

Da come continuava a stringerle la mano sembrava avere paura che lei scappasse da un momento all’altro e in effetti due volte, all’entrata del garden e non appena aveva sorpassato il corridoio del dormitorio delle ragazze era stata tentata dall’idea.

 

Sentiva un innaturale senso di colpa, ma non riusciva a capire perché o verso chi. Aveva solo accentuato la stretta alla sua mano. Se adesso qualcuno la vedeva perdeva tutto, il rispetto come insegnante, forse l’amicizia di molte persone, il lavoro…eppure tutto era lontano, circondato da una nebbia che sembrava ovattare tutti quei pensieri.

 

C’era stato il lontano rumore metallico della chiave che girava nella serratura, il rettangolo scuro della porta che si apriva sulla stanza buia e infine il buio che li inghiottiva entrambi.

 

E nel buio assoluto avevano iniziato di nuovo a baciarsi. Questa volta non così innocentemente, le loro bocche che si aprivano lanciando le lingue in un’antica danza, entrambe le mani intrecciate le une nelle altre.

 

Il cappotto le era sceso dalle spalle cadendo sul pavimento con un suono soffice…la luce infine. Così tanta luce da farla sentire nuda ed esposta. Seifer si era allontanato di qualche passo da lei…con quei capelli lasciati morbidi, ancora più biondi e leggermente arruffati non sembrava esattamente lui, molta dell’aggressività che esprimeva era scomparsa, solo quella lucetta perennemente viva che si agitava nel turchese celestiale dei suoi occhi non era cambiata.

 

Solo allora si era guardata attorno…sebbene la stanza fosse per due sembrava arredata per una persona soltanto. Il letto rivestito di lenzuola nere di seta, lucide, era ancora disfatto. I libri sembravano…erano ancora nuovissimi impilati distrattamente sulla scrivania, la divisa da SeeD appesa su una gruccia alla maniglia della finestra, tre pacchetti di sigarette vuoti giacevano come gusci abbandonati intorno al cestino dei rifiuti.

 

“…mi dispiace non è molto ordinato.” Oh un'altra novità. Era imbarazzo quello che sfiorava con uno stranissimo e stonato vergineo rossore le guance di Seifer-terrore-del-garden-Almasy?

 

“Non sono venuta per un ispezione cadetto Almasy. Riposo.”

 

Seifer che stava raccattando le cartacce sul pavimento si era bloccato e aveva sospirato lasciando cadere di nuovo tutto e sorridendo in quel suo modo fra l’irritato e lo sprezzante. “Ai tuoi ordini professoressa…però pensavo che un qualche tipo di ispezione tu lo volessi fare. Su di me.”

 

L’autocombustione non esiste e grazie a Dio, in caso contrario in quel momento avrebbe tranquillamente preso fuoco. Solo la vista delle braccia muscolose le rendeva le gambe molli, la testa che si riempiva in un caos di pensieri, nessuno dei quali riusciva completamente ad afferrare.

 

Era nella stanza di Seifer Almasy.

 

E stava per fare sesso.

 

“…cosa dici alle ragazze che porti qui? Metti a tuo agio…siediti pure sul letto, fai la doccia…cosa?”

 

“Non ci ho mai portato una ragazza qui. Chi credi sia la donna che si chiude da sola in una stanza con me? Minimo pensa che prima la stupro e poi l’ammazzo e vendo i suoi organi al mercato nero. O chissà che altro…” aveva replicato Seifer sovra pensiero mentre dava un’occhiata al bagno probabilmente per assicurarsi che non ci fosse niente di troppo compromettente. Era entrato un attimo e poi era uscito con una strana faccia tirata.

 

“Ehm…ehm…ecco…ecco…ehm.”

 

“Se hai da fare…io vado non c’è problema.”

 

“NO! No…io devo solo uscire un momento.”

 

Ecco che arrossiva di nuovo…e solo il suo cuore che le faceva qualche capriola nel petto sapeva quanto fosso carino con quella strana postura da timido. Anzi…forse Seifer era timido punto e basta. Certe volte in effetti un elemento timido diventa aggressivo proprio per mascherare questa suo lato agli…oh, stava sul serio diventando come Squall. Piena di pensieri.

 

“…maestra?”

 

S-scusami ero sovra pensiero.”

 

“Quando torno ti ritroverò qui?”

 

E dove mai dovrei andare? “Sì.”

 

+++++++++++++++

 

Se tornava e non la trovava più lì era tutta colpa delle idiozie che gli erano scappate di bocca nella foga di rimediare alla pessima presentazione della sua stanza. Ma chi se lo aspettava? Loro due erano stati fino a quella mattina come il fuoco e l’acqua, due nemici. Due individui che si davano i nervi solo a scambiarsi un’occhiata.

 

Ma non adesso. C’era stata una magia quella sera e chiunque fosse stato lo ringraziava con tutto se stesso. Quella ragazza…Quistis. No…la maestra, lei era la chiave che gli avrebbe spalancato davanti come in un bel sogno il modo per potersi far perdonare di tutte le sue azioni. Lei era stata il suo bersaglio più gustoso…ed era facile spiegare perché.

 

Era sicuro di poterla avere. Cadesse il mondo era chiaro come il sole che amava in modo quasi maniacale quel frigido bastardo senza cuore di Leonheart, e, …sbagliavano tutti e due e probabilmente un giorno se ne sarebbero accorti. Leonheart sarebbe invecchiato da solo senza nessuno. Quistis sarebbe invecchiata con tanti amici attorno ma troppo cieca al suo devotissimo amore per potersene accorgere.

 

Ma gli era stata data una possibilità. Lui poteva averla. Forse per una volta soltanto ma era già più di quanto avesse mai…sperato. Alla fine era soltanto lui un frigido bastardo senza cuore, patetico in più, che aveva mai lasciato avvicinare nessuno a lui se non per una rissa o per un buon litigio.

 

E il peggio era che aveva già spiatellato in faccia alla maestra ogni cosa. Idiota. Che vergogna assurda poi dover uscire per arrivare fino alla macchinetta dell’infermeria e prendere i maledetti. Aveva sempre pensato di tenerne un po’ in camera…prima o poi doveva pure arrivare al Garden una pazza che non lo conosceva, ma la sua fama ogni volta lo precedeva.

 

Era una vita di stenti la sua. Senza scherzare…e guarda caso un certo ragazzino con il cappello da cowboy e la faccia spavalda gli veniva incontro. Non attaccare bottone. Non attaccare bottone. Non attaccare bottone. Non att

 

Hey Seifer, anche tu a fare spese?”

 

“Togliti di mezzo Kinneas.”

 

“Ehi! Hai visto che ci sono i nuovissimi anti-pasticci alla frutta? Le donne ci vanno matte.” Kinneas gli aveva strizzato l’occhio e sollevato il cappello in segno di saluto e si era accostato alla macchinetta. Per lo meno non gli aveva chiesto con chi…dunque, forse la maestra preferiva anche lei quelli alla ciliegia, alla pesca e alla banana?

 

Fuori discussione, non indossava roba rosa o arancione o gialla che fosse.

 

***************

 

Ma le sue erano preoccupazioni inutili perché la stanza era vuota. Hehe…che dire, uno a zero per la maestra, aveva fatto bene, tanto anche se andava a raccontare a tutti quello che gli aveva detto non gli importava, ormai non gli fregava più niente né della reputazione né di nient’altro.

 

Con un sospiro aveva dato uno strattone irritato al lenzuolo gettandolo ai piedi del letto e aveva buttato il nuovo, inutile acquisto nel cassetto. Tanto non se ne sarebbe mai fatto nulla finchè rimaneva in quella scuola…vergine per sempre.

 

Ma non era quello il fatto…avrebbe voluto fosse quello. Lo smacco di non avere più una serata divertente. La maestra aveva deciso per il no. Era tornata in sé ed era scappata. Quistis. Quistis che da piccola prima gli metteva i cerotti sulle ginocchia e poi lo prendeva per il culo facendolo scappare via per poter piangere di rabbia nascosto da qualche parte. Quistis che si nascondeva nel suo letto quando fuori c’era tempesta e poi gli raccontava storie del terrore per spaventare anche lui…

 

“Ho usato la tua doccia. Scusami se non te l’ho chiesto.”

 

Oh Dio. Non era…andata…via. Si era lanciato ad abbracciarla, l’asciugamano che lei si era stretta intorno al corpo umido era caduto per terra ma era troppo impegnato a trattenersi dal ridere per il sollievo per accorgersene.

 

Seiferl-l’asciugamano.”

 

Meravigliosa Quistis, bianca come il diamante più puro. Potevano delle mani che avevano causato tanti dolori e soltanto disastri toccarla? Lei sorrideva e basta, senza coprirsi e senza tirarsi via quando aveva allungato la mano per sfiorarle una spalla.

 

“Non sei sotto l’effetto di qualche droga vero?”

 

“… Seifer non farmi arrabbiare e cerca di toglierti tutto quello che hai addosso.”

 

“Sei sempre stata prepotente.” Aveva ghignato arretrando di qualche passo per togliersi la maglietta. Voleva guardare? Benissimo…un uomo non deve farsi ripetere le cose due volte, e soprattutto sapeva di avere molte cose da farle vedere.

 

Quistis aveva distolto lo sguardo però. Improvvisamente vergognandosi della sua nudità si era proiettata verso il letto avvolgendosi nel lenzuolo nero e continuando a guardare il pavimento. “Non sono prepotente.”

 

Perché gli riusciva così difficile dare un colpetto ai pantaloni e buttarli via? Non era di certo onorevole per lui essere così nervoso. Lui era Seifer. Sì…ma quella nel suo letto era Quistis e per quanto lui fosse uno stupendo meraviglioso bellissimo ragazzo…bando alle stronzate, se la stava facendo sotto.

 

“…sei davvero sicura?”

 

“Mi chiedo se sei tu quello non tanto sicuro. Cosa c’è?” un fruscio dal letto, Quistis probabilmente era scesa…oh sì, lo aveva fatto e adesso gli sfiorava con una mano fredda come il gelo la schiena, la lunga cicatrice sul fianco che si era provocato combattendo contro un tartarugone gigante durante un’esercitazione. Nessuno mai aveva toccato quella cicatrice. “Hai rifiutato le cure mediche e così ti è rimasta la cicatrice. E’ un peccato rovinare qualche cosa di così bello.”

 

“Gli uomini non devono essere belli.” Aveva teatralmente proclamato cercando di ignorare la sensazione di calore che gli si sprigionava dai lombi mentre dita sottili continuavano ad esplorare la sua schiena, seguendo i muscoli tesi, ogni piccolo ricordo di ferita veniva amorevolmente sfiorato.

 

“No…ma tu non sei un uomo. Sei un ragazzo e i ragazzi devono essere carini.” Quella matta sembrava allegra.

 

“Mi prendi in giro?”

 

“Volevo farti un complimento.”Braccia sottili lo avevano abbracciato, non appena le mani gli avevano toccato fuggevolmente il petto un piccolo sospiro gli era sfuggito dalle labbra. Aveva lasciato cadere i suoi pantaloni e si era voltato a cercare gli occhi di Quistis.

 

“Io non sono carino.”

 

“Sei molto carino. Dovresti lasciarti i capelli così per sempre.”

 

“Anche tu.” Era la prima volta che gli sorrideva davvero. Un sorriso semplice ma che l’aveva fatta arrossire e abbassare lo sguardo. Forse non avrebbero fatto l’amore alla fine. Forse avrebbero solo dormito uno accanto all’altro ma non gli importava. Anche soltanto quello significava non essere più soli.

 

Lei però lo toccava ancora, quelle mani amorevoli su ogni muscolo che guizzava in un brivido a quel tocco…

 

Seifer, andiamo a letto.”

 

“Sì. Sì dunque…a letto.”

 

Sembrava così piccola, così indifesa, i suoi occhi sembravano diventare più grandi e più azzurri mentre si sedevano uno accanto all’altro. C’era poco da imbarazzarsi ormai. Soltanto che…non aveva nessuna idea di come iniziare. Non era colpa sua se le donne lo avevano schivato fino alla veneranda età di diciotto anni! Non aveva nemmeno qualche cd carino per poter creare un po’ di atmosfera non aveva…

 

Lei lo baciava, labbra morbide come piume che cercavano una risposta. Si era lasciato andare indietro tenendola per le braccia e tirandola su di se. Per un attimo l’aveva sentita irrigidirsi, ritrarsi su se stessa, ma quando stava già per iniziare a balbettare penose scuse lei si era completamente rilassata, abbracciandolo con tenerezza, il viso nascosto nell’incavo del collo.

 

“…pensavo foste così simili. E invece scopro che siete infinitamente diversi.”

 

Non sapeva il perché e non voleva nemmeno saperlo, ma improvvisamente gli era venuta una gran voglia di mettersi a piangere, con la faccia fra le mani, come un bambino quando, dopo la grande paura, finalmente ritrova le braccia sicure del suo genitore. Invece le aveva scostato i capelli dalla guancia e l’aveva baciata.

 

Quistis aveva sorriso, aveva sentito il solletichio delle sue labbra stirarsi contro al suo collo e una mano aveva accarezzato i muscoli compatti del suo ventre, poi era scesa, fino all’orlo dei suoi boxer. Aveva serrato i denti sentendo il suo respiro accelerare senza il suo permesso.

 

Lei era così…avvolgente, il fruscio delle gambe che si stringevano intorno alle sue, il suo respiro, quell’incantevole contrasto dei suoi capelli biondi che illuminavano il tessuto lucido del cuscino. “Va bene così…non importa adesso. Fai quello che vuoi e non ci pensare.” Le aveva sussurrato in un orecchio.

 

Non gli avrebbe mai chiesto di amarla. Lui non le avrebbe chiesto se lo amava. Non quella notte, perché  la necessità primaria era rendere meno brucianti e dolorose quelle ferite , non si può sanguinare per sempre perché anche la vita prima o poi si esaurisce.

 

Aveva dovuto baciarla, il cuore che sembrava spaccarsi nel buio del suo petto, erano baci non più gentili, non più affettuosi, baci rossi. Nessuno si poteva più negare adesso perché quello che avevano iniziato era un volo alla cieca verso il niente. Un niente che poteva essere tutto.

 

Il lenzuolo era caduto a terra, scoprendoli entrambi nudi ed allacciati…era strana la leggerezza che sentiva nella testa, il suo corpo bruciava senza febbre, era come avere sete…piccola Quistis, tanto triste quanto bella. Come poteva non averla abbracciata tutte quelle volte quando la vedeva sola, la testa china e gli occhi chiusi, in piedi in quei corridoi sterili e lunghi, le mani strette su quei libri fino a sbiancare.

 

“Voglio fare l’amore con te.”

 

Quistis aveva sbattuto le ciglia, aveva sorriso e gli aveva toccato il viso, i capelli. “Sì, voglio farlo anche io con te.”

 

“…ho paura di farti male. Scusami.”

 

Ancora troppo allegra…le donne sono esseri volubili e lunatici, ma questa qui era davvero il massimo. “Siamo due soldati. Siamo forti.”

 

“Credi che abbia paura?”

 

Mmh. Sì. Penso che tu abbia paura. Come me.”

 

Se la metteva così allora andava bene. E andava altrettanto bene il modo in cui si stavano accarezzando, un po’ dappertutto, le piccole natiche compatte, i fianchi così affusolati…davvero non la poteva rompere?

 

Inebriato da quel tocco audace, fra le sue cosce, una timida stretta, una lunga carezza, sufficienti per fargli chiudere gli occhi e farlo gemere. Non poteva farci niente, quella fretta che gli stava montando dentro non era una mancanza di rispetto, era un’urgenza sorda…aveva continuato a baciarla mentre con una mano alla cieca raggiungeva la scatola di profilattici nel cassetto, ne prendeva uno e lo indossava.

 

Si erano fissati un lungo istante, seri in volto, completamente immobili, poi avevano chiuso gli occhi quasi contemporaneamente, le gambe di Quistis che lo accoglievano stringendosi intorno ai suoi fianchi, le braccia che gli allacciavano il collo per tenerlo più vicino mentre iniziava ad entrare in quel calore che aveva consumato ogni piccolo briciolo di autocontrollo.

 

Solo una piccola resistenza, Quistis si era morsa le labbra ma non aveva emesso un suono, aveva sorriso invece mentre finalmente la riempiva con tutto se stesso, con il suo corpo e con la sua…anima. Si era mosso piano, scrutandola attentamente in cerca di qualsiasi traccia di dolore, tristezza…ma Quis aveva soltanto le guance infiammate e un sorriso rapito appena accennato sul bel volto.

 

“Tutto bene?”

 

“Sei…un…chiacchierone.” Gli aveva artigliato affettuosamente le natiche con le mani (…le unghie lunghe però non erano affatto affettuose) e con il bacino si era spinta verso di lui strappandogli un altro gemito accorato. Oh …alla fin fine aveva sempre saputo di essere un tipo rumoroso.

 

I loro gemiti si confondevano mentre quel loro movimento si faceva sempre più frenetico, più serrato, le loro bocche si divoravano l’una con l’altra sempre, in modo quasi aggressivo.

 

Quistis gli si era stretta addosso improvvisamente, i muscoli che si stringevano intorno a lui, era stato quello il pulsante, si era sciolto, sgretolato, frantumato, un esplosione incontrollabile di energia accecante.

 

++++++++++++++++++

 

E così aveva l’aveva fatto. Pazza.

 

Eppure…si sentiva così felice.

 

Il suo vecchio nemico che sonnecchiava accanto a lei, i capelli biondi che piovevano sul viso trasformandolo in un ragazzino che non aveva più visto da anni. Forse si stavano sbagliando entrambi, forse quella mattina quando si sarebbero incontrati dentro a quell’aula sarebbe stato tutto esattamente come prima.

 

Ma non era più come prima. Non esattamente.

 

Non erano più soli.

 

Si era addormentata, tranquilla, cullata dal suo respiro e scaldata dalle sue braccia che non l’avevano mai lasciata un solo attimo.

 

 

 

 

FINE!

 

 

^_^ Eccola qua! Terminata veloce come promesso *O*

Per te tesoro, perché ti voglio un mondo di bene

E per farti sapere che niente e nessuno ci dividerà mai.

E soprattutto…

^_^’ x farmi perdonare di tutti questi casini vergognosi!!!! (<-come mandare

nel pattume una bella dedica)

 

Ti voglio bene Quissy!^*^

La tua Yunie

  
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