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Autore: Francine    27/11/2013    5 recensioni
C'è tutta una vita in un'ora d'amore.
(Honoré de Balzac)
Venti tracce per venti canzoni per venti storie d'amore.
Senza tempo, senza confini, senza definizioni.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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Track 01. All My Loving

Titolo: All My Loving
Autore: Francine
Prompt: #7 Amore non ricambiato
Fandom: Saint Seiya – serie classica
Personaggi: Capricornus Shura, Corvus Beatrice, Cancer Death Mask
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU
Eventuali note dell’autore: al solito: pomodori a destra e carote a sinistra, grazie.  Corvus Beatrice mi è stata gentilmente concessa in prestito da heiligerShadowfax, la sua mammina.
Prima pubblicazione: 04.07.2008
Partecipa alla challenge In Love  di Marlene;)

 
And then while I’m away
I’ll write home everyday
And I’ll send all my loving to you
(All my loving- The Beatles, 1963)


TUO fratello te lo diceva sempre di non farti vedere in giro senza maschera. Cascasse il mondo. Lui poteva vederti senza, gli altri uomini no. Assolutamente no. Altrimenti…
«Le cose sono due: o li ammazzi, o li ami, e non è ammessa la seconda ipotesi», ti ripeteva fino allo sfinimento ogni volta che ti trovava a bighellonare per casa senza quell’affare sulla faccia. Ed era inutile dirgli che no, tu quella cosa non l’avresti messa, che è svilente per un essere umano celare il volto, che una maschera non avrebbe mai e poi mai potuto far credere all’universo mondo che tu fossi un maschietto invece che una femminuccia, e che insistere con questo argomento sarebbe stato come darsi dei beoti da soli. 
Marco ti ascoltava, paziente,  poi ti pigliava per un orecchio e ti ficcava quell’affare a forza sulla faccia. E fine delle discussioni.

A giudicare dalla rudezza con cui ti trattava pur essendo la sua sorellina, è stato un bene che non sia stato lui il tuo maestro, perché non saresti sopravvissuta alla prima settimana.
«Le regole sono regole, Beatrice», ti diceva, mellifluo, senza avere nemmeno la decenza di nascondere quanto ci godesse a punirti.
Però diciamolo, spesso e volentieri te la sei cercata da sola, ed è inutile dare la colpa al destino avverso, o alla pura sfiga. Il destino non te lo costruisci da sola, Beatrice?
Diciamo, piuttosto, che la tua avventatezza è la sola responsabile di quello che ti sta capitando adesso, su quel letto scomodo, mentre te ne stai a fissare il soffitto con le lacrime che ti pizzicano agli angoli degli occhi.
Perché Marco, e anche se non l’ammetterai neppure scuoiata viva è così, aveva ragione quando ti parlava delle due vie d’uscita. Vorresti ammazzarlo. Anche se lo ami, da quel pomeriggio di fine Aprile, quando ti ha beccata senza maschera.

Ricordi quel compleanno? Quando Marco ti ha svegliato e ti ha dato quel pacco, grande, con la carta giallina e un enorme fiocco rosa che ti sei messa tra i capelli non appena l’hai strappato via con la grazia di un condor che si getta in picchiata sulla preda.
Avevi fretta. Volevi essere carina, perché sicuramente lui ti aveva regalato quel vestito bianco che avevate visto giù al villaggio. Quanto l’avevi messo in croce per avere quell’abito! Eri così sicura che scartando la scatola avresti tirato fuori la manica bianca, e invece… Marco ti aveva regalato la maschera rituale. D’argento, levigata e splendente coi suoi riflessi freddi e netti, un goccio di smalto blu notte a mettere in risalto la mandorla degli occhi.
«Allora, ti piace?», ti ha persino detto prima che tu gliela tirassi in testa. 
«Ma sei scemo? Io quest’affare non me lo metto!»
«Sì che te lo metti!»
«No che non me lo metto!»
«Scommettiamo?», e ti sei ritrovata con la maschera addosso senza nemmeno rendertene conto. Marco non ti perdeva di vista un solo momento. Dovevi abituarti a vivere in stretta simbiosi con lei, e prima avresti imparato, meglio sarebbe stato per tutti. 

Sì, come no…

Così quel giorno, quando tuo fratello è uscito per recarsi in udienza dal Sacerdote, tu hai aspettato cinque minuti – Marco è un grande, ma scorderebbe pure la testa se non l’avesse attaccata sul collo – e poi hai lanciato via la maschera godendoti l’aria sulla faccia, ti sei tolta quegli stracci e hai indossato dei vestiti da ragazza e ti sei messa davanti allo specchio, scoprendo, con orrore, che ti erano spuntati un paio di brufoletti sulla fronte.
Il sole, il sole presto!, hai pensato prima di uscire all’aria aperta, come se foste ancora giù in Sicilia. Solo che l’uscita non dava sulla caletta isolata a Sud di Pachino, con l’Etna sfumato in lontananza, ma sul retro della Quarta Casa, sullo spiazzo da cui si prosegue per la Scalinata dello Zodiaco del Santuario. Piccola, secondaria e alquanto silenziosa uscita, ma non abbastanza perché lui non scegliesse di passarvi, proprio in quel momento. 
Che diamine ci stesse facendo lì a quell’ora è ancora un mistero, ma si sa, il caso ha delle tempistiche che sfuggono all’umana comprensione. Fatto sta che ti aveva visto, senza la maschera, ed era rimasto a fissarti.

Cazzo, hai pensato. E la frittata era fatta, perché per quanto tu possa tuttora trovare questa storia delle maschere e tutto il resto una solenne idiozia, ti ci saresti potuta giocare la testa che per il resto dei santi di Athena quella regola sarebbe stata sacra quasi quanto il rispetto che si deve alla dea.

«E tu chi sei?», ti ha anche chiesto con aria di rimprovero. Lui che si permetteva di rimproverare te? A ripensarci ti monta una rabbia…
«Chi sei tu?», hai ribattuto sostenendo lo sguardo. Avresti pensato a cosa dire a Marco dopo. Non era il momento di elaborare delle scuse, quanto di mandare via questo sfacciato. E magari, senza conseguenze. Gesù, che sfigato!, hai pensato scrutandolo da capo a piedi: maglia dimessa, di un punto di color can che fugge su un paio di pantaloni sbrindellati del medesimo colore e tutta l’aria di chi è appena sceso dalla Montagna del Sapone. Gli mancava solo la valigia di cartone tenuta ferma con lo spago! «Dove sei diretto?»
«Alla Decima Casa», ti ha detto restando sul vago. «E il Custode della Quarta dov’è?»
«È Mercoledì, dove vuoi che sia a quest’ora?», hai risposto acida. Ecco, quella era la strategia vincente: mostrarti stronza e con un paio di venerdì mancanti. Nessun uomo avrebbe voluto saperne di una così, e sicuramente avrebbe tenuto la bocca chiusa con Marco.
«Capisco», ti ha detto ancora. «Beh, allora, piacere!», e se n’è andato via per la scalinata, uno strano pacco squadrato in spalla, senza commentare e senza nemmeno presentarsi. Lì per lì hai anche pensato che il tuo piano avesse sortito l’effetto desiderato, e te ne sei rimasta con il tuo bel vestito bianco fino a quando non hai sentito Marco ridacchiare in lontananza. Via l’abito, su la maschera, e di corsa in bagno a fingere di farti una doccia. Chissà chi era quel tizio, ti sei chiesta sotto l’acqua. 

Avresti avuto modo di scoprirlo due settimane dopo, all’udienza generale. Marco ti ci aveva portato di sua iniziativa, chissà poi perché, e mentre tutti i presenti prendevano posto sugli spalti dell’arena, l’hai visto. E il tuo cuore si è fermato.
I capelli neri come le ali dei corvi, il profilo deciso evidenziato dalle basette, l’aria sicura di sé, e l’Armatura d’Oro che lo rendeva più bello ed imponente di tuo fratello. Splendido…
Sarà che forse gli altri Gold Saint erano poco più che bambini, sarà che a te il tipo mediterraneo piace da impazzire, sarà che il Colpo di Fulmine esiste, fatto sta che non gli hai staccato gli occhi di dosso per tutta l’udienza. Il Sacerdote parlava, parlava, parlava con quella sua voce gracchiante ma tu non lo sentivi. La tua testolina era palesemente voltata verso il settore occupato dai Gold Saint, e in particolare verso quel ragazzo con i capelli nerissimi e la pelle ambrata. Dove l’avevi già visto?
Se ne stava da solo, come se dovesse sorreggere chissà quale peso sulle sue spalle, e tu lo trovavi talmente bello e malinconico che non ti eri accorta di nulla. Lo fissavi e pensavi: Devi avere un grande peso sul cuore. Cosa ti turba? Chi hai perso? Tua madre? Tua sorella? Forse… hai perso il tuo grande amore? Non ti preoccupare, saprò colmare io quel vuoto. Lascia fare a me. Adesso voltati. Voltati e vieni verso di me.

E quando lui si è effettivamente voltato nella tua direzione – l’udienza era finita, tutti avevano abbandonato gli spalti e tu eri rimasta ferma come un’idiota – ed è venuto verso di te sorridendo, hai seriamente creduto, anche solo per un attimo, di possedere doti ESP.
«Che stai facendo ancora qui?», ti ha chiesto la voce di Marco. «L’udienza è finita.»
«Io… ecco… riflettevo. Riflettevo, sì. Sulle parole del Sacerdote.» Marco ha messo su la faccia che diceva: Sarà, ma non me la conti giusta, e tu hai tirato fuori tutto il tuo coraggio, anche quello che non immaginavi di possedere. 
«Che fai? Non mi presenti?»
«A chi?», ti ha chiesto Marco. Poi si è voltato e ha visto che Shura stava fissando la scenetta. «Oh, certo. Shura di Capricornus, lei è mia sorella. Sorella, lui è Shura.»
«Piacere», ha detto lui, con un accento che avresti capito solo in seguito essere della Spagna del Nord, e sei letteralmente strammata, come si dice in Sicilia. Quel ragazzo… quel ragazzo così splendido, meraviglioso come un cavaliere d’altri tempi, e figo come pochi era lo stesso pidocchioso tizio che ti aveva visto senza maschera! 
Beh, non aveva detto nulla a Marco, quindi potevi stare tranquilla. Però… non ti dispiaceva che non avesse parlato dell’indecoroso comportamento di sua sorella a chi di dovere?

Sì. Ti dispiaceva. Ti dispiaceva, eccome. Ed era stato in quel momento che ti sei detta che se quella stupida cosa di metallo avrebbe potuto aiutarti ad avere quel gran bel pezzo di ragazzo, beh, allora tre volte benedetta la maschera e chi aveva avuto quest’idea! Che era un’idea balzana e misogina, ma faceva al caso tuo. Oh se lo faceva!

Così, dal giorno dopo hai cominciato a frequentare con maggiore assiduità la Decima Casa. Prima una commissione, poi un’altra, poi la semplice voglia di stare accanto a lui e di farti vedere senza quella maschera che non gli aveva permesso di riconoscerti all’istante come la donna con cui avrebbe condiviso la vita.
Solo che lui non possiede tutto l’acume che tu gli avevi attribuito di primo acchito. Anzi… Quando la prima volta ti sei mostrata a lui senza maschera ti ha anche fatto il predicozzo su come una donna che decide di servire la dea Athena debba celare al mondo la sua natura femminile, e bla, bla, bla…
Ok, sei di coccio, ma io sono di tek, ti sei detta, ed hai continuato per mesi a scassargli l’anima fino al giorno in cui il Sacerdote non ha deciso di spedirti in Turingia per completare l’addestramento. 

Tu nemmeno lo sapevi dove fosse questa Turingia, ma era di sicuro era lontana dal Santuario, e quindi da lui; e la prima cosa che hai fatto, invece di parlarne a tuo fratello, è stata correre alla Decima Casa ed assicurarti che lui ti avrebbe aspettato. Che non si sarebbe preso una scuffia per la prima gonnella che fosse passata sotto la sua finestra.
«È vero che tu per me ci sarai sempre?», gli hai chiesto con le lacrime agli occhi, dopo averlo subissato con una serie di pensieri sconnessi e deliranti.
«Ma certo, ma certo…»,  ti ha risposto carezzandoti la testa.
Tu, allora, hai colto la palla al balzo, e pensando: o la va, o la spacca, hai chiuso gli occhi. 

Sicuramente ti avrebbe baciata. Oramai avevi diciassette anni, mica uno! Quale migliore occasione per suggellare quello che, tu lo sapevi, altro non era che un sentimento tenuto da parte fino al giorno in cui tu saresti stata grande abbastanza per amarlo come una donna ama un uomo?
Io sarei anche pronta, scemo, hai pensato aspettando le sue labbra sulle tue. Sì, lui ti avrebbe baciata, ti avrebbe stretto a sé e poi ti avrebbe issata tra le braccia e portata di là. In camera da letto. 
Chissà come sarebbe stato? Nei romanzi che leggevi di nascosto da tuo fratello, quello era il momento decisivo, in cui lui e lei si dichiaravano l’uno all’altra, con la mente e con il corpo. Ed era la faccenda del corpo che a te premeva affrontare…

«Hai qualcosa in un occhio?», ti ha detto, e tu avresti voluto che la terra si spalancasse sotto di te.
Ok. Ok. O.K. Rimandiamo tutto all’anno prossimo, quando sarò maggiorenne e mio fratello non potrà farsi un panino con i tuoi gioielli di famiglia. «Credo di sì… Sarà meglio che vada a preparare la valigia. Parto domattina presto. Alle sei, con la prima corriera», hai aggiunto, sicura che sarebbe venuto a farti un saluto. A dirti anche solo «Ciao!».
Col cazzo, come avrebbe detto Marco. Hai aspettato fino all’ultimo secondo, e se non fosse stato per tuo fratello che ti  ha caricata a forza a bordo, la corriera sarebbe partita senza di te, e tu saresti ancora lì ad aspettare lui. Hai anche pensato che per lui sarebbe stato straziante vederti partire, che aveva voluto risparmiare ad entrambi una separazione tra lacrime e lasciarti con un sorriso.
Ma tu avresti preferito salutarlo. Dirgli «Ciao», anche con i lacrimoni e la faccia rossa – tanto era coperta dalla maschera – piuttosto che piangere lo stesso senza nemmeno averlo visto. E invece no. 

Così hai portato pazienza. Per dodici lunghi mesi. Lontana da casa, con un maestro completamente pazzo, patito per i Beatles e che metteva in continuazione un disco di almeno vent’anni prima, in cui Paul McCartney diceva alla sua ragazza che le avrebbe scritto. Tutti i giorni. 
E tu lo hai fatto. Tutti i giorni. Hai messo a punto un sistema per cui scrivevi una mezza paginetta al giorno, e poi il sabato mattina scendevi all’ufficio postale ad imbucare la tua corposa letterina per un villaggio sperduto tra le montagne, un posto dall’esotico e melodioso nome di Rodrio.

Ora, tu avresti anche dovuto capirlo dopo un mese o due quale piega avesse preso la faccenda tra di voi. Quante lettere gli hai scritto, anche avvolta dalla coperta per combattere quel freddo boia che ti entrava nelle ossa fino ad intirizzirle?
Trecentosessantasei, che lo scorso anno è stato bisestile.
E lui, in dodici mesi dodici, a quante ha risposto?
Il conto è di una facilità mostruosa: nemmeno a mezza. E allora, ci voleva un genio per capire che no, non solo lui non ti aveva aspettata, ma ti aveva cancellata dalla memoria come uno scarabocchio di gesso sull’ardesia?

Ma tu no. No. Testarda come sempre hai continuato ad andare avanti, come uno schiacciasassi su una strada in discesa, e quando hai fatto fagotto perché era giunta l’ora di migrare a sud, al sole, al caldo e tra le sua braccia, ti aspettavi addirittura che si sarebbe precipitato da te per colmare la distanza che vi aveva separato in quel lasso di tempo troppo, troppo lungo.
Invece, nemmeno due ore fa, sei scesa dalla corriera dopo un viaggio assurdo in cui ti è capitato di tutto e di più, e di lui nessuna traccia. C’era solo Marco, con l’aria contenta ma senza darlo troppo a vedere, e tre capre e due galline.

Forse non è qui. Magari è in missione, hai anche pensato lanciandogli un inconscio quanto mastodontico gommone di salvataggio. Così hai seguito tuo fratello, ti sei lavata e ripresa dal viaggio, e senza nemmeno disfare le valigie te ne sei andata bel bella alla Decima Casa, con indosso quel completino di pizzo champagne che avevi visto in quel negozio di lingerie. Non hai più scuse. Sono maggiorenne e vaccinata, caro.

E gradino dopo gradino te lo sei immaginato che ti aspettava. Che si faceva bello per te – gli uomini sono creature vanitose, vedi tuo fratello che ogni volta che si deve radere ci passa i mesi in bagno – e magari sceglieva il vestito migliore da indossare per incontrarti. Dopo tutto questo tempo…
E invece lui non solo non ti aspettava – si stava sfiancando di esercizi a corpo libero – ma quando Anna, la donna che si occupa della Decima Casa, ti ha fatto entrare, ti ha anche squadrato dall’alto in basso, come se avessi due teste.

«E tu chi sei?», ti ha chiesto perplesso.
«Non mi riconosci, sciocchino?»
«Francamente no.»
E allora ti sei tolta la maschera e lo hai guardato dritto negli occhi, arrossendo un po’: dopo un anno senza vedersi ritrovarselo a petto nudo, la pelle lucidata dal sudore, è stato… eccitante, sì.
«Allora?»
Lui ha aggrottato le sopracciglia. Ha raccolto un asciugamano dalla panca che stava alle sue spalle e con un unico, fluido gesto te l’ha messo sulla faccia. «Le donne non devono mai togliersi la maschera davanti ad un uomo! Non te l’hanno insegnato? Farò finta di non aver visto. E adesso vai, ché ho da fare…»
È stata la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso stracolmo. Hai preso l’asciugamano e lo hai bagnato.
«Sei ancora qui?»
Poi lo hai strizzato, lo hai ritorto ed attorcigliato fino a formare una specie di frusta di cotone bagnato.
«Avanti, torna da…»
Non è riuscito a finire la frase. La tua arma improvvisata gli è piombata addosso una, due, tre, tante di quelle volte che hai perso il conto dopo la decima e hai continuato a frustarlo per fargli scontare tutte quelle che ti aveva fatto in quei dodici mesi. All my loving, tesoro. All my loving.
Lui non ha reagito. Chissà, forse sapeva di avere la coscienza sporca. E tu hai proseguito, come se stessi facendo esercizio. Tanto, non lascia segni, hai anche pensato.
Poi, quando ne hai avuto abbastanza, hai lanciato lontano l’asciugamano, e te ne sei andata via, senza dimenticare di affacciarti e sibilargli, gelida:  «Sono Beatrice, imbecille.»

E adesso eccoti qui, a fissare il soffitto, a torcere il lenzuolo dalla rabbia e a chiederti dove hai sbagliato con lui. Forse, ma solo in linea teorica – sia mai che tu colpisca anche me – avresti anche potuto essere più sveglia. E meno adorante. Ho detto forse, abbassa quell’arma!
«Sì, ok… ok… ma adesso?» chiedi, e tiri su col naso.
Adesso… adesso si segue la vecchia scuola. Raccogli i cocci del tuo cuore e tiri dritto. Lo ignori. Volti pagina. Segui il tuo amor proprio e ti alzi da questo letto. Vuoi che Marco ti veda così? Vuoi che faccia un casino, e per chi, poi, per uno che manco si ricorda di te?

Ok, tesoro. Ok. Tu non mi vuoi? Benissimo, nemmeno io voglio te. Il santuario è pieno di bei ragazzi. Pullula di fighi pronti a stare con me se solo schiocco le dita. Adesso ti faccio vedere chi è Beatrice. Ti alzi, ti fai bella, per quanto la maschera te lo conceda, ti stiri i capelli ed esci. «Francesca, scusa… Dove hai detto che abitava quel Milo di Scorpio?»
   
 
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