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Autore: Shinkocchi_    28/11/2013    1 recensioni
[AtsuMasa][28/11][alla Gemeh, auguri *u*]
Atsushi nel destino non aveva mai creduto.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kariya Masaki, Minamisawa Atsushi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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alla mia Gemeh, tanti tanti auguri <3




 
   because it had to happen  
 
 
Ci eravamo incontrati perché doveva succedere; e anche se non fosse stato quel giorno, prima o poi ci saremmo sicuramente incontrati da qualche altra parte.
—Haruki Murakami
 
 
Atsushi nel destino non aveva mai creduto.
Destino, ossia insieme di inevitabili eventi che accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità, e che portano ad una conseguenza finale prestabilita.
Un insieme di congetture che gli uomini avevano creato per spiegarsi ciò che altrimenti pareva inspiegabile, a suo parere, niente di più, niente di meno. Soltanto un metodo esaustivo e non troppo dispendioso di fantasia per togliersi qualsiasi responsabilità di dosso.
Così comodo, insensato eppure incontrovertibile da provocare in lui un misto di ammirazione e intolleranza.
Già, eppure una vera stupidaggine, in fin dei conti.
 
 
Non ricordava avessero quel suono gradevole le voci concitate provenienti dagli spalti a fine partita, neppure ci si sentisse così bene, seppure stanchi, sconfitti, dopo aver giocato a calcio insieme alla propria squadra. Minamisawa si guardò intorno, il respiro ancora leggermente affannato e il viso madido di sudore, facendo scorrere lo sguardo sulle tribune, su ciascuno dei cartelloni che svettavano variopinti fra la folla, senza soffermarsi davvero su alcuno di questi.
Erano stati sconfitti dalla Raimon. Avevano perso. Non ne era dispiaciuto.
Sorrise e si sfregò la guancia con il dorso della mano, abbassando l’attenzione sulle figure dei dieci altri giocatori della Gassan Kunimitsu, affaticati anch’essi, che si scambiavano qualche parola, e che nonostante tutto sorridevano. Sentì ad un tratto la mano di Tsukasa poggiarsi sulla propria spalla e si voltò, quello gli fece un cenno che gli parve un lieve assenso per poi precederlo quando i giocatori di entrambe le squadre furono chiamate a posizionarsi in riga, per la tradizionale stratta di mano. Tutto sommato gli era mancata quella banda di idioti.
«È stato un piacere giocare con te, dovremmo farlo ancora, che ne dici?» la stretta di Shindou era più forte di quanto non ricordasse, fece un sorriso sghembo e si scostò il ciuffo dal volto.
Vide Kurama, dietro il capitano incrociare le braccia al petto, sbuffando e lamentandosi come al suo solito «Magari sì.» ridacchiò, sobbalzando poi ad un improvviso richiamo di Kirino poco distante.
«Kariya! Cosa diavolo stai combinando, lascia in pace Shinsuke!» Atsushi alzò lo sguardo sull’interpellato, che increspò le labbra, borbottando fra sé e sé, ignorandolo. Gli scappò una risata e si portò il pugno alle labbra nel tentativo di trattenersi. Capelli turchesi e occhi ambrati. Non gli pareva di averlo mai visto in giro a scuola, che fosse nuovo?
Bah, poco importava, era comunque buona educazione presentarsi, no?
Mosse qualche passo verso di lui, prima di venire letteralmente travolto da Amagi e Kurumada, che gli si gettarono a capofitto addosso in un goffo abbraccio che sapeva di rimpatriata «Che diavolo state facendo, idioti, mi state soffocando—» si dimenò, mentre il ragazzino si allontanava verso gli spogliatoi trascinato da Tenma, senza che avesse avuto la possibilità di presentarsi. Ah, peccato.
E fu così che durante la partita fra la Gassan Kunimitsu e la Raimon si intravidero per la prima volta Minamisawa Atsushi e Kariya Masaki.
 
 
Il giorno in cui dalla porta scorrevole della sala comune della Raimon erano entrati il capitano della Gassan Kunumitsu e quell’altro suo compagno, ex membro della squadra, Masaki si era sinceramente chiesto cosa se ne facessero del loro aiuto. Potevano benissimo cavarsela da soli, erano una squadra, ce l’avrebbero fatta in un modo o nell’altro, come sempre.
Poi, spinto dall’entusiasmo dei suoi amici aveva messo da parte le riserve personali, nel tentativo di aiutare Shinsuke a sviluppare il proprio Kenshin.
Grattò il terreno con il tacco della scarpa da calcio, a bordo campo insieme agli altri, intento ad osservare gli allenamenti del loro neo-portiere all’opera «Che palle—» stiracchiò le braccia portandole dietro il capo e dondolandosi in equilibrio su un solo piede, con fare leggermente infantile.
Però, davvero, mentre Tsukasa era un ottimo portiere e poteva dare dei buoni consigli all’amico, non capiva che diamine di utilità potesse avere quell’altro, che se ne stava al suo fianco, tenendo le braccia conserte e parlottando con il suo capitano di tanto in tanto con aria seria. Era quasi irritante, da un certo punto di vista, soprattutto con quel suo insopportabile modo di sistemarsi il ciuffo e di gesticolare, anche se impercettibilmente.
Davvero, non sapeva perché, ma quel suo modo di muovere le mani lo disturbava davvero. Non poteva proprio fare a meno di prestarci attenzione.
Sospirò, poggiando a terra anche la gamba destra e si sgranchì il collo.
«Che stai guardando con quella faccia così concentrata, Kariya?» vide ad un tratto il viso di Aoi fare capolino di fronte al suo, sorridente, e balzò all’indietro.
«Niente—»scosse la testa agitato, quella rivolse lo sguardo verso il campo.
«Pensavi agli allenamenti?»
«…Mi chiedevo semplicemente che utilità avesse quel tizio.» indicò vago, arricciando il naso.
«Ah, Minamisawa-san? È davvero in gamba, vedrai che darà una mano anche lui a Shinsuke a migliorare le sue capacità!»
«Se lo dici tu, Sorano…» fece perplesso, l’altra annuì, per poi scattare.
«A proposito, tu non l’hai mai conosciuto, vero?» chiese concitata, strattonandolo per un braccio «Vieni, te lo presento! In fondo era un nostro senpai!»
Quello rischiò di inciampare e si tirò indietro, sbuffando «Oggi ho il turno in classe. Per le pulizie, ricordi?» chiese scettico, ricomponendosi. La vide realizzare e, senza attendere oltre, si mise la sacca sulle spalle «Magari un’altra volta, eh.»
Semplicemente rispose così, nemmeno pensando tra le altre cose che un’altra volte ci sarebbe stata sul serio.
 
 
Davvero, Masaki non pensava un’altra volta ci sarebbe stata sul serio.
Quando, nell’enorme campo da calcio, si erano riuniti tutti i migliori giocatori in circolazione per le selezioni della nazionale e si erano disposti in file ordinate, avrebbe dovuto pensare che probabilmente ci sarebbe stato anche lui. Minamisawa Atsushi. Gli pareva una cosa abbastanza scontata, in fondo, quello giocava bene, quindi non capiva per quale motivo il prendere coscienza del fatto lo avesse scombussolato tanto. Non c’era assolutamente nulla di strano. Ecco. Eppure quando poco prima, guardandosi intorno, scombussolato da tutta quella gente, l’aveva intravisto fra tutti gli altri, la consapevolezza di imbattersi nuovamente in lui gli aveva lasciato una sensazione addosso che non sapeva spiegarsi. Non era sgradevole però, quello no. Semplicemente aveva reclinato appena il capo all’indietro, lanciandogli fugaci occhiate con fare curioso, increspando le labbra, salvo poi sobbalzare vistosamente e distogliere rapidamente gli occhi, quando l’altro se n’era accorto, e, fra tutte le persone aveva fissato l’attenzione proprio su di lui. Che fottuta figura di merda.
Aveva puntato ostinatamente lo sguardo a terra, rigido come una corda di violino, cercando di ignorare il rossore che si era propagato, traditore, sulle sue gote nel notare il sorrisetto divertito del più grande. Non doveva permettersi, no, dannazione, perché faceva quella faccia compiaciuta!? Come se ci fosse stato qualcosa di cui essere compiaciuti! Doveva solo ignorarlo e guardare avanti, non pensarci, non aveva fatto nulla di male, in fondo, no?
Nel momento in cui poi i giocatori scelti furono convocati, e gli altri rimandati sulle tribune, sgattaiolò via più veloce di un razzo, cercando di nascondersi fra le figure dei suoi compagni di squadra. Decisamente non gli andava di doversi imbattere nuovamente nell’altro, per niente. Non si fermò neanche quando sentì quella che pareva la sua voce in lontananza mentre discuteva con qualcun altro, anzi, accelerò il passo, nascondendo il viso sotto la frangia spettinata. Considerando tutto, doveva essere davvero una giornata no, quella, una di quelle giornate in cui l’unica cosa che contava davvero era arrivare indenni fino alla fine. Poteva farcela, sì, poteva. Forse. Oh, chissà che espressione idiota aveva in quel momento.
Pensandoci a fondo, Masaki non potè fare a meno di pensare che quel tizio dovesse essere davvero una persecuzione.
 
 
Trascinarsi all'Università tutte le mattine era pesante. E noioso. Ed inutile. Atsushi non la frequentava perchè gli interessasse particolarmente, ma più che altro perchè era mosso da forza d'inerzia. Ed era troppo svogliato anche solo per dire ai suoi che non aveva voglia di andarci.
Alzò lo sguardo verso l’alto, da sotto il suo imbarazzatissimo ombrello verde evidenziatore, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle nell’incontrare il pesante color plumbeo del cielo, un nero che più nero non si poteva, poi sospirò, pensando fosse ingiusto che in una giornata del genere gli fosse toccato mettere piede fuori di casa. Diluviava, dannazione. Pensò anche che quella mattina di inizio febbraio invece all’università piede non ce lo avrebbe messo proprio, per nessun motivo, quando fece dietrofront prendendo a vagare senza meta per le strade di Tokyo. Eh, dopo essersi alzato, lavato e addirittura vestito, non poteva certo starsene a casa. Per principio.
Cercò un bar, lo stomaco che brontolava fastidiosamente, e seppellì le mani nelle tasche del cappotto, infossando la testa nella morbida sciarpa viola poggiata precariamente sulle sue spalle che gli aveva regalato Tsukasa per il compleanno.
È in tinta con i tuoi capelli, gli aveva detto scherzando e Minamisawa aveva riso tirato, facendo buon viso a cattivo gioco, perché beh, francamente quella sciarpa gli faceva davvero schifo, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Meglio comunque di quella rosso acceso che avrebbe preferito regalargli l’amico se solo l’avesse trovata, tirando fuori antichi racconti tradizionali e storie del genere. Aveva parlato di un certo filo rosso del destino, se non ricordava male, che secondo una leggenda giapponese sarebbe stato stretto al mignolo della mano sinistra di ciascun individuo, legandolo alla persona a cui esso era destinato.
Alzò la mano, osservandosi d’istinto il quinto e piccolo dito. Che stupidaggini.
Anche se fosse stato vero, non ci sarebbe stato comunque nessuno ad attenderlo all’altra estremità di quel filo.
Mosse qualche passo in mezzo alla calca che si era creata in centro a causa della pioggia, imboccando l’entrata di un piccolo bar, quando una risatina lo distrasse. Roteò gli occhi, inquadrando sotto una tettoia un tizio senza ombrello, zuppo dalla testa ai piedi. Capelli turchesi e occhi ambrati. Era una sua impressione o aveva un’aria familiare? Ma soprattutto, stava ridendo del suo meraviglioso ombrello verde evidenziatore? Tirò su con il naso, deciso a rispondergli per le rime, quando un signore gli diede involontariamente uno spintone per attraversare la strada e Minamisawa si ritrovò bloccato fra la calca, trascinato a forza dall’altra parte del marciapiede. Ad un tratto un soffio secco di vento si riversò sulla strada, e la sciarpa poggiata precariamente sulle sue spalle volò via, senza che riuscisse a fermarla. Riuscì solo a intravederla malamente poggiarsi sul marciapiede su cui era prima e il ragazzo accucciarsi per raccoglierla, per poi incrociare il suo sguardo in lontananza. Era familiare, già.
Proprio in quel momento doveva scattare il verde? Poco male, in fondo non l’aveva mai potuta vedere, quella sciarpa. Si sfregò involontariamente il mignolo della mano sinistra dentro la tasca.
Probabilmente, pensò, non era destino.
 
 
In Giappone si dice che ogni persona quando nasce porti un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Seguendo questo filo potrà trovare la persona che ne porta l’altra estremità legata al proprio mignolo. Essa è la persona a cui siamo destinati.
Queste due persone, prima o poi, nel corso della loro vita, saranno destinate a incontrarsi, e non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che ciò avvenga, o la distanza che le separa, perché quel filo che le unisce non si spezzerà mai, e nessun evento o azione potrà impedire loro di ritrovarsi, conoscersi, innamorarsi.
 
 
Atsushi nel destino non aveva mai creduto.
Non aveva voglia di chiedersi se ci fosse un motivo, ragione, causa che facesse scorrere gli eventi attorno a lui, potevano benissimo occuparsene gli altri per quanto lo riguardasse.
Ciò che capitava alle persone derivava dalle loro stesse azioni e scelte. Lui spesso sceglieva di non scegliere, lasciava che fossero gli altri a farlo, si lasciava trascinare e piuttosto che ribellarsi preferiva tirarsi indietro. Qualcuno avrebbe potuto dirgli che aveva paura di vivere, lui avrebbe controbattuto che per vivere bastava respirare.
Quando Tsukasa l’aveva trascinato con sé per l’inaugurazione dell’osservatorio che avevano da poco riaperto appena fuori città, avrebbe voluto dire che non ne aveva voglia, che c’era una miriade di altre cose più divertenti da fare, che gli osservatori lo annoiavano a morte perché lui in materia non ci capiva niente, eppure non aveva avuto cuore di controbattere quando l’amico gli aveva detto che proprio lì aveva ottenuto un lavoro part-time per arrotondare le spese degli studi.
Doveva riconoscere, comunque, che era bello, situato in collina, lontano dalle fastidiose luci della città, e non potè far a meno di rimanere affascinato nell’osservare i vari strumenti e le cartine celesti appese alle pareti, ma tentò di dissimulare. Però faceva davvero freddo lì dentro, quello sì, considerando oltretutto che novembre era ormai quasi finito.
Si strinse nel cappotto, decidendo di dare un’occhiata in giro per conto suo quando Tsukasa si fermò a parlare con il direttore dell’osservatorio. Diede una rapida occhiata al grosso e apparentemente costoso telescopio posizionato al piano superiore, dandovi una sbirciata rapida all’interno, per poi scendere la scala a chiocciola che portava di sotto, dove tutte le luci al contrario erano spente.
«E questo è il planetario.» constatò quando giunse sotto la grossa cupola blu scura, dando un’occhiata alla miriade di luminosi puntini artificiali che brillavano sulla volta, in quel silenzio surreale, in cui l’unico rumore era quello dei passi di quelle poche persone presenti che riecheggiavano. Si avvicinò al centro della stanza, sorpassando una coppia di bambini che correva, entusiasta, fino ad arrivare alla prima fila di poltrone, dove si sedette con un sospiro.
Almeno lì c’era un po’ di pace, pensò reclinando il capo ad occhi chiusi, per poi chinarlo di lato ed incontrare nella penombra la figura di un ragazzo seduto a tre posti di distanza. Aveva il viso sollevato verso la cupola, lo sguardo fisso, concentrato, perso nella vastità dell’infinito così lontano eppure tangibile, e ad Atsushi parve quasi di intravederne riflessa l’immagine nelle sue iridi ambrate. Reclinò il capo sul sedile, senza distogliere l’attenzione,
aveva il naso arrossato a causa della temperatura, lo vide prendere fiato, per poi affondare il viso nella sciapa viola che portava stretta al collo.
Aveva come la fastidiosa sensazione di stare tralasciando qualcosa, cercò di scacciarla arricciando il naso, serrando le labbra. Come una sensazione già provata in passato.
Dischiuse le labbra, soffermandosi sul profilo del giovane, respirò piano «Tu sei…Kariya, vero? Il Kariya della Raimon.» lo vide sobbalzare sorpreso ed abbassare lo sguardo verso di lui.
Capelli turchesi e occhi ambrati. Rilasciò il fiato, l’altro lo guardò sospettoso «…Ci conosciamo?»
Rimase in silenzio, poi scosse il capo «Non saprei.» ammise «…Però ci siamo già incontrati.»
Lo vide rimanere in silenzio, confuso, per poi sgranare gli occhi mentre un lieve rossore si propagava sulle sue gote. Oh, quindi Kariya Masaki si ricordava Minamisawa Atsushi. La cosa gli fece stranamente piacere.
Tacquero entrambi e il solo riecheggiare dei passi rimase a rompere il silenzio che intercorreva fra quei loro tre posti vuoti di distanza.
Sentì ad un tratto un rumore, si voltò e lo vide rivolgersi con il busto verso di lui «L-La…sciarpa.» la porse con un colpo secco verso di lui, il braccio teso e l’espressione lievemente imbarazzata «È tua, no, Minamisawa-san?»
Atsushi trattenne il fiato e annuì piano dopo qualche secondo. Nel vedere la stoffa violacea davanti agli occhi gli tornò alla mente quel giorno dell’inverno precedente e più di una consapevolezza lo compì come una doccia fredda.
Filo rosso del destino fu la prima parola a riemergere a galla, senza che neanche se ne rendesse conto, e si sentì arrossire stupidamente nell’accorgersene.
Scosse il capo, sorridendo lieve «Puoi tenerla.» l’altro lo guardò interdetto «Non mi è mai piaciuta, a dire il vero. E poi quel colore dona molto più a te che a me.»
Masaki arrossì, nascondendo impacciatamente il viso sotto la frangia, impegnato a borbottare qualcosa che lo fece sorridere.
Poi Atsushi sentì in lontananza l’eco della voce di Tsukasa richiamarlo e prese fiato, per poi alzare gli occhi al cielo. Rimase in silenzio.
-…Mi indicheresti qualche stella?-
E in quel momento scelse di rimanere.
 
Destino, ossia insieme di inevitabili eventi che accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità, e che portano ad una conseguenza finale prestabilita.
 
 
Atsushi nel destino non aveva mai creduto.
Ma quando aveva incontrato Masaki, aveva pensato fosse stato tutto talmente giusto e perfetto da non poter essere semplicemente frutto del caso.
 

















 

Ok, è da dieci minuti che sto pensando a che scrivere, e- francanmente idk, che schifo, che depressione- non so fare le dediche- non sono capace- fatemi affogare in un pacco di gocciole al caffè per piacere (?). 
Come avrai capito, comunque, gemeh (vul95), questa fic è per te <3 è per te perchè sì, perchè è il tuo compleanno. Nostr-. Nos- nooo- nostr--. Perchè tvb. E perchè, devo avere un motivo di dedicarti un'AtsuMasa? A te che sei la mia AtsushU con la U maiuscola e che io amo with all my kokoro per ovvi motivi??? (??????)
Comunque, beh, spero ti sia piaciuta-- ceh, so che è una stupidaggine e insomma io idfnvfdinijn ma ci tenevo particolarmente a questa fic, e spero tu colga il perchè. Ogni singola. Più minima. Più misererrima. Più OMG DOVE. Citazione presente (?) Credo di divertirmi un casino a inserirne ovunque- non trovi sia stupendo e ti prenda il cuoricino e te lo strappi e lo calpesti? NNNNOOOO???? (?)
A parte questo, beeeeh, le prime tre parti sono chiaramente tratte da delle scene realmente accadute fra il Go e il Galaxy (?) non ho voglia di andare a cercare tutti i numeri degli episodi, quindi boh, ecco sì (?) quando ho letto la frase riportata all'inizio ho subito pensato a loro. Immediatamente. Insomma i miei feels straboccano e io sdignsdfij (?) <3
BEH sì ok, ma tutto questo non centra, quindi ok, finiamola ecco. TANTI AUGURI. TI VOGLIO BENE. SDIJFNSDIJNSFDIJFN. *sotterra
Il concetto all'incirca era questo-- non lamentarti-- cosfdjgndfhgfnhkj 
E... beh, ringrazio chiunque abbia letto o boh <3 
Ora debbo andare <3 Adieù <3

Fede.
  
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