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Autore: sonsimo    04/05/2008    7 recensioni
Questa storia partecipa al FicExchange incentrato su Dragon Ball indetto sul forum Writers Arena.
Vegeta, "intrappolato" per un anno nella Stanza dello Spirito e del Tempo insieme a Trunks, si ritrova a dover fare i conti con le sensazioni che la presenza del figlio suscita in lui e a riflettere sui parallelismi tra il ragazzo e la madre.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice: Questa storia è stata scritta per il FicExchange indetto su Writers Arena e incentrato su Dragon Ball. Secondo la traccia che mi è stata assegnata dovevo scrivere una storia che trattasse il tema della solitudine, con protagonisti Vegeta oppure Piccolo, e la parola chiave della storia doveva essere “risveglio”.
La seguente one-shot, pur potendo essere tranquillamente letta da sola, presenta un legame con un altro mio lavoro già pubblicato su Efp, la song-fiction "Rimani", che è narrata dal punto di vista di Trunks e può richiamare alla mente alcune situazioni descritte in questa one-shot. Come richiesto dalla traccia, ho trattato il tema della solitudine, ma in maniera meno "diretta", probabilmente, di quanto avevo in mente di fare all'inizio. Più che altro, la solitudine in questa storia è quasi un'illusione nella quale Vegeta cerca di rifugiarsi, pur rendendosi conto di non essere davvero "solo". Spero che questa spiegazione non risulti confusa!

Il fremito senza nome

Lentamente avverto il ritorno della coscienza e comincio a muovere le braccia e sollevare le palpebre.
Qui nella Stanza dello Spirito e del Tempo non vi è alcuna differenza tra il giorno e la notte, il cielo sulle nostre teste è sempre di un orrendo, abbacinante, soffocante bianco. Sono io a decidere in che modo scandire le mie giornate, ovvero allenandomi per ore e ore di fila, senza mai alcuna pausa, fino allo stremo delle forze, per poi mangiare qualcosa e concedermi poche ore di sonno prima di ricominciare con un’altra lunghissima sessione di allenamento.
Senza dubbio, si tratta dello stile di vita che meglio mi si addice.
Sarebbe tutto assolutamente perfetto e non avrei di che lamentarmi, se non fosse per momenti come questo. So bene che la mia espressione risulta indispettita prima ancora che io apra gli occhi, perché so già quello che mi troverò di fronte e soprattutto so che non mi farà affatto piacere.
E come volevasi dimostrare, eccolo lì. E’ terribilmente prevedibile questo sciocco ragazzino. I suoi occhi sono puntati su di me per una impercettibile frazione di secondo, nel momento in cui io apro i miei. Immediatamente, come accade ormai ad ogni mio risveglio da quando siamo rinchiusi qui in questo posto, distoglie lo sguardo e si sforza di assumere un’espressione di indifferenza talmente mal riuscita che persino un bimbetto di cinque anni potrebbe smascherarlo senza problemi. Tutto ciò mi porta a dubitare fortemente della sua natura Saiyan. Possibile che un membro del mio popolo sia così ingenuo?
Sbuffo tra me e me all’idiozia della mia stessa domanda, che per un attimo fa sembrare me l’ingenuo, e mi pongo un altro quesito di risoluzione ben più complessa: possibile che io possa ancora nutrire dubbi di questo genere dopo aver conosciuto Kakaroth?
Ottimo risveglio anche quest’oggi, non c’è che dire. Non mi sono ancora nemmeno alzato dal letto e già quel nome cerca con prepotenza di soffocare gli altri miei pensieri e di costringermi a ricordare le peggiori umiliazioni della mia vita. Non è ancora il momento, però. Più tardi, quando sarò lontano dal nostro riparo, completamente solo e libero di scatenare la mia aura, e di conseguenza la mia rabbia, potrò concentrarmi su quel guerriero di terza classe e sulla soddisfazione che proverò quando finalmente giacerà sconfitto ai piedi del suo Principe. Per adesso devo pensare a svegliarmi del tutto e soprattutto devo provare a intimorire questo mocciosetto sciocco che anche stavolta si illude di averla passata liscia, si illude che io non mi sia accorto dei suoi occhi puntati addosso a me. Possibile che non abbia niente di meglio da fare che spiarmi nel sonno? Che cosa ci troverà di così interessante da rimirare, poi, va al di là delle mie capacità di comprensione. Mi alzo e mi concedo qualche istante per scrutare i suoi occhi, che adesso sembrano trovare di grande interesse il pavimento sotto i suoi piedi. Il leggerissimo, appena percettibile tremito del labbro inferiore lo smaschera senza pietà, spogliandolo di quell’effimera barriera protettiva che crede di avere eretto attorno a sé fingendo indifferenza nei miei confronti.
E improvvisamente sento tremare qualcosa dentro di me. Un sentimento che non riesco a riconoscere.
Non è uguale a quello che provo nei confronti di Kakaroth e nemmeno si tratta di ciò che sento quando mi trovo di fronte ad un avversario da sconfiggere. No, è qualcosa di completamente diverso, ma al tempo stesso non del tutto nuovo, per me. Non devo sforzarmi molto per capire esattamente in quali altre circostanze ho avvertito dentro di me un fremito identico a quello che percepisco adesso. Pur se avessi un improvviso quanto improbabile calo di memoria sarebbe sufficiente l’azzurro intenso degli occhi del ragazzino per rinfrescarmi le idee. La sensazione che provo nei confronti del moccioso è esattamente la stessa che ho sentito vibrare dentro di me, qualche tempo fa, di fronte allo sguardo di quella insulsa e starnazzante terrestre. Ricordo ancora alla perfezione il suo sguardo addosso a me, mentre mi accingevo a partire a bordo di una delle navicelle spaziali costruite da suo padre. La sua espressione era veramente disgustosa, mi mandava su tutte le furie mettendo a dura prova il mio controllo. Era proprio come adesso, come se qualcosa… tremasse, dentro di me. Non saprei bene dire cosa. Guardavo quegli occhi e tutto ciò che desideravo era andare via, frapporre tra me e quelle trappole azzurre quanta più distanza fosse possibile. E’ stato solo un attimo, ma in quel momento pareva durare un’eternità. La mia mano guantata di bianco era già sulla maniglia del portellone della navicella e la mia testa era voltata nella sua direzione, i miei occhi nei suoi a sfidarla silenziosamente. Mi chiedevo se fosse possibile che lei trovasse il coraggio per cercare di trattenermi, per chiedermi di rimanere, di non partire per lo Spazio. Speravo quasi che lo facesse, perché a quel punto il mio… tremito interiore, perlomeno, sarebbe stato sensato, fondato. Avrei potuto attribuirgli un nome: collera. Collera per l’invadenza di quella inutile donna, che credeva di potersi avvicinare a me più di quanto io non le avessi concesso. Che credeva di potermi stare accanto. Come se esistesse qualcuno, chiunque, nell’intero Universo, che potesse stare accanto al Principe dei Saiyan. O ne fosse degno. O semplicemente, ne avesse il coraggio. Il Principe in questione, di certo, non ne aveva alcun bisogno.
Ma la terrestre, in quell’occasione, era riuscita, mio malgrado, a stupirmi. Non una sola parola era stata pronunciata dalle sue labbra tese in una smorfia di finta indifferenza fin troppo simile a quella di questo ragazzo che è adesso accanto a me. Solo silenzio e uno sguardo velato di difficile interpretazione, per quanto mi riguarda. Così, quel fremito dentro di me è rimasto privo di nome, ma almeno ho potuto tirare un sospiro di sollievo quando, dopo un istante, ho chiuso il portellone della navicella alle mie spalle, ho chiuso fuori lei, e finalmente mi sono ritrovato di nuovo solo. Fisicamente mi sono ritrovato di nuovo solo. Perché mentalmente non ho mai smesso di esserlo, checché la terrestre possa pensare.
Il ragazzo non ha sollevato gli occhi dal pavimento nemmeno per un attimo mentre io mi perdevo nei miei poco piacevoli ricordi ispirati dall’azzurro dei suoi occhi. Mi reco nella nostra cucina, ignorandolo deliberatamente, faccio colazione senza degnarlo di uno sguardo, quindi scateno la mia aura e volo lontano da lui per allenarmi. Da solo.
Lui mi segue, come ogni giorno, fin troppo vicino per i miei gusti, anche se non osa nemmeno chiedermi di allenarci insieme. Persino in questo suo comportamento ho notato una certa somiglianza con la terrestre. Guardare senza chiedere, tentare di dissimulare senza riuscirci davvero. Tutto ciò è patetico e mi spinge a cominciare l’allenamento, perché almeno in tal modo, concentrandomi sull’elettricità che dal mio corpo si diffonderà verso l’esterno manifestando la mia potenza, potrò smettere di perder tempo con questi inutili pensieri. E focalizzare l’attenzione esclusivamente su me stesso e sul mio allenamento, come è giusto che sia. La presenza di Trunks all’interno di questa stanza non cambia la realtà delle cose. Sono solo, come sempre.
Durante il mio allenamento perdo totalmente la cognizione del tempo, che già di per sé è effimera in questo luogo. Non ho idea di quanto sia trascorso quando finalmente comincio a far diminuire la mia potenza, non ho idea di dove sia Trunks, se si sia già fermato o se si stia ancora allenando, se sia vicino o lontano. Lasciandomi guidare dall’adrenalina, decido di dare il colpo finale, espando di nuovo la mia aura per l’ultima volta, alla massima potenza e improvvisamente, provocando una fortissima vibrazione nell’aria attorno a me e godendomi la sensazione di potere che scorre nelle mie membra. Solo per un istante. Perché quasi immediatamente giunge alle mie orecchie un suono gutturale, strozzato e sgradevole, a metà strada tra un gemito e un urlo. Stupito, azzero la mia aura, i miei capelli tornano neri e mi volto nella direzione del rumore.
Comprendo al volo cosa è successo.
Trunks aveva smesso di allenarsi ed era tornato normale, ma era ancora lì vicino a me. Troppo vicino. E tale vicinanza, unita alla stanchezza del suo corpo in seguito all’estenuante allenamento, ha fatto sì che l’improvviso incremento del mio potere lo cogliesse completamente di sorpresa e lo facesse precipitare giù, da un’altezza considerevole e ad elevata velocità, mandandolo a sbattere violentemente contro il pavimento della Stanza. Ora giace immobile e privo di sensi, gli occhi chiusi e le labbra semidischiuse in una smorfia di dolore.
Accigliato, atterro accanto a lui. Non è successo niente di grave, è un Saiyan, la sua tempra è abbastanza forte da poter resistere ad un colpo di questo genere. Con mio sommo disappunto sento svegliarsi nuovamente qualcosa di… strano, dentro di me, qualcosa fuori luogo. Di nuovo quel fremito a cui ancora non sono riuscito ad attribuire un nome. Stringo le labbra e mi stupisco dei miei stessi pensieri. Non ho alcuna colpa per quanto è successo, Trunks era troppo vicino ed io non sono abituato ad avere qualcuno così vicino a me durante l’allenamento. Anzi, non sono abituato ad avere qualcuno così vicino a me mai, a prescindere dall’allenamento. Sono abituato alla solitudine e mi va bene così, non mi dispiace affatto. Ma mi stupisce che certi pensieri sfiorino la mia mente perché so con certezza che non c’è niente, niente di cui io mi debba giustificare. E allora perché madre e figlio hanno il potere di risvegliare dentro di me esattamente la stessa sensazione?
Mi volto in direzione del rifugio, ma all’ultimo momento cambio idea. So che in questo luogo la temperatura può scendere fino a livelli difficilmente sopportabili, e non c’è motivo di permettere al ragazzo di ammalarsi.
Non che me ne importi qualcosa di lui e della sua salute, ovviamente. Se mi prendo la briga di riflettere su quelle che potrebbero essere le conseguenze di una permanenza del ragazzo al di fuori del rifugio e privo di sensi è soltanto perché non voglio che le sue condizioni possano ostacolare i miei allenamenti. Così, anche se riluttante, isso il giovane su una spalla, volo al rifugio e lo deposito con malagrazia sul suo letto. Non ha ripreso conoscenza durante il breve volo, ma il suo colorito è regolare, qualche ora di riposo lo rimetterà perfettamente in sesto. Con un po’ di fortuna non si ricorderà nemmeno che cosa è successo, dato che ha battuto la testa, magari penserà soltanto di essere crollato esausto dopo l’allenamento. Sinceramente non mi importa, non sono affari miei, ho già fatto fin troppo. Lo lascio lì dov’è e mi occupo di me stesso: una doccia veloce e qualcosa da mettere sotto i denti. Non posso fare a meno di pensare che quando Trunks si sveglierà sarà parecchio affamato. Ma anche questo non è affar mio, possibile che in questi giorni non faccia altro che perdere tempo concentrandomi su dettagli tanto irrilevanti?
Prima di andare a dormire, non so perché, vado a guardare il ragazzo ancora una volta. Il suo sonno sembra piuttosto agitato, deve essere in preda ad un incubo, magari sta sognando dei cyborg che infestano il suo mondo. La sua fronte è imperlata di sudore e stringe convulsamente le lenzuola, le nocche bianche attorno alla stoffa. Mormora qualcosa, inizialmente il suo sussurro è impercettibile, ma poi per un attimo aumenta di volume e riesco a cogliere qualche parola.
“Papà… no-non andare… non andare via”.
Faccio un passo indietro. Vorrei potermi illudere di aver frainteso le sue parole, ma le possibilità sono davvero poche. Mi trovo a pochi centimetri da lui e il silenzio attorno a noi è assoluto. Quel fremito dentro di me si risveglia nuovamente e provo il forte desiderio di… colpire qualcosa.
Invece, inspiegabilmente, mi siedo sul letto di fronte al suo e resto lì, immobile, ad osservarlo. Sta dormendo, non si accorgerà di nulla. E sarò di certo molto più bravo e veloce di lui a distogliere lo sguardo, una volta che starà per aprire gli occhi.
Per una volta sarò io ad assistere al suo risveglio. Solo per una volta.
Poi tornerò ad allenarmi.
Da solo.

FINE

  
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