“Ed egli levò la
sua lama più in alto del margine della
sera, lacerando quel sottile velo di tenebra che la ricopriva; le sue
palpebre
si sollevarono come per la prima volta, sotto quei raggi che
squarciavano il
gelo”.
“E il ghiaccio si ruppe?”
“Si sciolse, come si sciolgono le nevi sui monti
d’estate.
Il sangue fermo nelle vene del nostro popolo tornò a fluire.
Tutto quell’oscuro
apparato fu frantumato in un istante…”
“In un istante!”
“Ma adesso, bambino mio, è ora che tu
dorma”.
“Madre…”
“Dimmi”.
“Non voglio vedere il precettore, domani”.
La donna sospirò. Il suo sguardo si soffermò sul
breve
paesaggio che scorgeva oltre la finestra. Lei era d’una
grazia gentile e, in
qualche modo, imponente.
“Sai,” disse, “da bambina, non potevo
soffrire il mio
precettore. Poi, egli si astenne per lungo tempo
dall’insegnamento per via
d’una malattia, e… morì”.
“Davvero?”
“Sì. E io mi resi conto d’essere
dispiaciuta. Non sentivo
per nulla la sua mancanza, eppure… avevo nostalgia di quel
che riuscivo ad
apprendere quand’ero con lui”.
Il bambino non disse nulla.
La Zora diede un profondo sospiro. Poi, accarezzò la fronte
di
suo figlio.
“Dormi, Ralis,” disse piano. Si levò in
piedi e lasciò la
stanza, ondeggiando lievemente.
Il giovane principe non rispose. Scosse la testa per far
tintinnare i suoi monili e ascoltarne il suono, come faceva sempre
quando avvertiva
un grande vuoto che avrebbe desiderato colmare.
Osservò le sue dita minute. Le sue mani erano sottili, e le
sue membra giovani. Mai avrebbero sostenuto il peso di una spada; i
suoi occhi,
invece erano già in grado di dipingere ogni minuzioso
dettaglio della sua
immaginazione, cesellandolo in armonia alle decorazioni del soffitto
della sua
stanza.
Giocava di rado con i giovani Zora, e quando ciò avveniva non faceva che correre. “Perché scappi, Ralis? Non t’insegue nessuno!” gridavano. “Non m’importa,” diceva, “che non mi prendano”.
“Madre,”
chiedeva, una sera, “da bambina, eri mai…
spaventata?”
La regina, solitamente impassibile, sembrò quasi avere un
fremito. Ralis iniziava a comprendere cosa la rendesse tanto ineffabile
e bella.
Non gli ornamenti, né la grazia che aveva per nascita; era
la sua memoria a sollevarla
di una spanna sopra il tempo, la sua perfetta integrità a
renderla solida, mentre
la nobiltà le diffondeva una gran luce su tutto il viso. Ma
forse, pensò Ralis,
quelli erano soltanto i chiari riflessi del lume.
“Paura?” chiese la regina. “Paura? Era un
abisso”.
“Cosa?”
“Una grande voragine di ghiaccio che mi si spalancava
davanti, pesante come piombo, più grave
dell’eternità”.
“E il ghiaccio non s’è
sciolto?”
“No,” mormorò lei, “no, non
era ghiaccio che potesse frantumarsi”.
Seguì un gran silenzio. Ralis non ebbe l’ardire di
chiederle
un’altra storia.
“Bambino mio,” disse infine Rutela, “tu
sei infinitamente migliore
di quanto non lo fossi io allora. Ripongo in te la fiducia che non ho
mai
veduto riposta in me”.
“Perchè?” chiese il ragazzino.
“Io non potrei mai superare
voragini ghiacciate. Sono … come una piccola creatura chiusa
in una stanza
angusta, che avverta i passi sordi di esseri immani che camminano sul
soffitto”.
“Coi calcinacci che ti piovono sul capo, senza che nessuno
se ne accorga…”
“Madre…”
Rutela prese la mano del suo bambino. Una mano fragile, con
una salda presa.
“Non posso evitare d’aver paura”.
“Lo so”.
“Ho deciso di correre talmente in fretta da non poter
scorgere più niente. Nemmeno la paura”.
“Sei forte abbastanza. Puoi”.
Quando la regina lasciò la stanza, ondeggiando lievemente,
Ralis si sentì mancare per un istante.
Stringendo i pugni avvertiva ancora il lieve tepore che lo
avrebbe fatto addormentare.
Era materia di leggenda, terrificante presenza nei racconti
degli anziani. Eppure, se Ralis allungava una mano a sfiorarlo e vi
premeva il
palmo contro, riusciva a sentirlo. Un gelo mortale, coeso e senza nome.
Visi contorti giacevano immobili sotto la superficie. Ralis
si chiese se il sangue nelle loro vene si fosse fermato.
Fece qualche passo – i suoi piedi avevano scarsa presa, su
quell’infido lastricato – e infine vide. Il regno
intero era immoto, più
irreale che non se fosse stato devastato. Un unico, vertiginoso
complesso di
candore livido e uniforme.
“Una voragine,” si disse; altre parole gli rimasero
strozzate in gola.
Sarebbe morta, la sua gente - oppure sarebbe rimasta congelata
per l’eternità. La prospettiva lo scosse. Il
terrore lo pervase più in fretta
del gelo, assieme a un atroce senso d’incomprensione.
Stringendo i palmi, non riusciva a ritrovare nemmeno la
sensazione della stretta gentile di sua madre. Le sue storie, al
contrario, erano
ben nitide nella sua mente. Nessuno spadaccino si era ancora palesato a
rischiarare
quel buio irreale, e ogni istante era interminabile.
Desiderò disperatamente di riuscire a esser forte
abbastanza; la sua mente formulò in fretta una risoluzione,
e prese a correre.
Passo dopo passo, il respiro gli si mozzava, i polsi
tremavano, le ginocchia sembravano dover cedere.
Avrebbe voluto gridare, ma era consapevole di dover
risparmiare le forze. Il cuore gli doleva.
Non smetteva di correre.
Credette di sognare, quando una figura femminile gli si
palesò davanti, fluttuando a mezz’aria. Era
sottile e, al contempo, maestosa.
La osservò. Donna non era; ricordava una creatura
dell’acqua.
L’apparizione fece cenno di seguirla. Link si
sentì come
incantato; le mosse incontro, calcando il silenzio.
Ascoltò ossequiosamente il racconto della donna;
rabbrividì
quanto lei raccontò del suo assassinio, un’amara
tenerezza lo avvolse quando
gli chiese di badare al suo bambino, la prima cosa che le stesse a
cuore.
“Prometto…” disse, ma la regina era
già svanita; s’era
involata tra i lembi serici della notte.
Ralis ebbe un sussulto.
La luce del giorno gli si insinuò sotto le palpebre; il
respiro tornò prepotentemente ad animargli il petto.
D’improvviso, ogni
sentimento dei suoi ultimi istanti di coscienza si risvegliò
in lui con immane
violenza.
Si guardò intorno, senza riuscire a capire dove si trovasse.
Comprese che doveva essersi risvegliato da un lungo sonno; qualcuno
doveva
averlo raccolto in punto di morte.
La disperazione fu insopportabile, quando ripensò ai suoi;
morti…
forse. Innumerevoli maschere grottesche che sfilavano sotto la spessa
superficie del ghiaccio…
E lui che s’era illuso, per un istante, che sua madre
dicesse il vero. Non aveva mai sperato nella venuta di un eroe
leggendario;
invece, aveva avuto l’ardire di affidarsi a sé
stesso…
Grosse lacrime gli bagnarono il viso, e gl’impedirono di
vedere, se non di sfuggita, una figura china al suo capezzale.
“Madre…?”
I capelli di Rutela quasi gli sfiorarono il volto.
Il respiro di Ralis si spezzò. Sua madre gli era di fronte,
come in un sogno.
“Il nostro popolo ti attende”.
“Cosa…?”
“E' stato salvato dall’Eroe, un fanciullo dotato
del più
eccezionale coraggio, lo stesso cui devi la vita. Ha indosso gli abiti
verdi descritti dalla leggenda. Verrà da
te…”
“Madre…”
“E tu dovrai donargli ciò che ti chiede,
perché in lui ho
visto il destino disegnarsi e compiersi”.
“…Io… tu…”
“Torna al nostro regno, Ralis. Non pensarmi, e non guardarti
indietro”.
“Non posso, non…”
“Sei forte abbastanza. Puoi”.
La regina scomparve, come se una brezza l’avesse dissolta.
Ralis non desiderava avvertire un vuoto nuovo, e più grande.
Nemmeno piangere. Pensò al ghiaccio che non aveva visto
sciogliersi, alla sua
gente, all’acqua che certo era già tornata a
scorrere. Scosse la testa e
ascoltò i suoi monili.
Le storie della regina gli si affastellavano in mente, lo
riempivano di stupore e d’improvvisa nostalgia. Era quello,
pensò, il vuoto maggiore:
non avrebbe più potuto ascoltarle.
“Allora parlerò all’acqua…
chiederò all’acqua”.
Sentì una voce chiamarlo dall’esterno,
distoglierlo dai suoi
pensieri troppo intricati perché potesse capirli.
L’eroe osservava il giovane Zora con lieve imbarazzo. Non
scorse
tracce di sua madre nei grandi occhi verdi, né nei suoi modi
limpidi, nella
sottile malinconia che sfumava in ogni gesto. Gli mostrò uno
schizzo; lui
comprese. “I reekfish,” disse.
“Aspetta…”
Link lo guardò attentamente anche mentre toglieva i suoi
orecchini e glieli porgeva, senza chiedergli altro.
“E’ ciò che ti serve per prenderne
uno”.
“Lei… lei voleva che tu tornassi
indietro”.
“Lo so,” rispose Ralis, facendo un nervoso cenno
col capo.
“Lo so”.
L’eroe diede un breve respiro.
“Mi ha chiesto di…”
“Era una donna maestosa, non è vero?”
Link rimase interdetto per un momento.
“Sì,” disse infine,
“Elegante, e maestosa. Come se secoli di memoria le
gravassero sulle spalle.
Sinuosa come un’onda…”
“Sì. Lei era…
così”.
Ralis tornò a volgersi alla volta celeste.
“Un regno intero... Le smorfie di quei visi contratti.
Sforzi falliti e dimenticati. Parole; l’infinità
dei discorsi trattenuti dalle
acque… tutto questo mi spaventa”.
Link fece qualche passo. Decise di allontanarsi. Ancora una
volta, in presenza di una di quelle creature acquatiche, avvertiva
qualcosa di
maggiore, di trascendente.
“Link…?”
Non rispose.
“Grazie”.
Le stelle e i loro disegni;
l’arco buio che sembrava
inghiottirle, qualche spettro plumbeo che talora le oscurava. Il cielo.
Lo
sguardo di Ralis lo esplorava con discrezione; era tanto più
ampio del soffitto
della sua stanza, e tanto più spaventoso.
Guardava in alto.
L’aria umida del Regno degli Zora gli aveva rinfrancato i
polmoni, mentre vedere la sua gente era stato confortante e doloroso a
un
tempo. Pensò a sua madre; pensò alla giovinezza
che già gli abbandonava i
polsi.
Pensò allo spazio infinito che lo sovrastava, e
sentì
mancare il respiro.
La regina aveva visto il destino disegnarsi e compiersi. Lui
aveva visto un ragazzo, un ragazzo dagli occhi curiosi. Li aveva
osservati;
aveva visto.
Paura. Confusione. Una strana luce aurea.
Guardava in alto.
Pensò che, forse, le sua ginocchia l’avrebbero
sorretto.
Un’improvvisa commozione lo portò ad appoggiarsi
ad un
parapetto. Ruotò col mondo circostante, il respiro gli si
fece affannato. La
vista gli si annebbiò, come ad un naufrago che per un
istante scorga una stella
nota.
Vedeva se stesso tra i più reconditi recessi di
quella volta senza memoria.