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Autore: Sally_the_rag_doll    04/05/2008    1 recensioni
Un giovane principe non può permettersi d'essere spensierato, specie se in tempi oscuri; ma Ralis ama più di ogni altra cosa ascoltare le storie raccontate da sua madre... (Twilight Princess).
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Link
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Ed egli levò la sua lama più in alto del margine della sera, lacerando quel sottile velo di tenebra che la ricopriva; le sue palpebre si sollevarono come per la prima volta, sotto quei raggi che squarciavano il gelo”.
“E il ghiaccio si ruppe?”
“Si sciolse, come si sciolgono le nevi sui monti d’estate. Il sangue fermo nelle vene del nostro popolo tornò a fluire. Tutto quell’oscuro apparato fu frantumato in un istante…”
“In un istante!”
“Ma adesso, bambino mio, è ora che tu dorma”.
“Madre…”
“Dimmi”.
“Non voglio vedere il precettore, domani”.
La donna sospirò. Il suo sguardo si soffermò sul breve paesaggio che scorgeva oltre la finestra. Lei era d’una grazia gentile e, in qualche modo, imponente.
“Sai,” disse, “da bambina, non potevo soffrire il mio precettore. Poi, egli si astenne per lungo tempo dall’insegnamento per via d’una malattia, e… morì”.
“Davvero?”
“Sì. E io mi resi conto d’essere dispiaciuta. Non sentivo per nulla la sua mancanza, eppure… avevo nostalgia di quel che riuscivo ad apprendere quand’ero con lui”.
Il bambino non disse nulla.
La Zora diede un profondo sospiro. Poi, accarezzò la fronte di suo figlio.
“Dormi, Ralis,” disse piano. Si levò in piedi e lasciò la stanza, ondeggiando lievemente.
Il giovane principe non rispose. Scosse la testa per far tintinnare i suoi monili e ascoltarne il suono, come faceva sempre quando avvertiva un grande vuoto che avrebbe desiderato colmare.
Osservò le sue dita minute. Le sue mani erano sottili, e le sue membra giovani. Mai avrebbero sostenuto il peso di una spada; i suoi occhi, invece erano già in grado di dipingere ogni minuzioso dettaglio della sua immaginazione, cesellandolo in armonia alle decorazioni del soffitto della sua stanza.


Giocava di rado con i giovani Zora, e quando ciò avveniva non faceva che correre. “Perché scappi, Ralis? Non t’insegue nessuno!” gridavano. “Non m’importa,” diceva, “che non mi prendano”.


“Madre,” chiedeva, una sera, “da bambina, eri mai… spaventata?”
La regina, solitamente impassibile, sembrò quasi avere un fremito. Ralis iniziava a comprendere cosa la rendesse tanto ineffabile e bella. Non gli ornamenti, né la grazia che aveva per nascita; era la sua memoria a sollevarla di una spanna sopra il tempo, la sua perfetta integrità a renderla solida, mentre la nobiltà le diffondeva una gran luce su tutto il viso. Ma forse, pensò Ralis, quelli erano soltanto i chiari riflessi del lume.
“Paura?” chiese la regina. “Paura? Era un abisso”.
“Cosa?”
“Una grande voragine di ghiaccio che mi si spalancava davanti, pesante come piombo, più grave dell’eternità”.
“E il ghiaccio non s’è sciolto?”
“No,” mormorò lei, “no, non era ghiaccio che potesse frantumarsi”.
Seguì un gran silenzio. Ralis non ebbe l’ardire di chiederle un’altra storia.
“Bambino mio,” disse infine Rutela, “tu sei infinitamente migliore di quanto non lo fossi io allora. Ripongo in te la fiducia che non ho mai veduto riposta in me”.
“Perchè?” chiese il ragazzino. “Io non potrei mai superare voragini ghiacciate. Sono … come una piccola creatura chiusa in una stanza angusta, che avverta i passi sordi di esseri immani che camminano sul soffitto”.
“Coi calcinacci che ti piovono sul capo, senza che nessuno se ne accorga…”
“Madre…”
Rutela prese la mano del suo bambino. Una mano fragile, con una salda presa.
“Non posso evitare d’aver paura”.
“Lo so”.
“Ho deciso di correre talmente in fretta da non poter scorgere più niente. Nemmeno la paura”.
“Sei forte abbastanza. Puoi”.
Quando la regina lasciò la stanza, ondeggiando lievemente, Ralis si sentì mancare per un istante.
Stringendo i pugni avvertiva ancora il lieve tepore che lo avrebbe fatto addormentare.


Il ghiaccio.
Era materia di leggenda, terrificante presenza nei racconti degli anziani. Eppure, se Ralis allungava una mano a sfiorarlo e vi premeva il palmo contro, riusciva a sentirlo. Un gelo mortale, coeso e senza nome.
Visi contorti giacevano immobili sotto la superficie. Ralis si chiese se il sangue nelle loro vene si fosse fermato.
Fece qualche passo – i suoi piedi avevano scarsa presa, su quell’infido lastricato – e infine vide. Il regno intero era immoto, più irreale che non se fosse stato devastato. Un unico, vertiginoso complesso di candore livido e uniforme.
“Una voragine,” si disse; altre parole gli rimasero strozzate in gola.
Sarebbe morta, la sua gente - oppure sarebbe rimasta congelata per l’eternità. La prospettiva lo scosse. Il terrore lo pervase più in fretta del gelo, assieme a un atroce senso d’incomprensione.
Stringendo i palmi, non riusciva a ritrovare nemmeno la sensazione della stretta gentile di sua madre. Le sue storie, al contrario, erano ben nitide nella sua mente. Nessuno spadaccino si era ancora palesato a rischiarare quel buio irreale, e ogni istante era interminabile.
Desiderò disperatamente di riuscire a esser forte abbastanza; la sua mente formulò in fretta una risoluzione, e prese a correre.
Passo dopo passo, il respiro gli si mozzava, i polsi tremavano, le ginocchia sembravano dover cedere.
Avrebbe voluto gridare, ma era consapevole di dover risparmiare le forze. Il cuore gli doleva.
Non smetteva di correre.


L’eroe – un trepido adolescente – ammirava il calar della sera sui tetti del villaggio di Kakariko. Quella cittadina incassata tra i monti d’arenaria bruna lo commuoveva – inconsapevolmente, forse, e impercettibilmente.
Credette di sognare, quando una figura femminile gli si palesò davanti, fluttuando a mezz’aria. Era sottile e, al contempo, maestosa. La osservò. Donna non era; ricordava una creatura dell’acqua.
L’apparizione fece cenno di seguirla. Link si sentì come incantato; le mosse incontro, calcando il silenzio.
Ascoltò ossequiosamente il racconto della donna; rabbrividì quanto lei raccontò del suo assassinio, un’amara tenerezza lo avvolse quando gli chiese di badare al suo bambino, la prima cosa che le stesse a cuore.
“Prometto…” disse, ma la regina era già svanita; s’era involata tra i lembi serici della notte.


Ralis ebbe un sussulto. La luce del giorno gli si insinuò sotto le palpebre; il respiro tornò prepotentemente ad animargli il petto. D’improvviso, ogni sentimento dei suoi ultimi istanti di coscienza si risvegliò in lui con immane violenza.
Si guardò intorno, senza riuscire a capire dove si trovasse. Comprese che doveva essersi risvegliato da un lungo sonno; qualcuno doveva averlo raccolto in punto di morte.
La disperazione fu insopportabile, quando ripensò ai suoi; morti… forse. Innumerevoli maschere grottesche che sfilavano sotto la spessa superficie del ghiaccio…
E lui che s’era illuso, per un istante, che sua madre dicesse il vero. Non aveva mai sperato nella venuta di un eroe leggendario; invece, aveva avuto l’ardire di affidarsi a sé stesso…
Grosse lacrime gli bagnarono il viso, e gl’impedirono di vedere, se non di sfuggita, una figura china al suo capezzale.
“Madre…?”
I capelli di Rutela quasi gli sfiorarono il volto.
Il respiro di Ralis si spezzò. Sua madre gli era di fronte, come in un sogno.
“Il nostro popolo ti attende”.
“Cosa…?”
“E' stato salvato dall’Eroe, un fanciullo dotato del più eccezionale coraggio, lo stesso cui devi la vita. Ha indosso gli abiti verdi descritti dalla leggenda. Verrà da te…”
“Madre…”
“E tu dovrai donargli ciò che ti chiede, perché in lui ho visto il destino disegnarsi e compiersi”.
“…Io… tu…”
“Torna al nostro regno, Ralis. Non pensarmi, e non guardarti indietro”.
“Non posso, non…”
“Sei forte abbastanza. Puoi”.
La regina scomparve, come se una brezza l’avesse dissolta.
Ralis non desiderava avvertire un vuoto nuovo, e più grande. Nemmeno piangere. Pensò al ghiaccio che non aveva visto sciogliersi, alla sua gente, all’acqua che certo era già tornata a scorrere. Scosse la testa e ascoltò i suoi monili.
Le storie della regina gli si affastellavano in mente, lo riempivano di stupore e d’improvvisa nostalgia. Era quello, pensò, il vuoto maggiore: non avrebbe più potuto ascoltarle.
“Allora parlerò all’acqua… chiederò all’acqua”.
Sentì una voce chiamarlo dall’esterno, distoglierlo dai suoi pensieri troppo intricati perché potesse capirli.


“Sì. Sapevo che aspetto avessi. Lei mi ha parlato di te”.
L’eroe osservava il giovane Zora con lieve imbarazzo. Non scorse tracce di sua madre nei grandi occhi verdi, né nei suoi modi limpidi, nella sottile malinconia che sfumava in ogni gesto. Gli mostrò uno schizzo; lui comprese. “I reekfish,” disse. “Aspetta…”
Link lo guardò attentamente anche mentre toglieva i suoi orecchini e glieli porgeva, senza chiedergli altro.
“E’ ciò che ti serve per prenderne uno”.
“Lei… lei voleva che tu tornassi indietro”.
“Lo so,” rispose Ralis, facendo un nervoso cenno col capo. “Lo so”.
L’eroe diede un breve respiro.
“Mi ha chiesto di…”
“Era una donna maestosa, non è vero?”
Link rimase interdetto per un momento. “Sì,” disse infine, “Elegante, e maestosa. Come se secoli di memoria le gravassero sulle spalle. Sinuosa come un’onda…”
“Sì. Lei era… così”.
Ralis tornò a volgersi alla volta celeste.
“Un regno intero... Le smorfie di quei visi contratti. Sforzi falliti e dimenticati. Parole; l’infinità dei discorsi trattenuti dalle acque… tutto questo mi spaventa”.
Link fece qualche passo. Decise di allontanarsi. Ancora una volta, in presenza di una di quelle creature acquatiche, avvertiva qualcosa di maggiore, di trascendente.
“Link…?”
Non rispose.
“Grazie”.


Le stelle e i loro disegni; l’arco buio che sembrava inghiottirle, qualche spettro plumbeo che talora le oscurava. Il cielo. Lo sguardo di Ralis lo esplorava con discrezione; era tanto più ampio del soffitto della sua stanza, e tanto più spaventoso.
Guardava in alto.
L’aria umida del Regno degli Zora gli aveva rinfrancato i polmoni, mentre vedere la sua gente era stato confortante e doloroso a un tempo. Pensò a sua madre; pensò alla giovinezza che già gli abbandonava i polsi.
Pensò allo spazio infinito che lo sovrastava, e sentì mancare il respiro.
La regina aveva visto il destino disegnarsi e compiersi. Lui aveva visto un ragazzo, un ragazzo dagli occhi curiosi. Li aveva osservati; aveva visto.
Paura. Confusione. Una strana luce aurea.
Guardava in alto.
Pensò che, forse, le sua ginocchia l’avrebbero sorretto.
Un’improvvisa commozione lo portò ad appoggiarsi ad un parapetto. Ruotò col mondo circostante, il respiro gli si fece affannato. La vista gli si annebbiò, come ad un naufrago che per un istante scorga una stella nota.
Vedeva se stesso tra i più reconditi recessi di quella volta senza memoria.

  
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